Lo Slam che nessun giocatore salta – Gemme degli US Open

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 23 agosto 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il quinto articolo della serie Gemme degli US Open.

Rafael Nadal salta gli US Open 2012 e ormai non è più una notizia. Non è nemmeno una sorpresa, visto che Nadal non ha giocato più da Wimbledon 2012 e, in passato, il ginocchio l’ha tenuto a lungo lontano dal circuito.

L’aspetto che più colpisce è la rarità – per un giocatore di vertice – nel saltare gli US Open. Nonostante sia un torneo che si presenta verso la fine della stagione, dopo otto spossanti mesi in cui tutti i giocatori in qualche modo sono colpiti da infortuni, New York riceve più presenze tra i primi 10 del mondo degli altri tre Slam.

Anzi, dal 1991 Nadal è solo il terzo giocatore tra i primi 3 della classifica a saltare gli US Open. Nel 1999, Pete Sampras, numero 1, non potè giocare e, nel 2004, fu il numero 3 Guillermo Coria a rimanere a casa. Solo 10 delle ultime 21 edizioni hanno visto l’assenza di uno dei primi 10 giocatori.

Perché i più forti giocano gli US Open più di altri Slam

È interessante chiedersi perché i più forti vadano a giocare gli US Open come non fanno con gli altri Slam. Wimbledon ha certamente più prestigio. Di sicuro, i diversi cambi di superficie tra tornei primaverili ed estivi mettono alla prova la resistenza fisica e mentale di qualsiasi giocatore. Forse la sospensione leggermente più lunga tra Wimbledon e New York permette ai giocatori di riposarsi, dovessero averne bisogno. La maggior parte dei giocatori gioca i Master in Canada e a Cincinnati ma, come successo quest’anno, in molti sono disposti a saltare uno dei due tornei, a significare che solo un infortunio serio tiene un giocatore fuori dal tabellone degli US Open.

In ulteriore contrasto con la saggezza popolare tennistica, lo Slam con la seconda migliore presenza di giocatori di vertice è il Roland Garros, non Wimbledon. Dal 1991, solo tredici dei primi 10 hanno saltato il Roland Garros, tre dei quali erano in realtà un solo giocatore, Boris Becker.

Wimbledon al terzo posto

Pur venendo considerato sinonimo di tennis, Wimbledon è al terzo posto e ben dietro, con 25 dei primi 10 assenti nelle ultime 22 edizioni. In questo caso i nomi hanno più senso: Alex Corretja tre volte, Marcelo Rios due, Sergi Bruguera quattro volte. Semplicemente, verso la fine degli anni ’90 alcuni giocatori non consideravano Wimbledon un torneo a cui dover partecipare a ogni costo.

Gli Australian Open sono poco più indietro al quarto posto, con 29 giocatori tra i primi 10 che non hanno giocato. Melbourne sembra essere il torneo con meno presa dei quattro Slam, ma negli ultimi anni c’è stata un’inversione di tendenza. Dal 2006 infatti solo un giocatore tra i primi 10, Nikolay Davydenko nel 2009, non ha giocato.

Si può essere quindi indotti a pensare che le assenze dai tornei Slam siano casuali, determinate da infortuni che capitano in qualsiasi momento. Ogni assenza di un singolo giocatore certamente sembra essere motivata da questo. Ci sono però anche forze di ordine superiore – come il valore associato a certi tornei, la maggiore pressione a cui il fisico è sottoposto in alcuni momenti della stagione rispetto ad altri – che sono anch’esse casuali. In un certo e ulteriore modo, Nadal sta facendo vedere di essere un giocatore unico, saltando lo Slam del calendario che nessuno salta.

Aggiornamento

La tabella riepiloga le assenze tra i primi 10 giocatori del mondo nei cinque anni successivi al 2012, quando è stato scritto l’articolo originale. Si nota immediatamente come non solo gli US Open abbiano perso il primato di Slam con più presenze tra i primi 10, ma siano scesi all’ultimo posto, principalmente a causa dei quattro ritiri dell’edizione 2017 (n.d.t.).

