Esiste un calo emotivo dopo una finale ATP?

di Chapel Heel // HiddenGameOfTennis

Pubblicato l’1 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Se siete come me, quando vedete due giocatori in finale e sapete che la settimana seguente saranno impegnati in un altro torneo, vi chiedete come potranno giocare poco dopo aver disputato una finale. Anche se poi nelle mie previsioni ufficiali non ne tengo conto, mentalmente penso che faranno più fatica, perché sembra che, arrivando da una finale, possano forse subire un calo mentale nei primi turni. Vediamo se la mia teoria da profano è supportata dai numeri.

Stanchezza fisica, mentale ed emotiva

Una parte del quesito verte sulla stanchezza fisica e mentale derivante dal giocare molte partite in poco tempo. Per raggiungere la finale, le teste di serie devono aver giocato almeno quattro partite, le non teste di serie che non devono passare per le qualificazioni almeno cinque e i qualificati almeno sette. Questo vale solo per i tornei con 28 giocatori nel tabellone principale. È tema che Jeff Sackmann ha già affrontato su HeavyTospsin, e ne suggerisco la lettura.

Un’altra parte non coinvolge la fatica, ma lo sforzo emotivo. Una finale del circuito maggiore è già di per sé un’impresa, anche per chi ci arriva regolarmente. A maggior ragione, i giocatori che ci riescono di rado, affrontano vere e proprie montagne russe emotive. Pur affermando sempre che la settimana è stata fantastica anche di fronte a una sonora sconfitta, pensate che rientrando nello spogliatoio si congratulino con il proprio angolo? Sarebbe comprensibile quindi se gli sconfitti avessero difficoltà nel farsi trovare pronti per la prima partita della settimana seguente.

Naturalmente, i vincitori sono contenti, quindi perché dovrebbero provare un vuoto emotivo nei primi turni del torneo successivo? Non sono un professionista di tennis, ma il mio è un lavoro ad alta pressione e responsabilità, e la fine di un progetto è accompagnata da soddisfazione ma anche da un po’ di rilassamento emotivo. I giorni conclusivi hanno un sapore speciale che manca in quelli che arrivano subito dopo. Cala l’adrenalina e ci si accorge di aver davvero bisogno di dormire. Forse succede lo stesso per i vincitori di un torneo.

Quali finali dovremmo esaminare?

Ho considerato tutti i finalisti a partire dal 2007. Si tratta di circa 1600 partite-giocatore. Naturalmente, ho poi dovuto restringere il campione a quei giocatori che hanno giocato la settimana successiva, un numero molto più ridotto. Per alcuni è il calendario personale, per altri è quello dell’ATP (ad esempio, non ci sono tornei la settimana che segue la conclusione di uno Slam e non ho considerato la Coppa Davis, perché sono partite per le quali i giocatori si fanno trovare pronti più facilmente).

Non ho incluso le circostanze in cui il torneo successivo inizia a metà della settimana, come ad esempio l’Indian Wells Masters, nel quale i finalisti di Dubai, Acapulco e San Paolo non scenderebbero in campo, al più presto, prima di mercoledì. Un tempo sufficiente cioè a cancellare qualsiasi strascico emozionale. Ho escluso anche le situazioni in cui un giocatore è arrivato a una finale ATP per poi giocare subito dopo un torneo Challenger.

Come ci si poteva aspettare, sono i giocatori di vertice a dominare l’elenco delle finali. E lo vedo come un problema nel determinare l’esistenza di uno strascico emozionale. Perché in caso affermativo, sono convinto che giocatori come Roger Federer, Rafael Nadal, Novak Djokovic e altri che sono spesso in finale non la vivano allo stesso modo di altre categorie di giocatori (e Federer è un robot).

Non voglio che giocatori che arrivano spesso in finale rendano i risultati inaccurati, ma non intendo nemmeno escludere categoricamente determinati giocatori per una percezione personale sulla loro resistenza a strascichi emotivi dopo una finale.

Due limitazioni

Vista di fatto però l’assidua presenza nell’ultima giornata, devo trovare un modo per contenere l’effetto distorsivo che tutte le finali dei giocatori di vertice avrebbero nel campione di dati. Ho quindi introdotto due tipi di limitazioni:

  • nessun giocatore ha partite che seguono una finale per più delle prime 15 finali. Chi ha giocato più di 15 finali è a un livello talmente alto, e possiede così tanta esperienza nel trovarsi in fondo al torneo, che è molto improbabile possa mostrare segni di strascico emotivo superata quella soglia
  • nessun giocatore ha più di 5 partite che seguono una finale dopo che è entrato tra i primi 10, in modo da arginare proprio chi ha avuto una crescita improvvisa e, anche dopo la precedente limitazione, ritrovarsi comunque 15 finali interamente conteggiate. Questa limitazione era di fatto solo di un’impostazione di controllo, che non è intervenuta poi frequentemente.

Come conseguenza di queste regole (e tornando indietro solo fino al 2007), ci sono molti giocatori di massimo calibro a non essere rappresentati. Ad esempio Federer, il quale all’inizio del 2007, aveva già giocato 15 partite che seguono una finale e aveva giocato almeno 5 finali dopo essere entrato nei primi 10. Non ci sono dunque partite di Federer nel campione. E lo stesso vale per alcuni giocatori di altro profilo che si sono ritirati, come Lleyton Hewitt, che ha giocato qualche finale dopo il 2006, nessuna delle quali è inclusa perché sono intervenute le limitazioni prima del periodo di riferimento dello studio.

Toh, che scoperta!

In generale, i finalisti vincono le partite che seguono una finale. Prima di entrare nel dettaglio, analizziamo alcune delle percentuali aggregate. La tabella dell’immagine 1 fornisce molte informazioni che necessitano di spiegazione.

Le prime tre colonne riportano il rendimento alla settimana successiva dei giocatori nelle partite che seguono una finale. La prima colonna ignora l’eventualità di un bye al primo turno del torneo seguente. La seconda colonna identifica solo i giocatori che dopo la finale hanno giocato il primo turno del torneo seguente. La terza colonna identifica solo i giocatori che hanno ricevuto un bye nel torneo seguente, per i quali quindi la prima partita dopo la finale è stata il secondo turno (se vi sta girando la testa, è normale).

Guardiamo ora le righe. La prima riga rappresenta tutti i giocatori finalisti della settimana precedente, a prescindere dal risultato che hanno conseguito. La seconda e terza riga identificano rispettivamente i vincitori della finale e i giocatori che invece l’hanno persa.

Ad esempio, i vincitori della finale vincono il 70.5% delle volte in cui giocano al primo turno nella settimana successiva, e l’83.5% delle volte se usufruiscono di un bye e non giocano fino al secondo turno (a prescindere dal turno, i vincitori della finale vincono la partita che segue il 72.5% delle volte). Ho inoltre aggiunto altre tre colonne (“Seconda Partita”) per il cui significato rimando alla nota in corsivo.

IMMAGINE 1 – Percentuali aggregate del rendimento dei giocatori nella prima e seconda partita che seguono la finale

Nota

Il secondo gruppo di colonne rappresenta il rendimento dei finalisti della settimana precedente nella seconda partita del torneo che segue, avendo vinto la prima partita. Pur non rilevando ai fini dell’articolo, visto che era disponibile ho ritenuto inserire quest’informazione. Colonne e righe si leggono nello stesso modo della “Prima Partita”, solo che in questo caso sono per una partita dopo.

Le partite che seguono una finale giocate al primo turno

Alla ricerca di un effetto da strascico emozionale, mi concentrerò sul primo turno (la colonna colorata), perché i giocatori con un bye hanno più tempo per superare un eventuale abbandono di adrenalina. Sono rimasto a questo punto con poco meno di 500 partite-giocatore, di cui 266 sul cemento, 183 sulla terra battuta e 48 sull’erba (motivo per cui i risultati su questa superficie potrebbero risentire significativamente delle dimensioni ridotte).

Pensiamo a cosa ci sta dicendo la colonna colorata ma, ancora più importante, a cosa non ci sta comunicando. Ci dice in primo luogo che i finalisti della settimana precedente vincono solitamente la partita di primo turno nel torneo che segue. Non è proprio così sorprendente, perché, in media, chi raggiunge una finale è certamente all’altezza di vincere primi turni con continuità.

Ci dice inoltre che i vincitori della finale hanno molta più probabilità di vincere le partite che seguono una finale, rispetto ai giocatori che l’hanno persa. Anche qui, non ci sono sorprese, visto che normalmente sono i giocatori migliori a vincere, cioè gli stessi che hanno più probabilità di vincere al primo turno la settimana successiva.

Quello che non ci dice la seconda colonna è se quei numeri sono di qualche indicazione o, detto in altro modo, se evidenziano effettivamente uno strascico dalla finale della settimana precedente. Che il vincitore della settimana precedente vinca anche il 70% delle partite che seguono una finale è per lui confortante, ma se ci si attende che ne vinca l’80%, allora il 70% non è più un gran risultato, non è così? All’opposto, se un giocatore vince una finale e subito dopo va a giocare agli US Open perdendo al primo turno da Djokovic, non ha perso quella partita perché aveva giocato nella finale della settimana precedente.

Risultati attesi nelle partite di primo turno che seguono una finale

Quello che dobbiamo fare quindi è conoscere il risultato atteso delle partite che seguono la finale e, in aggregato, confrontarlo con gli esiti effettivi di quelle stesse partite. A questo proposito ho usato valutazioni Elo specifiche per superficie e relative al momento in cui si sono giocate le partite. Non è una versione corretta di Elo – a differenza delle valutazioni Elo che uso per i pronostici – in parte perché non ho idea se quegli aggiustamenti abbiano senso per periodi più indietro nel tempo e in parte perché richiederebbero molti più calcoli. Con o senza intervento, Elo comunque non è perfetto nelle previsioni, ma è estremamente valido, specialmente sui grandi numeri.

Tutti i finalisti

L’immagine 2 mostra la percentuale di vittoria attesa nelle partite che seguono una finale su diverse superfici per tutti i finalisti della settimana precedente, a prescindere dal risultato.

IMMAGINE 2 – Percentuale di vittoria attesa dei finalisti nelle partite che seguono la finale

Si nota un divario importante tra la percentuale di vittoria attesa Elo e quella effettiva. Ritornando alla prima tabella, una percentuale di vittoria del 62.2% nelle partite di primo turno dopo una finale non sembra più così valida. Elo si attende che quel numero sia intorno al 67.5%.

Vincitori della finale

Proviamo a scomporre ulteriormente iniziando con i numeri dei vincitori della settimana precedente.

IMMAGINE 3 – Percentuale di vittoria attesa dei vincitori nelle partite che seguono la finale

Anche questa tabella è interessante. C’è qualche differenza marginale nei risultati attesi per i vincitori, ma nulla che non derivi da un normale margine di errore. I vincitori della finale vincono le partite di primo turno della settimana successiva con quasi la stessa frequenza che ci si aspetta da loro.

Sconfitti in finale

Di fronte a un divario importante tra risultati attesi ed effettivi includendo tutti i finalisti, e praticamente nessuna differenza se si considerano solo i vincitori della finale, si capisce da dove arrivi quel divario, come mostra l’immagine 4.

