Il metodo migliore per determinare la pressione al servizio

di Stephanie Kovalchik // StatsOnTheT

Pubblicato il 29 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

La pressione è uno di quegli aspetti del tennis di cui si conosce l’esistenza ma che si fatica a definire. Ho tentato in diversi modi di quantificare la pressione associata al punteggio, ma devo ancora arrivare a una procedura che sia al contempo statisticamente utile e facile da interpretare. In alcune più recenti sperimentazioni penso di aver trovato un metodo che si avvicina alla definizione più precisa di una statistica per la pressione a cui potrei mai giungere.

Un tema costante

Quello della pressione è un tema costante del tennis. Per ogni torneo ci si chiede inevitabilmente quali giocatori abbiano dovuto gestire la pressione maggiore e quali lo abbiano fatto al meglio. Ed è stato uno degli argomenti di conversazione più interessanti alla vigilia di entrambe le finali di singolare degli Australian Open 2019, considerata la similarità di percorso dei finalisti. Sia Naomi Osaka che Novak Djokovic sono arrivati all’ultima partita con una posizione in classifica migliore dei rispettivi avversari, e da campioni in carica degli US Open 2018. Ma hanno anche dovuto faticare di più, quantomeno in termini di set, con Djokovic che ne ha persi due e Osaka tre. I loro avversari invece, Petra Kvitova e Rafael Nadal, sono sembrati in forma perfetta fino alla finale, senza aver perso neanche un set in sei partite.

Prima dell’inizio delle finali, gli opinionisti, alla stregua di esponenti dell’antica scuola peripatetica, dibattevano su cosa fosse più vantaggioso tra l’aver dominato con sicurezza prima della finale o l’aver superato avversità per raggiungerla. Ora che siamo al corrente del risultato, è difficile soppesare l’alternativa senza l’ingerenza del senno di poi. L’obiettivo di questo articolo però non è stabilire quanta pressione aiuti a preparare per la finale di uno Slam, ma è quello di capire come misurare la pressione in prima battuta.

La pressione del giocatore al servizio

Iniziamo con la pressione affrontata dal giocatore al servizio. Non credo che partire da qui lasci indietro qualcosa visto che, specialmente tra gli uomini, ci si attende che chi serve vinca la maggioranza dei punti. Per questa ragione, le aspettative sull’esito dei punti poggiano in larga parte sulle spalle del giocatore al servizio.

Tradizionalmente, la modalità più diffusa per quantificare la pressione affrontata dal giocatore al servizio è quella delle palle break fronteggiate. Questo conteggio (non riesco a chiamarla statistica senza trasalire) possiede il vantaggio di essere facilmente comprensibile. Si tratta infatti del numero dei game che un giocatore al servizio avrebbe potuto perdere sulla base dell’esito di un singolo punto.

Le limitazioni delle palle break

Se vogliamo però una misura che rifletta la pressione del punteggio che un giocatore al servizio ha dovuto probabilmente affrontare, le palle break non vanno bene. Una ragione sta nel fatto che il semplice conteggio assegna la stesso peso a tutte le palle break, come se non ci fossero differenze in termini di pressione. Ma se confrontiamo una situazione di palla break a break già subìto e una sul 5-5 nel set decisivo, ci rendiamo conto che la pressione delle palle break segue una progressione lineare. Inoltre, il semplice conteggio ignora tutte le altre situazioni di pressione al di fuori delle palle break, come ad esempio i punti del tiebreak, le parità o i 30-30.

E in funzione del set e del game in cui si verificano, possono costringere il giocatore al servizio a una pressione ben più grande di molte altre situazioni sempre di palle break. Nonostante queste limitazioni, le palle break sono rimaste nel tempo il parametro di riferimento per valutare la pressione durante la partita. Pur rappresentando un elemento di irritazione per chi è orientato a un approccio più statistico, la longevità delle palle break comunica che, per la più ampia diffusione di una statistica, l’immediatezza interpretativa è importante tanto quanto le proprietà matematiche.

Tutto questo mi ha fatto riflettere. Immaginiamo di avere un metodo solido per determinare quantitativamente la pressione cumulata. Se si potesse esprimere in unità di palle break, non si avrebbe il meglio dei due mondi?

La pressione punto

Affrontiamo per primo l’ostacolo della pressione cumulata. Come suggerito dal nome, dovrebbe trattarsi di una specie di somma della pressione associata a tutti i punti giocati al servizio. Grazie all’idea di Carl Morris dell’importanza di un punto, del lavoro preparatorio è in realtà già stato fatto. Assegno un indice di pressione a ciascun punto usando una formula leggermente modificata rispetto a quella di Morris. In sostanza, mi concentro sulla perdita potenziale, nell’assunto che noi umani, in quanto deboli creature, siamo più avversi alla perdita di quanto non siamo attratti da un equivalente guadagno. Otteniamo così una forma di pressione avversa alla perdita data da:

Pressione(punteggio) = Vittoria(punteggio) − Vittoria(punteggio−1)

In questa notazione non troppo rigida, Vittoria(punteggio) indica la probabilità condizionale di vincere la partita dal punteggio attuale. Il punteggio-1 si riferisce al punteggio dopo aver perso il punto che si sta giocando. La pressione quindi è sempre un certo valore positivo che corrisponde a quanta probabilità di vittoria, in termini assoluti, ha da perdere un giocatore al servizio sulla base dell’esito di un singolo punto.

La distribuzione della pressione punto

Come si può intuire, in qualsiasi momento della partita sulla probabilità di vittoria incide più direttamente l’abilità del giocatore al servizio contro l’avversario, l’abilità dell’avversario contro il giocatore al servizio e il punteggio raggiunto. Si potrebbe pensare di variare la pressione in funzione del singolo giocatore e della singola partita, e potrebbe essere il modo migliore per arrivare alla pressione effettivamente sperimentata in campo, ma diventerebbe poi estremamente complicato mettere a confronto l’indice di pressione tra una partita e l’altra.

Per arrivare quindi a uno standard comparativo tra partite, assegno indici di pressione sulla base delle aspettative di vittoria di una partita con due giocatori dal servizio medio di identica abilità (vale a dire il 65% dei punti vinti al servizio per gli uomini e il 57% per le donne).

La distribuzione della pressione punto in alcune situazioni chiave

Se questa misura probabilistica della pressione è sensata, ci aspettiamo che le palle break tendano ad avere più pressione dei punti normali. Ma anche che i punti nelle fasi avanzate di una partita equilibrata abbiano importanza di gran lunga maggiore dei punti in una partita a senso unico. Confrontiamo allora la distribuzione della pressione punto in alcune delle situazioni chiave di partite giocate nella stagione 2018.

Nell’immagine 1 la pressione dei punti normali e delle palle break nei game del set decisivo e nei set che decidono la partita è messa a confronto con quella di altre situazioni. Il primo dettaglio che si nota è che a parità di circostanza di game o set, le palle break hanno una mediana di pressione più alta (i cerchi nel grafico) e una pressione massima più alta (le linee indicano la pressione minima e massima). C’è però molta sovrapposizione tra punti normali e palle break, a evidenziare che la pressione può essere comunque alta per i giocatori al servizio anche quando non devono salvare una palla break.

IMMAGINE 1 – Distribuzione della pressione punto

Dal grafico notiamo anche che la pressione può variare molto da una palla break all’altra, specialmente se la si inserisce nel contesto del game e del set. La pressione mediana tra le palle break va dal 2.7% al 5.3% passando da game che non determinano l’esito del set a quelli che invece lo determinano. In un set che decide la partita, la pressione mediana raddoppia anche per le palle break nei game che decidono il set rispetto agli altri game.

