Altro Slam, altro inutile cronometro al servizio

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’1 febbraio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il cronometro al servizio per i 25 secondi tra un punto e l’altro è diventato in fretta una presenza stabile in entrambi i circuiti maggiori. Dopo una fase sperimentale, ha debuttato nei tornei di preparazione agli US Open 2018 e da allora è stato ampiamente adottato. Sia gli US Open che gli Australian Open ne hanno fatto uso, e la WTA lo introdurrà negli eventi Premier del 2019, con l’idea di estenderlo poi a tutti i tornei.

Per come l’ho intesa, l’obiettivo del cronometro al servizio è duplice. Il primo, limitare la durata delle partite costringendo i giocatori a un tempo prefissato tra un punto e l’altro. Il secondo, applicare la regola in modo equo.

Dirigenti di tennis e di emittenti televisive sono sempre alla ricerca di accorgimenti per rendere le partite più corte (o, quantomeno, di durata più prevedibile), quindi il primo obiettivo ha una portata più ampia.

Il secondo è più specifico. È risaputo che diversi dei giocatori che impiegano molto tempo tra un punto e l’altro sono le grandi stelle, e si riteneva che l’arbitro esitasse a penalizzarli. In teoria, un cronometro identico per tutti dovrebbe rendere l’applicazione più trasparente, assicurando correttezza a prescindere dallo status.

È difficile valutare il successo del secondo obiettivo. Per certi aspetti, sembra che stia funzionando, vista l’assenza di lamentele da parte dei giocatori. Rispetto al primo obiettivo, è più semplice fare una valutazione degli sviluppi, aspetto che ho analizzato già tre volte, appena dopo il Canada Masters 2018, dopo il Cincinnati Masters 2018 e al termine degli US Open 2018.

Tre eventi separati, medesima conclusione: il cronometro al servizio non ha velocizzato il gioco e, in molti casi, è coinciso con partite più lente.

Come è andata in Australia

Il metodo più immediato per misurare la velocità di un partita è di usare la durata ufficiale e il numero di punti giocati e calcolare i secondi per ogni punto. È un sistema un po’ approssimativo, visto che la durata ufficiale non ricomprende solo il tempo effettivo di gioco ma anche le pause tra i punti, i cambi di campo, le interruzioni per temperature eccessive o per la richiesta di assistenza medica, la moviola istantanea chiamata dai giocatori ed eventuali brevi sospensioni per pioggia. Si tratta quindi di un dato imperfetto, anche se il i cambi di campo od occorrenze simili sono ben definiti, rendendo possibile il paragone.

La tabella mostra i secondi medi per punto per gli uomini e le donne agli Australian open 2018 e 2019, a indicazione della cadenza di gioco prima e dopo l’introduzione del cronometro al servizio.

Anno   Sec/Pt U   Sec/Pt D   
2018 40.2 40.4
2019 41.0 40.3

Non siamo esattamente di fronte a una pubblicità progresso per il cronometro al servizio. In media, le partite sono state più lente nel 2019 rispetto al 2018. D’altro canto però, è un risultato migliore di quanto verificatosi agli US Open 2018, che sono stati in media 2.5 secondi più lenti del 2017, edizione senza cronometro.

Aumenta la precisione, resta la lentezza

Vale la pena ripetere che è un metodo poco raffinato per misurare la velocità di una partita. Per la maggior parte dei tornei però è il massimo ottenibile in assenza di accesso ai dati che l’ATP e (presumibilmente) la WTA possiedono in merito. Negli Slam c’è possibilità per un maggiore dettaglio.

Fino al 2017, per gli US Open e gli Australian Open mi riferisco ai dati di IBM Slamtracker. Per gli Australian Open, la collaborazione con IBM è terminata, ma dati punto per punto sono comunque disponibili sul sito.

Con dati più accurati, si possono ottenere stime più precise della frequenza con cui i giocatori sono andati oltre il limite dei 25 secondi, prima e dopo l’adozione del cronometro al servizio (il limite precedente era di 20 secondi, ma sono convinto che nessuna delle violazioni sia stata assegnata prima che fossero trascorsi almeno 25 o più secondi).

Dopo gli US Open 2018, ho trovato un aumento considerevole del numero di volte in cui i giocatori sono andati oltre i 25 secondi, così come le volte in cui sono andati oltre i 30 secondi. Per chi è interessato, l’articolo contiene approfondimenti metodologici al riguardo.

Di nuovo, gli Australian Open fanno meglio degli US Open, ma non significa necessariamente che il cronometro è efficace, solo che non rallenta le partite in modo così incisivo. La tabella mostra un confronto di violazione temporale prima e dopo l’introduzione del cronometro, per il 2017 e il 2019 (non ho raccolto i dati per gli Australian Open 2018).

Tempo       2017   2019   Delta (%)   
sotto 20s 77.6% 75.9% -2.2%
sopra 25s 91.6% 91.8% 0.2%
sopra 25s 8.4% 8.2% -1.7%
sopra 30s 2.8% 2.1% -25.2%

L’ultima riga della tabella è la prima vera indicazione del fatto che il cronometro al servizio sta funzionando. Rispetto a due anni fa, si superano i 30 secondi tra un punto e l’altro molto meno frequentemente. Di converso, se si considerano i 25 secondi non c’è quasi differenza. Altro elemento negativo, l’apparente miglioramento dato dal valore di 2.1% per l’intervallo sopra i 30 secondi è considerevolmente peggiore di quanto visto agli US Open 2018, in cui si era solo sullo 0.8%. Agli Australian Open, il cronometro ha eliminato alcune delle violazioni più evidenti, ma ne rimangono molte.

Servono medici, non medicine

Il problema principale continua a risiedere nel modo in cui si usa il cronometro. Il conteggio infatti prende il via alla chiamata del punteggio che, generalmente, avviene quando il rumore di fondo nello stadio si è esaurito. Per questo, dopo scambi lunghi o emozionanti – cioè proprio quelli in cui i giocatori prendono più tempo per rifiatare prima di servire – il limite temporale è di fatto allungato.

Ma non c’è ragione perché sia così. L’arbitro dovrebbe far partire il cronometro quando il punto è terminato e, se gli spettatori sono ancora in visibilio dopo 20 o 25 secondi, comportarsi di conseguenza. Alcuni giocatori però hanno già l’abitudine strategica di sfruttare tutto il tempo concesso. Più l’arbitro aspetta prima di far ripartire il cronometro, più dobbiamo attendere la ripresa del gioco.

