Fare incetta di connazionali

di Peter Wetz // TennisAbstract

Pubblicato il 20 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dopo la sconfitta di Andy Murray contro il britannico Kyle Edmund al torneo di Eastbourne International 2018, il The Sunday Times ha titolato che si è trattato per Murray della prima sconfitta per mano di un connazionale in dodici anni. Sembra in effetti un periodo di tempo molto lungo, e non devono essere stati molti i lettori in grado di ricordarsi della sconfitta subita contro Tim Henman nei trentaduesimi di finale del Thailand Open 2006.

Se però non capita spesso di giocare contro un connazionale, dodici anni possono risultare molto più brevi. E infatti tra le due sconfitte del 2006 e 2018, Murray ha giocato e vinto solo quattro partite contro giocatori inglesi. Da ottobre 2006 a giugno 2016, Murray non ha giocato nemmeno una partita contro un connazionale. Delle cinque partite giocate dalla sconfitta del 2006, ne ha vinte quattro. La notizia non fa più così scalpore.

Chi domina i propri connazionali?

Quali sono i giocatori che hanno davvero dominato avversari con lo stesso passaporto? Iniziamo prendendo in considerazione le strisce vincenti più lunghe in termini di partite. La tabella elenca quei giocatori con almeno 10 vittorie di fila contro connazionali, dal 1991. Non sono incluse le partite interrotte per ritiro o quelle non giocate per ritiro pre-partita.

Giocatore   Inizio      Fine       Partite
Sampras	    1993-03     1994-05	   34
Sampras	    1995-12     1997-02	   23
Nadal	    2004-08     2005-10	   22
Bruguera    1993-09     1995-07	   20
Nadal	    2008-05     2010-05	   19
Bruguera    1992-04     1993-07	   19
Roddick	    2006-07     2009-08	   18
Coria	    2002-08     2004-05	   18
Edberg	    1991-07     1994-02	   18
Agassi	    2000-01     2001-08	   17
Blake	    2006-02     2007-07	   16
Ferrero	    2002-09     2004-04	   16
Nadal	    2012-05     2013-10	   15
Moya	    2004-01	2005-01	   15
Berdych	    2006-06	2017-01	   14*
Isner	    2013-04	2014-07	   13
Nadal	    2011-03	2012-04	   13
Federer	    2009-08	2013-03	   13
Agassi	    2004-08	2006-03	   12
Ferrero	    2000-02	2001-04	   12
Larsson	    1996-04	1999-08	   12
Nadal	    2016-02	2018-04	   11*
Ferrer	    2011-07	2012-04	   11
Djokovic    2008-06	2011-11	   11
Roddick	    2003-06	2004-03	   11
Schuettler  2000-08	2003-08	   11
Hewitt	    1999-06	2001-05	   11
Kafelnikov  1995-03	2000-10	   11
Costa	    1993-07	1994-04	   11
Furlan	    1991-03	1994-08	   11

* Strisce in corso di giocatori in attività

Tre giocatori, il cui nome compare più volte, si distinguono al vertice della lista, Pete Sampras, Rafael Nadal e Sergi Bruguera. Provenienti da paesi noti per avere giocatori regolarmente ai vertici della classifica, il loro risultato è ancora più impressionante.

Ad esempio, se si prende Sampras è chiaro che abbia avuto più spesso l’opportunità di giocare contro americani e – nel periodo di massima forma – accumulare vittorie valide per la striscia in un lasso di tempo ridotto, continuando a battere avversari formidabili come Andre Agassi, Jim Courier e Michael Chang.

Cosa accade se rendiamo meno stringente il parametro delle partite vinte e ci concentriamo sulla durata temporale della striscia? La tabella elenca le strisce vincenti contro connazionali di almeno 36 mesi e con un minimo di quattro vittorie. La terza colonna mostra la durata in mesi, la quarta colonna mostra il numero di partite mensili giocate durante la striscia – a indicazione della regolarità di partite contro un connazionale – e l’ultima colonna mostra il numero di partite che hanno contribuito a formare la striscia.

Giocatore   Inizio     Durata	P/Mese	 Partite
Berdych	    2006-06    127	0.11	 14*
Melzer	    2003-07    87       0.07	 6
Del Potro   2009-02    85	0.08	 7
Muster	    1991-06    83	0.12	 10
Henman	    1999-03    74	0.09	 7
Djokovic    2012-06    70	0.07	 5*
Federer	    2000-05    69	0.12	 8
Raonic	    2012-05    69	0.06	 4
Kafelnikov  1995-03    67	0.16	 11
Hewitt	    2009-02    65	0.09	 6
Goffin	    2012-01    63	0.06	 4*
Volandri    2003-09    58	0.1	 6
Hrbaty	    2000-10    57	0.07	 4
K. Kim	    2000-08    53	0.08	 4
Hewitt	    2001-11    51	0.08	 4
Darcis	    2008-06    50	0.1	 5
Chesnokov   1991-04    47	0.11	 5  
Kuerten	    1997-04    46	0.11	 5 
Krajicek    1992-06    44	0.23	 10
Federer	    2009-08    43	0.3	 13
Djokovic    2008-06    41	0.27	 11
Furlan	    1991-03    41	0.27	 11
Larsson	    1996-04    40	0.3	 12
Ondruska    1994-03    40	0.1	 4
Roddick	    2006-07    36	0.5	 18
Schuettler  2000-08    36	0.31	 11
Haas	    2009-06    36	0.19	 7
Gonzalez    2006-08    36	0.14	 5
Zeballos    2014-02    36	0.11	 4

* Strisce in corso di giocatori in attività

(La striscia di Murray non compare in elenco perché la durata è definita dal tempo intercorso tra la prima e l’ultima partita che soddisfano il requisito delle vittorie contro un connazionale. Per Murray le date sono giugno e ottobre 2016, rendendo la sua striscia troppo corta di soli quattro mesi.)

La striscia di Berdych è iniziata dodici anni fa

Al primo posto dell’elenco troviamo Tomas Berdych, con un distacco importante da Jurgen Melzer al secondo. La striscia di Berdych contro i connazionali, tuttora in corso, è iniziata più di dodici anni fa (anche se non si tratta della durata precisa perché la striscia attuale si ferma all’ultima vittoria ottenuta contro Jiri Vesely a gennaio 2017). La striscia al momento è composta da 14 vittorie con una frequenza relativamente bassa di partite mensili (0.11).

I giocatori in cima al precedente elenco non rientrano in quest’ultimo, perché la loro striscia, pur riguardando un gran numero di partite, non è durata per così tanti anni. Compaiono però due membri dei Fantastici Quattro, Roger Federer e Novak Djokovic. La peculiarità della striscia di Federer risiede nel fatto che dal 2005 solo due sono stati i connazionali affrontati nelle 26 partite giocate, Stanislas Wawrinka per 24 volte e Marco Chiudinelli per due.