L’indice di pressione può raggiungere anche il 25%

Escludendo il tiebreak, la massima pressione associata a un qualsiasi punto è relativa alle palle break nel game decisivo di set equilibrati. Si parla ad esempio di dover salvare una palla break sul punteggio di due set pari e al servizio per il quinto set, nel qual caso l’indice di pressione raggiunge il 25%.

Naturalmente i valori della pressione variano a seconda del format della partita (in generale, nelle partite al meglio dei tre set i punti hanno una pressione superiore). Quanto visto è relativo a partite al meglio dei cinque set, ma le dinamiche di pressione si mantengono tali nel paragone tra il set decisivo e gli altri set, a prescindere dal formato.

La pressione cumulata

Se siamo in grado di assegnare un indice di pressione a ciascun punto, possiamo sommare la pressione dei punti al servizio di un set per misurare la pressione cumulata al servizio di quello specifico set. Visto che la pressione è sempre diversa da zero, la semplice somma delle singole pressioni restituirà necessariamente indici più alti in quei set con un numero maggiore di punti al servizio. È ragionevole ipotizzarlo?

Quando si gioca un numero maggiore di punti al servizio è perché si è di fronte a game molto equilibrati o perché ci sono stati più game al servizio giocati nel set. I game equilibrati possono far pensare a una pressione più alta, ed è preferibile includere in quel caso tutti i punti. Ma non è così evidente dover assegnare una pressione maggiore al set semplicemente perché ci sono stati più game al servizio.

Il quinto set della semifinale di Wimbledon 2018 tra Kevin Anderson e John Isner è l’esempio perfetto del caso in cui la pressione cumulata potrebbe aver aumentato l’effettiva pressione percepita al servizio dai giocatori. Con 48 game al servizio solo nel quinto set, dopo quella partita a Wimbledon è stato eliminato il format ai vantaggi a favore di un tiebreak sul 12-12 del set decisivo. Pur avendo giocato 122 punti al servizio, Anderson non ha mai fronteggiato una palla break nel quinto set. È stato un lungo ed estenuante set, ma non uno in cui la pressione ha fatto la differenza.

Una versione troncata della somma cumulata

Partite di quel tipo inducono all’utilizzo di una versione troncata della somma cumulata, che ignori punti con indici di pressione non sufficientemente alti da posizionarsi al di sopra di una pressione media.

Che differenza ci sarebbe con una somma troncata? L’immagine 2 mostra tutti i set giocati nelle partite di singolare maschile degli Australian Open 2019. Ci sono tre modi per esaminare la pressione al servizio nel set. Il primo è dato dalla somma della pressione di tutti i punti al servizio, senza troncature. Il secondo è dato dall’inserimento di una troncatura al 5%, vale a dire la pressione mediana delle palle break nel set decisivo. Il terzo è dato dall’inserimento di una troncatura all’8%, vale a dire la pressione mediana delle palle break che decidono la partita.

IMMAGINE 2 – Pressione set: troncare o non troncare?

In tutti i casi, esiste una forte correlazione, ma osserviamo un aumento molto più pronunciato della pressione in assenza di troncatura. Anzi, nei set a maggiore pressione, si raggiungono somme non troncate superiori a 400, mentre con la troncatura all’8% raramente si va oltre 300.

Palle break equivalenti

Quale sia la preferenza sul calcolo della somma cumulata, serve ancora tradurre il risultato in unità di misura che siano facilmente riconoscibili. Del resto, è lo scopo di partenza di questo articolo.

Abbiamo visto che la circostanza di palla break più carica di pressione è quella che porta alla conclusione della partita. L’indice di pressione di quel punto è del 25%. In altre parole, quando un giocatore è al servizio nel game che lo porterebbe alla vittoria, il massimo che può perdere contro un avversario dello stesso livello è lo 0.25 in termini di probabilità assoluta.

Non è chiaramente la situazione di palla break più tipica, ma è un riferimento utile. Pensiamo ai 3 match point che Naomi Osaka non ha sfruttato in finale in Australia, dovendo poi andare al terzo set. Sono questi i momenti che più rimangono nella memoria in tema di punti ad alta pressione.

Se dividiamo l’indice di pressione del set per 25, possiamo interpretare quel valore in unità di “palle break equivalenti”. La classifica dei set in termini di pressione non si modifica, ma otteniamo una buona approssimazione del tipo di pressione dettata dal punteggio che può aver sperimentato il giocatore al servizio.

Una classifica di pressione del set agli Australian Open 2019

Se usiamo le unità di palle break equivalenti (o PBE) per identificare i set a più alta pressione per il giocatore al servizio agli Australian Open 2019, che risultati otteniamo? Prendiamo due versioni, una basata sulla pressione cumulata al servizio, e una sulla pressione troncata all’8%.

L’immagine 3 mostra le dieci più alte PBE con i relativi indici di pressione cumulata e troncata. Per le prime quattro posizioni, c’è concordanza di partite tra le due versioni, anche se l’ordine non è identico, con la pressione cumulata che assegna a Ugo Humbert nel quinto set della partita di primo turno contro Jeremy Chardy l’esperienza di maggiore pressione al servizio. È anche stata la prima partita del nuovo super-tiebreak al quinto set agli Australian Open. Alla conclusione del set, Humbert aveva fronteggiato 12 palle break e 17 PBE in termini di pressione troncata.

Iniziano a vedersi divergenze tra i due metodi dalla quinta posizione. La vittoria di Taylor Fritz al secondo turno contro Gael Monfils ne è un buon esempio. Il terzo set di quella partita terminata in quattro set, in una situazione di punteggio di un set pari, avrebbe il quinto più alto valore come pressione cumulata. Se però consideriamo la pressione troncata all’8%, il valore sarebbe il nono più alto, con sole dieci BPE.

Un’enfatizzazione eccessiva sulle situazioni di chiusura della partita

Qual è la scelta migliore? Le palle break che Fritz ha effettivamente annullato in quel set erano cinque, cioè la metà delle PBE derivanti dalla pressione troncata. Considerando che il set è stato sufficientemente equilibrato da andare al tiebreak, è ragionevole osservare un aumento relativo di pressione di quella entità.

Se poi cerchiamo la quinta posizione con le PBE troncate, troviamo il quinto set del primo turno di Pablo Carreno Busta contro Luca Vanni, nel quale Carreno Busta non ha mai subito un break ma in più di un’occasione è rimasto indietro nel punteggio al servizio.

Comunque, le PBE troncate possono dare l’idea di un’enfatizzazione eccessiva delle situazioni che determinano la chiusura della partita rispetto a quanto si vorrebbe da una statistica per la pressione al servizio nel set.

IMMAGINE 3 – Set a più alta pressione delle partite di singolare maschile degli Australian Open

Non è chiaro quindi se siamo in presenza, o se mai lo saremo, della “migliore” misura della pressione. Penso e spero però che questi esempi abbiano mostrato che la pressione espressa in termini di palle break equivalenti è un buon inizio.

How to Best Quantify Service Pressure

Il cambio della guardia agli Australian Open 2019 è supportato dai numeri?

di Stephanie Kovalchik // StatsOnTheT

Pubblicato il 21 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Vincendo contro Roger Federer, il ventenne Stefano Tsitsipas si è reso autore della più grande sorpresa degli Australian Open 2019 e indotto molti a pensare al possibile inizio di una nuova era. I risultati di Tsitsipas a Melbourne sono i più eclatanti tra quelli raccolti da un gruppo di giovani e talentuosi giocatori, e che hanno reso questa edizione degli Australian Open una delle più storiche.