IMMAGINE 4 – Percentuale di vittoria attesa degli sconfitti nelle partite che seguono la finale

A prescindere dalla superficie, i giocatori che hanno perso la finale ottengono risultati di molto inferiori alle attese nella partita che segue la finale. L’effetto è più pronunciato sulla terra, forse dovuto alla presenza di più finalisti a sorpresa che giocano al di sopra del livello abituale, a cui ritornano la settimana successiva. C’è un divario enorme sull’erba, ma si tratta solo di circa 25 partite, e mi aspetto che, con dati migliori a disposizione, si avvicini a quanto accade sul cemento.

Confesso di essere un po’ stupito. Ed è strano, se penso a come, prima di quest’analisi, percepissi che i finalisti avessero minori possibilità. La ragione sta nel fatto che durante la raccolta e sistemazione dei dati, di cui molti a mano, non riuscivo a cogliere l’effetto. Mi aspettavo che i dati dimostrassero ancora una volta l’infondatezza della mia sensazione, mentre invece sembra che io sbagli solo a metà.

Esiste quindi con certezza un calo emotivo per il giocatore che ha perso la finale?

Sarebbe una conclusione affrettata. Non ho isolato un effetto di strascico emotivo indipendente da altre variabili, come la fatica accumulata nelle partite della settimana precedente. Non sarebbe sconvolgente sapere che il giocatore sconfitto in finale ha perso perché era già affaticato, o quantomeno lo era più del vincitore, anche perché è probabile che abbia giocato più partite per arrivarci. E non ho nemmeno tenuto conto del livello competitivo espresso in finale. Chi ha perso la finale rende ancora peggio la settimana successiva se la sconfitta è stata netta? O rende meglio se ha portato il vincitore a un passo dalla sconfitta? Lo studio non risponde a queste domande. A essere onesti, non ci ho pensato se non dopo aver elaborato i dati e iniziato a scrivere. In ogni caso, il fatto è che servirebbe una quantità decisamente maggiore di dati punto per punto per esprimere conclusioni progressivamente più rifinite.

Sarebbe curioso verificare anche quelle circostanze in cui la finale e la partita che segue la finale si sono giocate su una superficie diversa. Solo non si troverebbero mai dati a sufficienza in uno stesso periodo da poter dedurre considerazioni definitive su quel punteggio.

Sento di poter dire con un certo grado di sicurezza che la sconfitta in una finale genera una forma di effetto negativo sulla partita di primo turno della settimana successiva, per molteplici cause. E che, di contro, non c’è un apparente crollo delle endorfine accumulate nella vittoria in finale della settimana precedente.

Dammi il cinque, dannazione!

Una teoria scientifica sostiene che sforzarsi a sorridere anche nei momenti in cui non si è felici o di tutt’altra disposizione d’animo è di beneficio immediato e di aiuto per recuperare il buonumore. In sostanza, si inganna il cervello azionando il movimento del muscolo associato al senso di felicità.

Forse i giocatori dovrebbero dare il cinque al proprio angolo anche dopo una sconfitta in finale. Potrebbe essere importante tanto quanto recuperare dalla fatica della partita con il bagno nella vasca di ghiaccio.

Is There an Emotional Hangover After a Tennis Final (ATP)?

Le partite più competitive del 2018 valutate in termini di pressione

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 2 novembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

In molti si sono domandati se la semifinale tra Novak Djokovic e Roger Federer al Master di Parigi Bercy 2018 – più di tre ore di gioco e 252 punti – sia stata la partita migliore delle 47 da cui è composta la lunga rivalità tra i due. In questo articolo introduco una valutazione della pressione di gioco che possa aiutare a determinare la competitività relativa di un set o di una partita.

Con le Finali di stagione al via a Londra, entriamo in quel periodo dell’anno in cui hanno inizio riflessioni e sintesi sulla stagione. A breve arriveranno in massa i canonici elenchi di “migliore dell’anno” o altre classifiche a conclusione del calendario. Inevitabilmente, si tratta di valutazioni che considerano diversi aspetti del gioco, tra cui le sorprese più grandi, i rientri da infortunio più vincenti, i miglioramenti più marcati.

Nello sport, giudizi di questo tipo si basano di solito su opinioni personali che, come nelle discussioni su Twitter, possono essere divertenti in partenza, per poi però sfociare in commenti di parte o da tifosi, diventando quindi fastidiose.

Valutazioni basate su statistiche sono un antidoto efficace a valutazioni basate su opinioni, con un avvertimento: qualsiasi valutazione basata su statistiche ha utilità equivalente alla qualità dei dati e all’appropriatezza delle ipotesi sottostanti.

Una valutazione statistica quindi non rappresenta necessariamente un miglioramento, ma fa leva su virtù di obiettività e correttezza. Un algoritmo non si schiera o non preferisce alcuni dati (che siano relativi ai giocatori, alle partite, etc) rispetto ad altri.

Indice di Pressione

Prevedendo che la partita tra Djokovic e Federer entrerà probabilmente tra le migliori dell’anno nell’elenco di qualche appassionato, mi sono chiesta se esiste un modo per valutare quella partita, o una qualsiasi altra, in termini di competitività. Il maggior numero di dati più granulari in nostro possesso sulle partite giocate sono relativi all’esito dei punti. Questo suggerisce di osservare l’andamento del punteggio durante la partita per misurarne l’equilibrio.

È la linea di pensiero che mi ha portata a elaborare un indice di Pressione. Il primo passo è assegnare un valore di pressione a ogni punto sulla base di quanto potrebbe alterare il risultato della partita.

Un modo per approssimare questa misurazione è pensare a come cambierebbe la sensazione di fiducia sul giocatore che si è scelto come vincitore se perdesse il punto in corso. Se si tratta del primo punto della partita, si resterebbe probabilmente indifferenti. Se invece è un punto al servizio nel tiebreak, ci sarebbe una reazione ben diversa.

Per stabilire la competitività di una partita potremmo semplicemente verificare la pressione totale, ma verrebbero così favorite quelle partite in cui il servizio di un giocatore raramente è in pericolo (pensate alla grande maggioranza delle partite di John Isner).

Per ridurre il peso di partite lunghe ma meno entusiasmanti, si utilizza sia la media che la pressione totale per ottenere un indice complessivo. La valutazione di pressione effettiva rientra in una scala da 0 a 100 che può essere interpretata come un percentile di possibili indici di pressione.

Le partite a maggiore pressione

Vediamo che indicazioni emergono calcolando l’indice di Pressione per le partite più competitive della stagione. Poiché la pressione evolve con dinamiche differenti per le partite al meglio dei tre set e al meglio dei cinque, metterò a confronto partite omogenee.

Uomini

La tabella elenca le prime 5 partite di singolare maschile dei tornei Slam per indice di Pressione. La semifinale eterna a Wimbledon 2018 tra Isner e Kevin Anderson è in cima alla lista, con una valutazione di 96.6, legata fondamentalmente al quinto set terminato 26-24. È stata anche la partita più lunga negli Slam del 2018 come numero di punti giocati, ma le altre dell’elenco si differenziano per numero di punti giocati e di pressione.

Anche la seconda semifinale a Wimbledon tra Novak Djokovic e Rafael Nadal entra in classifica, aiutando con forza la candidatura delle semifinali in Inghilterra come le più entusiasmanti dell’anno. Chi non segue il tennis regolarmente potrebbe non riconoscere le altre tre epiche sfide, sebbene il loro indice di Pressione è testimonianza del fatto che anche giocatori meno famosi sono in grado di dare vita ad alternanza di punteggio ad alta eccitazione.

IMMAGINE 1 – Indice di Pressione per le prime 5 partite di singolare maschile al meglio dei cinque set

Indice di Pressione per la competitività delle partite 2018_1 - settesei.it

Le partite a maggior pressione di singolare maschile al meglio dei tre set si sono distribuite nell’arco dell’intera stagione.Vale la pena, per chi lo avesse perso, recuperare il primo turno all’Indian Wells Masters tra Marius Copil e Peter Polansky, che si classifica al primo posto di questo gruppo, e anche l’unica partita in cui ogni set si è concluso al tiebreak.

IMMAGINE 2 – Indice di Pressione per le prime 5 partite di singolare maschile al meglio dei tre set

Indice di Pressione per la competitività delle partite 2018_2 - settesei.it

Donne

In campo femminile, la battaglia di 48 game al primo turno degli Australian Open 2018 tra Simona Halep e Lauren Davis è al primo posto. È anche l’unica partita Slam tra le prime 5 per pressione, in in virtù di un terzo set così lungo ai vantaggi.

IMMAGINE 3 – Indice di Pressione per le prime 5 partite di singolare femminile

Indice di Pressione per la competitività delle partite 2018_3 - settesei.it

Conclusioni

Credo che queste partite siano esempi di come l’indice di Pressione possa aiutare a definire la competitività con un metodo che tenga conto sia della durata che dell’eccitazione punto per punto. Lo scopo dell’indice non è quello di misurare l’effettiva qualità di gioco, per la quale servirebbero dati ancora più specifici. Quello per cui può essere utile invece è la possibilità di confrontare l’equilibrio di partite tra loro differenti guardando esclusivamente la variazione di punteggio.

L’indice di Pressione non deve essere limitato alle sole partite. Lo stesso concetto può essere applicato per valutare singoli set o anche giocatori. Approfondirò queste tematiche nei prossimi articoli.

Using Pressure Ratings to Rank Most Competitive Matches in 2018

Idee rubate al golf: posti a sedere e ambientazione*

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 27 maggio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

(*nella versione originale, il gioco di parole del titolo è tra “seat” – il posto a sedere in un evento – e “setting” – l’ambientazione o contesto dell’evento – n.d.t.)

Il primo articolo della serie.

É già apparsa la folla al Roland Garros 2018, ma i posti a bordo campo, quelli più esclusivi, rimangono vuoti. Non è una circostanza insolita, basta guardare un torneo 250 e si assiste allo stesso fenomeno quando sui campi principali si giocano i primi turni. Sono posti spesso acquistati da aziende e altre organizzazioni, nell’ambito di sponsorizzazioni o pacchetti ospitalità.   

Al di la del negare ai meno abbienti la facoltà di essere più vicini al campo, è l’atmosfera della partita a risentirne pesantemente. Quando gli appassionati più calorosi sono costretti a una crescente lontananza fisica dal gioco, il supporto motivazionale che possono dare ai giocatori si dissolve velocemente. Un effetto secondario è quello per cui un telespettatore occasionale si ritrova a pensare – nel momento in cui capita sulla partita e vede i posti vuoti – che se nessuno la sta guardando dal vivo, allora non è così interessante da guardare nemmeno in televisione. 

A questo proposito, cosa può imparare il tennis dal golf?

In primo luogo, uno dei maggiori elementi attrattivi del golf è il contesto in cui viene giocato. Sebbene rifletta un approccio artificioso alla natura (e anche ad alto impatto ambientale), è difficile rimanere impassibili al richiamo dei grandi percorsi del mondo. Anche chi non ama il golf come sport, comunque apprezza la libertà che offre di muoversi intorno all’evento, socializzare, prendere il sole, bere in compagnia, etc. È una bella esperienza all’aperto.

Anche il tennis si gioca in un contesto piacevole ma, nella maggior parte dei casi, gli stadi ostacolano la fruizione della bellezza. Ci sono alcuni tornei, ad esempio Monte Carlo, dai cui si possono vedere le barche veleggiare in mare. In generale però, si è intrappolati dalle strutture. 