A tutti gli effetti, la striscia di Federer che ha inizio dal 2009 rappresenta gli scontri diretti con Wawrinka in quel periodo di tempo. Una considerazione curiosa: David Goffin è l’unico giocatore dell’elenco a non aver mai perso una partita del circuito maggiore contro un connazionale.

A parte l’attuale striscia di Berdych, la mancanza di lunghe strisce attive mostra come non ci siano paesi in cui, negli ultimi anni, un giocatore abbia dominato tutti gli altri. Anche ai giocatori più forti capita di perdere occasionalmente contro un avversario della stessa nazione. Esiste solo un modo per evitare con certezza che questo accada: come testimoniano Marcos Baghdatis, Grigor Dimitrov o Kevin Anderson, il trucco è di rappresentare una nazione in cui la competizione ad alto livello sia totalmente assente.

Dominating Your Countrymen

Due macchine da servizi, zero tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 3 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

I molti risultati contro pronostico agli US Open 2018 (non da ultima la sconfitta di Roger Federer al quarto turno per mano di John Millman, n.d.t.) non reggono il confronto con il sorprendente andamento della partita tra John Isner e Milos Raonic, valida per un posto nei quarti di finale. Inser ha vinto con il punteggio di 3-6 6-3 6-4 3-6 6-2, perdendo il servizio due volte e conquistando quello di Raonic quattro volte. In poche altre occasioni il tiebreak era cosa certa, eppure i due giocatori dalla statura fuori scala non lo hanno nemmeno sfiorato.

Nei cinque precedenti incontri, è stato più probabile per Isner e Ranoic arrivare a due tiebreak che a uno solo, e si è trattato per la maggior parte di partite al meglio dei tre set, non il format al meglio dei cinque set degli Slam. Nei 13 set giocati, 9 sono andati al tiebreak.

Nel 2017, il 45% dei set giocati da Isner sono stati dei tiebreak, mentre per Raonic quasi il 25%. Tra tutti e due, hanno giocato la partita più lunga della storia del tennis, la semifinale più lunga di uno Slam e la partita più lunga alle Olimpiadi. Sono davvero insuperabili nel tenere il servizio e davvero deboli a fare il break.

Grandi speranze

La probabilità che Isner e Raonic giochino un tiebreak dipende da alcune ipotesi di base. Se Raonic servisse come ha fatto nelle 52 settimane precedenti, la sua percentuale di punti vinti al servizio (PVS) sarebbe del 72.8%, che equivale a tenere il servizio il 93% delle volte. Se usiamo la PVS di Isner effettiva della partita di 74.3%, siamo di fronte al servizio tenuto il 94.4% delle volte. Se usiamo invece l’incredibile PVS di Isner di 76.5% derivante dalle altre partite contro Raonic, abbiamo un corrispondente servizio tenuto del 96%. Sembrano tutti valori molto alti ma, come vedremo, le differenze esistenti finiscono per incidere non poco sulla probabilità.

Ipotesi

Farò i calcoli in funzione di tre categorie di ipotesi:

  1. gli scontri diretti. In cinque partite (quattro su cemento e la quinta a Wimbledon 2018), Isner ha vinto il 76.5% dei punti al servizio, contro il 71.4% di Raonic. Significa tenere il servizio rispettivamente il 96.0% e il 91.7% delle volte.
  2. le ultime 52 settimane (corrette). Su tutte le superfici e dagli US Open 2017, Isner ha vinto il 73.6% dei punti al servizio, contro il 72.8% di Raonic. Sono numeri però ottenuti in presenza di un avversario medio. Entrambi, e specialmente Isner, hanno un gioco alla risposta inferiore alla media. Se correggiamo la PVS di ciascuno per la frequenza di punti vinti alla risposta (PVR) si ottiene il 75.5% per Isner e il 78.5% per Raonic. In termini di partita giocata, corrispondono a servizi tenuti rispettivamente per il 95.3% e il 97.1%.
  3. il quarto turno a Flushing Meadow. Isner ha vinto il 74.3% dei punti al servizio e Raonic il 68.8%. Con questi numeri non arriviamo a un pronostico reale, visto che naturalmente non avremmo potuto conoscerli prima del loro accadimento. Ma forse, componendo ogni singolo granello di informazione a disposizione in modo molto arguto, ci saremmo potuti avvicinare a un numero realistico. Sono percentuali che si traducono nel 94.4% di servizi tenuti per Isner e nell’88.5% per Raonic.

Non abbastanza tiebreak

A quanto pare, le agenzie di scommessa davano la probabilità di almeno un tiebreak al 95%. Questo è in linea con le mie previsioni, anche se le specifiche ipotesi influenzano il risultato in modo rilevante.

Ho calcolato qualche probabilità per ogni categoria di ipotesi. La prima, “p(No brk),” è la probabilità che i due giocatori tengano il servizio per 12 game. Non è l’unico modo per arrivare al tiebreak, ma ricomprende la maggior parte delle possibilità. La seconda, “p(TB)” è il risultato di una simulazione Monte Carlo per far vedere la probabilità che un set qualsiasi finisca al tiebreak. La terza, “eTB”, rappresenta il numero atteso di tiebreak sapendo che Isner e Raonic giocheranno cinque set. L’ultima, “p(1+ TB)” è la probabilità che la partita abbia almeno un tiebreak in cinque set.

Visto il tennis espresso dai due giganti durante la partita, non è impensabile che non siano mai andati sul 6-6. Considerato che il gioco alla risposta di Isner ha in larga parte determinato un calo della PVS di Raonic al di sotto del 70%, ogni set aveva “solo” una probabilità del 41.2% di un tiebreak, e c’era un 7% di probabilità che un punteggio al quinto set non ne contenesse neanche uno. Le altre due categorie di ipotesi, però, indicano quel tipo di certezza nel tiebreak che si riscontra anche nelle quote degli allibratori…e di chiunque altro abbia mai visto giocare Isner e Raonic.

Conclusioni

Forse l’aspetto più strano della vicenda è che, in sei precedenti partite agli US Open 2018, Isner e Raonic hanno giocato complessivamente sette tiebreak, almeno uno in cinque delle sei partite, prima di spegnere gli entusiasmi nello scontro diretto. Conoscendo Isner, si tratta di una distrazione, e sicuramente ci regalerà uno o due tiebreak nel quarto di finale contro Juan Martin Del Potro (Isner ha poi perso 7-6 (5) 3-6 6-7 (4) 2-6, con un tiebreak vinto e uno perso, n.d.t.).