Dopo una settimana di gioco, le partite del quarto turno sono state tra le più sorprendenti, iniziando con la vittoria di Frances Tiafoe contro Grigor Dimitrov, seguita da Danielle Rose Collins che ha battuto la testa di serie numero 2 Angelique Kerber. A fine giornata, altre tre teste di serie hanno perso: la numero 6 Marin Cilic, la numero 5 Sloane Stephens e la numero 3 Federer.

La sconfitta più sorprendente è stata quella di Federer contro Tsitsipas, che prima dell’inizio del torneo non aveva mai vinto una partita agli Australian Open, oltre a rappresentare il risultato più importante dei giocatori in tabellone della cosiddetta Next Gen.

Di fronte a una nuova era?

Guardando Tsitsipas battersi con il sei volte campione degli Australian Open è stato immediato il parallelo con la vittoria di Federer a Wimbledon 2001, sempre negli ottavi, contro Pete Sampras. Forse lo stesso pensiero che ha avuto John McEnroe quando, nell’intervista dopo partita, ha definito la vittoria di Tsitsipas come “cambio della guardia”.

Nessuna partita, da sola, può dare avvio a una nuova era. Se però consideriamo che nella stessa settimana cinque giocatori con meno di 23 anni sono arrivati al quarto turno, occorre ammettere che McEnroe potrebbe avere qualche ragione. Nel raffronto con il passato, quella statistica di 5 su 16 acquista ancora più valore.

La composizione dell’età al quarto turno degli Australian Open nel periodo tra il 2010 e il 2018 mostra una pressoché aridità di risultati per i giocatori più piccoli di 23 anni. Anzi, è il 2009, l’anno dell’unica vittoria di Rafael Nadal e subito dopo il titolo di Novak Djokovic, l’ultima volta in cui giocatori con meno di 23 anni hanno ottenuto risultati migliori o comparabili con il 2019.

IMMAGINE 1 – Composizione dell’età dei giocatori al quarto turno degli Australian Open per il periodo dal 1989 al 2019

Osservando alcuni dei passaggi storici del torneo, come il primo titolo di Ivan Lendl, Sampras, Federer e Djokovic, si nota che le epoche di dominio sembrano presentarsi in cicli di 5-10 anni. Il 2019 sarebbe quindi la rampa di lancio del cambiamento.

Equa distribuzione

L’aspetto più interessante degli Australian Open 2019 è che per la prima volta nell’era Open l’età dei giocatori si è suddivisa equamente tra i più giovani e i più vecchi. Accanto ai cinque con meno di 23 anni hanno raggiunto gli ottavi di finale sei giocatori con più di 30 anni.

Sembra quindi che tutto sia allineato per una stagione in cui i maestri veterani dello sport dovranno fronteggiare la carica di un manipolo di giovani che sono pronti a rimpiazzarli.

Giocatore       Età 
Federer 37.5
Berdych 33.4
Nadal 32.7
Djokovic 31.7
Bautista Agut 30.8
Cilic 30.3
Nishikori 29.1
Raonic 28.1
Dimitrov 27.7
Carreno Busta 27.5
Pouille 24.9
Medvedev 23.0
Coric 22.2
Zverev 21.8
Tiafoe 21.0
Tsitsipas 20.5

Do Numbers Back Up A Changing of the Guard at the 2019 Australian Open?

L’impatto del nuovo super-tiebreak agli Australian Open 2019

di Stephanie Kovalchik // StatsOnTheT

Pubblicato il 18 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Uno dei vari cambiamenti introdotti agli Australian Open 2019 è stato il super-tiebreak nel set decisivo delle partite di singolare. Dopo due turni, tre partite maschili e due femminili hanno già messo alla prova la regola. Cosa può svelare l’esito di quelle partite sul possibile impatto del nuovo format?

Un format specifico per ciascuno Slam

Nel 2019, ciascun torneo dello Slam avrà uno specifico format. Gli US Open – i primi ad adottare il tiebreak classico nel set decisivo – continueranno a mantenere la loro configurazione, la più breve tra tutte. A Wimbledon si giocherà per la prima volta un tiebreak classico sul punteggio di 12-12 nel set decisivo. Il Roland Garros è rimasto di fatto l’unico Slam con il set decisivo ai vantaggi.

Gli Australian Open si sono lanciati nella mischia adottando il super-tiebreak nel set decisivo. E dopo due turni giocati, già 5 partite sono terminate con il super-tiebreak, compreso il primo turno vinto da Katie Boulter, che ha poi ammesso di essersi dimenticata della nuova regola (nei turni successivi, solo una partita è finita al super-tiebreak, la vittoria di Kei Nishikori al quarto turno contro Pablo Carreno Busta, n.d.t).

Tra gli Slam, gli Australian Open sono stati scenario di due delle dieci più lunghe partite di singolare maschile (escludendo la Coppa Davis): la finale del 2012 tra Rafael Nadal e Novak Djokovic, durata 5 ore e 53 minuti e il primo turno tra Ivo Karlovic e Horacio Zeballos nel 2017, terminato dopo 5 ore e 22 minuti.

Alla luce di questi record, giocatori e appassionati possono chiedersi come il nuovo format contribuirà a eliminare le partite di durata infinita. Riflettiamo sulla domanda pensando alle partite su cui già sono ricaduti i cambiamenti introdotti.

Nel primo turno del tabellone maschile una sola partita è arrivata al super-tiebreak, la battaglia francese tra Jeremy Chardy e Ugo Humbert terminata 10-6 dopo 4 ore e 9 minuti. Al secondo turno, due partite hanno avuto lo stesso destino. In una, l’attira tiebreak Reilly Opelka ha perso 10-5 da Thomas Fabbiano in appena 3 ore e 32 minuti. Nell’altra, Nishikori l’ha scampata dopo 3 ore e 52 minuti contro Ivo Karlovic, vincendo 10-7.

Sono partite che sarebbero durate più a lungo in una situazione di set decisivo ai vantaggi?

Ci aspettiamo che sia così, ma di quanto?

Come giocatori tipo Karlovic e Opelka dimostrano, è più probabile rimanere invischiati in un’interminabile sequenza di servizi in presenza di due giocatori nella stessa partita che vincono una percentuale simile di punti al servizio. Così è stato per Chardy e Humbert, che hanno vinto rispettivamente il 68% e 70% in media, o Fabbiano e Opelka con il 70% e 73%, o Nishikori e Karlovic con il 74% e 78%. Tutti hanno superato la media del 67% del circuito, aspetto che dà garanzia quasi certa di prolungare il quinto set ad oltranza.

Utilizzando un simulatore di risultati con queste statistiche al servizio otteniamo una stima ragionevole della durata addizionale che quelle partite avrebbero avuto se il set decisivo fosse andato ai vantaggi.

La stima con un simulatore di risultati

L’immagine 1 presenta gli esiti per le partite in cinque set con le statistiche al servizio di Chardy e Humbert. Le linee mostrano la mediana, l’80esimo e il 90esimo percentile, mentre la linea rossa identifica l’effettiva durata della partita. Emerge che anche per un format più corto, la partita tra Chardy e Humbert è stata comunque insolitamente lunga, rientrando quasi tra il 20% di quelle che ci si attende abbiano durata più lunga quando c’è il set decisivo ai vantaggi. Con la durata attesa di 1 partita su 20 al quinto set di almeno 5 ore, c’era una buona probabilità che sarebbe potuta andare peggio di così.