La mia critica principale all’avvio ritardato del cronometro però è di diverso tipo. Ovviamente vorrei vedere le partite procedere con più rapidità. Ma, come per quasi tutti gli aspetti del regolamento, a darmi fastidio è l’estensione del tempo limite più favorevole per le mega stelle che per i giocatori di rincalzo. In un campo come la Rod Laver Arena a Melbourne, dopo ogni punti giocato si assiste a una anche modesta ovazione, specialmente in presenza di grandi nomi come Roger Federer o Rafael Nadal o Serena Williams.

Lontano dai riflettori sul campo 20, Johanna Larsson può pensare di ottenere un applauso appena accennato anche dopo uno scambio da sfinimento. Più è anonimo il giocatore, minore il tempo di recupero. E dopo un paio di partite, la differenza si fa sentire. Una regola introdotta per aumentare equità e trasparenza non dovrebbe andare a svantaggio degli sconosciuti. In questo caso però negli Slam sembra succedere proprio così.

Prima o poi smetterò di commentare il cronometro al servizio. Finché i due circuiti promuoveranno un’innovazione che fallisce nel proprio dichiarato intento, continuerò a valutarne i risultati. Magari fra qualche anno si arriverà finalmente ad applicarla nel modo giusto.

Another Slam, Another Pointless Serve Clock

L’impatto dell’utilizzo del cronometro al servizio agli US Open 2018

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 19 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Per la prima volta in assoluto tra i tornei del Grande Slam, gli US Open 2018 hanno introdotto il cronometro al servizio. I secondi a disposizione del giocatore dal momento in cui è terminato un punto all’inizio del successivo sono stati fissati a 25, dal precedente limite ufficiale di 20 secondi, in parte per prendere consapevolezza che una pausa così breve avrebbe comunque continuato a non essere rispettata, e per allinearsi all’ATP e alla WTA, che da tempo hanno quel limite a 25 secondi.

Si è sperimentato l’utilizzo del cronometro nei tornei estivi in Nordamerica, e già in precedenza mi è capitato di misurarne l’impatto sulla durata, in un articolo per l’Economist e in uno su questo blogIn entrambi, la conclusione è stata che il cronometro al servizio sembra rallentare le partite. Con dati limitati a disposizione – il numero di punti e la durata di ogni partita – ho trovato che le partite di tutti i tornei con il cronometro sono state più lente tra 0.3 e 2.0 secondi per punto. Significa qualche minuto a partita, non poco per una novità introdotta per velocizzare il gioco.

US Open 2017 vs US Open 2018

Gli US Open forniscono un campione più ampio di partite da analizzare e dati molto più specifici. Prima di addentrarci nella ricerca di una risposta più strutturata al problema, osserviamo le partite giocate a Flushing Meadow sotto la semplice lente dei secondi per punto. La tabella riepiloga il calcolo per il tabellone di singolare maschile dell’edizione 2017 (senza il cronometro e con un limite teorico di 20 secondi) e dell’edizione 2018 (con il cronometro a 25 secondi).

Tabellone   2017   2018  
Uomini      40.0   43.4  
Donne       40.7   42.3

Sono partite decisamente lente. Di tutte quelle estive che ho esaminato, solo nel tabellone maschile a Washington si è andati oltre i 42 secondi per punto.    

È probabile però che il caldo torrido abbia inciso, almeno in parte, sui tempi di gioco. La regola delle temperature estreme ha certamente rallentato lo svolgimento, visto che prevede un’interruzione di dieci minuti dopo i primi due set per le partite femminili e dopo i primi tre set per quelle maschili, quando le condizioni meteo sono impossibili da sostenere. Sono interruzioni che rientrano nella durata ufficiale della partita, quindi vanno in un modo o nell’altro considerate.

Evitiamo del lavoro addizionale escludendo interamente la regola delle temperature estreme e confrontando partite del 2017 e 2018 in cui un giocatore ha vinto tutti i set, per nessuna delle quali è stata applicata la regola. Rimaniamo con metà dei dati di partenza.

Tabellone   Punteggio minimo 
            2017      2018   
Uomini      39.2      43.4  
Donne       39.8      41.3

Non me lo aspettavo. Le partite con il minimo punteggio di set quest’anno sono state giocate quasi con la stessa velocità di quelle più lunghe, anche senza la possibile applicazione della regola dei 10 minuti. Forse i giocatori non si dilungano nelle partite a punteggio minimo perché così tante di queste sono a senso unico. O forse è la combinazione di giocatori a essere diversa. Quale la ragione, questo paragone tra mele e mele mostra che le mele del 2018 sono state un bel po’ più lunghe da mangiare di quelle dello scorso anno.

Di nuovo, ma con dati migliori

La regola delle temperature estreme ha evidenziato il problema di usare la durata complessiva delle partite, che include le interruzioni tra un set e l’altro, i cambi di campo, le richieste di Hawk-Eye, i nastri e qualsiasi altra forma di ostacolo al flusso del gioco che si possa pensare. Sono tutti ritardi che nel lungo termine verranno controbilanciati, ma nel lungo termine, citando John Maynard Keynes, non ci sarà nemmeno più nessuno. A oggi, abbiamo visto solo poche centinaia di partite su ciascun circuito usare il cronometro al servizio.

Lo Slamtracker degli US Open riporta i marcatori temporali all’inizio di ciascun punto della maggior parte delle partite di singolare maschile. Pur non essendo ancora la perfezione – non dice ad esempio quando finisce il punto – con la giusta cura è del materiale su cui si può lavorare.

Metodologia

Ho iniziato identificando tra i dati di Slamtracker ogni punto sulla prima di servizio che non ha portato alla conclusione del game di servizio. Poi ho escluso le seconde di servizio perché il tempo utilizzato tra la prima e la seconda cambia radicalmente da giocatore a giocatore, e non è un aspetto di cui si preoccupa l’introduzione del cronometro al servizio. Infine, ho eliminato anche i punti di chiusura del game perché le pause a seguito di quei punto sono più lunge, in quanto il servizio passa all’altro giocatore e spesso si cambia anche campo. 

Rimangono così circa 16.000 punti, cioè un numero molto interessante su cui fare calcoli. Da qui, ho cercato di ricavare quanto tempo sia stato dedicato al tennis effettivo, vale a dire servizio, risposta, rovesci tagliati, questo tipo di cose. Viene fuori che ogni colpo aggiuntivo comporta circa due secondi in più tra l’inizio di un punto e l’inizio del successivo.