Al termine del torneo, le sue partite molto probabilmente avranno almeno uno o due tiebreak nel punteggio…tranne che contro l’altra macchina da servizi a nome Raonic. Deve essere questo il motivo per cui continuiamo a seguire il tennis: ogni partita ha il potenziale per sorprenderci, anche se in fondo è una che non ci interessava guardare.

Two Servebots and Zero Tiebreaks

La partita lotteria fenomenale di Marketa Vondrousova

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 3 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Stando ai numeri, Marketa Vondrousova non avrebbe dovuto vincere la partita di terzo turno degli US Open 2018 contro Kiki Bertens. Ha vinto solamente il 47.1% dei punti, 12 in meno di Bertens, prendendo il servizio due volte in più rispetto a quanti break è riuscita a fare all’avversaria. Ma non è tutto.

Il trucco sta nel punteggio: 7-6(4) 2-6 7-6(1). Vondrousova non ha dominato nei due set vinti come ha fatto Bertens in quello da lei vinto, ma ha giocato meglio nei momenti di maggiore importanza, specialmente nel tiebreak del terzo set. E qui si chiude il discorso: secondo quasi tutte le statistiche marginali disponibili, Bertens è stata la migliore in campo.

La vittoria di Vondrousova rientra in quelle che ho definito “partite lotteria”, riferendomi a tutte le partite nelle quali nessuna delle giocatrici, o giocatori, vince più del 53% dei punti totali, garanzia quasi certa che la vincitrice arriverà dalla giocatrice che vince più punti. Tra il 50% e il 53%, la capacità di fare la differenza nei momenti chiave e la fortuna giocano un ruolo determinante.

Se il 47.1% di Vondrousova raramente è sufficiente alla vittoria – solo due volte quest’anno nel circuito femminile è accaduto che la giocatrice con una percentuale inferiore abbia vinto la partita – è possibile che lo sia. Secondo il mio modello di probabilità di vittoria, quando una giocatrice vince il 63% dei punti al servizio e il 44% alla risposta, vince poi la partita l’82% delle volte.

Un risultato unico

Le partite lotteria sono abbastanza frequenti, così come non sono del tutto inusuali le partite vinte dalla giocatrice che ha conquistato meno punti. Dal 2013, ce ne sono state circa 100 all’anno sul circuito femminile, quasi una ogni 20 partite. La rarità di quanto ottenuto da Vondrousova a New York è ben sintetizzata dal tweet di Ravi Ubha. Solitamente, la vincitrice di questo tipo di partite beneficia di passaggi favorevoli, come un po’ di fortuna sulle palle break da convertire o da annullare, o anche qualche doppio fallo evitato o commesso dall’avversaria.

Ho ristretto l’elenco di Ubha a cinque parametri: punti vinti totali (PVT), punti vinti alla risposta (PVR), break ottenuti, ace e doppi falli. I primi due si inseguono a vicenda ma, determinate volte, se una giocatrice deve servire molto di più dell’avversaria, può vincere punti alla risposta con una frequenza maggiore pur avendo un numero di PVT più basso. Gli ultimi tre sono più indipendenti tra loro.

Il numero totale di ace o doppi falli non è particolarmente cruciale per l’esito di una partita – esistono innumerevoli circostante nelle quali una giocatrice è avanti in una o entrambe le categorie finendo poi però per perdere – ma visto che aumentano l’unicità dell’impresa di Vondrousova, li ho comunque inclusi. Avrei voluto considerare anche vincenti ed errori non forzati, ma sono statistiche raccolte solo all’interno degli Slam.

Delle 532 partite che ho identificato tra il 2013 e il 2018 (esclusi gli US Open) in cui la giocatrice che ha perso ha vinto più punti, 192 rispondono ai primi tre criteri: la vincitrice ha un numero di PVT più basso, un numero di PVR più basso e meno break ottenuti dell’avversaria.

Solo 39 di quelle 192 partite hanno soddisfatto tutti i parametri, vale a dire lo 0.3% delle partite femminili nel periodo considerato per le quali erano a disposizione statistiche ufficiali. Sei sono state giocate nel 2018, anche se due in tornei della fascia $125K, che molti probabilmente non prenderebbero in esame (una era la finale di Anning $125K tra Irina Khromacheva e la sfortunatissima Saisai Zheng).

Bertens la migliore in campo pur nella sconfitta

Prima del terzo turno di Vondrousova, era Coco Vandeweghe la vittima più frequente delle partite lotteria fenomenali – in modo sorprendente visto che molto spesso fa un numero di ace superiore alle avversarie – a cui ha dovuto soccombere per ben tre volte. Altre cinque giocatrici si sono ritrovate dalla parte sbagliata per due volte: Johanna Konta, Kristyna Pliskova, Varvara Lepchenko, Alison Van Uytvanck, e…Bertens, la quale affiancherà Vandeweghe in testa a questa speciale classifica non appena le partite degli US Open 2018 entreranno negli annali.

La stagione di Bertens è, ad oggi, da incorniciare, con le vittorie a Charleston e Cincinnati e la finale a Madrid, oltre ad aver battuto dieci delle ultime undici giocatrici tra le prime 10 che ha affrontato. La sconfitta per mano di Vondrousova non farà parte dei momenti da ricordare del 2018 ma, come in molte altre partite quest’anno, può trarre fiducia dalla consapevolezza di essere stata la migliore in campo quel giorno.

Marketa Vondrousova’s Next-Level Lottery Match

Chi è il Giovanissimo Più Forte Di Sempre?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 18 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dopo che al Canada Masters 2018 Stefanos Tsitsipas è diventato il più giovane giocatore a battere quattro tra i primi 10 in un solo torneo, in molti si sono chiesti quale fossero i risultati più incredibili dei giovanissimi nella storia del tennis. In questo articolo i migliori candidati per il titolo di “Giovanissimo Più Forte Di Sempre” vengono messi a confronto tra diverse epoche.

Manca poco all’inizio degli US Open 2018 e, se le prestazioni viste durante i tornei sul cemento nordamericano verranno replicate anche a Flushing Meadows, dovremmo aspettarci un grande bottino per le giovani stelle del circuito maschile.

Nelle ultime settimane, il ventenne fenomeno greco Tsitsipas è diventato il decimo giocatore più giovane a raggiungere la prima finale in Canada di un torneo Masters. A soli 21 anni, Alexander Zverev ha già vinto a Washington il nono titolo del circuito maggiore. E ci sono state 18 partite del tabellone principale tra giocatori sotto i 23 anni.