                2013  2014  2015  2016  2017  TOT
Australian Open    1     0     1     1     0    3
Roland Garros      2     1     1     1     1    6
Wimbledon          0     1     1     1     1    3
US Open            1     1     0     2     4    8

The Slam No One Misses

Kevin Anderson sta diventando un giocatore d’élite? – Gemme degli US Open

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 9 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il quarto articolo della serie Gemme degli US Open.

Con la vittoria da sfavorito su Andy Murray al quarto turno degli US Open 2015, Kevin Anderson ha raggiunto il primo quarto di finale in un torneo Slam. All’età di 29 anni, otterrà un nuovo primato di classifica personale e, con un po’ di collaborazione dai giocatori rimasti in tabellone, potrebbe con un’altra vittoria entrare per la prima volta nei primi 10 del mondo (Anderson ha poi perso da Stanislas Wawrinka con il punteggio di 6-4 6-4 6-0, n.d.t).

Da diversi anni Anderson è una presenza fissa nei primi 20, ma questo ulteriore passaggio arriva un po’ a sorpresa. Nonostante l’aumento dell’età media complessiva del circuito e l’affermazione di Wawrinka come vincitore di più Slam, resta ancora difficile immaginare che un giocatore verso i trent’anni possa fare un salto in avanti in carriera di questa proporzione. Per di più con un gioco che dipende dal servizio come quello di Anderson. Con un rovescio eccellente, non è un giocatore mono-dimensionale come John Isner, Ivo Karlovic e forse anche Milos Raonic. Nonostante questo è più facile associarlo a quel tipo di giocatori che a giocatori più orientati al gioco da fondo.

Non basta un grande servizio per stare tra i primi 10

Nel tennis moderno, in assenza di un solido gioco alla risposta è molto difficile raggiungere posizioni di vertice. I tiebreak sono troppo simili a una lotteria per potervi fare affidamento nel lungo termine. Come ho scritto qualche mese fa a proposito di Nick Kyrgios, quasi nessun giocatore ha concluso la stagione tra i primi 10 vincendo meno del 37% dei punti alla risposta. Anderson ci è riuscito solo una volta, nel 2010. All’inizio degli US Open 2015, la sua percentuale era solamente del 34.2%.

Fino a questo momento della stagione 2015, l’unico giocatore tra i primi 10 con una frequenza inferiore di punti vinti alla risposta è Raonic, al 30.2%. Raonic è storicamente un’anomalia e, con il diminuire della percentuale di vittoria dei tiebreak da un quasi record del 75% lo scorso anno a un più tipico 51% quest’anno, il suo posto tra i primi 10 è in pericolo. In altre parole, il solo giocatore dal servizio robotico tra i primi 10 deve fare pesante affidamento sulla fortuna – o su un talento fuori dal comune, forse unico nei momenti chiave – per rimanere tra l’élite dello sport.

Ancora indietro nel gioco alla risposta

Anderson è un giocatore più completo di Raonic e riesce a vincere più punti alla risposta. È però ancora molto indietro al successivo peggior giocatore alla risposta tra i primi 10, cioè Wawrinka con il 36.7%. I 2.5 punti percentuali tra Anderson e Wawrinka rappresentano un divario importante, quasi un quinto dell’intero intervallo tra i migliori e i peggiori giocatori alla risposta del circuito.

Meno è efficace il gioco alla risposta, maggiore l’affidamento di un giocatore sul tiebreak per la vittoria del set, e questa è una delle spiegazioni del successo di Anderson nel 2015. Il 62% nei tiebreak (26 vinti e 16 persi) è, finora, la migliore percentuale della sua carriera, considerevolmente più alta della sua media del 54%. Di nuovo, sembra una differenza marginale, ma sottraendo tre o quattro tiebreak da quelli vinti non è più in finale al Queen’s Club o in procinto di giocare un quarto di finale a New York.