IMMAGINE 1 – Durata attesa della partita tra Chardy e Humbert con il set decisivo ai vantaggi

Il nuovo format ha probabilmente avuto conseguenze più importanti sulla partita tra Fabbiano e Opelka, la cui durata effettiva ricade quasi esattamente nella mediana della durata attesa per una partita di cinque set nel format con il set decisivo ai vantaggi. Questo si traduce in una probabilità del 50% che avrebbe potuto durare più di quanto non abbia fatto.

IMMAGINE 2 – Durata attesa della partita tra Fabbiano e Opelka con il set decisivo ai vantaggi

L’impatto maggiore fino a questo momento è stato per la partita tra Nishikori e Karlovic. Osservando la distribuzione delle durate sulla base delle loro caratteristiche di servizio, possiamo notare come Nishikori possa ritenersi fortunato per l’introduzione della nuova regola. Senza, si sarebbe infatti trovato di fronte al 70% di probabilità di una guerra di nervi di più di 4 ore una volta raggiunto il quinto set contro Karlovic.

IMMAGINE 3 – Durata attesa della partita tra Nishikori e Karlovic con il set decisivo ai vantaggi

L’impatto è già evidente

Sono bastate tre partite per vedere che il nuovo format ha già lasciato il segno nel torneo, ed ha ancora più importanza per quei giocatori con percentuali di punti vinti al servizio superiori al 70%. Può sembrare di poca consolazione per un giocatore che arriva al terzo turno avendo già giocato 9 set, ma meno minuti in campo potrebbero avere un peso per la probabilità di raggiungere la seconda settimana.

Impact of the New Super Tiebreak at the Australian Open

Chi ha giocato i set a maggiore e minore pressione del 2018?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 17 novembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dopo aver introdotto un indice di Pressione per valutare la competitività di una partita, vediamo come con un metodo simile si possa sviluppare una valutazione della competitività dei set giocati. L’indice di Competitività Set definisce la pressione nei set di uno specifico giocatore in modo da permettere un confronto diretto con la pressione tipicamente fronteggiata dagli altri giocatori.

Nel precedente articolo, ho illustrato un indice di valutazione della pressione di una partita che mette insieme la pressione al servizio totale e media all’interno di una partita.

L’indice di Pressione si costruisce assegnando un punteggio per ogni punto della partita equivalente alla variazione negativa nella probabilità di vittoria del giocatore al servizio in caso di perdita di quel punto. Si può incontrare un concetto simile in termini di pressione in altri sport sotto il nome di leva.

Ci sono altre modalità esemplificative della pressione oltre a quella relativa alla partita, come la pressione totale e media per ogni set che un giocatore si è trovato a gestire in tutte le partite di una stagione, così da stabilire la competitività tipica dei set di un giocatore.

L’elaborazione statistica

Come per l’Indice di Pressione, faccio convergere la pressione totale e media di un set in un punteggio da 0 a 100 di facile interpretazione. Per arrivarci, calcolo un effetto standardizzato per il totale e la media a mostrare di quante deviazioni standard siano distanti dalla media le caratteristiche di pressione di un giocatore, controllando per il numero di set e il formato della partita.

Nel calcolo delle stime dell’effetto mi avvalgo della tecnica statistica del restringimento, visto che alcuni giocatori hanno giocato molti meno set sul circuito maggiore rispetto ad altri (ad esempio, Miriam Bulgaru ha solo 2 set sul circuito maggiore nel 2018, a differenza di Karolina Pliskova con più di 150).

Il valore da 0 a 100 rappresenta il percentile a cui corrisponde l’indice-z della pressione totale e media in una distribuzione t di Student con due gradi di libertà. In presenza di una distribuzione con code così pronunciate e quindi tendente a produrre valori distanti dalla media, un giocatore ottiene un punteggio di 99 di fronte a un livello di pressione più alto di ‘sei sigma’ (o sei deviazioni standard) dalla media.

Esaurite le spiegazioni metodologiche, cosa possiamo aspettarci che riveli l’indice di Competitività Set?

Per arrivare a un punteggio alto un giocatore deve avere più set equilibrati del giocatore tipico. Visto il contributo dato da game al servizio e alla risposta in termini di pressione complessiva in un set, ci si attende che sia una combinazione di tipologie di giocatori a determinare set più tirati.

Da un lato, grandi servitori che vanno spesso al tiebreak, dall’altro giocatori forti negli scambi, che magari perdono qualche game in più al servizio ma creano molta pressione alla risposta.

L’indice Competitività Set per il circuito maschile

Il campione di analisi di Competitività Set per gli Slam e le altre partite del circuito maggiore nel 2018 include la valutazione di circa 300 giocatori. L’immagine 1 mostra i 30 giocatori di questo gruppo con il più alto e il più basso indice di Competitività Set.

Karlovic

Al primo posto si posiziona Ivo Karlovic con un valore di 97.1, seguito da John Isner con 96.9. In virtù di un servizio quasi inattaccabile e di un gioco alla risposta inconsistente, entrambi si ritrovano in più tiebreak di tutti gli altri.

Questo aspetto rende l’esito set dipendente da pochi punti, facendo aumentare la pressione. Se in media un punto porta con sé solo il 2% di pressione per la maggior parte dei giocatori, per Karlovic e Isner si sale a quasi il 3%.

Rublev

Un risultato più sorprendete è vedere Andrey Rublev al terzo posto. Pur non avendo un servizio incisivo come Karlovic o Isner, Rublev ha dovuto affrontare livelli simili di pressione nel set. Quali sono stati alcuni di questi set ad alta pressione? Il terzo set nella vittoria contro Guido Pella a Doha, il primo set contro Robin Haase a Monte Carlo e il terzo set nella sconfitta contro Alex De Minaur a Washington.

IMMAGINE 1 – Indice di Competitività Set per l’ATP

Al lato opposto dell’intervallo troviamo molti giocatori con un solido record di vittorie-sconfitte in stagione. L’indice però non è perfettamente correlato al numero di vittorie. Ad esempio, Alexander Zverev ha il valore più basso, superando anche il numero uno Novak Djokovic.

Zverev

Zverev è un caso interessante di giocatore estremamente dominante al di fuori degli Slam, vincendo molti set con relativa tranquillità. Ha poi un rendimento inferiore negli Slam, in cui non è riuscito a raggiungere le fasi finali del torneo a sufficienza per accumulare molte partite dure che avrebbero aumentato il suo indice di Competitività Set [1].

Non è stato così però nelle Finali di stagione, dove Zverev ha prima battuto in semifinale in due set molto equilibrati Roger Federer e poi in finale Djokovic, sempre in due set. Dovremo aspettare gennaio per capire quanto possa aver beneficiato dal formato al meglio dei tre set del torneo di Londra.

Kyrgios

Un altro giocatore degno di attenzione tra quelli con un basso indice di Competitività Set è Nick Kyrgios, a undici lunghezze di distacco dal valore più basso della stagione. La predisposizione di Kyrgios a un tipo di gioco con sbalzi repentini da incandescente a gelido può rendere difficile prevedere come si svolgerà un set.

Quando è in palla può sbarazzarsi degli avversari in un baleno. Quando si disinteressa, i set possono terminare altrettanto velocemente per semplice mancanza di impegno. Quale sia la versione di Kyrgios in campo, ci si può attendere dei set a rapida conclusione.

L’indice Competitività Set per il circuito femminile

In assenza di giocatrici con un contrasto così accentuato tra bravura al servizio e debolezza alla risposta come per Karlovic e Isner, è più difficile pronosticare le posizioni di vertice in termini di pressione.

Pavlyuchenckova

Con un valore di 98.6, Anastasia Pavlyuchenkova è al primo posto, avendo vinto il 50% delle partite in stagione e con una media del 3% di pressione per singolo punto. Alcuni dei momenti più combattuti per lei sono stati il terzo set della finale vinta a Strasburgo contro Dominika Cibulkova, il terzo set nella sconfitta contro Caroline Garcia a Tokyo e l’epico primo set contro Sloane Stephens a Pechino.