Il Giovanissimo Più Forte Di Sempre

La recente ascesa dei giovani non è una mera illusione. Sul blog HeavyTopspin, Jeff Sackmann ha evidenziato come la carica dei giovanissimi abbia determinato una diminuzione nella curva di età dei giocatori di vertice. Sembra quindi il momento giusto per chiedersi chi è il Giovanissimo Più Forte Di Sempre nel tennis.

Un modo per provare ad assegnare un numero al rendimento migliore in assoluto di un giocatore è attraverso la massima valutazione Elo (su qualsiasi superficie) raggiunta da giovanissimo.

L’immagine 1 riepiloga i primi 10 sulla base di questo parametro ed è Rafael Nadal al primo posto, con una valutazione Elo massima su tutte le superfici di 2500, ottenuta dopo aver sconfitto Roger Federer nella finale del Roland Garros 2006.

Al secondo posto troviamo Boris Becker, a poca distanza da Nadal con una valutazione massima Elo di 2424, raggiunta nella finale del Masters 1986, qualche mese dopo aver vinto Wimbledon contro Ivan Lendl.

Novak Djokovic, allenato in passato da Becker, è al terzo posto, con una valutazione massima Elo da giovanissimo di 2387 nel 2007, anno nel quale ha raggiunto tre finali Masters e collezionato quattro vittorie contro i primi 10.

IMMAGINE 1 – Graduatoria dei Giovanissimi Più Forti Di Sempre sulla base delle valutazioni Elo

È interessante notare come l’altro membro dei Fantastici Quattro a comparire tra i primi 10 non sia Federer ma Andy Murray, dettaglio che rende Federer una sorta di ritardatario rispetto agli altri tre pluridecorati, anche se ha certamente poi recuperato a una partenza poco esplosiva.

Next Gen

Tra i giocatori del momento, solo Zverev è riuscito a figurare nei primi 10 Giovanissimi Più Forti di Sempre, garantendosi un settimo posto grazie alla valutazione massima Elo di 2315, dopo la vittoria del torneo di Montpellier nel 2017.

Per avere un termine di paragone della prestazione di Zverev, altri quattro giocatori della così detta Next Gen sono riportati in elenco, a distanza da Zverev di un intervallo tra i 70 punti Elo e i 270.

L’andamento di carriera dei Giovanissimi Più Forti Di Sempre

Un’analisi del percorso effettivo dei primi 10 Giovanissimi Più Forti Di Sempre mostra un andamento verticale nei primi anni di carriera da professionisti: da un iniziale valutazione Elo di 1500, tutti hanno superato i 2200 prima dei ventuno anni. È anche curioso vedere il vuoto nel fenomeno dei giovanissimi tra il 1974 e il 1979 e ancora tra il 2004 e il 2014. La metà degli anni 2000 sembra essere stata un periodo insolitamente ostico per i giovani sul circuito maschile.

IMMAGINE 2 – Andamento di carriera dei Giovanissimi Più Forti Di Sempre

Negli ultimi due anni però la situazione è cambiata drasticamente. Prendendo una manciata di giocatori che sono entrati tra i primi 100 da giovanissimi, si notano accelerazioni nelle valutazioni Elo simili a quelle dei migliori giovanissimi del passato. Tre dei cinque giocatori rappresentati nell’immagine 3 – Zverev, Alex De Minaur e Denis Shapovalov – hanno già ottenuto valutazioni di almeno 2220.

Conclusioni

Capire quanto potranno migliorare questa dinamica renderà gli US Open 2018 particolarmente eccitanti (in realtà, nessuno di loro è riuscito ad arrivare alla seconda settimana di gioco: Titsipas ha perso al secondo turno, Zverev al terzo, Francis Tiafoe al secondo contro De Minaur, che è stato poi sconfitto da Marin Cilic in cinque set al terzo, così come Shapovalov contro Kevin Anderson, n.d.t.).

IMMAGINE 3 – Andamento di carriera di alcuni dei giovanissimi più forti del momento

Who Is the Teen GOAT of Men’s Tennis?

Nadal ha quasi perso un set contro Ferrer?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 31 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Gli dei del sorteggio non sono stati molto accondiscendenti con David Ferrer, facendogli trovare Rafael Nadal come avversario di primo turno della sua ultima apparizione in un torneo Slam. Ferrer ha faticato tutto l’anno e nessuno si aspettava che potesse davvero migliorare il bilancio di 6 vittorie e 24 sconfitte degli scontri diretti con Nadal.

E, infatti, non ci è riuscito, essendo stato costretto a ritirarsi a metà del secondo set per un infortunio al polpaccio. Prima di abbandonare gli US Open 2018 ha però fatto tremare Nadal, almeno un po’.

Nadal ha vinto il primo set 6-3, ma l’andamento del secondo è stato più altalenante. Nel game iniziale Ferrer ha strappato il servizio di Nadal a zero, Nadal ha immediatamente fatto il contro break e, qualche minuto dopo, Ferrer ha di nuovo fatto il break per andare avanti 3-2 e servizio.

Ha poi mantenuto il break di vantaggio fino a che la condizione fisica glielo ha consentito. Avanti 4-3 e con il servizio a disposizione dopo il cambio di campo, era a soli due game di servizio dal pareggiare la partita.

Semantica e probabilità

Questo significa che Nadal ha “quasi” perso il set? Pur non capendo i motivi che spingono le persone su internet a discutere di un tema come questo, adoro le domande probabilistiche. Se poi ci si sovrappone la semantica (la semantica!), allora diventa ancora più interessante.

Abbandoniamo per il momento la scelta delle parole e riformuliamo la domanda: tralasciando l’infortunio, qual era la probabilità di Ferrer di vincere il set? In ipotesi di parità di condizioni tra i due giocatori, è un semplice assunto da mettere alla prova del mio modello di probabilità: in un baleno si trova che dal 4*-3 Ferrer aveva circa l’85% di probabilità di vincere il set.

Forse sto andando troppo veloce, perché mi giunge già la sonora lamentela dei tifosi di Nadal sul fatto che i due giocatori non sono esattamente uguali tra loro. Nei 102 punti che i due spagnoli hanno giocato fino al ritiro, Ferrer ne ha vinti il 38% alla risposta e Nadal il 47%. In una partita al meglio dei cinque set, sono frequenze che portano Nadal ad avere il 93% di probabilità di vincere la partita.

Forse non è ancora una percentuale sufficientemente alta, ma siamo nell’intervallo giusto. Utilizzando quei dati, la probabilità di Ferrer di mantenere il vantaggio e vincere il secondo set si riduce drasticamente al 57.5%. Se vinci a malapena la metà dei punti al servizio, la probabilità di tenere due turni di servizio è inferiore al lancio della moneta. Per vincere il set è più probabile che Ferrer avrebbe dovuto fare un altro break o aggiudicarsi il tiebreak.