Troppi tiebreak

Sono davvero pochi i giocatori che sono stati capaci di rimanere tra i primi 10 per un tempo degno di nota affidandosi così massicciamente ai tiebreak vinti. Un’altra statistica utile per valutare questo aspetto è data dalla percentuale di set vinti al tiebreak sui set vinti in totale. All’inizio degli US Open 2015, appena sopra il 25% dei set vinti da Anderson è arrivato da vittorie al tiebreak. Dal 1991, solo quattro volte un giocatore ha tenuto una frequenza così alta e terminato poi la stagione tra i primi 10: Raonic nel 2014, Andy Roddick nel 2007 e 2009, Greg Rusedksi nel 1998.

Anzi, tra il 1991 e il 2004, solo 17 volte un giocatore è arrivato tra i primi 10 a fine stagione con un valore di questa percentuale superiore al 20%. Roddick è responsabile per cinque delle 17 volte e, quasi tutti a eccezione di Roddick all’apice, erano giocatori che si sono classificati fuori dai primi 5. Nell’ultima decade, si è verificato solo due volte, le stagioni di Wawrinka e Raonic nel 2014.

Prima di servizio migliorata

L’elemento positivo nel profilo statistico stagionale di Anderson è il miglioramento significativo della prima di servizio. Nel 2015 la frequenza di ace è sopra il 18%, rispetto al 2014 (e a una media in carriera) del 14%. La percentuale di punti vinti con la prima è salita al 78.8% dal 75.4% della scorsa stagione e da una media in carriera del 75.8%.

Si tratta di un grande passo avanti per Anderson e motivo per il quale è uno tra soli cinque giocatori sul circuito (insieme a Isner, Karlovic, Roger Federer e Novak Djokovic) a vincere più del 69% dei punti al servizio nel 2015. Per molti aspetti, le statistiche di Anderson sono simili a quelle di Feliciano Lopez – un altro giocatore che a lungo si è avvicinato a varcare la soglia dei primi 10 – il quale però non ha mai raggiunto il 68% dei punti vinti al servizio per un’intera stagione.

Fosse Anderson in grado di sostenere questo nuovo livello di efficienza al servizio, continuerà – come minimo – a beneficiare di un successo addizionale nei tiebreak. Una percentuale di tiebreak vinti maggiore del 54% mostrato in carriera da Anderson (sebbene probabilmente inferiore al 62% del 2015) lo manterrà tra i primi 15. Anche per i migliori al servizio però, i tiebreak sono spesso poco più di un lancio della monetina, e i giocatori non entrano tra i primi del mondo facendo affidamento al lancio della moneta.

Giusta direzione

Come testimoniato dal suo quarto di finale agli US Open 2015, Anderson si sta muovendo nella giusta direzione. È facile vederlo in un percorso che possa fargli terminare la stagione tra i primi 10. Per fare però il passo successivo sulla falsariga di un giocatore come Wawrinka, avrà bisogno di iniziare a servire come Andy Roddick all’apice o – forse ancora più difficile – migliorare decisamente il gioco alla risposta (Anderson finirà il 2015 al 12esimo posto, entrando per la prima volta a ottobre nei primi 10, al decimo posto. Il 2016 è stato un anno più complicato, terminato al 67esimo posto. Ha però nuovamente raggiunto i quarti di finale agli US Open 2017, con la possibilità di andare avanti nel torneo e migliorare il 32esimo posto della sua classifica attuale, n.d.t.).

Is Kevin Anderson Developing Into an Elite Player?

L’incidenza della velocità del servizio – Gemme degli US Open

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 12 ottobre 2011 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il terzo articolo della serie Gemme degli US Open.

A parità di condizioni, è preferibile servire più forte.

Importa davvero quanto più forte?