In secondo luogo, quasi tutti i biglietti di un torneo di golf consentono la mobilità che nel tennis equivale al ground pass, cioè l’accesso ai campi non principali e con posti non assegnati. Nel golf si può andare in qualsiasi buca, non importa chi la stia giocando, e si può farlo tutto il giorno.

Nel tennis, i pacchetti variano a seconda del torneo, ma spesso sono strutturati in questo modo: oltre ai ground pass, ci sono accessi specifici per determinati campi televisivi che includono anche i ground pass (nel caso del Roland Garros Lenglen e ground pass, o Chatrier e ground pass, ma no Lenglen e Chatrier e ground pass) e poi gli accessi esclusivi per i posti migliori di tutti i campi. I posti esclusivi sono tipicamente quelli a bordo campo o i più vicini nel campo di appartenenza e, come visto al Roland Garros 2018, sono in larga parte vuoti nei primi turni.

Nel golf invece, i posti esclusivi sono solitamente al di sopra della buca e chi guarda in televisione non percepisce l’eventuale assenza di spettatori, perché all’altezza della buca è sempre pieno di persone.

Per i tornei che prevedono partite in notturna, nel tennis vengono spesso venduti biglietti separati per ciascuna sessione, diurna e serale. Provate a pensare se nel golf, nei primi due giorni di gara (giovedì e venerdì) si dovesse far entrare i possessori dei biglietti del secondo gruppo di partenti dopo aver fatto uscire quelli del primo gruppo.   

Idee varie per gli organizzatori

1) Considerare il biglietto per un determinato giorno valido per l’intero giorno, con la possibilità di muoversi per tutti i campi, tranne precise eccezioni. Non si deve pagare di più per vedere Rafael Nadal giocare contro un ripescato. Per quanto sia interessante vedere Nadal, i veri appassionati vogliono assistere a una buona partita.

Non pago in più per vedere la partenza di Rory McIlroy, perché dovrei pagare di più per vedere Caroline Wozniacki giocare un primo turno (perdonatemi per quello che starete pensando su questo esempio)?

2) Non programmare partite prima dei quarti di finale su campi con posti riservati a pacchetti aziendali. Sembra essere meno importante se ai possessori di biglietti ordinari è consentito l’accesso a quei campi, perché possono comunque vedere un grande giocatore con un biglietto normale, ma devono potersi avvicinare al campo se i possessori dei biglietti aziendali non sono ancora arrivati dopo la fine del primo set.

Per le ragioni esposte in precedenza, si vuole sempre vedere i posti a bordo campo pieni, per generare seguito e dare l’impressione che sia una partita fantastica (anche se non lo è). Originariamente, il Superdome di New Orleans aveva i seggiolini di diversi colori, in modo da far sembrare che fosse sempre pieno.

Immaginate di girare sulla diretta del Byron Nelson Classic e non vedere nessuno spettatore alla buca 15: non pensereste “Ah, devo proprio guardare quest’evento?”

Gli organizzatori sarebbero preoccupati di dover abbassare il prezzo dei pacchetti esclusivi, se comprendono meno partite. Forse, ma la maggior parte dei possessori di questi biglietti comunque non si presenta prima dei quarti di finale, quindi possono ricevere l’equivalente di un ground pass per i primi giorni.

E, onestamente, chi compra biglietti già molto costosi non nota la differenza di prezzo. Se riescono a vedere partite importanti nei turni preliminari, vale certamente la pena. 

Un altro problema generato da questa idea è la ben più ridotta capacità dei campi esterni, che si traduce nell’impossibilità per il torneo di ricevere lo stesso numero di persone, da cui il conseguente declino nei ricavi da biglietti. Ne parlo meglio in seguito.

3) Invece di vendere i biglietti a bordo campo come pacchetti esclusivi per le aziende, adottare il modello introdotto dalla NFL e in altri sport (in Italia nel calcio ad esempio, n.d.t.) e prevedere gli skybox, dei posti di lusso protetti, con visuale da metà altezza e amenità accessorie. Perché si rivolgono a persone che non seguono il tennis con estrema regolarità e subiscono più il richiamo sociale dell’evento che quello tecnico della partita. 

Gli organizzatori possono comunque far pagare di più posti individuali più vicini al campo, così come i posti dietro casa base nel baseball costano di più, o quelli solitamente occupati da Jack Nicholson accanto alla panchina dei Los Angeles Lakers quando giocano in casa. Sono però appassionati presi dalla partita e dallo sport. Tifano, non si trovano li solo per socializzare e fare bella figura con i clienti.

Il campo da tennis come un anfiteatro

4) Ed ecco l’idea più radicale. Abbandonare gli stadi tradizionali e la classica suddivisione dei posti a sedere, tranne forse per uno stadio per le fasi finali più importanti (quarti, semifinali e finale) nei tornei più rilevanti. Ogni campo invece dovrebbe essere al centro di un anfiteatro (di forma rotonda), con un prato che ha la giusta pendenza per favorire la visibilità e, se necessario per determinati contesti, posti esclusivi più elevati.

Pensiamo alla buca 18 al The Masters o al The Player Championship. I veri appassionati di golf praticamente circondano i giocatori durante la loro permanenza alla buca. Strutture temporanee tipo gazebo, per i possessori di pacchetti aziendali, vengono montate in posizione elevata dietro alle persone a livello della buca, in modo da garantire comunque ottimi posti ma con aria condizionata e abbeveraggio illimitato. Se poi vogliono scendere a visitare la buca 16 (o qualsiasi altra), possono comunque farlo, oppure rimanere nella comodità della tenda.

I tifosi di golf rispettano il gioco in estremo silenzio, ma la prossimità al centro dell’azione e applausi e incitamenti tra un colpo e l’altro danno una carica tremenda ai giocatori (e, da qui, agli altri tifosi). Apprezzano di essere immersi nella natura e di avere una vista a 360 gradi. In televisione è tutto bellissimo e ti fa desiderare di essere li. E questo al giovedì, solo il primo giorno di competizione. 

E se anche il tennis facesse così? Si avrebbe la stessa energia. Si avrebbe la stessa percezione che è esattamente quello che deve essere offerto alle persone che spendono soldi per uno spettacolo, di qualsiasi natura.

Sarebbe facile acquistare biglietti: o si rientra tra le aziende acquirenti dei posti esclusivi nei gazebo o, se non lo si è, il prezzo è unico e non serve preoccuparsi della scelta dei posti, di comprarne quattro vicini, etc. Ci si può spostare facilmente da un anfiteatro all’altro, riducendo la coda per entrare e uscire.

È un aspetto importante, visto che molto spesso alla ripresa del gioco occorre aspettare che l’afflusso e deflusso degli spettatori sia terminato: le interruzioni quindi non arrivano da comportamenti irrispettosi, ma dal movimento delle persone.

I possessori di pacchetti aziendali sono comunque sistemati in ottima posizione e con ospitalità esclusiva, possono vedere un po’ di tennis e socializzare. E la loro eventuale assenza nei primi turni non solo non è ripresa in televisione, ma non priva dell’energia che il contorno delle persone imprime all’evento.

In molti (se non in tutti) i contesti di tennis, un anfiteatro permetterebbe agli spettatori accesso alla bellezza del paesaggio circostante, così preponderante nei tornei di golf. Non sono sicuro come si possa fare in città tipo Atlanta, visto che il torneo è fisicamente situato in un’area di parcheggio del centro, ma deve esserci un’alternativa (ad esempio spostarlo oltre l’autostrada almeno fino a Piedmont Park, una specie di Central Park di New York con una bella visuale sui grattacieli di Atlanta).

In termini di vendita di biglietti, una sistemazione ad anfiteatro è molto più flessibile rispetto a campi con tribune scomode e di ridotte dimensioni, è più facile da gestire e darebbe ingresso a un numero di persone molto più alto di quello attualmente possibile nei campi secondari di un torneo di tennis.

Ciò non significa che non possano esserci tornei con posti a sedere classici da stadio (introducendo comunque alcune delle idee appena discusse) o in strutture al coperto dove è troppo freddo per lo stile anfiteatro. Preferirei vedere stadi come il Campo 1 (l’Arena) del Roland Garros, purtroppo ci si sta muovendo in direzione opposta.

Continuano a essere costruiti stadi o coperture mobili sopra quelli presenti, rendendo i tornei più suscettibili alle problematiche esistenti, tranne forse le condizioni meteorologiche.

In caso di pioggia, l’anfiteatro potrebbe essere parzialmente coperto, nella maniera in cui accade per le sedi dei concerti. È un ottimo esempio per dare credito all’idea: se vi fosse chiesto di scegliere tra un anfiteatro e il centro polifunzionale locale, quanti di voi preferirebbero quest’ultima soluzione?

Problemi di ordine pratico

Naturalmente, ci sono sostanziali problemi di ordine pratico nell’attuazione rapida di questa idea, visto che implica modifiche radicali alle infrastrutture esistenti di ogni torneo professionistico. Non deve però avvenire all’istante. Invece di pensarla come un’idea da demolizione totale, per avviare la procedura si potrebbe intenderla in due fattispecie mirate: 

  • i tornei che entrano in calendario a sostituzione di tornei in scadenza dovrebbero pensare a innovare con una visione non tradizionale che incorpori queste idee (o altre);
  • quando le sedi di tornei esistenti sono costrette a rinnovare, devono innovare. Il Roland Garros lo ha fatto poco, anzi ha fatto di più per portare avanti la tendenza attuale, anziché cambiare. Sono stati demoliti due dei campi più raccolti (negativo), e coperto uno stadio esistente per protezione dal meteo (ci può stare), preferendo chiaramente strutture imponenti a stadi come l’Arena (questo non riesco proprio a mandarlo giù). Però è in costruzione un nuovo campo che sfrutta i vantaggi dell’ambiente naturale fornito dai giardini botanici di Auteuil. Non è esattamente un anfiteatro, ma meglio che erigere un altro Chatrier o Lenglen. 

Stealing Ideas from Golf: The Se(a)(t)ting

Le teste di serie negli Slam: meglio 16 o 32?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 2 febbraio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dal 2019, le teste di serie nei tornei del Grande Slam saranno solo 16. I giocatori di vertice hanno espresso preoccupazione su questa modifica, perché ritengono che renderà più difficile il cammino verso le fasi finali degli Slam, dando spazio a partite meno competitive con l’avanzare del torneo.

Hanno ragione?

Poco prima che terminassero gli Australian Open 2018, il giornalista Tumaini Carayol ha scritto un articolo su The Ringer esaminando alcuni dei cambiamenti che verranno introdotti negli Slam nei prossimi anni. Stando ai giocatori, sono stati decisi senza ache siano stati consultati o con poca incidenza da parte loro, sollevando proposte per formare un sindacato.

Parlandone con i giocatori, Carayol – dal quale spesso gli stessi venivano per la prima volta al corrente dei piani di sviluppo delle modifiche – ha scoperto che la riduzione del numero di teste di serie negli Slam è uno degli aspetti che desta maggiore preoccupazione.   

Come stabilito dal direttivo del Grande Slam, si tratta di portare le teste di serie da 32 a 16, con effetto dal 2019. Si tornerà al sistema di una volta, di un periodo che alcune stelle del tennis – come Roger Federer – hanno già sperimentato.