Una parte potrebbe dipendere dall’accumulo di fatica, che allunga la ripresa del punto, ma lascio ai giocatori il beneficio del dubbio e ipotizzo che si tratti di tempo impiegato per giocare. Sono anche generoso e affermo che il primo colpo – la durata di un ace o di un servizio vincente – è cinque secondi, in modo da lasciare più tempo per i movimenti di servizio più elaborati.

Tra tutto, abbiamo 16.000 punti per i quali si può stimare la lunghezza della pausa tra un punto e l’altro. Se tra i marcatori per il punto 1 e il punto 2 ci sono 35 secondi e il punto 1 era di cinque colpi – 5 secondi per il primo colpo, 8 secondi per i successivi per un totale di 13 secondi – concludiamo che il giocatore al servizio ha impiegato 22 secondi per detergere il sudore, scegliere le palline meno consumate e prepararsi a servire. 

Un ultimo passaggio, sempre in vena di generosità: per ogni partita, ho eliminato il 5% più lungo delle pause tra un punto e l’altro. Alcuni sono probabilmente dovuti a Hawk-Eye, o nastri al servizio o ad altre interruzioni non presenti nei dati. Ma probabilmente ho filtrato anche dei casi legittimi in cui il giocatore al servizio era davvero lentissimo, ma voglio fare di tutto per ottenere un risultato non contaminato da troppi fattori esterni.

Risultati

Basta con la metodologia, ecco i risultati. La tabella mostra il numero di pause tra un punto e l’altro rispettivamente al di sotto dei 20 e dei 25 secondi, e al di sopra dei 25 e 30 secondi. Non dimentichiamo che questi tempi, e le frequenze temporali che ne risultano, derivano da una serie di ipotesi – ufficiali – favorevoli ai giocatori. Sono abbastanza sicuro che con un cronometro alla mano per ciascuno dei 16.000 punti considerati, è più probabile che arriveremmo di persona a un conteggio uguale o più lungo di quanto non ne troveremmo di più corto. 

Pausa tra punti   2017    2018    Variazione (%)  
Meno di 20sec     86.5%   78.6%   -9.2%  
Meno di 25sec     97.0%   95.1%   -2.0%  
Più di 25sec      3.0%    4.9%    63.1%  
Più di 30sec      0.4%    0.8%    91.0%

Non sono molto numerosi le pause eccessivamente lunghe – meno di una ogni 20 punti quest’anno – ma sono aumentate vertiginosamente rispetto al 2017. Potrebbe dipendere dalla modifica della regola dai 20 ai 25 secondi ma, come abbiamo visto, le partite con il limite di venti secondi nel 2017 si sono giocate velocemente quasi quanto quelle con il limite di venticinque secondi (in termini di durata per punto). Non penso quindi sia un aspetto a cui guardare. 

Il caldo è naturalmente un fattore, anche escludendo le interruzioni generate dall’applicazione della regola delle temperature estreme. Temperature più alte e umide tendono ad affaticare i giocatori più velocemente, e questo si riflette poi nel tempo impiegato a recuperare tra un punto e l’altro. Forse questo è il motivo per cui dall’anno scorso le pause di 30 o più secondi sono quasi raddoppiate.

Restano comunque diversi interrogativi sul cronometro al servizio e sulla sua modalità d’impiego da parte degli arbitri. La frequenza delle pause di 30 o più secondi – lo 0.8% – sembra ininfluente, ma su 16.000 punti rappresenta più di 100 occorrenze. Nell’analisi sono riuscito a includere solo poco meno della metà dei punti in partite con lo Slamtracker, che significa all’incirca tre quarti del tabellone di singolare.

Quindi, potrebbero esserci più di 300 circostanze in tutto il torneo in cui un giocatore impiega più di 30 secondi prima di servire il punto successivo (e non dimentichiamo di aver escluso il 5% più lungo tra queste). Il numero delle pause di almeno 25 secondi è un’evidenza ancora più forte: seguendo lo stesso ragionamento, potrebbero essere circa 2000 le volte di superamento del limite dei 25 secondi. Sicuramente alcune di queste sono state sanzionate, ma non più di una minima frazione.

Conclusioni

Come ho scritto nel precedente articolo di questo blog, causa rilevante del problema è da imputare all’abitudine dei giudici di sedia di far partire il cronometro solo quando il rumore degli spettatori si è placato. In una partita emozionante e con grande pubblico, il tempo limite diventa quindi in realtà di almeno 35 secondi. Potrebbero essere queste le istruzioni ricevute dagli arbitri, ma così è certo che le partite durino di più. Non c’è motivo per non far partire il cronometro immediatamente e interromperlo solo nelle rare occasioni in cui c’è ancora troppo rumore dopo 25 secondi. 

Questo semplice metodo per la valutazione dell’impatto del cronometro al servizio, come descritto in precedenza, continua a suggerire un rallentamento nei tempi di gioco. Un’analisi più sofisticata – resa possibile da dati più specifici per la maggior parte degli Slam – muove nella stessa direzione, mostrando quanto spesso i giocatori riescano comunque ad allungare la pausa tra un punto e l’altro. La speranza è che il cronometro al servizio sia in fase di aggiornamento, perché altrimenti servono migliorie sostanziali affinché possa contribuire a velocizzare il gioco. 

The Effect of the US Open Serve Clock

Differenze fra sessi nell’assegnazione delle penalità

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 10 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Gli episodi arbitrali della finale femminile degli US Open 2018 sono diventati argomento scottante, a non voler esagerare con gli aggettivi. Molte delle lamentele sul trattamento ricevuto da Serena Williams si fondano sulla convinzione di un atteggiamento sessista da parte del giudice di sedia, Carlos Ramos.

Chiunque segua regolarmente il tennis ha certamente osservato giocatori e giocatrici comportarsi in un modo che può sembrare più offensivo di quello di Williams, e chiunque presti attenzione ha certamente visto innumerevoli violazioni alla regola del coaching (il tentativo di un allenatore o allenatrice di dare, fuori dal campo, suggerimenti tattici o tecnici al proprio giocatore o giocatrice in campo, n.d.t.) non subire penalizzazione.

Differenze di stili e discrezionalità

Ci sono alcuni aspetti su cui è facile trovarsi d’accordo. In primo luogo, non tutti gli arbitri hanno il medesimo stile. Ad esempio, Ramos è più severo di Mohamed Lahyani. In secondo luogo, agli arbitri è concesso margine di discrezionalità, per cui la stessa infrazione potrebbe ricevere nulla o differente sanzione a seconda della partita in cui si verifica. Da ultimo, gli arbitri cercano generalmente di evitare in tutti i modi penalità di gioco.