È una domanda più complessa di quanto sembri, e non posso ancora dire di avere una risposta. Nel frattempo però condivido i risultati di qualche analisi numerica.

Nelle partite degli US Open 2011 tracciate da Pointstream, ci sono stati più di 9000 punti sulla prima di servizio. Il giocatore al servizio ha vinto quasi esattamente il 70% di quei punti. Circa l’11% sono stati ace e un altro 24% servizi vincenti.

Per verificare l’incidenza della velocità del servizio, ho analizzato quattro esiti: gli ace, i servizi vincenti, gli scambi brevi (al massimo tre colpi) e i punti vinti. Non stupisce che i valori di ciascuna delle tipologie siano più alti sui servizi più veloci. 

La tabella riepiloga ogni valore per diverse velocità di servizio. Il risultato che mi colpisce è la variazione minima nei punti vinti al servizio tra l’intervallo di velocità 153-159 km/h (95-99 mph) e quello 185-192 km/h (115-119 mph). Il modesto aumento o, in altre parole, la sorprendente efficacia dell’intervallo 153-167 km/h (95-104 mph), può derivare da servizi esterni strategici, o da un gioco di scambio migliore dei giocatori che servono a velocità inferiori.   

Come ho detto, rimane ancora molto studio da fare, identificare l’incidenza di servizi più veloci in funzione del singolo giocatore, analizzare le differenze tra lato della parità e dei vantaggi (per destri e per mancini) e i risultati per diverse direzioni di servizio.

The Effect of Serve Speed

Il tabellone degli US Open è davvero casuale? – Gemme degli US Open

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 23 agosto 2011 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il secondo articolo della serie Gemme degli US Open.

La scorsa settimana, un articolo di Outside The Lines di ESPN ha messo in dubbio la correttezza del tabellone principale degli US Open. Un ricercatore ha scoperto che le prime due teste di serie (per il singolare maschile e per quello femminile) hanno affrontato, negli ultimi dieci anni, degli avversari di primo turno molto abbordabili, più di quanto sia statisticamente probabile se il sorteggio fosse davvero casuale.

È poco meno di un’imputazione esplicita di manipolazione del sorteggio, e conseguentemente del tabellone, da parte della USTA, la Federazione americana di tennis. È un’accusa grave e, pur facendo gli autori dell’articolo sostanziale affidamento sul riscontro di un solo ricercatore a supporto della metodologia utilizzata, non è del tutto chiara la presenza di comportamenti inaccettabili.

Le risultanze

Per qualche motivo, lo studio si è concentrato sulle prime due teste di serie. Non se ne comprende la ragione e non ho idea del perché la USTA dovrebbe manipolare il tabellone a favore delle prime due teste di serie, a prescindere dalla loro identià.

Ci sono stati sicuramente anni in cui tutti volevano assistere a una finale tra Roger Federer e Rafael Nadal, o nei quali i tifosi americani sarebbero andati in estasi per uno scontro tra Serena Williams e Venus Williams. Perché però la USTA dovrebbe modificare il tabellone a favore di Gustavo Kuerten o Marat Safin, Amelie Mauresmo o Dinara Safina?

Mettiamo per un attimo da parte l’interrogativo. Per quantificare la difficoltà dell’avversario di primo turno di ciascuna delle due teste di serie, lo studio di ESPN ha inventato una statistica chiamata “indice di difficoltà”, sui cui torneremo a breve.

Uno sguardo veloce alla lista degli avversari di primo turno del periodo considerato fa pensare in effetti che ci sia qualcosa di inappropriato. Negli ultimi dieci anni di tabellone maschile, una delle prime due teste di serie ha affrontato un avversario tra i primi 80 del mondo solo quattro volte, e mai negli ultimi cinque anni. Le teste di serie dovrebbero affrontare un giocatore tra i primi 80 in circa metà dei loro primi turni.