Federer è stato in realtà uno dei pochi ad appoggiare il ripristino della vecchia modalità, la cui giustificazione di allora era quella di fornire maggiore protezione ai primi 30 giocatori della classifica, con la certezza di non giocare con un altro giocatore di quel gruppo almeno fino al terzo turno. Senza questo vincolo, si teme che diventi molto più complicato raggiungere la seconda settimana di gioco, almeno per i più forti. 

Tra i diversi motivi di disappunto da parte dei giocatori su questi cambiamenti programmati, uno dei più importanti riguarda l’assenza di chiarezza in merito alle conseguenze.

Non sappiamo se sia stato fatto uno studio sull’impatto delle modifiche, perché comunque non è stato condiviso con i giocatori o reso pubblico, lasciando aperta l’interpretazione sulla bontà di di queste misure.

Grazie ai diversi modi a disposizione per simulare l’esito di un torneo con ragionevole accuratezza, possiamo verificare come il ripristino delle sedici teste di serie condizionerebbe l’esito di uno Slam.

Competitività delle partite

La simulazione opera partendo da tutti i tabelloni degli Slam per il 2017. Le 32 teste di serie rimangono inalterate come previsto nel tabellone ufficiale. L’effettiva progressione a 32 teste di serie si basa sulle valutazioni Elo di ciascun giocatore all’inizio del torneo.

Per la singola simulazione, il risultato di ciascuna partita in un qualsiasi turno è un tabellone casuale secondo una distribuzione di Bernoulli (il lancio di una moneta) in cui la probabilità che vinca il giocatore più forte è affidata alla differenza di valutazione Elo.

Questo procedimento è replicato a ogni turno fino a determinare il vincitore. La sola differenza nella simulazione a 16 teste di serie è il rimescolamento casuale – all’inizio di ciascuna simulazione – di tutti i giocatori a eccezione dei primi 16.

Per ognuno dei quattro Slam, sono state eseguite 5000 simulazioni sia per il tabellone a 32 teste di serie che per quello a 16. Il riepilogo effettivo degli esiti associati ai due tabelloni mette insieme i risultati dei quattro tornei in modo da neutralizzare qualsiasi peculiarità nella scelta delle teste di serie in uno o nell’altro Slam.

Quali sono quindi gli esiti da prendere in considerazione?

Dal dibattito sulla modifica alle teste di serie, sembra che i due principali motivi di preoccupazione siano, da un lato, la competitività delle partite e, dall’altro, le vittorie a sorpresa nei primi turni.

Per affrontare la prima problematica, possiamo analizzare la frequenza con cui si verificano partite molto equilibrate a ogni turno nella configurazione a 32 e a 16 teste di serie. Se con 16 teste di serie ci sono più partite equilibrate, dovremmo allora attenderci una frequenza più alta nei turni iniziali.   

Se definiamo “equilibrata” una partita in cui vincitore e sconfitto attesi sono separati da un margine di probabilità di vittoria non maggiore del 30%, la simulazione per gli Slam maschili evidenzia una netta differenziazione in termini di competitività tra 32 e 16 teste di serie nei primi cinque turni.

IMMAGINE 1 – Variazione per singolo turno nella frequenza di partite equilibrate con la configurazione a 16 teste di serie negli Slam maschili

Nei primi due turni, gli Slam a 16 teste di serie comportano una frequenza maggiore di partite equilibrate, con un aumento di tre punti percentuali per i primi turni e dieci punti percentuali per i secondi turni.

L’altra faccia della medaglia di un maggior numero di partite equilibrate nei turni iniziali è un minor numero delle stesse nei turni successivi, dal terzo al quinto, con il terzo che subisce la variazione più significativa.

Per quanto riguarda il tabellone femminile, troviamo dinamiche simili con l’effetto ‘turni iniziali’ delle 16 teste di serie che si protrae per un turno aggiuntivo. In altre parole, con 16 teste di serie dovremmo attenderci partite più competitive dal primo al terzo turno (compreso) e partite meno competitive nei turni a seguire. 

IMMAGINE 2 – Variazione per singolo turno nella frequenza di partite equilibrate con la configurazione a 16 teste di serie negli Slam femminili

È interessante notare che, se la frequenza di partite equilibrate nelle semifinali e finali maschili non sembra modificarsi in funzione del numero di teste di serie, con un tabellone femminile a 16 teste di serie ci si può attendere una riduzione di cinque punti percentuali nelle semifinali e finali equilibrate.

Giusto risultato

È probabile che tutti abbiano una loro opinione su cosa renda ‘grande’ un torneo Slam. Non dovrebbe esserci invece alcun disaccordo nel ritenere un torneo altamente valido nel momento in cui i giocatori ottengano risultati in linea con il livello di gioco che compete loro. Definisco questa proprietà “giusto risultato”. 

Per verificare che i risultati per turno siano effettivamente ‘giusti’, possiamo ricavare il turno che ci si attende un giocatore raggiunga dalla sua valutazione Elo all’inizio del torneo.

Se un giocatore è al primo posto della classifica, ci si attende che arrivi in finale, quindi al settimo turno, mentre se un giocatore è il 128 della classifica, il suo turno atteso è il primo. Quando viene raggiunto un turno diverso da quello atteso, potrebbe essere indice di una configurazione non ottimale del tabellone.

Analizziamo come ci si attende che vari nei primi tre turni il raggiungimento di ciascun turno del tabellone maschile rispettivamente con 32 e 16 teste di serie. Notiamo effetti importanti al primo e al terzo turno.

Con 16 teste di serie, un numero significativo di giocatori avanza al secondo e al terzo turno, quando invece dovrebbe perdere al primo turno. Di converso, molti più giocatori che dovrebbero raggiungere il terzo turno vengono sconfitti a sorpresa al primo turno.

IMMAGINE 3 – Variazioni nel turno atteso ed effettivamente raggiunto per i primi tre turni (1 — 3) del tabellone maschile a 16 teste di serie

Anche nei turni successivi, dal quarto turno alla finale, si verificano grandi variazioni, principalmente al quarto turno e nei quarti di finale. Notiamo che con il tabellone a 32 teste di serie la probabilità che vadano avanti i giocatori più forti è maggiore. Dopo i quarti di finale, la dinamica è simile ma con differenze molto più ridotte. 

IMMAGINE 4 – Variazioni nel turno atteso ed effettivamente raggiunto per i gli ultimi 4 turni (4 — 7) del tabellone maschile a 16 teste di serie

Per i primi tre turni del tabellone femminile, lo scostamento tra turno atteso e turno raggiunto è stato abbastanza simile a quanto osservato per gli uomini. Le differenze più interessanti si presentano a partire dal quarto turno.

Se l’impatto delle 32 teste di serie per gli uomini è incentrato sui primi due turni, un tabellone a 32 teste di serie avrebbe una tendenza molto più pervasiva nel far avanzare le giocatrici migliori agli ultimi turni.

IMMAGINE 5 – Variazioni nel turno atteso ed effettivamente raggiunto per i gli ultimi 4 turni (4 — 7) del tabellone femminile a 16 teste di serie   

Riepilogo

La valutazione di un possibile impatto legato al ritorno di tabelloni Slam a 16 teste di serie suggerisce la fondatezza del timore espresso dai giocatori più forti su sconfitte ai primi turni.

Per entrambi i circuiti, ci si attende che la modifica che entrerà in vigore nel 2019 ottenga risultati inferiori nella selezione dei giusti vincitori per ogni turno, riducendo del 5% la probabilità che i giocatori raggiungano il turno per loro atteso.

Per chi sostiene che la configurazione a 16 teste di serie aumenterà l’imprevedibilità e quindi l’eccitazione degli Slam, la frequenza attesa delle partite equilibrate suggerisce che così sarebbe solo per i primi turni, mentre per la seconda settimana ci si attendono partite molto più a senso unico.

Questo è specialmente vero nel caso del tabellone femminile, aspetto che potrebbe essere legato alla differenza di competitività del circuito negli ultimi anni.    

Nel tennis non si dovrebbe respingere l’esigenza al cambiamento per partito preso, ma è altrettanto importante assicurare che le modifiche implementate abbiano un alto potenziale migliorativo e non siano frutto di cambiamento fine a sé stesso.

Slam Seeding – Is 16 Better than 32?

Una nuova statistica per misurare la fruizione visiva del tennis professionistico

di Rohan Rao // PrincetonSportsAnalytics

Pubblicato il 3 dicembre 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Negli ultimi tempi, organizzazioni come la NCAA (la lega collegiale americana) hanno cercato di incrementare l’audience televisiva del tennis introducendo modifiche al regolamento con l’obiettivo di ridurre la lunghezza delle singole partite.

La logica sottostante questi cambiamenti è di aumentare l’importanza relativa di ciascun punto in modo da rendere l’esperienza complessiva più emozionante. Ritengo sia una questione di primaria importanza per uno sport alle prese con un calo degli ascolti (la finale del singolare maschile degli US Open ha totalizzato 1.4 milioni di telespettatori in meno rispetto a quella dell’anno precedente).

Creare maggiore incertezza?

Creare più incertezza è davvero la soluzione migliore per attrarre pubblico televisivo o per accrescere l’emozione generata da una partita di tennis?

Stabilire quali siano esattamente le regole da modificare per consolidare la base di spettatori rischia di essere un compito improbo. Tuttavia, analizzando statisticamente la selezione dei colpi adottata dai giocatori in più partite di più tornei, è possibile a mio avviso elaborare un indice sostitutivo utile nel definire il livello di emozione o d’interesse di una partita e in grado di arricchire la comprensione della problematica.

Intuitivamente, si tratta di una misurazione dello scostamento della distribuzione nella selezione dei colpi rispetto alla distribuzione di colpi attesa.

Altri modelli utilizzano statistiche dipendenti dall’effetto che ogni punto produce sulla partita nel suo insieme. È sicuramente un approccio legittimo, che tenta di descrivere l’emozione in funzione della maggiore incertezza su quale sarà il giocatore a vincere la partita, ma che non è in grado di catturare l’eccitazione legata alla creatività e alla diversa prestazione in campo dei giocatori.

L’eccitazione deriva da giocate fuori dal comune, che hanno un ruolo importante nell’influenzare il giudizio sulla qualità della partita. Gli scambi considerati più belli sono infatti spesso oggetto di video che poi vengono condivisi sui canali social con effetto moltiplicatore (che, incidentalmente, è anche un modo per avvicinare nuovi appassionati al tennis).

Un modello per le giocate fuori dal comune

Definiamo un semplice modello come segue:

𝐺 è una variabile casuale che assume vettori nella forma

tale che

Intuitivamente, si può pensare a 𝐺 come alla rappresentazione numerica di una partita.

Introduciamo una conveniente trasformazione

definita come

dove D è {1, 2, …, 18}  e ai è l’elemento nella i-esima colonna. La trasformazione T converte semplicemente il vettore dei numeri nel vettore delle percentuali. Definiremo una nuova statistica 𝜑 come:

dove

è un’occorrenza osservata di 𝐺.

Valori più alti di 𝜑 danno indicazione di una partita più emozionante (è utile notare che si richiede solo una stima grezza del centro dei dati visto che l’indice in questione restituisce solo informazioni ordinali. In effetti, può andare bene qualsiasi misura del centro). Sviluppando il modello:

𝑇 (𝔼 (𝐺)) = [45.69, 36.16, 2.08, 9.529, 1.384, 1.52, 0.842, 0.057, 0.456, 0.614, 0.403, 0.745, 0.15072, 0.152674, 0.171139, 0.026, 0.015, 0]

𝔼 (𝐺) è stimato dall’insieme di dati a disposizione come

che rappresenta la stima secondo il metodo della massima verosimiglianza per µ di 𝐺, con 𝐺j i vettori casuali indipendenti e identicamente distribuiti con distribuzione di probabilità 𝐺.