È una differenza decisamente rilevante rispetto alle due ipotesi iniziali: l’85% sembra abbastanza valido da rientrare nel “quasi” (anche se secondo uno studio il “quasi” ha un significato definibile da almeno il 90% di probabilità), per il 57.5% non è così.

Non siamo ancora a una conclusione definitiva. Il modello di probabilità di vittoria ignora totalmente il concetto di striscia. La formula non prevede infatti eventuali passaggi di buon o cattivo gioco, nessun calo di motivazione o di raccolta di energia addizionale per concludere un set.

Dati da partite reali

Non penso che nulla di tutto ciò si verifichi in modo sistematico, ma è comunque difficile dirimere la controversia in un senso o nell’altro. Se è possibile quindi beneficiare di dati da partite reali, bisogna farne tesoro.

E questo è proprio il caso. Iniziamo da Nadal. Dal 2011, ho trovato 69 set in cui Nadal era alla risposta sotto di un break sul 4-3 (è probabile che ce ne siano di più, perché il campione di dati a disposizione non è completo, ma le partite mancanti sono per la maggior parte casuali, quindi 69 dovrebbe essere un numero rappresentativo degli ultimi anni). Di quei 69, Nadal ha rimontato per poi vincere in 21 set, quasi esattamente il 30%.

Il gioco di Ferrer è stato più solido di quello degli avversari di Nadal (aiuta il fatto che Ferrer si è trovato contro Nadal solo una volta, mentre gli avversari di Nadal hanno dovuto giocarci tutte le volte considerate). Ho trovato 122 set in cui Ferrer serviva in vantaggio 4-3 e avanti di un break. Ha finito per vincere il set 109 volte, circa l’89%.

L’89% è certamente un numero troppo alto per lo scopo di quest’analisi: non solo Ferrer era, in media, un giocatore migliore dal 2012 a oggi rispetto a quanto non lo sia ora, ma ha anche sfruttato l’aver affrontato avversari più deboli di quelli di Nadal in quasi tutti i 122 set. L’89% è un limite superiore abbondantemente ottimistico, non lontano dal teorico 85% da cui siamo partiti.

Pur prendendo la media dei risultati effettivi di Nadal e Ferrer – circa il 90% di chiusura del set per Ferrer e il 70% per gli avversari di Nadal – parlare di 80% è ancora troppo fuori bersaglio. Come abbiamo visto, i numeri di Ferrer si riferiscono a una sua versione più forte, mentre Nadal è ancora vicino ai livelli mostrati negli ultimi cinque anni. Anche l’80% quindi significa una sovrastima della probabilità di Nadal di perdere il set.

Si rimane con un intervallo compreso tra il 57%, valore che ipotizza che Nadal avrebbe continuato a vincere circa la metà dei punti alla risposta, e l’80%, basato sull’esperienza derivante dal campo per entrambi i giocatori negli ultimi anni.

Conclusioni

Qualsiasi dato a cui si può giungere è, in definitiva, influenzato dall’opinione che abbiamo sul livello di gioco di Ferrer al momento, che non è in forma come poteva esserlo anche due anni fa ma, al tempo stesso, è abbastanza efficace da portarsi a soli due game dal vincere il set contro il numero 1 del mondo.

Serve un lavoro più dettagliato per arrivare a una stima più precisa e, anche in quel caso, comunque saremmo vincolati dallo stabilire la bravura attuale di Ferrer e il suo livello nello specifico set. Così come con la parola “quasi” ci si può riferire a un insieme di probabilità, allo stesso modo mi accontento di concludere utilizzando il mio di insieme.

Tutto considerato, si può pensare di restringere la probabilità al 65-70%, o a due su tre. È abbastanza probabile che Ferrer avrebbe vinto il secondo set contro la sua nemesi, ma non era per nulla scontato…o meglio, secondo la comune accezione della parola, non era “quasi” scontato.

Did Rafael Nadal Almost Lose a Set to David Ferrer?

Forse, finalmente, la Next Gen è arrivata

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’11 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Alexander Zverev vince tornei Masters. Stefanos Tsitsipas batte giocatori tra i primi 10. Denis Shapovalov, Frances Tiafoe e anche Alex De Minaur rendono la vita complicata ai veterani del circuito maschile.

Per la maggior parte degli ultimi dieci anni, il tennis maschile è stato dominato da discussioni sul fenomeno dell’invecchiamento al vertice. Ancora oggi, metà delle posizioni tra i primi 10 del mondo è appannaggio di giocatori che hanno superato i trent’anni.

Ondate dopo ondate di eccitanti promesse non sono riuscite a farsi strada e prendere il controllo, dovendo ripiegare su un’estenuante ascesa alla cima. Juan Martin Del Potro, a suo tempo indicato come l’uomo che avrebbe spodestato i Fantastici Quattro, raggiungerà solo lunedì 13 agosto 2018 la migliore posizione in classifica della carriera, al terzo posto…sei settimane prima di compiere 30 anni.

L’età media è in diminuzione

Sembra però che, finalmente, il tennis maschile stia ringiovanendo. Adolescenti come Shapovalov, Tiafoe, De Minaur emergono in concomitanza dell’uscita di scena di alcuni dei veterani più consolidati: i trentaseienni David Ferrer e Julien Benneteau hanno annunciato il ritiro a fine anno, cedendo nel frattempo in classifica come anche Feliciano Lopez e Ivo Karlovic.

Di conseguenza, l’età media dei primi 50 è in diminuzione, una tendenza che non si verificava da moltissimo tempo. Il grafico mostra l’età media dei primi 50 al termine di ogni stagione dal 1983, oltre all’età media – il valore all’estrema destra della curva – degli attuali primi 50.

IMMAGINE 1 – Età media dei primi 50 al termine della stagione, dal 1983

Alla fine del 2017, l’età media era di 29.0 anni, scendendo da quel momento ai 27.75 anni attuali. Si tratta della più grande variazione (crescente o decrescente) in un singolo anno degli ultimi 35 anni. Verso la fine degli anni ’90 e l’inizio della decade successiva, ci sono stati molti anni “decrescenti”, ma nessuno di questi è mai arrivato a raggiungere nemmeno la metà della portata del calo attuale.

Rimane comunque un divario enorme tra la situazione attuale e il tempo in cui il tennis maschile era giovane. Se allarghiamo l’analisi ai primi 100, la variazione del 2018 è meno drammatica: considerando Ferrer, Benneteau, Lopez e altri giocatori tra la 51esima e la 100esima posizione, la media si attesta sui 28.1 anni, inferiore di circa solo sette mesi al corrispettivo numero alla fine della scorsa stagione. Seppur debole, anche questa evidenza di movimento giovanile punta nella stessa direzione: 28.1 è la più giovane età dei primi 100 dal 2012.