Molte partite presentano almeno un’avvertenza, sia essa per coaching, abuso della pallina o un’ampia varietà di altre casistiche, ma solo in un una percentuale ridotta di casi la situazione peggiora determinando la perdita di un punto o di un game. Anche i giocatori si muovono tipicamente con cautela: dopo aver ricevuto un’avvertenza, non si vedono racchette spaccate o palline lanciate fuori dallo stadio con la stessa frequenza.

Le differenze tra i vari arbitri e la discrezionalità sui cui possono fare leva all’interno delle regole permette con facilità di estrapolare una specifica chiamata ed etichettarla con sessismo, razzismo, favoritismo, appoggio del giocatore locale, disprezzo verso Roger Federer o Rafael Nadal, o semplice stupidità.

La rarità di un punto o un game di penalizzazione enfatizza l’impatto delle decisioni prese durante la finale femminile, visto che, con molteplici opzioni a disposizione, difficilmente un arbitro decide di innescare la bomba di un intero game di penalità.

Un po’ di numeri

I punti e, ancor di più, i game di penalità sono così rari da rendere impossibile trarre solide conclusioni. Analizziamo comunque i dati in nostro possesso. Per mia conoscenza, nessuna entità di governo del tennis – l’ATP, la WTA, l’ITF o la USTA – ha mai reso pubblici i dati sulle penalità, sui giocatori che le ricevono o sugli arbitri che le assegnano (e sarebbe il momento perfetto per farlo, ma non ho alcuna aspettativa al riguardo). In alternativa, si può utilizzare il sempre più abbondante campione di dati del Match Charting Project, che, solo dal 2010 in avanti, comprende più di 3500 partite.

Partite non casuali ma di primaria importanza

Quelli del Match Charting Project non sono dati casuali, perché riflettono in parte le preferenze personali dei volontari che raccolgono statistiche punto per punto. Vanno bene però per lo scopo di questo articolo: le partite del Match Charting Project infatti sono tra le più importanti, con un numero sproporzionato di finali e di giocatori di vertice coinvolti, tra cui 100 partite di Williams.

Fatte queste premesse, verifichiamo le penalità in partita dal 2010 a oggi, escludendo la finale femminile degli US Open 2018. L’ultima colonna della tabella, “P%”, è la percentuale di partite in cui una penalità è stata comminata.

Partite           Totale   Penalità   P%  
Donne (tutte)     1895     13         0.69%  
Donne (Slam)      490      6          1.22%  
Donne (finali)    228      2          0.88%
  
Uomini (tutte)    1689     16         0.95%  
Uomini (Slam)     234      6          2.56%  
Uomini (finali)   371      5          1.35%

I giocatori ricevono più penalità delle giocatrici in tre diversi confronti: tutte le partite del Match Charting Project, le partite degli Slam e le finali (non ho tenuto in considerazione i game di penalità perché non esistono praticamente dati al riguardo. In più di 3500 partite, solo una volta la situazione è degenerata da richiedere un game di penalità, cioè quando Grigor Dimitrov ha perso il controllo nella finale di Istanbul 2016). I numeri relativi agli Slam sono particolarmente significativi perché è l’unica categoria in cui la selezione del giudice di sedia avviene nello stesso gruppo. Per gli altri tornei, i due circuiti utilizzano arbitri diversi.

Né equità, né sessismo

Questi numeri non sono evidenza di equità di trattamento fra sessi, tantomeno determinano l’esistenza di sessismo nei confronti delle giocatrici o dei giocatori. A parte la quantità limitata di penalità, non conosciamo nulla sui motivi scatenanti o su occorrenze analoghe che non hanno invece dato luogo a una sanzione. È possibile che i giocatori siano in generale più aggressivi nei confronti degli arbitri, e dovrebbero quindi ricevere una volta e mezzo – o anche più – le penalità comminate alle giocatrici.

Non ne ho idea ed è probabile che non lo sappia nemmeno chi si è espresso sulla diatriba tra Williams e Ramos. In questo tipo di confronti al vetriolo l’aneddotica la fa da padrona. Per dirimere la questione una volta per tutte, si dovrebbe disporre uno studio in situazione di controllo, magari dando istruzioni a un gruppo di giocatori e giocatrici di criticare l’arbitro con le stesse dinamiche comportamentali e confrontare poi i risultati. Per quanto sia un’idea divertente, non vedrà mai realizzazione.

Conclusioni

Non intendo dire che le accuse di sessismo necessitino di una validazione statistica, perché naturalmente non è così. Ma nei casi in cui i dati sono disponibili, specialmente se in possesso di alcune delle stesse entità governative schierate dalla parte accusatoria, è un peccato che siano ignorati. Seppur limitate, le informazioni che arrivano dal Match Charting Project indicano che gli uomini ricevono penalità dal giudice di sedia più frequentemente delle donne.

La USTA, l’ITF, e la WTA potrebbero intervenire facendo definitiva chiarezza sulla controversia – cioè se gli arbitri applicano il regolamento mantenendo costante imparzialità o se esistono dinamiche di trattamento privilegiato nei confronti dei giocatori – con la pubblicazione dei dettagli di tutte le partite, tra cui il numero degli avvertimenti e delle penalità e le motivazioni da cui sono scaturite, oltre ai nomi degli arbitri. Altrimenti, purtroppo, ci aspettano altre settimane di protagonismo infondato.

Gender Differences in Point Penalties

Prime considerazioni sul cronometro al servizio dopo il torneo di Cincinnati

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 22 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Per ora, il cronometro al servizio (o serve clock, che scandisce i secondi a disposizione del giocatore al servizio dal momento in cui è terminato un punto all’inizio del successivo, n.d.t.) non ha velocizzato le partite.

Nel mio articolo per l’Economist di qualche giorno fa, ho mostrato come nella manciata di tornei in cui la nuova tecnologia è stata utilizzata, si è impiegato più tempo per giocare ciascun punto rispetto alla passata edizione dello stesso evento.

Il gioco rimane più lento

L’articolo si basava sui dati dei tornei di San Jose, Washington, Toronto e Montreal. La conclusione del torneo congiunto di Cincinnati – Masters per gli uomini e Premier per le donne – ha fornito un altro po’ di partite con un mix differente di giocatori e giocatrici, in modo da poter approfondire il ruolo del cronometro al servizio sulla velocità di gioco. Pur con l’ennesima settimana di cronometro visibile a tutti, il ritmo di gioco rimane più lento di quello di un anno fa. 