Se l’interesse è specifico per gli avversari di primo turno delle prime due teste di serie, è evidente che abbiano beneficiato di un percorso più facile di quanto statisticamente ci si sarebbe atteso. Non è però ancora chiaro se sia solo una questione di fortuna.

Un’analisi dell’indice di difficoltà

Questa è la spiegazione della statistica usata da ESPN: “Se una delle prime due teste di serie affronta al primo turno il numero 33 della classifica ufficiale, ottiene un indice di difficoltà di 0.995 per quel turno; se al primo turno affronta il numero 128, l’indice diventa 0.005. Un avversario medio (con classifica intorno all’80esimo o 81esimo posto) corrisponde a un indice di difficoltà di circa 0.500, che dovrebbe essere il valore medio dell’indice di difficoltà per diversi anni di tabellone”.

Non capisco perché lo studio di ESPN abbia dovuto abbandonare la classifica ordinale (dall’1 al 128) per indici di difficoltà tra lo 0.005 e lo 0.955. Ho comunque rifatto l’analisi con i numeri ordinali della classifica e ho ottenuto gli stessi risultati.

In media, l’avversario di primo turno per le prime due teste di serie del tabellone maschile e femminile di ogni anno è stato circa il 98esimo migliore giocatore del campo partecipanti. Considerato che il sorteggio può assegnare alle teste di serie qualsiasi giocatore tra 33 e 128, la media “dovrebbe” essere intorno a 80.

Tramite l’indice di difficoltà, ESPN afferma che la probabilità di tabelloni facili degli ultimi dieci anni è dello 0.3%. Con la classifica tradizionale, ho trovato all’incirca lo stesso risultato. L’ultima cosa di cui ha bisogno l’analisi statistica sportiva è un altro superfluo indice, ma almeno questo non sembra trarre in errore.

Un movente più solido per manipolare il tabellone?

Ci sono due riflessioni al centro della questione: perché ci concentriamo proprio sul tabellone delle prime due teste di serie? Perché la USTA avrebbe interesse a compromettere la correttezza del sorteggio?

Come evidenziato da ESPN, alcune delle vittime al primo turno sono giocatori americani che hanno ricevuto wild card. Scoville Jenkins, ad esempio, è stato dato in pasto ai lupi ben due volte, una contro Federer e una contro Andy Roddick. Se stessimo davvero cercando una spiegazione, potremmo pensare che la USTA voglia lanciare sul palcoscenico promesse emergenti come Jenkins, Devin Britton e Coco Vandeweghe, o per mostrare il valore di questi giocatori, o per rendere più accattivanti le sconfitte a senso unico che altrimenti subirebbero. Penso che preferirei guardare Nadal giocare contro Jack Sock anziché vederlo contro, per fare un nome, Diego Junqueira.

Fantasiose correlazioni

Ma questa è una spiegazione ex post del tipo più plateale. Se la USTA volesse manipolare il tabellone, non avrebbe più senso farlo per favorire i giocatori americani più forti? O per favorire un maggior numero di teste di serie in modo da avere scontri diretti tra nomi di richiamo nella seconda settimana? O ancora manipolare le partite di secondo turno per i giocatori di vertice, in modo che i più forti possano giocare nel fine settimana centrale?

Se non si trovano evidenze di manipolazione del tabellone in nessuno degli scenari elencati, sembrerebbe che ESPN abbia scoperto qualcosa di più simile alla famosa correlazione tra l’indice di borsa S&P 500 e la produzione di burro nel Bangladesh. Se si cerca per una conclusione degna di nota in modo sufficientemente ampio, prima o poi qualcosa si trova.

Le teste di serie di vertice

Come detto, non ci sono dubbi che le prime due teste di serie del tabellone maschile abbiano avuto un percorso facile negli ultimi dieci anni, da quando il numero delle teste di serie è passato da 16 a 32. Lo stesso vale per le donne.