Salvo cambiamenti radicali nelle regole o nell’attrezzatura, è poco probabile che si possa tornare al tipo di gioco dei primi anni ’90 di cui i giovani erano padroni. Ma dopo dieci anni passati ad attendere, guardare e fare ipotesi, si osservano incrinature nella generazione più forte che il tennis maschile abbia espresso. E, finalmente, un gruppo di giovani giocatori è pronto a trarne vantaggio.

Maybe, Finally, The Next Generation is Here

Prime considerazioni sul cronometro al servizio dopo il torneo di Cincinnati

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 22 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Per ora, il cronometro al servizio (o serve clock, che scandisce i secondi a disposizione del giocatore al servizio dal momento in cui è terminato un punto all’inizio del successivo, n.d.t.) non ha velocizzato le partite.

Nel mio articolo per l’Economist di qualche giorno fa, ho mostrato come nella manciata di tornei in cui la nuova tecnologia è stata utilizzata, si è impiegato più tempo per giocare ciascun punto rispetto alla passata edizione dello stesso evento.

Il gioco rimane più lento

L’articolo si basava sui dati dei tornei di San Jose, Washington, Toronto e Montreal. La conclusione del torneo congiunto di Cincinnati – Masters per gli uomini e Premier per le donne – ha fornito un altro po’ di partite con un mix differente di giocatori e giocatrici, in modo da poter approfondire il ruolo del cronometro al servizio sulla velocità di gioco. Pur con l’ennesima settimana di cronometro visibile a tutti, il ritmo di gioco rimane più lento di quello di un anno fa. 

Per quanto riguarda gli uomini, sono stati usati 41.2 secondi per punto nell’edizione 2018, rispetto ai 39.8 secondi del 2017. Nel tabellone femminile, i secondi sono stati 40.8 per punto, in aumento dai 40.2 del 2017. In entrambi i casi, si tratta di un incremento che rispecchia la variazione media osservata nei tornei delle due settimane precedenti.

La tabella riepiloga il dettaglio del tempo per punto in ciascun evento, con la colonna “S/P” a indicare i secondi per punti. Sono riportate anche le medie del circuito e quelle complessive, ponderate per il numero di partite di ciascun evento.

* i lettori più attenti potrebbero notare delle differenze minime con i numeri dell’articolo dell’Economist, dovute a errori di arrotondamento

In molti hanno commentato sull’imprecisione della misurazione con il cronometro al servizio (me compreso, sempre nell’articolo originario). A meno di non presentarsi con un cronometro a tutte le partite, non esiste una modalità di revisione dell’operato arbitrale tramite il calcolo dei secondi intercorsi tra un punto e l’altro.

La specifica combinazione di giocatori di qualsiasi tabellone può incidere sulla misurazione complessiva. Io stesso ho provato a usare un semplice modello che tenesse in considerazione il tipo di giocatore, ma sono stati più i problemi delle soluzioni.

I numeri puntano a una sola direzione

Concordo nell’affermare che si è ancora molto lontani da un giudizio finale sul cronometro al servizio, anche non considerando la probabile evoluzione del modo in cui verrà utilizzato dagli arbitri. 

Però, sono numeri che puntano a una sola direzione. Una simile analisi su tornei senza il cronometro al servizio conferma che il 2018 non ha, in generale, un ritmo di gioco più lento: ad esempio, nei tabelloni maschili e femminili a Indian Wells, Miami e Madrid, in quattro sezioni su sei il tempo medio per punto è diminuito e in una delle rimanenti è aumentato solo di 0.1 secondi per punto.

Inoltre, è importante ricordare che uno degli obiettivi supposti del cronometro al servizio è di velocizzare il gioco, non solo di mantenerne il ritmo attuale. Dovesse il tempo impiegato per punto rimanere all’incirca lo stesso dello scorso anno, sarebbe un’indicazione intrinseca del fatto che la nuova tecnologia non sta mantenendo le aspettative. Sette tornei su sette in cui il tempo di gioco è diminuito consentono una posizione ancora più netta in merito.

C’è spazio di evoluzione nell’uso del cronometro

Fortunatamente per il tennis, c’è ampio spazio di evoluzione nell’uso del cronometro al servizio. L’esempio più macroscopico arriva dal comportamento degli arbitri nell’aspettare che il rumore degli spettatori si sia completamente placato prima di avviare il cronometro.

Naturalmente non si può imporre ai giocatori di servire in un sottofondo rumoroso, ma di solito il tifo smette dopo una decina di secondi. Invece di aggiungere quei dieci secondi al tempo concesso tra un punto e l’altro, gli arbitri dovrebbero azionare immediatamente il cronometro e, nelle rare occasioni in cui la folla continua a essere troppo rumorosa, interrompere il conteggio.

È improbabile che le partite rimarranno a ritmo lento una volta che la questione cronometro si è assestata. L’asticella però è stata alzata: a questo punto del percorso, si può parlare di miglioramento se le partite con il cronometro visibile a tutti vengono giocate alla stessa velocità di quelle che le hanno precedute.

What Cincinnati Taught Us About the Serve Clock

Le parità interminabili nei game, tra cui i 28 punti al servizio di Gerald Melzer

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 28 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

La scorsa settimana, durante il secondo turno di qualificazione per gli US Open 2018, Gerald Melzer ha dovuto chiudere un game di 28 punti al servizio – vale a dire 11 parità – prima di sconfiggere Kenny De Schepper (perdendo poi il giorno successivo contro Felix Auger-Aliassime, forse anche per la stanchezza mentale accumulata). Osservando il tabellone del punteggio da un campo vicino, ho pensato che non funzionasse più e che la partita fosse finita da tempo.

Game maratona di questo tipo sono rari, ma non impossibili. Sempre un altro qualificato, Lloyd Harris, ha avuto bisogno di 10 parità per tenere il servizio contro Gilles Simon al primo turno del tabellone principale.

Né Melzer né Harris sono però vicini al record, che probabilmente è il game da 28 parità di una partita del 1996 tra Alberto Berasategui e Marcelo Filippini, che equivale a 62 punti, uno in più della leggendaria partita di 28 minuti tra Bernard Tomic e Jarkko Nieminen…l’intera partita! Un game ancora più lungo, di 37 parità e 80 punti, è stato giocato ai Surrey Championships del 1975, un torneo che non rientrava nel circuito ufficiale.

La probabilità teorica

Sul circuito maschile, il giocatore al servizio vince circa il 63% dei punti. Lo scorso anno, Melzer ha vinto circa il 64% dei punti al servizio, quasi gli stessi degli avversari di De Schepper, quindi useremo il numero leggermente più alto.