Per quanto riguarda gli uomini, sono stati usati 41.2 secondi per punto nell’edizione 2018, rispetto ai 39.8 secondi del 2017. Nel tabellone femminile, i secondi sono stati 40.8 per punto, in aumento dai 40.2 del 2017. In entrambi i casi, si tratta di un incremento che rispecchia la variazione media osservata nei tornei delle due settimane precedenti.

La tabella riepiloga il dettaglio del tempo per punto in ciascun evento, con la colonna “S/P” a indicare i secondi per punti. Sono riportate anche le medie del circuito e quelle complessive, ponderate per il numero di partite di ciascun evento.

* i lettori più attenti potrebbero notare delle differenze minime con i numeri dell’articolo dell’Economist, dovute a errori di arrotondamento

In molti hanno commentato sull’imprecisione della misurazione con il cronometro al servizio (me compreso, sempre nell’articolo originario). A meno di non presentarsi con un cronometro a tutte le partite, non esiste una modalità di revisione dell’operato arbitrale tramite il calcolo dei secondi intercorsi tra un punto e l’altro.

La specifica combinazione di giocatori di qualsiasi tabellone può incidere sulla misurazione complessiva. Io stesso ho provato a usare un semplice modello che tenesse in considerazione il tipo di giocatore, ma sono stati più i problemi delle soluzioni.

I numeri puntano a una sola direzione

Concordo nell’affermare che si è ancora molto lontani da un giudizio finale sul cronometro al servizio, anche non considerando la probabile evoluzione del modo in cui verrà utilizzato dagli arbitri. 

Però, sono numeri che puntano a una sola direzione. Una simile analisi su tornei senza il cronometro al servizio conferma che il 2018 non ha, in generale, un ritmo di gioco più lento: ad esempio, nei tabelloni maschili e femminili a Indian Wells, Miami e Madrid, in quattro sezioni su sei il tempo medio per punto è diminuito e in una delle rimanenti è aumentato solo di 0.1 secondi per punto.

Inoltre, è importante ricordare che uno degli obiettivi supposti del cronometro al servizio è di velocizzare il gioco, non solo di mantenerne il ritmo attuale. Dovesse il tempo impiegato per punto rimanere all’incirca lo stesso dello scorso anno, sarebbe un’indicazione intrinseca del fatto che la nuova tecnologia non sta mantenendo le aspettative. Sette tornei su sette in cui il tempo di gioco è diminuito consentono una posizione ancora più netta in merito.

C’è spazio di evoluzione nell’uso del cronometro

Fortunatamente per il tennis, c’è ampio spazio di evoluzione nell’uso del cronometro al servizio. L’esempio più macroscopico arriva dal comportamento degli arbitri nell’aspettare che il rumore degli spettatori si sia completamente placato prima di avviare il cronometro.

Naturalmente non si può imporre ai giocatori di servire in un sottofondo rumoroso, ma di solito il tifo smette dopo una decina di secondi. Invece di aggiungere quei dieci secondi al tempo concesso tra un punto e l’altro, gli arbitri dovrebbero azionare immediatamente il cronometro e, nelle rare occasioni in cui la folla continua a essere troppo rumorosa, interrompere il conteggio.

È improbabile che le partite rimarranno a ritmo lento una volta che la questione cronometro si è assestata. L’asticella però è stata alzata: a questo punto del percorso, si può parlare di miglioramento se le partite con il cronometro visibile a tutti vengono giocate alla stessa velocità di quelle che le hanno precedute.

What Cincinnati Taught Us About the Serve Clock

Il vantaggio dei cinque set

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 30 agosto 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nonostante abbia perso i primi due set, il super favorito Janko Tipsarevic ha vinto il primo turno degli US Open 2012 contro Guillaume Rufin. Se Rufin avesse vinto i primi due set contro Tipsarevic al Cincinnati Masters o Monte Carlo, o in qualsiasi altro torneo del circuito che non siano gli Slam, avrebbe ottenuto la sua prima vittoria contro un giocatore dei primi 10.

Anche altre teste di serie hanno dovuto affrontare una situazione simile. Se gli US Open fossero al meglio dei tre set, Milos Raonic, Marin Cilic, Gilles Simon e Alexandr Dolgopolov sarebbero usciti dal torneo. Solo due teste di serie, Juan Monaco e Tommy Haas, si sono trovati di fronte a un andamento opposto: entrambi avanti due set a zero, hanno poi perso i tre successivi.

Semplicemente, il format al meglio dei cinque set da un vantaggio ai giocatori favoriti.

In tutti i primi turni degli Slam dal 1991, le teste di serie hanno recuperato dallo 0-2 o dall’1-2 contro giocatori fuori dalle teste di serie 125 volte, mentre hanno sprecato un vantaggio di 2-0 o di 2-1 solo 71 volte. Anche solo esaminando quelle trentadue partite, si tratta di quasi una vittoria a sorpresa evitata per Slam.

Il tabellone degli US Open 2012 avrebbe decisamente un altro aspetto ora se giocatori come Tipsarevic, Raonic, Cilic, Simon e Dolgopolov fossero usciti al primo turno, pur avendo Haas e Monaco al secondo turno.

La teoria dei set

Sono numeri che non dovrebbero sorprenderci, considerando che il format al meglio dei cinque set dovrebbe consentire al giocatore migliore di emergere con più facilità.

C’è un motivo per cui le World Series di baseball sono al meglio delle sette partite invece che su una finale singola, e che l’ultimo set delle partite di singolare non è un super-tiebreak.

La differenza tra il format al meglio dei tre e al meglio dei cinque set non è così immediata – la resistenza fisica e la tenuta mentale sicuramente hanno un ruolo importante – ma, da un punto di vista puramente matematico, dovrebbero esserci meno risultati a sorpresa nelle partite al meglio dei cinque.

Meno risultati a sorpresa

Prendiamo il caso di Raonic. Il mio algoritmo (che non distingue tra partite al meglio dei tre e al meglio dei cinque set, e me ne vergogno!) assegnava a Raonic il 70% di probabilità di battere il suo avversario Santiago Giraldo.