Valori campione

La scelta di un vettore partita sulla base di dati reali restituisce i seguenti valori campione:

    • 1978 Pepsi Grand Slam – Semifinale – Borg vs Gottfried (6-2 6-4) = 41.5
    • 1990 US Open – Finale – Sampras vs Agassi (6-4 6-3 6-2) = 11.21
    • 2014 Australian Open – Finale – Wawrinka vs Nadal (6-3 6-2 3-6 6-3) = 9.34

Con più rovesci tagliati di qualsiasi altro colpo, la partita tra Bjorn Borg e Brian Gottfried presenta una deviazione dalla distribuzione standard della selezione dei colpi.

Quella tra Pete Sampras e Andre Agassi si è avvicinata di più al vettore atteso, mostrando tuttavia una deviazione in virtù della volontà di entrambi i giocatori di colpire rovesci a rimbalzo in topspin invece che rovesci tagliati.

La partita tra Stanislas Wawrinka e Rafael Nadal è andata vicino alle aspettative, con solo una percentuale più alta di dritti a rimbalzo in topspin. 

Qual è quindi il significato di 𝜑?

Da un punto di vista matematico, 𝜑 calcola la distanza tra i due vettori che rappresentano le distribuzioni trovando la norma del vettore differenza (differenza tra il vettore trasformato atteso e il vettore trasformato osservato).

Che tipo di delucidazioni può dare questo valore rispetto a una specifica partita?

In primo luogo, è un valido strumento per identificare quelle partite che si distinguono per la prevalenza di un determinato colpo. Alti valori di 𝜑 possono segnalare dinamiche di gioco atipiche (una prevalenza di volée ad esempio potrebbe indicare scambi più rapidi). Se si necessita di un’analisi più approfondita, si possono studiare gli specifici vettori oggetto di calcolo.

Il vettore trasformato osservato di gioco fornisce la distribuzione della selezione dei colpi durante la partita. La deviazione quadrata di ciascun componente può aiutare a individuare le differenze più significative tra vettore atteso e vettore osservato, utili per trarre conclusioni quantitative relativamente al tipo di colpi giocati e allo stile complessivo della partita.

Pur essendo un indice da cui ricavare molte informazioni, 𝜑 non tiene conto direttamente del posizionamento o della velocità dei colpi, entrambe caratteristiche in grado di incidere sullo stile e sul ritmo di gioco.

Tuttavia, avere maggiore comprensione del tipo di colpi che sono stati usati durante la partita conferisce una solida base statistica da cui dedurre informazioni su velocità e posizionamento.

In media, ad esempio, i colpi tagliati sono più lenti degli smash, e, sempre in media, i pallonetti sono più profondi delle volée. Il valore di 𝜑 può segnalare in quali partite trovare colpi con caratteristiche di velocità o posizionamento più interessanti e valevoli di ulteriore analisi con altre metodologie.

Il fattore sorpresa

Una perplessità che è stata sollevata riguarda la possibilità che alcune partite con alto 𝜑 siano in realtà più noiose di altre con basso 𝜑, aspetto che muoverebbe a sfavore di questa statistica nel catturare le partite interessanti.

Un amico ha portato come esempio una partita fatta solo di dritti, che potrebbe essere più noiosa di una con una classica distribuzione dei colpi. Lo scopo di 𝜑 non è di supportare definizioni soggettive di quanto una partita sia interessante. Sarebbe un approccio per cui è richiesto di identificare un’ideale distribuzione che porta alla “partita in assoluto più interessante”, ma che non è percorribile secondo un metodo davvero basato sulla logica.

Invece, 𝜑 è costantemente in grado di verificare in modo oggettivo lo scostamento dalla norma della modalità in cui è stata giocata una partita. Più è inaspettata, più risulta sorprendente.

E proprio su questo elemento di sorpresa si potrebbe fare leva per attrarre spettatori, visto che è un valore oggettivo da interpretare per classificare quanto una partita sia relativamente interessante. Molto spesso 𝜑 può essere indice di quanto sia emozionante ciascun punto (semplicemente perché non è quello che ci si attende).

Vale la pena sottolineare che l’unica garanzia fornita dal valore 𝜑 𝐺 è che 𝐺 è più irregolare di alcune 𝐺* tale che 𝜑 𝐺* < 𝜑(𝐺). Guarderei comunque con molto interesse anche una partita di soli dritti, ma se si è preoccupati che una partita del genere venga penalizzata per la sua omogeneità, si può introdurre una nuova statistica:

per la quale 𝜗 è massimizzata quando tutte le componenti del vettore partita osservato sono uguali, vale a dire nella partita con la distribuzione di colpi più perfettamente bilanciata. 

Esiti positivi

Ritornando al quesito iniziale, possiamo affermare che l’indice 𝜑 sia davvero in grado di riflettere il livello di eccitazione o di interesse che trasmette una partita?

Per certi versi, la risposta è positiva. L’idea di fondo è che eliminando alcuni dei vincoli presenti nel regolamento tennistico del “vincere con (almeno) uno scarto di due” è possibile aumentare le circostanze di un risultato a sorpresa, rendendo le partite a tutti gli effetti più combattute e nel contempo più veloci, ingredienti potenzialmente più accattivanti per conquistare nuovi spettatori.

Parallelamente, partite caratterizzate da un alto valore di 𝜑 avrebbero scambi creativi con colpi poco ortodossi che si presterebbero naturalmente a essere inclusi nei video che circolano sui social e che aiutano ad ampliare la base di spettatori (allo stesso modo in cui spezzoni di giocate memorabili favoriscono l’aumento del numero degli appassionati NBA perché più persone rimangono in estasi di fronte ai tiri impensabili di giocatori come Stephen Curry).

Le partite in cui gli scambi seguono dinamiche meno prevedibili possono essere più interessanti e regalare più emozioni. Sono entrambi aspetti da tenere in attenta considerazione, in ottica di lungo periodo, per migliorare la competizione.

Aumentare l’eccitazione

Allo stesso modo in cui è stato suggerito di eliminare la struttura con vittoria per scarto di almeno due punti nei game ai vantaggi, esiste un modo per incentivare dinamiche di scambio che aumentino il valore 𝜑 di una partita?

Una possibilità sarebbe quella di introdurre qualche tipo di vincolo temporale durante il punto, come ad esempio costringere il giocatore al servizio a provare a terminare lo scambio entro un determinato intervallo di tempo, pena l’assegnazione del punto al giocatore alla risposta (una variazione all’alternanza attacco/difesa del basket).

In questo modo diminuirebbero molti dei dritti o rovesci interlocutori, facendo aumentare di converso i colpi di approccio e i punti a rete. La riduzione dei colpi a rimbalzo si tradurrebbe in un aumento del valore 𝜑 di una partita.

Sarebbe senza dubbio un cambiamento radicale, e quindi di improbabile accadimento, ma sono convinto che per rendere il tennis ancora più emozionante e allargare il numero di tifosi, si dovrebbe valutare – insieme agli altri indici emozionali – anche una statistica come 𝜑, o una della stessa natura. 

A New Metric to Analyze Viewer Experience in Pro Tennis

Statistiche emozionali a confronto

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 10 novembre 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Con una statistica emozionale a disposizione può essere più facile separare le partite monotone da quelle al cardiopalmo. In questo articolo, metto a confronto aspetti positivi e negativi di due metriche di misurazione dell’emozione generata da una partita.

In un precedente articolo, ho introdotto una statistica emozionale denominata variazione della probabilità cumulata (cumulative probability change o CPC), prendendo ispirazione dalla probabilità aggiunta di vittoria del campionato (championship Win Probability Added o cWPA) utilizzata nella Major League Baseball. La CPC osserva la variazione – da un punto al successivo – della probabilità di vittoria da parte di un giocatore e cumula questi cambiamenti per ottenere il valore emozionale complessivo della partita.

Come ho ricordato, esiste anche l’indice emozionale (IE) creato da Jeff Sackmann di TennisAbstract. A differenza della CPC, l’IE osserva l’importanza media dei punti, con ‘importanza’ qui definita come la variazione attesa nella probabilità di vittoria di un giocatore in funzione della possibilità di vincere o perdere il punto che sta venendo giocato in un determinato momento.

Qual è la differenza tra questi due indici? E quale dei due dovremmo preferire?

Un modo per affrontare la questione è considerare cosa faccia assumere a ciascun indice un valore grande. Dato che la CPC è una somma tra punti, avrà un valore più alto per partite più lunghe e, tra le partite lunghe, un valore ancora più alto in presenza di molteplici cambiamenti di fronte nel favorito alla vittoria finale, determinando variazioni più ampie punto su punto nel livello di vittoria attesa.

L’IE invece è una media e potrebbe quindi assumere valori più alti sia in partite brevi che in quelle lunghe. L’elemento che ne determina l’aumento è la situazione in cui c’è un alto potenziale per capovolgimenti di fronte in molti punti della partita. Il fattore critico in questo caso è il “potenziale”, perché, ponendo attenzione sull’importanza, si sofferma sulla capacità di qualsiasi punto di creare un ampia variazione di andamento della partita, ma non tiene conto se questo si è poi effettivamente verificato.

Un esempio concreto

Un esempio concreto ci permette di apprezzare le differenze in modo più chiaro. L’immagine 1 mostra il grafico del raffronto tra la CPC – sull’asse delle ordinate – e l’IE – sull’asse delle ascisse – per tutte le partite degli US Open 2017 (a esclusione di quelle terminate con un ritiro). Si nota una forte correlazione tra le due metriche, che diventa approssimativamente lineare quando la CPC è portata a 0.4 (come ho fatto nel grafico).

IMMAGINE 1 – Raffronto tra statistiche emozionali per le partite di singolare maschile degli US Open 2017

La correlazione però non è perfetta, vale a dire che ciascun indice restituisce risultati diversi: se dovessimo usarli per stilare una classifica delle partite più emozionanti, avremmo esisti differenti.

Le quattro partite evidenziate in arancione sono quelle in cui la differenza è massima. Sono tutte situazioni in cui la CPC è moderata mentre l’IE è molto alto, al punto che tutte sono rientrate tra le prime 20 partite più eccitanti degli US Open. Per l’IE, la partita tra Borna Coric e Jiri Vesely raggiunge addirittura il terzo posto assoluto!

Da ciascun punteggio, notiamo come tre di queste si siano concluse in tre set e abbiano avuto molteplici break. Si è trattato cioè di partite con punteggio ravvicinato, nelle quali però il vincitore è stato sempre in vantaggio durante i singoli set. Nonostante questo, sono partite con alta importanza media per via del loro equilibrio e della possibilità che si sarebbe potuto assistere a un ribaltamento di fronte in qualsiasi momento, anche se poi questo non è mai accaduto.

Statistiche nella maggior parte dei casi tra loro coerenti

Secondo la CPC nessuna di queste partite rientra tra le prime 20, per via del fatto che non sono state particolarmente lunghe e non si sono verificati grandi passaggi a vuoto del giocatore al comando da comportare un possibile concreto recupero dell’inseguitore.