Interessante è anche la presenza nelle zone alte dell’indice di giocatrici di livello come Garcia, Darya Kasatkina e Karolina Pliskova, raggruppate raggruppate su valori di 87-88. Due delle giocatrici più offensive del circuito – Aryna Sabalenka e Jelena Ostapenko – chiudono la parte inferiore dell’elenco.

IMMAGINE 2 – Indice di Competitività Set per la WTA

Altre delle giocatrici più forti, specialmente quelle con uno stile più difensivo, ottengono valori di Competitività Set tra i più bassi. Se trovarsi di fronte una giocatrice dal valore dell’indice tra i più alti significa quasi certamente una sfacchinata, giocare contro una di questo gruppo, di cui fanno parte Simona Halep, Caroline Wozniacki e Angelique Kerber, potrebbe rivelarsi una partita a senso unico.

I due valori più bassi vanno a giocatrici con una stagione in tono minore, durante la quale non sono riuscite a mettere sotto pressione la maggior parte delle loro avversarie in partite del circuito maggiore.

Svitolina

È abbastanza sorprendente il nome di Elina Svitolina al terzultimo posto. Nonostante una vittoria risoluta alle Finali di stagione, Svitolina ha avuto un anno di alti e bassi, dominando a lungo a inizio stagione, faticando per quasi tutta la parte centrale e per riprendersi nell’ultimo periodo.

Quest’analisi preliminare di un indice per la valutazione della competitività mostra che non esiste uno stile di gioco univoco a determinarne il livello, e questo è vero sia per le donne che per gli uomini. Figurare in cima o in fondo alle valutazioni di Competitività Set può dipendere tanto dalla solidità di gioco quanto dalla qualità complessiva delle vittorie.

Note:

[1] Zverev è anche un esempio eclatante della differenza tra la pressione percepita da un giocatore e la pressione lasciata intendere il punteggio

Who Has Experienced the Most and Least Set Pressure this Season?

Le partite più competitive del 2018 valutate in termini di pressione

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 2 novembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

In molti si sono domandati se la semifinale tra Novak Djokovic e Roger Federer al Master di Parigi Bercy 2018 – più di tre ore di gioco e 252 punti – sia stata la partita migliore delle 47 da cui è composta la lunga rivalità tra i due. In questo articolo introduco una valutazione della pressione di gioco che possa aiutare a determinare la competitività relativa di un set o di una partita.

Con le Finali di stagione al via a Londra, entriamo in quel periodo dell’anno in cui hanno inizio riflessioni e sintesi sulla stagione. A breve arriveranno in massa i canonici elenchi di “migliore dell’anno” o altre classifiche a conclusione del calendario. Inevitabilmente, si tratta di valutazioni che considerano diversi aspetti del gioco, tra cui le sorprese più grandi, i rientri da infortunio più vincenti, i miglioramenti più marcati.

Nello sport, giudizi di questo tipo si basano di solito su opinioni personali che, come nelle discussioni su Twitter, possono essere divertenti in partenza, per poi però sfociare in commenti di parte o da tifosi, diventando quindi fastidiose.

Valutazioni basate su statistiche sono un antidoto efficace a valutazioni basate su opinioni, con un avvertimento: qualsiasi valutazione basata su statistiche ha utilità equivalente alla qualità dei dati e all’appropriatezza delle ipotesi sottostanti.

Una valutazione statistica quindi non rappresenta necessariamente un miglioramento, ma fa leva su virtù di obiettività e correttezza. Un algoritmo non si schiera o non preferisce alcuni dati (che siano relativi ai giocatori, alle partite, etc) rispetto ad altri.

Indice di Pressione

Prevedendo che la partita tra Djokovic e Federer entrerà probabilmente tra le migliori dell’anno nell’elenco di qualche appassionato, mi sono chiesta se esiste un modo per valutare quella partita, o una qualsiasi altra, in termini di competitività. Il maggior numero di dati più granulari in nostro possesso sulle partite giocate sono relativi all’esito dei punti. Questo suggerisce di osservare l’andamento del punteggio durante la partita per misurarne l’equilibrio.

È la linea di pensiero che mi ha portata a elaborare un indice di Pressione. Il primo passo è assegnare un valore di pressione a ogni punto sulla base di quanto potrebbe alterare il risultato della partita.

Un modo per approssimare questa misurazione è pensare a come cambierebbe la sensazione di fiducia sul giocatore che si è scelto come vincitore se perdesse il punto in corso. Se si tratta del primo punto della partita, si resterebbe probabilmente indifferenti. Se invece è un punto al servizio nel tiebreak, ci sarebbe una reazione ben diversa.

Per stabilire la competitività di una partita potremmo semplicemente verificare la pressione totale, ma verrebbero così favorite quelle partite in cui il servizio di un giocatore raramente è in pericolo (pensate alla grande maggioranza delle partite di John Isner).

Per ridurre il peso di partite lunghe ma meno entusiasmanti, si utilizza sia la media che la pressione totale per ottenere un indice complessivo. La valutazione di pressione effettiva rientra in una scala da 0 a 100 che può essere interpretata come un percentile di possibili indici di pressione.

Le partite a maggiore pressione

Vediamo che indicazioni emergono calcolando l’indice di Pressione per le partite più competitive della stagione. Poiché la pressione evolve con dinamiche differenti per le partite al meglio dei tre set e al meglio dei cinque, metterò a confronto partite omogenee.

Uomini

La tabella elenca le prime 5 partite di singolare maschile dei tornei Slam per indice di Pressione. La semifinale eterna a Wimbledon 2018 tra Isner e Kevin Anderson è in cima alla lista, con una valutazione di 96.6, legata fondamentalmente al quinto set terminato 26-24. È stata anche la partita più lunga negli Slam del 2018 come numero di punti giocati, ma le altre dell’elenco si differenziano per numero di punti giocati e di pressione.

Anche la seconda semifinale a Wimbledon tra Novak Djokovic e Rafael Nadal entra in classifica, aiutando con forza la candidatura delle semifinali in Inghilterra come le più entusiasmanti dell’anno. Chi non segue il tennis regolarmente potrebbe non riconoscere le altre tre epiche sfide, sebbene il loro indice di Pressione è testimonianza del fatto che anche giocatori meno famosi sono in grado di dare vita ad alternanza di punteggio ad alta eccitazione.

IMMAGINE 1 – Indice di Pressione per le prime 5 partite di singolare maschile al meglio dei cinque set

Indice di Pressione per la competitività delle partite 2018_1 - settesei.it

Le partite a maggior pressione di singolare maschile al meglio dei tre set si sono distribuite nell’arco dell’intera stagione.Vale la pena, per chi lo avesse perso, recuperare il primo turno all’Indian Wells Masters tra Marius Copil e Peter Polansky, che si classifica al primo posto di questo gruppo, e anche l’unica partita in cui ogni set si è concluso al tiebreak.

IMMAGINE 2 – Indice di Pressione per le prime 5 partite di singolare maschile al meglio dei tre set

Indice di Pressione per la competitività delle partite 2018_2 - settesei.it

Donne

In campo femminile, la battaglia di 48 game al primo turno degli Australian Open 2018 tra Simona Halep e Lauren Davis è al primo posto. È anche l’unica partita Slam tra le prime 5 per pressione, in in virtù di un terzo set così lungo ai vantaggi.