Con il giocatore al servizio che vince il 64% dei punti, la probabilità di raggiungere la parità in un game è del 24.4%. La parità successiva ha una probabilità di poco inferiore alla metà, il 46.1%. La probabilità di un game con almeno due parità è data dal 24.4% moltiplicato per il 46.1%, la probabilità di un game con almeno tre parità è data dal 24.4% per il 46.1% per il 46.1%, e così via.

Il game di Melzer da 11 parità è dato dalla moltiplicazione tra il 24.4% per (46.1% ^ 10), cioè un po’ meglio di una su un migliaio. La partita ha richiesto 30 game, quindi la probabilità di un determinato game da 28 punti (o più lungo) – assumendo che le ipotesi sottostanti siano identiche per i game al servizio di De Schepper – è circa 30 volte meglio, una su trecento.

Il game da 26 punti tra Simon e Harris è ancora più probabile. Sul circuito Challenger, Harris ha vinto circa il 65% dei punti al servizio, mentre Simon ha vinto più del 40% dei punti alla risposta contro avversari più forti.

Incrociare questi dati va oltre lo scopo dell’articolo, ma ipotizziamo che per Harris l’attesa era del 61% di punti vinti al servizio (ne ha poi vinti solo il 50%, anche se è un numero su cui incide pesantemente il game maratona). La probabilità per Harris di un qualsiasi game al servizio di 26 punti, sempre rispetto a una percentuale del 61% di punti vinti al servizio, è di circa una su tremila.

Un ultimo esempio. La partita record tra Berasategui e Filippini era palcoscenico quasi naturale per game lunghi, visto che nessuno dei due giocatori ha vinto molti punti al servizio e la terra battuta di Casablanca non è mai stata una superficie veloce.

Ma anche in presenza di circostanze favorevoli, un game con 28 parità è quasi impossibile. Con una percentuale del 58% di punti vinti al servizio da Filippini (che in quell’anno ha tenuto una percentuale del 59.6%, contro il 57.7% degli avversari di Berasategui; ho arrotondato leggermente per compensare la superficie), la probabilità di un singolo game di almeno 62 punti è di una su un miliardo.

Pause toilette ritardate

Vediamo ora con quale precisione il calcolo probabilistico è in grado di predire la frequenza effettiva dei game maratona. Nel mio database di circa 435 mila partite sul circuito maggiore dal 2012, 42 game hanno raggiunto i 28 punti, una frequenza di circa uno ogni diecimila, la stessa del numero teorico ottenuto per la partita tra Melzer e De Schepper.

Molti game sono durati più di 28 punti ma nessuno è andato oltre i 36 punti. Il più recente tra questi si è verificato nel terzo turno degli Australian Open 2018, quando Kyle Edmund ha strappato il servizio a Nikoloz Basilashvili (e la sua resistenza mentale) per andare avanti 2-0 nel quarto set.

I game da 28 punti, e in generale i game lunghi, sono un po’ più frequenti sul circuito Challenger. Ne ho trovati 81 su 600 mila game – circa un ogni 7500 game – tra cui tre da 38 punti. Edmund figura in uno di quei game prolungati, riuscendo quasi a fare il break contro Grega Zemlja a Dallas nel 2016. Anche Melzer si ritrova nella lista, essendo riuscito a tenere il servizio contro Robin Haase nel 2015 a Trnava dopo 28 punti, pur perdendo poi la partita.

Il record appartiene alle donne

Teoria e pratica si allineano anche per il circuito femminile. Utilizzando una frequenza media per il circuito del 58% dei punti vinti al servizio, dovremmo attenderci di trovare circa un game da 28 punti ogni 4600 game. In 367 mila game del database, ci sono state 89 occorrenze, cioè una su 4100.

Il record in questo caso va ben oltre qualunque circostanza vista negli ultimi anni sul circuito maggiore maschile o su quello Challenger: Mathilde Johansson ha strappato il servizio a Elena Vesnina al 40esimo punto, dopo 17 parità. Pur avendo tenuto il servizio successivo e vinto il secondo set, ha poi perso la partita al terzo.

Sulla base dei dati degli ultimi anni, il record di Berasategui e Filippini sembra essere al sicuro. Considerando gli sforzi per rendere il tennis più veloce, preferendo un punteggio senza i vantaggi rispetto a episodi da 28 parità come nel caso di Berasategui, probabilmente è meglio che rimanga tale.

Gerald Melzer’s 28-Point Hold, and Other Interminable Deuce Games

Le difficoltà di Simona Halep nei primi turni degli Slam

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 28 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nella partita inaugurale del nuovo Louis Armstrong Stadium agli US Open 2018, Simona Halep, la testa di serie numero 1 e campionessa in carica del Roland Garros, è rimasta in campo poco più di un’ora, battuta dalla solidità dei colpi di Kaia Kanepi.

Halep è anche la numero 1 della classifica da ormai più di sei mesi di fila, e solo dieci giocatrici possono vantare più settimane al vertice mondiale. I tifosi di Halep non sono però proprio i naturali destinatari dei biglietti per la seconda settimana di gioco negli Slam.

Come sottolineato anche da Christopher Clarey su Twitter, Halep è stata eliminata per la dodicesima volta al primo turno in 34 tentativi. Non è un numero così negativo, visto che sette sconfitte rientrano tra le prime dodici volte, quando Halep non era ancora tra le prime 50 e, da Wimbledon 2013, ha un record più favorevole di 17-5, con una di quelle sconfitte per mano di Maria Sharapova l’anno scorso a New York. In ogni caso, non è il tipo di percentuale che ci si possa aspettare da una giocatrice di quel livello.

Quanto è grave la situazione? Per avere un termine di paragone, ho confrontato il record di Halep nei suoi primi 34 Slam con quello di altre vincitrici di Slam, e con quello di qualsiasi altra giocatrice la cui carriera è durata così a lungo da collezionare almeno 30 presenze nel tabellone principale di uno Slam. Più si scava in profondità, maggiori sono gli elementi sfavorevoli per Halep.

Simona contro le vincitrici Slam

Ho trovato 32 vincitrici di Slam con almeno 30 primi turni in uno Slam (escludendo gli Slam con meno di 128 partecipanti. Nel mio database inoltre potrebbero mancare i risultati dei primi turni di alcuni tornei degli inizi dell’era Open. Tecnicamente, quindi, ho considerato solo i tabelloni con 128 giocatrici). La maggior parte di queste ha giocato più a lungo ma, per un confronto omogeneo, ho tenuto conto solo dei primi 34 Slam.

In cima all’elenco troviamo alcune delle solite sospette come Chris Evert, Monica Seles e Serena Williams, che hanno sempre vinto al primo turno di uno Slam a 128 partecipanti.