Si tratta comunque di due statistiche, nella maggior parte dei casi, tra loro coerenti. Se in disaccordo però, la differenza può essere marcata. Dare una preferenza si riduce in definitiva a considerare più eccitante l’aspettativa di un cambiamento di fortuna rispetto alla sua concreta realizzazione.

Il codice e i dati dell’analisi sono disponibili qui.

The Many Sides of Excitement

Una statistica emozionale e la sua applicazione al singolare maschile degli US Open 2017

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 3 novembre 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Le World Series 2017 della Major League Baseball hanno regalato agli appassionati un finale di campionato entusiasmante, ponendosi come riferimento per valutare il grado di eccitazione che un evento sportivo può trasmettere. In questo articolo, si analizza una statistica emozionale per il tennis e la si utilizza come parametro per stabilire una classifica tra le partite del singolare maschile degli US Open 2017.

Una statistica dalle World Series di baseball

Gli Houston Astros hanno vinto il loro primo campionato di baseball battendo i Los Angeles Dodgers in sette partite, in quella che probabilmente rimarrà a lungo una delle serie più incredibili. Ancor prima che la serie finisse, gli esperti di sabermetrica pronosticavano un livello emozionale mai raggiunto in precedenza. Utilizzando un indice chiamato probabilità aggiunta di vittoria del campionato (championship Win Probability Added o cWPA), due delle prime cinque partite erano già considerate tra le prime 20 più eccitanti di sempre.

La cWPA si basa sulla variazione della probabilità di una squadra di vincere il campionato da un momento di gioco al successivo. Grandi scostamenti nella probabilità di vittoria solitamente indicano un passaggio chiave nella serie, di quelli che possono cambiare l’esito finale, come il punto segnato da Alex Bregman nel decimo parziale di gara 5 che ha mandato Houston a un sola vittoria dal titolo.

Seguendo la serie, la cWPA mi è sembrata un modo interessante per mettere in risalto i momenti più importanti e la generale follia in campo associata alle World Series 2017. Mi ha anche fatto pensare alla possibilità di utilizzare un metodo simile nel tennis.

Variazione della probabilità cumulata

Nel tennis, l’analogo della cWPA è dato dalla variazione della probabilità cumulata (cumulative probability change o CPC). Per ogni punto di una partita, la CPC analizza la variazione della probabilità di vittoria del giocatore favorito, sommandone i valori assoluti per ottenere la grandezza complessiva degli “alti e bassi” di una partita.

Da un punto di vista matematico, se una partita è composta da n punti giocati e la probabilità di vittoria del giocatore favorito è Wi, dove i è l’iesimo punto, la CPC è data dalla seguente formula:

In una partita in cui è il giocatore più forte ad andare avanti nel punteggio senza mai subire rimonta, variazioni nella probabilità di vittoria saranno contenute e relativamente pochi i punti giocati, con una bassa CPC complessiva. Se però aumenta il numero dei punti, per situazioni di tiebreak o per game prolungati ai vantaggi, anche la CPC sarà più alta.

Attraverso la CPC possiamo quindi avere un’idea del valore emozionale di una partita. A parità di altre condizioni, è più probabile che una partita con una CPC alta catturi l’attenzione degli spettatori più di una partita con una CPC bassa.

Anche Jeff Sackmann di TennisAbstract ha introdotto una statistica per la misurazione dell’entusiasmo di una partita, l’indice emozionale, che è simile alla CPC ma che viene determinata dalla probabilità media di vittoria, soffermandosi cioè sull’equilibrio complessivo della partita.

Una classifica emozionale degli US Open 2017

Per avere un esempio concreto, vediamo come si comporta la CPC con le partite degli US Open 2017. Per la probabilità di vittoria punto per punto ho utilizzato una metodologia predittiva che si modifica durante la partita, partendo dalla valutazione Elo di ciascun giocatore prima della partita e aggiornando il suo predominio atteso in funzione del rendimento ottenuto al servizio fino al punto in questione. Questo significa che vengono considerate sia la qualità del giocatore che l’andamento del punteggio, così che due partite che raggiungono il medesimo punteggio non necessariamente possano restituire la stessa previsione di vittoria.

Il grafico dell’immagine 1 riporta la CPC (l’indice emozionale) sull’asse delle ordinate rispetto ai punti totali giocati indicati sull’asse delle ascisse (nella versione originale, è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). Si evidenzia chiaramente una correlazione positiva, con partite più lunghe che tendono ad avere una CPC più alta. È ragionevole che sia così visto che una partita lunga necessariamente è più equilibrata, come nel caso dell’epico primo turno tra Denis Istomin e Albert Ramos.

IMMAGINE 1 – Indice emozionale per le partite di singolare maschile degli US Open 2017

Variazioni significative anche con numero di punti simile

È interessante notare come possa esserci una variazione anche significativa tra le CPC di partite con un numero simile di punti giocati. Prendiamo ad esempio due delle partite di Leonardo Mayer. La vittoria in quattro set al secondo turno contro Yuichi Sugita ha richiesto 258 punti con una CPC di 9.7. Nel turno successivo, la partita contro Rafael Nadal è durata sempre quattro set con 260 punti e una CPC di 5.5.

Come mai questa differenza? Le due partite sono iniziate in modo analogo, con la vittoria del primo set al tiebreak da parte del giocatore che ha poi perso la partita. La CPC della partita contro Nadal è stata quasi la metà di quella contro Sugita perché Nadal ha dominato nei tre rimanenti set e perché aveva un vantaggio enorme prima dell’inizio della partita, vale a dire che la sua probabilità di vittoria è rimasta molto alta anche dopo aver perso il primo set. La partita contro Sugita invece ha lasciato l’esito finale più a lungo in sospeso.

Considerare anche la bravura del giocatore

Non possiamo definire la CPC una misura emozionale senza aver valutato anche la bravura dei giocatori. Ipotizziamo di avere due partite con identico andamento punto per punto ma con una coppia di giocatori medi da una parte e Roger Federer e Nadal dall’altra. La maggior parte degli appassionati certamente ritiene la seconda più emozionante, aspetto che suggerisce che la bravura complessiva dei giocatori incide sull’interpretazione della CPC.

Nel grafico dell’immagine 2, ho provato a includere la bravura prendendo la somma della valutazione Elo specifica per il cemento di ciascun giocatore all’inizio del torneo. Mettendo a confronto la CPC con questa misura della bravura, la zona del grafico più interessante diventa il quadrante superiore di destra. È qui infatti che si posizionano le partite con una CPC e un livello di talento più alti della media.

IMMAGINE 2 – Indice emozionale rispetto alla bravura dei giocatori per le partite di singolare maschile degli US Open 2017

È curioso come due delle partite che più hanno fatto discutere in cui ha giocato Juan Martin Del Potro siano rappresentate in quest’area, la maratona in cinque set contro Dominic Thiem, che ha la CPC più alta tra le due, e la vittoria in quattro set contro Federer. È però la partita da 355 punti tra Jack Sock e Jordan Thompson a ottenere la CPC maggiore del quadrante a più alta bravura.

Non sono solo gli statistici del baseball a divertirsi con la probabilità di vittoria, anche il tennis può usare indici come la CPC per contribuire con una nuova visuale al dibattito sulle partite più emozionanti.

Il codice e i dati dell’analisi sono disponibili qui.

A Stat for Excitement and What It Reveals About the Best Men’s Matches at the 2017 US Open

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 17 (sul sangue freddo dei giocatori di vertice)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 2 luglio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 16.

Wimbledon 2016 è il primo Slam da quando Ivan Lendl ha ripreso ad allenare Andy Murray. La loro collaborazione a intermittenza fornisce un interessante esperimento naturale sull’effetto allenatore, nonché un motivo aggiuntivo per analizzare uno dei temi a me più cari nel tennis.

Lo stoicismo di Lendl va oltre la facile ironia che può derivarne. Si tratta in realtà di una delle spiegazioni più citate per evidenziare la capacità di Murray di aver mantenuto il controllo durante le edizioni di Wimbledon 2012 (finale) e Wimbledon 2013 (primo titolo), in cui la pressione di un’intera nazione era sulle sue spalle.

Il contrasto tra le due personalità – quella di Lendl che non lascia trasparire alcuna emozione e quella di Murray che lo rende invece soggetto a montagne russe emozionali in campo che fanno sembrare Fabio Fognini un maestro Zen – concentra l’attenzione sul temperamento di un giocatore e sulla misura con cui incide sul rendimento.

Anche se i giocatori professionisti sono un gruppo eterogeneo di personalità, il consenso diffuso attribuisce alla capacità di tenere a bada le emozioni nei momenti di maggiore pressione un ingrediente chiave per diventare un campione. I giocatori migliori sono davvero degli animali a sangue freddo?

Mito 17: “I giocatori di vertice sono più stabili degli altri”

Con il Mito 17 di Analyzing Wimbledon, Klaassen e Magnus analizzano il nesso tra stabilità di un giocatore e livello di bravura. In questo caso, con “stabilità” i due autori si riferiscono a una caratteristica del lato mentale di un giocatore: definirlo “stabile” è un altro modo per dire che possiede sangue freddo. Sono interessati a capire se i giocatori più forti sono anche quelli emozionalmente più stabili.

Evidentemente, non è possibile misurare con il metro la stabilità emozionale di un giocatore: le emozioni non sono una caratteristica fisica come l’altezza. Come fanno Klaassen e Magnus?

Il loro approccio è di tipo indiretto, ipotizzano cioè che la mentalità di un giocatore (o giocatrice) si manifesterà nel modo in cui egli è in grado di adattarsi alle situazioni di gioco. E se le emozioni incidono sul rendimento, il giocatore che le subisce avrà una prestazione scadente nelle circostanze di maggiore pressione. Questo significa che la verifica di come il rendimento di un giocatore sia influenzato dalla particolare circostanza (ad esempio di fronte a una palla break da salvare nel set che può decidere la partita, o in vantaggio di un break nel secondo set, etc) può rivelarne la stabilità mentale.

Importanza del punto ed esito del punto precedente

Ci sono due situazioni partita che Klaassen e Magnus considerano per il Mito 17. La prima è l’importanza del punto, intesa come il cambiamento nella probabilità attesa di un giocatore di vincere un partita se il punto in questione è vinto o perso. Siccome l’importanza è maggiore nel momento in cui un punto ha più incidenza sull’esito di una partita, si tratta essenzialmente di una misura della pressione.

La seconda si riferisce all’esito del punto precedente, cioè vedere se il giocatore ha vinto o ha perso il punto appena giocato. Questo è il modo dei due autori per testare l’influenza di uno specifico passaggio della partita sulla tenuta psicologica.

Per verificare se i giocatori migliori siano anche i più stabili, gli autori hanno utilizzano dati storici di Wimbledon nelle due situazioni partita appena considerate, in funzione della classifica di un giocatore. Hanno trovato che, in generale, i giocatori sono condizionati dall’importanza del punto, cioè hanno un rendimento lievemente peggiore nelle situazioni più delicate rispetto a quelle più tranquille. Hanno però anche trovato che si tratta di un effetto che varia a seconda del giocatore: in particolare, un giocatore dalla classifica più alta del suo avversario è meno influenzato dall’importanza del punto.