Se il 70% è la probabilità di vittoria in una partita al meglio dei tre set e i set sono indipendenti (mi spiego a breve), è un numero che si traduce nel 63.7% di probabilità di vincere qualsiasi set. Una probabilità del 63.7% di vittoria di qualsiasi set diventa una probabilità del 74.4% di vincere una partita al meglio dei cinque set.

Un aumento di quattro o cinque punti percentuali non cambia radicalmente la complessità di un torneo, ma fa la differenza. I miei calcoli iniziali davano un’aspettativa di venti o ventuno vittorie a sorpresa al primo turno. Aggiustando la probabilità nel modo descritto per Raonic, il numero probabile di vittorie a sorpresa scende a diciotto.

La conseguenza più significativa in questo caso è l’effetto generato sulla probabilità per i giocatori di vertice di arrivare agli ultimi turni. All’inizio del torneo mi è stata mossa una critica per la bassa probabilità, apparentemente contro ragione, con cui avevo pronosticato che Roger Federer e Novak Djokovic raggiungessero la semifinale.

Ovviamente, se uno dei super favoriti riceve una spinta – in termini di probabilità – a ogni turno, come quella assegnata dal format al meglio dei cinque set, l’effetto cumulato è sostanziale. Per le prime teste di serie, può arrivare a dimezzare la probabilità di perdere contro un avversario dalla classifica molto più bassa.

Modificare la percentuale con cui Federer è pronosticato in semifinale per riflettere il vantaggio teorico fornito dal format al meglio dei cinque set significa farla salire dal 52.5% al 65%. Per Djokovic la situazione è pressoché identica.

Esiti condizionali

Tutto quello che ho detto sembra piuttosto intuitivo, ma c’è un monito. Ho fatto riferimento all’ipotesi che i set siano tra loro indipendenti, vale a dire che un giocatore abbia la stessa probabilità di vincere uno specifico set a prescindere dall’esito del set precedente. Non esiste cioè un effetto “postumi da sbornia” di quanto accaduto prima.

Anche i professionisti non sono dei robot, quindi è probabile che sia un’ipotesi non completamente valida. Ci sono volte in cui la frustrazione del proprio rendimento, il contesto o le chiamate arbitrali possono incidere su un giocatore da un set all’altro, dando di fatto un vantaggio all’avversario.

E forse ancora più importante, in alcune circostanze il risultato di un set rivela che già le attese pre-partita erano errate. Se David Nalbandian avesse giocato questa settimana invece di essere costretto al ritiro, non c’è numero di set a rivelare se avrebbe potuto essere il giocatore migliore, visto che la sua forma fisica gli avrebbe impedito di giocare al livello usuale.

La durata incide sulla stima dell’esito di una partita

Un altro monito correlato è che superata a una certa durata, l’esito di una partita non è più dipendente da capacità analoghe.

Quando Michael Russell ha giocato contro Yuichi Sugita nelle qualificazioni di Wimbledon, la loro prestazione è sembrata identica per quattro set. Nel quinto, la resistenza fisica di Russell ha comportato un vantaggio inesistente per le prime due ore di gioco. In questo caso, la stima della probabilità con cui Russell può vincere un set contro Sugita potrebbe essere indipendente dal risultato di precedenti partite, ma non è la stessa per ogni set.

A parte queste peculiarità, ci sono pochi dubbi che i giocatori favoriti abbiano più probabilità di vincere le partite al meglio dei cinque set rispetto a quelle al meglio dei tre. Che poi vogliate rimanere davanti al televisore per tutta la partita…è decisamente un’altra storia.

The Five-Set Advantage

Uno studio sull’avvertimento per violazione temporale

di Nikita Taparia // TheTennisNotebook

Pubblicato il 17 maggio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Chiunque abbia guardato una partita di Rafael Nadal, ha probabilmente sentito almeno una volta l’arbitro dire: “Avvertimento per violazione temporale, Mr Nadal”. Considerando che Nadal spesso utilizza più dei 25 secondi a disposizione tra un servizio e l’altro (20 secondi nei tornei Slam), non risulta così strano, al punto da essere in realtà un fatto noto.

La questione però è articolata e pone diversi interrogativi. Quando viene dato l’avvertimento? Nei primi punti del game o in una situazione di punteggio più delicata; nei game iniziali del primo set o nelle fasi finali del set conclusivo? Quali sono gli arbitri che assegnano più avvertimenti? Quanto spesso si verifica negli Slam, nei Master o negli altri tornei ATP e WTA? Quanto spesso sulle diverse superfici, nei game di servizio o in quelli alla risposta? In seguito a un avvertimento, il giocatore al servizio vince il punto successivo o commette un doppio fallo? Riesce a vincere il game?

Il problema maggiore nel trovare risposte a questa tipologia di domande è la mancanza di dati al riguardo. Di fronte all’ennesimo avvertimento per violazione temporale su una palla break, ho deciso di analizzare il tema più in dettaglio. Ho creato quindi un Form di Google per raccogliere informazioni sulle partite in cui si verificano avvertimenti per violazione temporale e ho estratto tutti i tweet passati su Twitter contenenti la frase ‘Avvertimento per violazione temporale’, decodificandoli al fine di creare un semplice database. Per quanto si tratti di dati incompleti, forniscono in ogni caso una linea guida per giungere a conclusioni preliminari.   

Un caso prova: Nadal

Analizzando i dati estratti da Twitter, emerge un elemento comune, il nome di Nadal. Quando si parla di avvertimento per violazione temporale, ci sono più persone che scrivono tweet su Nadal, fornendo molti dettagli. Tra Twitter e il Form di Google, una volta escluse le sovrapposizioni, ci sono quasi 100 partite degli ultimi 4-5 anni che riguardano Nadal. Di queste, ho selezionato solo le 60 che riportavano una qualche indicazione di punteggio: 28 avevano l’avvertimento per violazione temporale in presenza di una palla break, mentre 6 alla palla per il game/set/partita; 46 di queste partite avevano poi indicazione del punto esatto. Naturalmente, è importante sottolineare che i dati potrebbero contenere imprecisioni, perché è più probabile che le persone facciano riferimento solo alle palle break.

L’immagine 1 illustra la distribuzione degli avvertimenti. La mappa di calore sulla sinistra fornisce una visione prospettica con tutte le combinazioni di punteggio e la frequenza. L’istogramma invece, con un campione così ridotto, è una rappresentazione più puntuale.   