In media, nei primi 34 turni la vincitrice di uno Slam ha un record di 29-5. Solo quattro giocatrici, tra cui Halep, hanno perso almeno 12 di quelle partite: anche Angelique Kerber ha 22 vittorie a fronte di 12 sconfitte, mentre Flavia Pennetta e Samantha Stosur hanno perso 13 volte. Solo due giocatrici hanno più di 7 sconfitte al primo turno, Marion Bartoli con un record di 24-10 e Iva Majoli con un record di 23-11.

Simona contro le altre

Ci sono 199 giocatrici nell’era Open con almeno 30 partite di primo turno in un tabellone a 128 partecipanti. È un gruppo molto esclusivo – come visto più del 15% sono campionesse di Slam – perché è già uno sforzo considerevole mantenere una classifica tale da consentire l’accesso a quasi un decennio di tabelloni degli Slam.

Questo a dire che le rimanenti 167 giocatrici non vincitrici di Slam rappresentano un campione superiore alla media: rispetto a tutte le partite di primo turno, la percentuale di vittorie è del 57.4%, che equivale a un record di 20-14, un paio di vittorie in meno di quanto fatto da Halep a oggi in carriera. Circa il 35% delle giocatrici, 58 su 167, hanno vinto almeno 22 dei 34 primi turni, mentre 45, il 27%, sono andate oltre vincendone almeno 23.

Mi vengono in mente due motivi a spiegazione della discrepanza tra lo status di Halep al vertice del tennis e il suo mediocre rendimento negli Slam. Da un lato, per diventare delle stelle le giocatrici impiegano ora una maggiore quantità di tempo. Il record di Halep di 5 vittorie e 7 sconfitte nei primi 12 primi turni di Slam non è indicativo del suo livello di gioco del momento.

Campionesse della precedente generazione, come Williams o Seles, hanno saltato interamente quella fase di crescita, presentandosi sul circuito subito da favorite per il titolo. Anche Jelena Ostapenko, la vincitrice del Roland Garros 2017 quasi da adolescente, aveva un modesto 7-5 nei primi 12 primi turni di Slam. Sloane Stephens, che ha vinto 11 dei primi 12 (tra cui una vittoria proprio contro Halep), al momento ha un più modesto 19-8.

Dall’altro lato, la ragione è più prosaica: sto parlando della parità al vertice del tennis femminile. Pur collezionando settimane da numero 1 del mondo, Halep non è sullo stesso piano di precedenti giocatrici che hanno raggiunto il primo posto.

La sua grandezza deriva dalla capacità di mantenere un livello di competitività ragionevolmente alto con più continuità di qualsiasi avversaria, facendo leva sulla vittoria di molti tornei di seconda fascia, su un solido (complessivamente) record di vittorie-sconfitte e, per contro, su sconfitte sfortunate in palcoscenici importanti.

In un circuito privo di una presenza dominante, questo le è sufficiente a garantirsi – con ampio margine – l’appellativo di migliore giocatrice. Ma “migliore” possiede ora una connotazione più fragile del passato, anche nei primi turni degli Slam.

Simona Halep’s Grand Slam First Round Woes

Come la superficie incide sul rendimento dei giocatori

di John McCool // sportsbrain

Pubblicato il 17 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

I tornei della prima parte di stagione danno un’idea su quali siano i giocatori più meritevoli di considerazione per il proseguo del calendario e sulle dinamiche di gioco più intriganti.

I risultati dell’analisi

Ho analizzato alcune statistiche in riferimento a un campione di 3345 partite di fine stagione 2017 e inizio stagione 2018 del circuito maschile. Pur in presenza di risultati a sorpresa, la testa di serie più alta ha vinto il 78.9% delle partite considerate.

I dati suggeriscono che i giocatori più giovani hanno un leggero vantaggio competitivo sulla terra. I vincitori delle partite su questa superficie sono stati in media 0.13 anni più giovani dei loro avversari.

Al contrario, i vincitori sul cemento e sull’erba sono stati rispettivamente 0.31 e 1.27 anni più vecchi dei loro avversari. Un veloce test di analisi di varianza mostra una differenza significativa tra l’età media dei vincitori sull’erba, sulla terra e sul cemento.

La terra è la superficie con in media le partite a più bassa classifica dei due avversari (101.2), seguita dall’erba (100.2) e dal cemento (95.6).

Nel campione considerato, il vincitore ha servito il 58% degli ace rispetto al 42% dello sconfitto. Il vincitore ha anche vinto il 57.9% dei game del primo set, il 54.5% dei game del secondo set e il 56.3% dei game del terzo set (complessivamente, il 55.9% dei game).

IMMAGINE 1 – Istogramma della differenza di game tra il vincitore del primo set e lo sconfitto. Il grafico mostra che il giocatore che ha poi vinto la partita tende a vincere più game nel primo set del giocatore che poi perde la partita

È interessante notare che, mentre il vincitore ha vinto il primo set il 79.3% delle volte, ha vinto il secondo con una frequenza più bassa, del 67.1%. Questo può essere dovuto al fatto che il giocatore che ha perso il primo set deve recuperare nel punteggio o anche che il vincitore della partita subisce un passaggio a vuoto.  Comunque, a parità di condizioni, vincere il primo set aumenta in modo sostanziale la probabilità di vincere la partita. 

Statistiche legate alla superficie

Sulla terra è più difficile fare un ace: in media, 5.17 ace per il giocatore che ha poi vinto la partita, rispetto ai 7.20 sul cemento e ai 9.58 sull’erba.

Inoltre, è più probabile che il giocatore che ha poi vinto la partita commetta doppio fallo sull’erba (2.97 in media) rispetto alla terra (2.80) e al cemento (3.33). Questa differenza può in parte essere dovuta a partite più competitive sull’erba (35.3 game giocati in media), rispetto alla terra (33.1 game) e al cemento (34.0 game). Ovviamente, un maggior numero di game in un set concede più possibilità per ace e doppi falli.   

IMMAGINE 2 – Numero di partite del campione suddivise per superficie

Si potrebbe migliorare l’analisi ampliando il campione a partite delle passate stagioni e considerare partite nel periodo primaverile o in quello estivo. Ad esempio, la stagione o le condizioni meteo hanno più incidenza su una specifica superficie? Ci sono giocatori più esposti di altri al fattore fatica verso la fine della stagione?

La risposta (o la ricerca di una spiegazione) ad alcune di queste domande può aiutare a comprendere il rendimento dei giocatori con un grado di dettaglio più sofisticato.

Il codice per quest’analisi è disponibile qui.

How Tennis Surface Influences Player Performance