Per quanto riguarda il vantaggio psicologico, la vittoria del punto precedente ha un impatto positivo sul giocatore medio, una specie di effetto mano calda. Klaassen e Magnus non hanno riscontrato però una variazione associata alla classifica, quindi l’effetto generato dal sentirsi vincente sembra essere meno indicativo della differenza di mentalità associata al livello di bravura.

Una rivisitazione del Mito 17

L’analisi suggerisce che la pressione e il vantaggio psicologico sono entrambi concreti fattori d’influenza, ma con un effetto che varia da giocatore a giocatore. Mi interessava conoscere proprio quanto questi effetti siano variabili nel gioco di oggi e se è ancora possibile determinare che i giocatori migliori sono anche quelli che subiscono in misura minore le situazioni partita.

Ho considerato i dati punto per punto per i tornei Slam del 2014 e del 2015. Per ogni giocatore, ho fatto una stima media del rendimento differenziando tra servizio e risposta (il “minimo base”). La somma delle due stime è la mia misura della bravura di un giocatore, che si discosta da quella di Klaassen e Magnus perché ritengo che la classifica sia un indicatore eccessivamente limitativo.

Uomini

Il grafico dell’immagine 1 mostra la comparazione tra l’effetto dell’importanza del punto sulla capacità di vincere punti al servizio e il minimo base nell’abilità al servizio e alla risposta di un giocatore (“livello di bravura”) (nella versione originale, è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). La distribuzione evidenzia un ampio intervallo di effetti. Come riscontrato dai due autori, la maggior parte dei giocatori è condizionata dalla pressione, ma ci sono alcune interessanti eccezioni come Nick Kyrgios, che nel periodo tra il 2014 e il 2015 ha ottenuto un rendimento moderatamente migliore. Anche Murray e Novak Djokovic sono giocatori impermeabili all’importanza del punto.

L’andamento positivo nella nuvola di punti indica una correlazione diretta tra diminuzione dell’effetto dell’importanza del punto e aumento del livello di bravura del giocatore. Va detto che si tratta di una relazione piuttosto influenzata da rumore statistico.

IMMAGINE 1 – Effetto sui giocatori dell’importanza del punto rispetto alla capacità di vincere punti

Relativamente al vantaggio psicologico, ho usato il differenziale punti del set visto nel Mito 16, cioè la differenza tra i punti vinti da un giocatore e i punti vinti dal suo avversario. L’immagine 2 mostra l’effetto del vantaggio psicologico specifico per giocatore. In generale, essere avanti nel punteggio migliora il rendimento. Però, non si assiste a una diminuzione all’aumentare del livello di bravura del giocatore come indica la nuvola di punti orientata verso il basso. Questo suggerisce che i giocatori migliori subiscano in misura minore l’effetto del sentirsi vincente o dell’avere la mano calda. Va notato che nessun giocatore del gruppo era esente da un effetto positivo, anche moderato.

IMMAGINE 2 – Effetto sui giocatori del differenziale punti del set rispetto alla capacità di vincere punti

Donne

Riguardo al circuito femminile, l’immagine 3 mostra una correlazione più debole tra importanza del punto e livello di bravura della giocatrice. La maggior parte delle giocatrici è condizionata dalla pressione in misura simile, con alcune interessanti eccezioni come Garbine Muguruza, il cui rendimento al servizio sui punti più importanti è decollato di dieci punti percentuali nel periodo tra il 2014 e il 2015. Non c’è però nessun legame solido con la bravura nelle altre eccezioni riscontrate.

IMMAGINE 3 – Effetto sulle giocatrici dell’importanza del punto rispetto alla capacità di vincere punti

Se analizziamo il rapporto tra vantaggio psicologico e livello di bravura delle giocatrici, la tendenza è più simile a quanto trovato per i giocatori. Tutte le giocatrici rendono meglio in presenza di un differenziale punti del set positivo, ma l’effetto del sentirsi vincente tende a ridursi con il livello di bravura. In ogni caso, il rumore statistico è piuttosto rilevante.

IMMAGINE 4 – Effetto sulle giocatrici del differenziale punti del set rispetto alla capacità di vincere punti

Riepilogo

Stime specifiche per giocatore (giocatrice) su quanto il rendimento sia influenzato dalla pressione e dal vantaggio psicologico rivelano che i giocatori migliori sembrano essere anche i più bravi a ignorare le situazioni partita. In altre parole, sono loro, più di altri giocatori, ad assegnare la stessa importanza a ogni punto. Sono tendenze però non esenti da molta varianza e un giocatore qualunque può deviare anche di molto dalla norma. In generale, questo dovrebbe farci riflettere ogni volta che sentiamo o leggiamo affermazioni perentorie sulla mentalità dei giocatori e il rendimento nel tennis.

Sebbene la tematica sia complessa, queste analisi mostrano come l’utilizzo della variazione punto per punto nel rendimento è una modalità utile per analizzare (indirettamente) la mentalità di un giocatore (ho fatto riferimento a questa idea in una ricerca sulla mentalità nel gioco del tennis scritta insieme a Martin Ingram e presentata alla Sloan Conference 2016). Forse non potranno mai spiegare esattamente come l’accoppiata Lendl-Murray funzioni così bene, ma sono strumenti che comunque possono aiutare a fare luce su alcuni dei misteri latenti del tennis.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 17

Tutti i colori di una finale reale

di Edoardo Salvati // settesei.it

Quando la fortuna coincide con un passaggio di storia del tennis, è doveroso condividerne le sensazioni, anche se per una volta non hanno nulla di statistico (Settore 16 – Fila P – Posto 41). 

Assistere alla finale di uno Slam è un atto di fede. C’è l’incoscienza, al momento dell’acquisto del biglietto, propria di un investimento ad alto rischio. La certezza sui nomi dei finalisti infatti arriva solo nei due giorni precedenti alla partita, quando ormai è troppo tardi per garantirsi un posto se non si è in possesso di ingenti risorse economiche.

C’è la speranza che ad arrivare al termine di un processo di selezione a cui si candidano le 128 persone più preparate del pianeta in quella specifica attività siano due professionisti di comprovata esperienza, che diano vita a uno spettacolo di cui si parlerà negli annali della disciplina.

Ma, soprattutto, c’è il desiderio che uno di quei due atleti sia il campione che ammiri, che vorresti fosse tuo amico per poterlo chiamare al telefono ogni volta che ti gira, con cui hai condiviso infinite gioie e sofferenze, trionfi e tragedie della simmetria di uno sport a somma zero, dove la vittoria dell’uno significa la sconfitta dell’altro.

Una finale dai contorni miracolosi

Da questo punto di vista, la finale di singolare maschile degli Australian Open 2017 ha assunto i contorni di un miracolo. La prematura uscita di Andy Murray e Novak Djokovic, i favoriti della vigilia, ha lasciato spazio alla progressione dei due giocatori che più di tutti nell’ultima decade hanno trasformato il tennis in uno dei grandi movimenti politeistici moderni, Roger Federer e Rafael Nadal.

Entrambi in rientro da infortuni e in una condizione da verificare sul campo, sono riusciti a risalire la corrente estraendo magia da un cilindro che ora contiene, complessivamente, lo spropositato numero di 32 titoli dello Slam.

Come sempre accade quando due stelle di questa magnitudo collidono, la partita ha rilasciato energia compatibile con una fissione nucleare. Cinque set di estasi e agonia assolute, grida e sussulti, esultanza e disperazione, empatia e abbracci tra sconosciuti; un confronto che è stato, concedendosi una citazione musicale, “fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo, fantasia, molecole d’acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo e poesia”.

Una conclusione che nessuno riteneva possibile ma che in tantissimi, non solo tra i presenti, desideravano: la vittoria di Federer, arrivata con quei secondi di sospensione (per la verifica della moviola) che hanno preceduto l’esplosione collettiva di incredulità, e coincidente con la centesima partita disputata da Federer agli Australian Open. Un traguardo che, nel sistema metrico decimale, è da sempre associato a un elevato grado di completezza.

Un caleidoscopio di stimolazioni

Gli aspetti tecnici di questa partita verranno analizzati per molto tempo, in tutte le lingue e a tutte le latitudini. Personalmente, il ricordo della notte di Melbourne rimarrà incandescente per il caleidoscopio di stimolazioni che nessuna diretta televisiva sarà mai in grado di replicare.

All’ingresso della Rod Laver Arena, una struttura che pur ospitando circa 15 mila persone riesce a trasmettere l’intimità del circolo di tennis dietro casa, è la vista il senso a essere maggiormente sollecitato da una mole di informazioni difficile da gestire.

La luce che entra dal grande tetto aperto dello stadio è quella gialla, calda e soffusa del tramonto, che lascia spazio nel corso della serata all’abbaglio dei riflettori. Persa l’intensità e la pienezza del mezzogiorno, è una luce che accarezza la retina e fa da contrasto all’azzurro limpido del cielo.

È un teatro di forma ellissoidale la Rod Laver Arena: l’alternanza del verde e del grigio dei seggiolini, non ancora completamente occupati dai loro proprietari, richiama le tonalità della ricca vegetazione australiana mentre viene investita dai frequenti acquazzoni tropicali del nord.

Gli spalti circondano il vero protagonista del torneo, il campo centrale. Questa chiazza di cemento blu nasconde alle telecamere le sue enormi dimensioni, che devono garantire ai giocatori la libertà di movimento per quegli impossibili recuperi in spaccata che tolgono letteralmente il fiato.

Solo il campo centrale degli US Open compete per grandezza con quello di Melbourne ma, essendo gli Australian Open all’avanguardia dell’innovazione tennistica, la Rod Laver Arena è l’unica al mondo interamente circondata da monitor, che sono neri e alti e avvolgenti, la frontiera evolutiva per tutti i fanatici di tecnologia home video.

La precisione maniacale dell’organizzazione

Come sempre, sono le persone ad aggiungere i colori più vividi alla fotografia.

Coordinare la realizzazione di uno dei quattro tornei più importanti dell’anno – in cui, come anche ricordano i giocatori nei ringraziamenti del loro discorso di premiazione, intervengono in centinaia tra organizzatori e volontari – richiede lo stesso livello di maniacale attenzione che mostrano i documentari di National Geographic sulle portaerei americane in rotta nel Pacifico.

Anche qui ogni ruolo è contraddistinto da un colore specifico. I primi a entrare sono i raccattapalle, in maglia verde. Durante la partita la loro interazione con i giocatori è scandita da movimenti di precisione militare. Il lancio millimetrico della pallina per il servizio, l’apertura del palmo della mano a indicare la disponibilità delle palline, la consegna dell’asciugamano aperto alla conclusione di un punto, la corsa di rientro alla propria postazione.

La sincronia è fondamentale per non alterare la concentrazione dei giocatori, perché il lavoro del raccattapalle raggiunge la perfezione quando passa inosservato.

Seguono i giudici, con la maglia blu che si mimetizza con il campo. Il loro ingresso precede di poco quello dei giocatori, le cui variazioni cromatiche invece sono dettate dagli sponsor tecnici, che non aspettano altro di introdurre combinazioni ardimentose in linea con l’incedere informale degli australiani.

L’arancione fosforescente delle scarpe di Federer e Nadal (entrambi con lo stesso sponsor) fluttuava nel blu del campo come un pesce della Grande Barriera Corallina.

Lo Slam felice

E poi, il colore del pubblico pagante: è un cliché, ma senza gli appassionati non ci sarebbe lo spettacolo, giocare a tennis sarebbe solamente un passatempo quasi privo di ragione.