IMMAGINE 1 – Avvertimenti comminati a Nadal per violazione temporale rispetto al punteggio

Avvertimento nelle situazioni di punteggio più caldo

Tra le 46 partite con indicazione esatta della situazione di punteggio nel game, esiste una parzialità evidente rispetto al momento in cui Nadal riceve l’avvertimento di violazione temporale. Se dovessi fare un’ipotesi, mi attenderei che, con più dati a disposizione, venga corroborata l’assunzione che Nadal riceva un avvertimento nelle situazioni di maggiore pressione di punteggio.  

Legame con il punteggio nei singoli game 

Un secondo importante filone informativo è quello sull’effettivo computo dei set e del legame con il punteggio nei singoli game. Molte delle partite considerate vengono eliminate perché il punteggio in termini di set non era conosciuto. Rifacendosi alle precedenti combinazioni, si può suddividere il punteggio all’interno di un game in quattro categorie:

  • non letale [15-15]
  • palle break [30-40]
  • palle del game [40-30]
  • punti che potrebbero portare a palla break [30-30, parità, 30-40].

L’immagine 2 le illustra, distinguendole attraverso l’utilizzo dei colori. Per convenienza, l’ordine è per numero del set (se conosciuto) e numero del game. 

IMMAGINE 2 – Matrice punteggio game/set al momento in cui Nadal riceve un avvertimento per violazione temporale

La matrice si legge guardando il numero del game nel momento in cui l’avvertimento è stato inflitto e il numero del set (se disponibile). Il colore (nelle colonne) indica il tipo di punteggio all’interno del game rispetto alle quattro categorie identificate. Il punteggio di Nadal nel set è indicato per primo, segue poi quello dell’avversario.    

Come si osserva – sebbene dai tweet sia riuscita a risalire al punteggio dei set – il numero del set non era sempre disponibile. Astraendo per un istante dal numero del set, si può vedere quante volte l’avvertimento sia stato inflitto dal sesto game in avanti, 22 volte, e quante prima, 10. Si riesce anche più facilmente a visualizzare il punteggio del game, nella maggior parte dei casi su palle break o su punti che portano alla palla break. L’immagine 3 mostra poi la distribuzione temporale del numero delle partite conosciute estratte da Twitter che fanno parte di questo sottoinsieme.

IMMAGINE 3 – Numero delle partite conosciute per anno

Molti fattori giustificativi ma presenza di parzialità

Questi avvertimenti per violazione temporale nelle fasi avanzate della partita possono essere giustificati da molteplici fattori, come ad esempio il fatto che Nadal rallenti nella sua routine di servizio o tra un punto e l’altro nelle fasi conclusive del set. Ciò però non giustifica il momento preciso in cui viene inflitto l’avvertimento: perché ne vengono dati così tanti nei passaggi cruciali del game, del set o della partita? Questo è il vero scopo dello studio, far emergere la parzialità a cui facevo riferimento.

Come accennato, Twitter stesso si espone a essere parziale per la scelta da parte dei suoi utenti del tipo di informazioni da riportare (sebbene sembri che, nel caso di Nadal, tutti pubblichino tweet sugli avvertimenti, almeno per i tornei più importanti). L’esigenza di raccogliere dati sul maggior numero di partite del circuito maschile e femminile deriva proprio dalla volontà di eliminare qualsiasi forma di scetticismo.

Ci sono poi ulteriori aspetti che si potrebbero esplorare, come il lato psicologico dei giocatori (vincono o perdono il punto o il game?), la parzialità dell’arbitro (la tendenza a infliggere avvertimenti in determinati momenti della partita), cosa succede negli Slam rispetto agli altri tornei, e molti altri. 

Time Violation Warning Study: Motivation & Preliminary Results

Una proposta per regolamentare il rientro da una squalifica

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 22 marzo 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dopo aver scontato la squalifica per doping di 15 mesi, Maria Sharapova tornerà al tennis professionistico nel torneo di Stoccarda, che ha inizio il 24 aprile e che le ha garantito un accesso diretto tramite wild card. Da ex numero 1 della classifica e in qualità di giocatrice estremamente conosciuta, non ci si deve sorprendere se ha già ottenuto wild card anche per il Madrid Premier Mandatory e gli Internazionali d’Italia.

Dibattito acceso

Si è naturalmente generato un acceso dibattito. Molte persone vedono nelle wild card una sorta di ricompensa o regalo che risulta inappropriato se conferito a un giocatore o a una giocatrice colti in una violazione così importante. Molti appassionati e colleghi ritengono che, pur avendo scontato una pena severa, Sharapova non meriti questo tipo di vantaggio.

È significativo come né la Federazione Internazionale – che gestisce gli esami antidoping e determina le squalifiche – né la WTA – che definisce le linee guida per la partecipazione ai tornei – abbiano voce in capitolo sulla situazione.

La decisione è del torneo

Ogni torneo deve prendere la sua decisione. Il Roland Garros potrebbe rifiutarsi di invitare Sharapova all’edizione di quest’anno (e Wimbledon potrebbe fare lo stesso), ma qualsiasi altro organizzatore il cui scopo è vendere biglietti e attrarre sponsor vorrebbe averla in tabellone.

In altre parole, con la possibile eccezione di Parigi e Londra, Sharapova potrebbe essere nella condizione di ripartire dalla situazione pre-squalifica, cioè accedere a qualsiasi torneo in cui desidera giocare.

L’unico svantaggio è che non riceverà la testa di serie, aspetto che potrebbe rendere il quarto della morte all’Indian Wells Masters appena conclusosi una sezione di tabellone da circolo di tennis. Se gioca bene e non subisce infortuni, è probabile che riesca a risalire la classifica entro la fine della stagione fino alla zona di assegnazione delle teste di serie.

Non è mio interesse approfondire l’eventuale merito di Sharapova nel ricevere le wild card. In generale, non ho particolare simpatia per quelle situazioni in cui i tornei offrono opportunità di guadagno – di soldi e punti per la classifica – a giocatori preferiti, ma è anche vero che la squalifica di Sharapova è stata già molto lunga.

Non sembra giusto che debba impiegare mesi a raccimolare punti nei tornei di livello inferiore. Quando Viktor Troicki è stato sospeso per un anno nel 2013, gli sono state garantite solo due wild card in tornei del circuito maggiore, e quindi gli sono serviti sei mesi per ritornare alla sua precedente classifica.

Necessità di una regolamentazione precisa

La mia preoccupazione si rivolge invece a tutti i giocatori del circuito come Troicki. Il rientro di Sharapova, al pari di quello di Troicki, saranno in definitiva influenzati dalle decisioni dei singoli tornei.

