L’efficienza nelle vittorie di Sloane Stephens

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 6 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Per conquistare il Premier Mandatory di Miami, Sloane Stephens ha ottenuto diverse vittorie impressionanti  contro – nell’ordine – Garbine Muguruza, Angelique Kerber, Victoria Azarenka e Jelena Ostapenko.

Non è un torneo che altera il corso di una carriera quanto gli US Open, vinti da Stephens nel 2017, ma non è poi così distante, e la competizione che ha dovuto affrontare non è stata da meno.

Con il titolo a Miami sono arrivati anche 1000 punti validi per la classifica ufficiale, che hanno consentito a Stephens di entrare tra le prime 10, raggiungendo con la nona posizione il massimo in carriera.

Avendo vinto due dei tornei più importanti ed essendo arrivata in semifinale anche a Toronto e Cincinnati l’anno scorso, non ci sono dubbi che meriti questo traguardo.

La conversione delle vittorie in punti classifica

Il sistema Elo non ne è convinto allo stesso modo, ma l’algoritmo più sofisticato su cui si basa (che non tiene conto della grandezza delle vittorie agli US Open e Miami) la vede comunque poco dietro le prime 10.

L’aspetto più significativo dell’ascesa di Stephens è l’efficienza nella conversione delle vittorie in punti classifica. Dopo il rientro dall’infortunio a Wimbledon 2017 ha giocato solo 38 partite, vincendone 24. Ci sono state 6 sconfitte al primo turno, altre due sconfitte nel girone eliminatorio dello Zhuhai Elite Trophy e due nella finale di Fed Cup contro la Bielorussia.

Negli ultimi nove mesi, ha vinto partite solamente in sei tornei. Il suo insolito record evidenzia alcune lacune nella classifica ufficiale e come una giocatrice che raggiunge il massimo della forma in un determinato momento possa sfruttarle a proprio vantaggio.

Per un ambìto posto tra le prime 10, vincere 24 partite non è quasi mai sufficiente. Dal 1990 al 2017, solo in sette occasioni una giocatrice ha terminato la stagione tra le prime 10 con meno di 30 vittorie.

E solo due volte ha vinto meno delle 24 partite di Stephens: sto parlando di Monica Seles nel 1993 e nel 1995, cioè il periodo trascorso dal momento in cui ha subito l’aggressione a bordo campo al suo rientro alle competizioni.

La tabella riepiloga le prime 10 stagioni con il minor numero di vittorie, e comprende anche il record delle ultime 52 settimane di alcune giocatrici attualmente nella zona più alta della classifica femminile.

Anno  Giocatrice   Class FA   V    S    % V-S           
1995  Seles*              1   11   1    92%  
1993  Seles               8   17   2    89%  
2018  Stephens**          9   24   14   63%  
2010  S. Williams         4   25   4    86%  
1993  Capriati            9   28   10   74%  
2015  Pennetta            8   28   20   58%  
2000  Pierce              7   29   11   73%  
2004  Capriati           10   29   12   71%  
1993  MJ Fernandez        7   31   12   72%  
1995  I. Majoli           9   31   13   70%  
2018  V. Williams**       8   31   14   69%  
1995  MJ Fernandez        8   31   15   67%  
2015  Safarova            9   32   21   60%  
2008  Sharapova           9   33   6    85%  
1998  Graf                9   33   9    79%  
2018  Kvitova**          10   33   14   70%

*  classifica congelata dopo essere stata assalita
** classifica al 2 aprile 2018; 
   V e S delle precedenti 52 settimane

Rendimento eccezionale negli Slam

La caratteristica che accomuna quasi tutte queste stagioni è un rendimento eccezionale nelle prove dello Slam. Stephens ha vinto gli US Open 2017, Seles gli Australian Open 2013, Serena Williams vinse due Slam nel 2010, Flavia Pennetta ha ribaltato un altrimenti anonimo 2015 vincendo gli US Open. Del resto, gli Slam sono i tornei che offrono i punti classifica più pesanti.

Pur in un gruppo così nutrito di vincitrici Slam, Stephens riesce a distinguersi. Delle sedici giocatrici nella lista, solo due – Pennetta e Lucie Safarova – hanno vinto partite con una frequenza inferiore a Stephens, dal quando è rientrata.

In altre parole, la maggior parte delle giocatrici con questo livello di efficienza di vittorie non perde così facilmente ai primi turni o in tornei minori, come ha fatto Stephens. Il suo 63% di partite vinte è ancora più estremo di quanto il precedente elenco non faccia trasparire.

Dal 1990, solo otto giocatrici delle quasi trecento che hanno terminato la stagione tra le prime 10 hanno avuto una percentuale di vittorie più bassa. La tabella che segue è allargata alle prime 11 per includere un’altra recente stagione degna di nota.

Anno  Giocatrice  Class FA   V    S    % V-S  
2014  Cibulkova         10   33   24   58%  
2000  Tauziat           10   36   26   58%  
2015  Pennetta           8   28   20   58%  
1999  Tauziat            7   37   25   60%  
2007  Bartoli           10   47   31   60%  
2015  Safarova           9   32   21   60%  
2000  Kournikova         8   47   29   62%  
2010  Jankovic           8   38   23   62%  
2018  Stephens*          9   24   14   63%  
2004  Dementieva         6   40   23   63%  
2016  Muguruza           7   35   20   64%

* classifica al 2 aprile 2018; 
  V e S delle precedenti 52 settimane

C’è scarsa sovrapposizione tra i due elenchi: in genere, le giocatrici del primo gruppo hanno recuperato dall’interruzione per infortunio con una grande prova negli Slam, mentre quelle del secondo gruppo si sono trascinate in una lunga stagione per poi dare il colpo finale con uno o due risultati di prestigio in uno Slam.

Una tipica giocatrice con una percentuale di vittorie del 63% non arriva a chiudere la stagione tra le prime 10 ma, in media, intorno alla 25esima posizione, comunque meglio di una stagione da 24 vittorie che, in media, garantiscono una classifica intorno alla 40esima posizione.

Grandi occasioni ma discontinuità

Stephens è sempre stata una giocatrice delle grandi occasioni. È salita alla ribalta a 19 anni agli Australian Open 2013, arrivando in semifinale dopo aver battuto la numero 1 Serena nei quarti. Il suo record negli Slam (66%) è di quasi dieci punti percentuali superiore a quello negli altri tornei del circuito (57%).

Nonostante questo, è probabile che non concluda il 2018 con percentuali così estreme nel record di vinte e perse. Dovrebbe infatti vincere uno Slam per rimpiazzare gli US Open 2017 e perdere nei primi turni nella maggior parte degli altri tornei.

Ora che sembra aver recuperato definitivamente dall’infortunio, è poco probabile che continui ad alternare vette e abissi, pur mantenendo, per sua natura, prestazioni discontinue.

Feast, Famine, and Sloane Stephens