IMMAGINE 3 – Indice di Pressione per le prime 5 partite di singolare femminile

Indice di Pressione per la competitività delle partite 2018_3 - settesei.it

Conclusioni

Credo che queste partite siano esempi di come l’indice di Pressione possa aiutare a definire la competitività con un metodo che tenga conto sia della durata che dell’eccitazione punto per punto. Lo scopo dell’indice non è quello di misurare l’effettiva qualità di gioco, per la quale servirebbero dati ancora più specifici. Quello per cui può essere utile invece è la possibilità di confrontare l’equilibrio di partite tra loro differenti guardando esclusivamente la variazione di punteggio.

L’indice di Pressione non deve essere limitato alle sole partite. Lo stesso concetto può essere applicato per valutare singoli set o anche giocatori. Approfondirò queste tematiche nei prossimi articoli.

Using Pressure Ratings to Rank Most Competitive Matches in 2018

Djokovic torna numero 1, ma non ha smesso di salire

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 2 novembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Non si è quasi parlato di altro per tutta la settimana: dopo essere stato fuori dai primi 20 a inizio di stagione, Novak Djokovic è tornato al primo posto della classifica mondiale. Analizzo quindi in questo articolo la sua ascesa in termini di valutazioni Elo partita per partita, confrontandola con il massimo rendimento ottenuto nel 2011 e 2015.

Un incremento di 265 punti Elo per Djokovic

Sono serviti a Djokovic due titoli Slam, un record di 49 vinte e 11 perse (compreso il Masters di Parigi Bercy, n.d.t.) e un miglioramento complessivo di +265 nelle valutazioni Elo dall’inizio dell’anno per riprendersi il numero 1. Pur impressionante, non si tratta di un guadagno Elo inedito, specialmente se si considerano quei giocatori che sono entrati da poco sul circuito e hanno enormi margini di miglioramento nel breve periodo.

Se però restringiamo l’analisi a circostanze più simili a quelle di Djokovic all’inizio del 2018 – vale a dire giocatori attivi sul circuito maggiore da tempo (almeno tre anni), la cui stagione è partita da una valutazione già alta (almeno 1800) – l’elenco si riduce notevolmente. Solo quattro giocatori oltre a Djokovic nell’era Open hanno avuto una progressione analoga in una fase avanzata della carriera.

Al primo posto c’è il 1988 di Thomas Muster, l’anno in cui è salito al numero 16 della classifica da una posizione fuori dai primi 50, con un guadagno di circa 300 punti Elo. Al quarto posto c’è il 1997 di Patrick Rafter, la stagione che lo ha visto passare da una classifica fuori dai primi 60 al numero 3 del mondo. È il percorso più vicino a quello compiuto da Djokovic, visto che anche Rafter ha vinto quell’anno gli US Open.

Giocatore    Anno   Miglior incremento Elo
Muster       1988   298
Srichaphan   2002   296
Johansson    2005   276
Rafter       1997   276
Djokovic     2018   265*

Con il torneo di Parigi Bercy (in cui ha perso in finale, n.d.t.) e le imminenti Finali di stagione, Djokovic ha ancora la possibilità di superare i +265 punti di miglioramento Elo (per questo la presenza dell’asterisco).

Un confronto con le stagioni migliori

Mettendo a confronto il rendimento di Djokovic nel 2018 con il 2011 e 2015, le due migliori stagioni a oggi in carriera, osserviamo che il massimo della stagione in corso è ancora lontano dal potenziale massimo esprimibile. Anzi, solo ora Djokovic è arrivato a un livello di gioco in linea con la bravura espressa all’inizio del 2011 (con una valutazione di circa 2100 punti).

IMMAGINE 1 – Andamento e massimi della valutazione Elo di Djokovic nel 2011, 2015 e 2018

Anche da ritrovato numero 1, se Djokovic riuscirà a proporre nuovamente il rendimento più alto di cui è capace, potrebbe diventare ancora più forte di quanto suggerisce la sua valutazione Elo attuale. Deve sembrare una prospettiva avvilente per i colleghi, ma un carico di eccitazione per tutti gli appassionati di tennis che aspettano con ansia la stagione 2019.

Djokovic Regains No. 1 But His Climb in the Ratings Isn’t Over

Statistiche Plus-Minus anche per il tennis

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 26 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

La statistica Plus-Minus non deve necessariamente essere appannaggio degli sport di squadra. Questo articolo illustra l’applicazione del Plus-Minus nel tennis, utilizzandolo per identificare i migliori giocatori e giocatrici al servizio e alla risposta, alla vigilia degli US Open 2018.

Quando si tratta di statistiche sportive, sembra spesso che siano gli sport di squadra a essere i naturali destinatari. Il Plus-Minus ne è perfetto esempio, poiché cerca di misurare il contributo del singolo giocatore, un passaggio chiave nell’analisi del rendimento negli sport di squadra.

Il Plus-Minus come misura dell’impatto di un giocatore sul gioco dell’avversario

L’idea alla base del Plus-Minus è semplice: se si vuole conoscere l’impatto di un giocatore sulla propria squadra, si metta a confronto il rendimento della squadra – in circostanze equiparabili – con e senza il giocatore. Ad esempio, con un valore di +14 LeBron James ha ottenuto il Box Plus-Minus (la stima dei punti addizionali ogni 100 possessi) più alto tra tutti i giocatori dei play-off NBA 2018, a forte supporto della tesi secondo la quale dovesse andare a lui il titolo di MVP.

Anche se nel tennis di singolare non esiste il concetto di squadra, l’impatto è comunque un elemento di grande importanza. Nello specifico, per impatto s’intende quello che un giocatore esercita sul gioco dell’avversario. Questo porta a un Plus-Minus che misuri quanto un giocatore incida sul rendimento di chi sta dall’altra parte della rete.

In termini matematici, ipotizziamo che un avversario A abbia una media di θper una statistica di rendimento oggetto di analisi. Diciamo poi che quando gioca contro un giocatore B abbia una media di θB. Il Plus-Minus del giocatore è quindi dato dalla formula:

Plus-MinusθA− θB

Si può allargare questa ipotesi a tutti gli avversari di un giocatore per ottenerne un impatto tipico. Vogliamo inoltre aggiungere un po’ di regressione verso l’impatto medio per le circostanze in cui il campione di partite a disposizione relative a un particolare giocatore è ridotto.

Plus-Minus come impatto sul servizio

Con gli US Open 2018 alle porte, è interessante vedere i giocatori con il migliore Plus-Minus del momento sul servizio e sulla risposta.

Uomini

Come impatto sul servizio, è Rafael Nadal a condurre in qualità di giocatore più aggressivo in difesa (da notare che impatti di valore negativo indicano una maggiore bravura alla risposta). Nei game in cui è alla risposta, ci si attende che l’efficacia del servizio dell’avversario si riduca di 10 punti percentuali, 7 nel caso degli US Open 2018, ma sempre comunque in testa al gruppo (Nadal ha perso in semifinale contro Juan Martin Del Potro, n.d.t.). Nonostante qualche alto e basso nella prima parte della stagione, Novak Djokovic è al secondo posto, un altro motivo per considerarlo tra i favoriti per la vittoria di un altro Slam (Djokovic ha poi vinto il torneo, n.d.t.).

IMMAGINE 1 – Migliori giocatori per Plus-Minus sul servizio

Donne

Tra le donne è Simona Halep l’avversaria che nessuna giocatrice al servizio vorrebbe dover affrontare a New York (Halep è stata sconfitta contro pronostico da Kaia Kanepi al primo turno, nd.t.). A differenza di Nadal, l’impatto di Halep sul cemento è alto allo stesso modo che sulle altre superfici. Anche Angelique Kerber è ben distante dal resto delle giocatrici, quindi la si deve considerare tra le favorite per gli US Open 2018 (Keber ha perso al terzo turno da Dominica Cibulkova, n.d.t.).