Da un lato, Sharapova – da vincitrice di diversi Slam e personaggio pubblico immensamente popolare – potrà partecipare praticamente a tutti i tornei in cui vorrà giocare, dall’altro Troicki è stato costretto a ricominciare quasi dall’inizio.

Messa in altri termini: la squalifica di 15 mesi di Sharapova avrà avuto una durata di 15 mesi (esattamente quindici, visto che giocherà il suo primo turno al torneo di Stoccarda il primo giorno successivo al termine della squalifica), mentre la squalifica di 12 mesi ha tenuto Troicki lontano dal suo livello di riferimento per quasi 18 mesi.

La WTA necessita di una regolamentazione che determini con precisione il trattamento che una giocatrice debba attendersi al rientro da una squalifica. Fortunatamente, è già operativo uno strumento che può essere adattato allo scopo, cioè la “classifica speciale” riservata alle giocatrici con infortuni di lunga durata (la regola della “classifica protetta” funziona in modo simile per il circuito ATP). Se una giocatrice è inattiva per più di sei mesi, può utilizzare la posizione in classifica prima dell’infortunio per partecipare fino a otto tornei, tra cui fino a due Premier e due Slam. Sia la giocatrice un’icona, sia una sconosciuta, al suo rientro ha comunque un’equa possibilità di risalire la classifica.

La mia proposta

Quando la squalifica di una giocatrice termina, il suo rientro è sottoposto allo stesso trattamento del rientro da un infortunio, con la differenza che per il primo anno non vengono concesse wild card.

In questo caso, Sharapova sarebbe nel tabellone principale di otto tornei, potendo scegliere tra Stoccarda, gli Internazionali d’Italia, il Madrid Premier Mandatory, il Roland Garros, Birmingham, Wimbledon, il Toronto Premier e il Cincinnati Premier. Giocando bene nei primi due mesi dal rientro, avrebbe probabilmente una classifica sufficientemente alta per accedere agli US Open senza aiuto. In questo modo, l’intera faccenda si sgonfierebbe.

Non serve che le specifiche siano perfettamente aderenti al rientro da infortunio. Si può pensare di aggiungere dai due ai quattro tornei con classifica speciale per eventi minori organizzati dalla Federazione Internazionale o per le qualificazioni, nel caso una giocatrice preferisca riaffacciarsi gradualmente al circuito maggiore, dopo aver superato una sorta di periodo di riabilitazione.

Regole identiche per qualsiasi giocatrice

L’elemento centrale è che le regole sarebbero identiche per qualsiasi giocatrice. Per quanto severa possa essere stata la punizione comminata a Sharapova, non è nulla rispetto all’effetto che una squalifica di 15 mesi ha su un giocatore del circuito meno famoso, come dimostra l’esempio di Troicki.

Che sia o non sia di gradimento, ci saranno altre squalifiche per doping e, a meno che entrambi i circuiti non istituiscano un tipo di trattamento standard, il merito dell’assegnazione di wild card a una determinata giocatrice o giocatore piuttosto che ad altri, al loro rientro, sarà oggetto di continue e più intense controversie. La severità ultima di una squalifica dipenderà sempre da numerosi aspetti, ma la popolarità di un giocatore o di una giocatrice non dovrebbe essere mai tra questi.

Regulations for Returning Rule-Breakers

Le conseguenze del super-tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 20 agosto 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Non sono sicuro di come si sia potuti arrivare a una situazione in cui gli appassionati di tennis considerano il super-tiebreak (il tiebreak a 10 punti giocato nel set decisivo nei doppi e doppi misti, n.d.t.) equivalente a un set. A quanto pare, è una soluzione migliore per spettatori e televisione e, naturalmente, è anche più veloce di un normale set.   

Nonostante la sua praticità, è ovvio che il super-tiebreak non è la stessa cosa di un set. Mettendo da parte le considerazioni morali, mi interessano in questa sede gli aspetti statistici.

In generale, più sono i punti (o i game, o i set) che servono per vincere una partita, più è probabile che vinca il giocatore migliore. Alcuni commentatori hanno definito, a ragione, il super-tiebreak uno “shootout”: riducendo il numero di punti necessari a vincere si amplifica il ruolo riservato alla fortuna.

La struttura della partita determina lo spazio riservato alla fortuna

Qualche volta uno shootout è l’idea migliore. La partita deve avere fine e quando i giocatori arrivano sulla parità dopo due, quattro set o cinque set e 12 game, è chiaro che prima o poi la fortuna dovrà intervenire. Ma è la struttura della partita a determinare quanto spazio sia esattamente concesso alla fortuna.        

Per confrontare un super-tiebreak con il set che viene rimpiazzato, dobbiamo conoscere quanta fortuna il super-tiebreak aggiunge alla partita. Serve un esempio su cui fare dei calcoli.

Prendiamo due giocatori: il giocatore A vince il 70% dei punti al servizio, il giocatore B vince il 67% dei punti al servizio. In una partita al meglio dei tre set con tiebreak a 7 punti, il giocatore A ha il 63.9% di probabilità di vincere la partita.

Se A e B vanno un set pari, le probabilità di vittoria di A scendono al 59.3%. In altre parole, una durata più breve della partita rende più probabile che B sia fortunato o che sia in grado di sostenere un livello di gioco più alto per un periodo lungo a sufficienza da fargli vincere la partita.

Invece, se la partita è decisa dal super-tiebreak, le probabilità di vittoria di A scendono al 56%, cancellando più di un terzo del vantaggio del favorito nel terzo set. In realtà, il super-tiebreak è di poco più favorevole al giocatore A di un tipico tiebreak a 7 punti, nel quale A avrebbe il 55.1% di probabilità.

(I più interessati a questo tipo di analisi, trovano qui il mio codice python per calcolare le probabilità di vittoria e di andamento di punteggio in un tiebreak.)

Tra un tiebreak normale e uno a 26 punti

Non penso che ci siano sostenitori dell’idea di sostituire il set decisivo con un tiebreak a 7 punti. Eppure il super-tiebreak ha molta più somiglianza con il tiebreak a 7 punti che con un set giocato interamente.

Nemmeno aggiungere qualche punto risolve il divario. Per mantenere le probabilità di vittoria del giocatore A al 59.3%, il terzo set dovrebbe essere sostituito da un tiebreak a 26 punti. E non credo che un tiebreak di questo tipo garantirebbe maggiori introiti pubblicitari.

The Implications of the 10-Point Tiebreak