C’era quindi il rosso delle bandiere svizzere, il giallo di quelle spagnole e l’intero spettro di possibili incroci che la pelle umana può assumere.

Questa è la forza di un torneo che si definisce “lo Slam felice”, unire razze, culture e passioni provenienti da tutto il mondo, e fonderle in un microcosmo rappresentativo dell’Australia, da sempre uno tra i paesi in cima ai sogni di evasione di chiunque.

Ma il colore più bello di tutti è stato quello degli occhi lucidi di Federer, seduto sulla panchina appena dopo aver compiuto l’ennesima impresa fuori da possibili definizioni.

Anche lui, forse, per una volta incredulo di fronte all’infinito della sua carriera, senza una siepe a escludere lo sguardo dell’ultimo orizzonte, ma con il muro dei suoi tifosi in pieno delirio celebrativo.

Il marrone nitido di occhi che hanno vissuto e regalato emozioni che non si trovano da altra parte.

Le partite femminili più emozionanti della stagione 2016

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 30 novembre 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nel mio ultimo pezzo per The Economist, ho utilizzato una statistica chiamata indice emozionale (IE) per analizzare quali potessero essere le conseguenze dell’accorciamento delle partite di singolare con un format come quello usato per il doppio, che incorpora regole come il game senza i vantaggi e il super-tiebreak. Nelle mie simulazioni, il format con durata ridotta non è andato bene: le partite più emozionanti sono spesso quelle più lunghe, e un terzo set molto combattuto è solitamente la parte a maggiore palpitazione.

In quell’articolo ho usato dati relativi ai tornei dell’ATP e diversi lettori hanno chiesto quali punteggi ottengano le partite femminili se misurate con l’indice emozionale. Molte delle partite della stagione 2016 hanno un indice emozionale piuttosto alto, mentre alcune giocatrici che riteniamo eccellere nella categoria non sono arrivate tra le migliori secondo questa statistica. Condividerò a breve alcuni dei risultati.

Una descrizione dell’indice emozionale

Prima però una rapida descrizione dell’indice emozionale. È possibile calcolare la probabilità di ciascuna giocatrice di vincere la partita in qualsiasi momento. Con quei numeri è poi possibile determinare la leva di ogni punto, vale a dire la differenza tra le probabilità di una giocatrice nel caso vinca il punto successivo e le probabilità nel caso lo perda.

Sul 40-0 e indietro di un break nel primo set, la leva di quel punto è molto bassa, meno del 2%. In un tiebreak del terzo set a punteggio ravvicinato, la leva può arrivare anche al 25%. La leva di un punto medio è tra il 5 e il 6% e in situazioni in cui nessuna giocatrice ha un vantaggio sostanziale, i punti sul 30-30 o successivi hanno una leva più alta.

La media della leva di ogni punto

L’indice emozionale è calcolato facendo la media della leva di ogni punto nella partita. Maggiori sono i punti a leva alta, maggiore è l’indice emozionale. Per rendere il valore finale più facilmente leggibile, si moltiplica la leva media per 1000, in modo che il punto canonico con potenziale oscillatorio del 5% (0.05) corrisponda a un IE di 50.

Le partite più noiose, come la demolizione agli Internazionali d’Italia per 6-1 6-0 di Garbine Muguruza ai danni di Ekaterina Makarova, hanno un valore sotto 25. Le più emozionanti invece occasionalmente superano 100: la partita media WTA media quest’anno ha ottenuto un indice emozionale di 53.7. In confronto, il valore di una partita media ATP è stato di 48.9.

I fattori emozionali

Naturalmente, la quantità e l’importanza dei momenti cruciali non sono l’unico elemento che rende emozionante una partita di tennis. In genere, le finali hanno più trasporto di un primo turno, gli scambi lunghi e un gioco a rete coraggioso si lasciano vedere con più divertimento di una serie di colpi tirati al massimo e infarciti di errori, e nelle sfide di Coppa Davis il tifo è in grado di far sembrare la fase di riscaldamento un tiebreak del terzo set. Quando verranno fatte le classifiche sulle “Migliori partite del 2016”, alcuni di questi fattori saranno certamente presi in considerazione. L’IE ha un approccio più ristretto ed è in grado di mostrare quali partite, indipendentemente dal contesto, hanno offerto il tennis a più alta pressione.

Questo è l’elenco delle prime 10 partite femminili del 2016 secondo l’IE:

Torneo       Partita             Punteggio            IE  
Charleston   Lucic/Mladenovic    4-6 6-4 7-6(13)      109.9  
Wimbledon    Cibulkova/Radwanska 6-3 5-7 9-7          105.0  
Wimbledon    Safarova/Cepelova   4-6 6-1 12-10        101.7  
Kuala Lumpur Nara/Hantuchova     6-4 6-7(4) 7-6(10)   100.2  
Brisbane     CSN/Lepchenko       4-6 6-4 7-5          99.0  
Quebec City  Vickery/Tig         7-6(5) 6-7(3) 7-6(7) 98.5  
Miami        Garcia/Petkovic     7-6(5) 3-6 7-6(2)    98.1  
Wimbledon    Vesnina/Makarova    5-7 6-1 9-7          97.2  
Beijing      Keys/Kvitova        6-3 6-7(2) 7-6(5)    96.8  
Acapulco     Stephens/Cibulkova  6-4 4-6 7-6(5)       96.7

Andare sul 6-6 nell’ultimo set è certamente un buon metodo per comparire nella lista. Su circa 2700 partite, le prime 50 hanno tutte raggiunto almeno il 5-5 nel terzo set. La partita con IE più alto che non è arrivata a quel punteggio è stata la vittoria per 1-6 7-6(2) 6-4 di Angelique Kerber su Elina Svitolina, con un valore di 88.2. La vittoria per 4-6 6-3 6-4 di Svitolina su Bethanie Mattek Sands nel torneo di Wuhan, la partita di maggior valore della lista senza che nessun set raggiungesse il 5-5, ha ottenuto un IE di 87.3.

Il caso di Wimbledon 2016

Il torneo di Wimbledon 2016 ha avuto un numero inusuale di partite emozionanti, specialmente se paragonato al Roland Garros e agli Australian Open, gli altri Slam che non prevedono il tiebreak all’ultimo set. La partita del Roland Garros a più alto IE è stata il primo turno tra Johanna Larsson e Magda Linette, che ha ottenuto 95.3 e si è posizionata al 13esimo posto stagionale, mentre quella con IE più alto agli Australian Open tra Monica Puig e Kristyna Pliskova arriva solo al 27esimo posto con un IE di 92.8.

Poche delle più forti tra le più emozionanti

Solo Dominika Cibulkova compare due volte nella lista, aspetto che non la rende necessariamente un riferimento per le partite emozionanti: come vedremo, le giocatrici di élite raramente lo sono. Delle prime 10 a fine anno Svetlana Kuznetsova è l’unica con un valore medio di IE tra i più alti, che ha giocato partite “molto emozionanti” – quelle che rientrano nel primo quintile delle partite della stagione – nella stessa misura di qualsiasi altra giocatrice del circuito.

Class. Giocatrice  P   IE medio M. Emoz. Emoz. % Noiose %  
1      Mladenovic  60  59.8     19       55.0%   25.0%  
2      McHale      46  59.6     16       50.0%   19.6%  
3      Watson      35  58.5     12       48.6%   25.7%  
4      Jankovic    43  57.6     12       55.8%   30.2%  
5      Kuznetsova  64  57.4     21       48.4%   32.8%  
6      Williams    38  57.1     10       55.3%   31.6%  
7      Wickmayer   43  56.5     13       46.5%   30.2%  
8      Riske       46  56.5     10       45.7%   32.6%  
9      Garcia      62  56.4     18       43.5%   33.9%  
10     Begu        42  56.4     14       45.2%   40.5%

La colonna P indica il numero di partite, esclusi i ritiri, con un minimo di 35 partite giocate nel circuito maggiore. Sfortunatamente, non ho potuto considerare diverse partite sparse durante la stagione perché mancavano i dati. La colonna “M. Emoz.” riporta quante delle partite giocate rientrano nel primo quintile, quello delle partite molto emozionanti. La colonna “Emoz. %” mostra la percentuale di quelle partite che ottengono una valutazione tra il 40% più alto di tutte quelle giocate nel circuito femminile, mentre la colonna “Noiose %” mostra la stessa percentuale ma riferita al 40% inferiore, cioè le partite più noiose.

Le giocatrici dal grande servizio che raggiungono un numero eccessivo di tiebreak e di set che terminano sul 7-5 figurano bene in questa lista, anche se non si tratta proprio di una corrispondenza perfetta. I tiebreak possono dar vita a molti momenti emozionanti, ma se prima del 6-6 ci sono stati molti game a zero, complessivamente la partita può non essere stata così interessante.

Chi ha vinto set a senso unico è in fondo alla classifica

A differenza di Kuznetsova, che ha giocato ben 32 set decisivi quest’anno, la maggior parte delle giocatrici più forti si è avvantaggiata di molti set a senso unico. Muguruza, Simona Halep e Serena Williams occupano gli ultimi tre posti della classifica delle medie di indice emozionale, in larga parte perché, quando vincono, lo fanno con grande facilità, e lo fanno molto spesso. La tabella mostra la classifica (su 59 giocatrici) in termini di medie di indice emozionale delle prime 10 della classifica WTA a fine stagione.

Class. Giocatrice Class.WTA P  IE medio M.Emoz. Emoz.% Noiose%  
5      Kuznetsova 9         64 57.4     21      48.4%  32.8%  
13     Pliskova   6         66 55.6     19      48.5%  39.4%  
16     Keys       8         64 55.4     13      40.6%  35.9%  
23     Cibulkova  5         68 54.6     21      42.6%  42.6%  
28     Kerber     1         77 54.0     12      42.9%  41.6%  

media circuito                 53.7             40.0%  40.0%  

41     Radwanska  3         69 52.5     12      29.0%  44.9%  
51     Konta      10        67 51.2     12      34.3%  46.3%  
57     Muguruza   7         51 49.9     5       33.3%  43.1%  
58     Halep      4         59 49.6     8       30.5%  50.8%  
59     Williams   2         44 48.1     3       27.3%  50.0%

È un bene che Williams abbia tifosi così appassionati, perché sono poche le occasioni in cui le sue partite offrono grandi emozioni. Ma c’è una giocatrice che sta ancora più in basso di Williams e Halep, Victoria Azarenka. Il suo quarto turno contro Muguruza al Miami Premier è stata l’unica partita della stagione a rientrare nella categoria “emozionanti”, e il suo IE medio è stato solo di 44.0.

Un ottimo strumento per isolare le partite con più batticuore

Chiaramente, quello dell’indice emozionale non è un metodo troppo sofisticato se l’obiettivo è identificare le giocatrici migliori. Così come utilizzarlo per le giocatrici di classifica più bassa sarebbe erroneo: al 56esimo posto, appena sopra Muguruza, si trova Nao Hibino, abbastanza sconosciuta.

L’IE è un’ottimo strumento per isolare le partite a più alto contenuto di batticuore, a prescindere se siano state viste da una platea internazionale o completamente ignorate. La prossima volta che qualcuno suggerisce di ridurre la durata delle partite, far riferimento all’indice emozionale è la giusta strategia per evidenziare quanta eccitazione andrebbe buttata via.

The Most Exciting Matches of the 2016 WTA Season