Tra le rimanenti delle prime 10, comprese le giovani Darya Kasatkina (uscita al secondo turno contro Aliaksandra Sasnovich, n.d.t.) e Jelena Ostapenko (uscita al terzo turno contro Maria Sharapova, n.d.t.), l’impatto sul servizio su tutte le superfici è compreso in un margine molto ristretto di -5 e -4, aspetto che evidenzia la competitività al vertice del tennis femminile. Si fa notare in questa classifica l’assenza di Serena Williams che non giustifica a pieno in termini di rendimento il fatto di essere considerata tra le favorite (Williams ha poi perso in finale contro Naomi Osaka, n.d.t.).

IMMAGINE 2 – Migliori giocatrici per Plus-Minus sul servizio

Plus-Minus come impatto sulla risposta

Uomini

Per qualcuno potrebbe sembrare una sorpresa il fatto che Roger Federer sia il giocatore con il Plus-Minus più incisivo sulla risposta nel 2018, mettendosi davanti anche a giocatori dal grande servizio come John Isner, Milos Ranoic e Nick Kyrgios. Proprio contro Kyrgios in un eventuale terzo turno, un impatto di -11 dovrebbe rendere Federer fiducioso delle sue possibilità (Federer ha effettivamente vinto quella partita per poi perdere subito dopo da John Millman, n,d,t.).

Nadal non si contraddistingue per avere un servizio potente, ma è comunque al quarto posto. È probabile che il suo rendimento al servizio quest’anno tragga beneficio da un combinazione di servizi carichi di effetto e più imprevedibili nelle traiettorie e dalla capacità di emergere quasi intoccabile negli scambi lunghi.

IMMAGINE 3 – Migliori giocatori per Plus-Minus sulla risposta

Donne

Anche per la vetta del Plus-Minus sulla risposta è tra le donne una gara estremamente equilibrata. Madison Keys (che ha perso in semifinale contro Osaka, n.d.t.), Julia Goerges (che ha perso al secondo turno contro Ekaterina Makarova, n.d.t.) e Ashleigh Barty (che ha perso al quarto turno contro Karolina Pliskova, n.d.t.) sono nelle prime tre posizioni, avendo ciascuna un impatto atteso sull’efficacia della risposta dell’avversaria di almeno 6 punti percentuali, con Goerges che dovrebbe avere un leggero vantaggio sul cemento. Serena è tra le prime 10, con un impatto medio nel 2018 di -4. Il suo impatto sul cemento per è in media con quanto mostrato nel corso della stagione.

IMMAGINE 4 – Migliori giocatrici per Plus-Minus sulla risposta

Conclusioni

Per entrare tra i primi delle classifiche Plus-Minus sul servizio o sulla risposta per la stagione serve incidere sul gioco dell’avversario in modo continuativo. Non sorprende quindi trovare in questo gruppo di giocatori e giocatrici i favoriti per gli US Open. Vincitore e vincitrice saranno coloro in grado di capitalizzare l’impatto sugli avversari.

Plus-Minus Statistics for Tennis

Djokovic e Bertens tra i giocatori che più si sono migliorati nel 2018

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 14 ottobre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Anche prima della finale contro Borna Coric nello Shangai Masters 2018 (vinta con il punteggio di 6-3 6-4, n.d.t.) Novak Djokovic è il giocatore con la più alta valutazione Elo su tutte le superfici. Si analizza di seguito come gli attuali primi 8 del circuito maschile e femminile abbiano raggiunto il vertice di questa speciale classifica.

Valutazione Elo Uomini nel 2018

Con 18 vittorie consecutive dal Cincinnati Masters, tra cui il titolo agli US Open (e con 31 vittorie su 33 partite dopo la sconfitta ai quarti di finale del Roland Garros contro Marco Cecchinato, n.d.t.), Djokovic si è issato al primo posto delle valutazioni Elo su tutte le superfici elaborate dal Game Insight Group di Tennis Australia, la Federazione australiana.

Si tratta di un traguardo ancora più rimarchevole se si considera la posizione di Djokovic di appena qualche mese fa. Durante i tornei sulla terra battuta, in cui il suo miglior risultato è stata la semifinale agli Internazionali d’Italia, la valutazione di Djokovic non era più alta di 1730, circa 400 punti in meno di quella di adesso. È senza dubbio il giocatore che più si è migliorato nel 2018.

IMMAGINE 1 – Movimenti stagionali delle valutazioni Elo per gli attuali primi 8 della classifica ATP

L’andamento di Roger Federer invece è opposto. Nonostante la vittoria agli Australian Open 2018, la stagione è ben lontana dall’aver ripetuto i fasti del 2017. Anzi, dai primi tre mesi dell’anno la valutazione di Federer è in costante declino.

Valutazione Elo Donne nel 2018

Sul circuito femminile la situazione presenta maggiore dinamicità. Simona Halep ha avuto più di un alto e basso durante il 2018 e, pur al vertice delle valutazioni, la striscia di tre sconfitte consecutive al primo turno (l’ultima a Pechino, per ritiro) rende la sua posizione precaria. La vulnerabilità di Halep nelle valutazioni è ancora più evidente guardando alla recente rinascita della numero 2 Caroline Wozniacki che, da una parabola discendente durante tutta la stagione, si è ripresa in Cina (dove ha vinto il torneo di Pechino, n.d.t.) facendo risalire rapidamente la sua valutazione Elo.

IMMAGINE 2 – Movimenti stagionali delle valutazioni Elo per le attuali prime 8 della classifica WTA

Anche Serena Williams si è migliorata seppur in una stagione di gioco sporadico. Però, dopo la controversa apparizione nella finale degli US Open che ha concluso di fatto il suo anno, ci si chiede in quale stato di forma fisica e mentale si presenterà a gennaio.

È avvincente notare come tutte e tre le giocatrici che chiudono la classifica delle prime 8 hanno avuto incredibili periodi di miglioramento. Al pari di Wozniaki, Aryna Sabalenka, la più giovane delle tre, ha fatto salire la sua valutazione nel modo più veloce e marcato possibile. Sarà in grado di sostenere questo livello anche nel 2019 e non solo sul cemento?

Ma è Kiki Bertens la giocatrice che, di gran lunga, si è più migliorata. Da una bassa valutazione di 1671 a inizio anno, Bertens ha raggiunto un punto di massimo a 2050, oscurando anche l’incremento di Djokovic. E ci è riuscita giocando bene a lungo durante la stagione, mostrando quindi che non si tratta di semplice passaggio fortunoso. Quanto oltre si potrà spingere Bertens nelle valutazioni il prossimo anno?

Djokovic and Bertens, Two of the Most Improved Players in 2018

La differenza nei premi partita tra uomini e donne in funzione delle opportunità di guadagno settimanali

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 4 ottobre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

I premi partita sono il principale strumento di misurazione della disparità tra sessi nel tennis professionistico. La maggior parte delle ricerche sulla differenza di premi partita tra uomini e donne si è concentrata sui guadagni dei giocatori di vertice o sull’impegno finanziario sottoscritto dai tornei. In questa sede adotterò un altro tipo di approccio, analizzando le opportunità di guadagno che emergono durante ogni settimana del calendario del circuito maggiore.   

La casistica analitica delle differenze in termini di premi partita tra uomini e donne è ampia e disponibile alla consultazione. In molti casi si è guardato ai premi partita vinti in carriera dai migliori giocatori e dalle migliori giocatrici, mentre in altri sono le risorse economiche garantite da ciascun torneo a essere state oggetto di studio. 

Le opportunità di guadagno settimanali

Quando si tratta di disparità percepita dal singolo giocatore o giocatrice, entrambe queste metodologie mostrano dei limiti. Molti giocatori non rientrano nel gruppo dei più ricchi, quindi il confronto con chi ha guadagnato di più è per loro di rilevanza ridotta. In secondo luogo, la comparazione tra singoli tornei non tiene conto della dimensione del tabellone di singolare, di quello delle qualificazioni o del doppio, o non tiene conto delle sovrapposizioni in calendario, che costringono a scelte esclusive. 

Una misurazione che più si avvicina alla percezione di un giocatore della disparità di premi partita prende in considerazione le probabili opportunità di guadagno in qualsiasi settimana di competizione. 

Prendiamo ad esempio la settimana corrente, in cui il China Open è l’unico torneo sul circuito femminile. Il tabellone di singolare è composto da 60 giocatrici, quello delle qualificazioni da 32 e il doppio da 28. Significa che 84 giocatrici si divideranno il montepremi in singolare e 56 in doppio. Con 8.2 milioni di dollari garantiti dal torneo e viste le dimensioni dei tabelloni, ogni giocatrice di singolare ha un’aspettativa di guadagno di 71.000 dollari.

Sul circuito maschile invece ci sono due tornei 500, il China Open e il Rakuten Japan Open. Hanno entrambi tabelloni di singolare da 32 giocatori e di qualificazioni da 16, e un tabellone di doppio da 16. I montepremi sono rispettivamente di 4.7 milioni e 1.9 milioni. Considerando di poter partecipare a un solo torneo, sono numeri che si traducono in un’aspettativa di guadagno per ogni giocatore di singolare di 46.000 dollari, più bassa di quanto visto per le donne. 

Le aspettative di guadagno maschili sono normalmente superiori a quelle femminili

Nel raffronto complessivo settimana per settimana, raramente si verificano situazioni in cui le aspettative di guadagno sul circuito femminile sono superiori a quelle sul circuito maschile. L’immagine 1 mostra come nella maggior parte delle settimane l’ATP (in blu nel grafico) oscuri completamente la WTA (in viola). La settimana successiva è un caso più classico, con lo Shanghai Masters in cui gli uomini hanno un’aspettativa di guadagno di 65.000 dollari e le donne solo di 5.000 dollari, potendo scegliere tra tre eventi della categoria International.   

IMMAGINE 1 – Opportunità di guadagno settimanali

Il divario è più chiaramente visibile valutando la differenza in aspettative di guadagno di ogni settimana, come mostrato dall’immagine 2. Ci sono infatti 27 settimane di gioco su 37 in cui un giocatore del circuito maggiore può aspettarsi di guadagnare di più di un’equivalente giocatrice. La differenza in quelle settimane ha una mediana di 11.000 dollari per giocatore.

IMMAGINE 2 – Differenze di opportunità di guadagno settimanali in singolare

Nel doppio i guadagni sono generalmente inferiori, ma la disparità tra sessi segue le stesse dinamiche del singolare. I doppisti possono aspettarsi di guadagnare più delle doppiste in 26 settimane della stagione, con una mediana di 3.500 dollari di guadagno in più a settimana. 

IMMAGINE 3 – Differenze di opportunità di guadagno settimanali in singolare

Conclusioni

Il confronto tra aspettative di guadagno individuali rispecchia le conclusioni principali di precedenti ricerche sulla disparità tra sessi nei premi partita sul circuito principale, vale a dire che si è ben lontani dall’equilibrio, con la maggior parte delle differenze che si riscontrano nelle categorie di torneo inferiori agli Slam. Un approccio basato su numeri per singolo giocatore fornisce un’idea più concreta su come queste differenze siano effettivamente percepite a livello individuale. E, sotto questo aspetto, la settimana del China Open deve sembrare un’oasi felice nel calendario femminile.

Using Weekly Earnings Opportunity to Measure the Prize Money Gender Gap

Il deludente rendimento di Zverev negli Slam

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 4 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Uno degli argomenti più dibattuti agli US Open 2018 è stata l’assenza di Alexander Zverev alla seconda settimana di gioco. La sua sconfitta al terzo turno contro Philipp Kohlschreiber è la 14esima in un torneo dello Slam, tredici delle quali sono arrivate prima dei quarti di finale. Con un record di questo tipo, quali sono le speranze del ventunenne di vincere il primo elusivo Slam?

La discontinuità di prestazione tra Slam e altri tornei

Con nove titoli sul circuito maggiore, tra cui tre Master, Zverev è senza dubbio il più vittorioso dei giocatori della Next Gen. Sono risultati che dovrebbero distanziarlo anni luce dai suoi colleghi, fino a che non si considera il rendimento negli Slam.

La sconfitta agli US Open 2018 è la 13esima nella prima settimana di uno Slam, con il solo quarto di finale perso al Roland Garros 2018 durante la seconda settimana. Di fronte a una simile discontinuità di prestazione tra Slam e altri tornei del circuito i suoi tifosi si staranno chiedendo se esiste una vera e propria maledizione Slam.

Non è troppo presto per dubitare sulle possibilità di Zverev negli Slam? Ci sono stati giocatori vincitori di Slam che hanno sperimentato difficoltà della stessa natura prima di arrivare al successo?

Per avere un’idea di quanto dovremmo essere delusi dai risultati di Zverev negli Slam, possiamo confrontarli con quanto sono stati deludenti i risultati dei giocatori che hanno vinto uno o più Slam fino al momento in cui questo si è effettivamente verificato.

Nel quantificare la delusione non vogliamo considerare solo il numero di sconfitte, perché una sconfitta in finale è tendenzialmente meno deludente di una, ad esempio, al secondo turno. Vogliamo invece mettere insieme le attese di vittoria per una partita che è poi stata persa, così da ottenere una somma più grande maggiore il numero di partite perse che statisticamente ci si attendeva il giocatore vincesse.

L’indice di delusione Slam

Sulla base di questo metodo, Zverev ha un indice di “delusione Slam” di 7.6, dovuto alle 14 sconfitte raccolte negli Slam. Significa che di fatto ha perso circa 8 partite Slam che avrebbe dovuto vincere. A oggi, la sconfitta più pesante in termini di aspettative è stata quella contro Ernest Gulbis al terzo turno a Wimbledon 2018.

Al momento, il rendimento di Zverev negli Slam lo pone tra i 20 più deludenti avvicinamenti a un titolo Slam (nell’ipotesi in cui riuscirà a vincerne uno). L’immagine 1 mostra che ci sono stati 16 giocatori nell’era Open con un avvicinamento ancora più deludente prima di conquistare uno Slam. Goran Ivanisevic ha il rendimento più deludente di sempre, con un totale di 25 sconfitte prima di Wimbledon 2001 che avrebbero effettivamente dovuto essere delle vittorie.

IMMAGINE 1 – Indice di delusione Slam per giocatori che hanno poi vinto uno o più Slam e per Zverev

È interessante notare come Ivan Lendl, il nuovo allenatore di Zverev, è all’undicesimo posto dell’elenco, avendo collezionato circa 10 sconfitte prima di trionfare al Roland Garros 1984 in partite che avrebbe dovuto vincere.

Per quanto demoralizzato possa sentirsi Zverev dopo aver perso così presto a Flushing Meadows, la sua è una strada ancora dritta per la vittoria del primo Slam e con tempo a sufficienza per precedere il suo allenatore.

Zverev’s US Open Loss Puts Him Among Top 20 Most Disappointing Major Performances So Far