I primi due di entrambi i tabelloni hanno affrontato un avversario classificato all’incirca alla 98esima posizione su 128. La probabilità che questo accada sia per gli uomini che per le donne è molto ridotta, circa lo 0.25%. La probabilità quindi che le prime due teste di serie dei rispettivi tabelloni di un solo torneo abbiano in modo casuale un primo turno così facile per dieci anni è, in pratica, nulla.

Dopo le prime due teste di serie però, qualsiasi sospetto svanisce velocemente. In media, l’avversario per le prime quattro teste di serie ha avuto una classifica intorno all’89esima posizione su 128, che significa che le teste di serie numero tre e quattro hanno giocato contro avversari, in media, intorno al numero 80.

L’avversario medio per le prime otto teste di serie tra gli uomini è stato intorno al numero 87, che significa che le teste di serie dalla cinque alla otto hanno affrontato avversari intorno alla posizione 85. Non c’è niente in questi numeri che desti clamore, e la situazione è praticamente identica per le donne.

Nessuna manipolazione per i secondi turni

Andando avanti nell’analisi, non si trova traccia di manipolazione del tabellone per i secondi turni. Anzi, le prime due teste di serie femminili hanno dovuto giocatore contro avversarie particolarmente forti: c’era una probabilità solo del 20% che quelle venti giocatrici si trovassero in un secondo turno così complicato come poi è accaduto.

Prima di analizzare il tabellone dei giocatori americani, un rapido riepilogo. Se, da un lato, le prime due teste di serie hanno affrontato giocatori dalla classifica molto bassa al primo turno, dall’altro, l’effetto non si è poi esteso al secondo turno o nemmeno a qualsiasi altra testa di serie successiva alle prime due.

Il tabellone degli americani

Se la USTA volesse alterare il tabellone, ci si aspetterebbe che favorisse i giocatori di casa, per nessuna migliore ragione che gli ascolti televisivi. Ma così non è stato.

Uomini

Iniziamo dai giocatori. I due americani con la classifica più alta hanno affrontato, ogni anno, avversari con classifica media di 79 su 128, cioè un po’ più forti della media. Se ampliamo l’analisi ai primi quattro americani, o solo agli americani teste di serie, il risultato rimane intorno alla media. Se qualcuno sta davvero manipolando il tabellone per favorire i giocatori americani o lo sta facendo senza tenere conto della classifica ufficiale, o non sta facendo proprio un buon lavoro.

Più sorprendenti sono i risultati sugli avversari, in media, di tutti i giocatori americani, che negli ultimi dieci anni, hanno avuto una classifica di 61.2 – decisamente inferiore a 80 – in parte perché giocatori fuori dalle teste di serie possono dover affrontare teste di serie al primo turno. Non dovrebbe essere comunque una media così bassa. Anzi, c’è una probabilità solo del 20% che i giocatori americani debbano giocare un primo turno così difficile.

Donne

I risultati per le donne sono abbastanza simili. Le prime due americane hanno ricevuto, ogni anno, un tabellone leggermente più facile, con un’avversaria, in media, classificata 83 su 128. Va ricordata però la sovrapposizione con l’analisi sulle prime due teste di serie femminili, perché cinque delle 20 prime due teste di serie erano americane e, in quasi tutti e cinque i casi, quelle giocatrici hanno affrontato una delle giocatrici più deboli in tabellone. In altre parole, c’è più evidenza che il tabellone favorisca le prime due teste di serie che le prime due giocatrici americane.

Così come i giocatori americani, in generale anche le giocatrici hanno ricevuto un tabellone difficile. Anzi, c’è una probabilità solo del 16% che le giocatrici americane debbano giocare un primo turno così difficile.

Il significato di tutto questo

Se la USTA (o chiunque altro) sta alterando i tabelloni degli US Open, lo sta facendo in modo quasi imperscrutabile: l’unica evidenza di manipolazione è quella con le prime due teste di serie di ogni anno, come riscontrato da ESPN.

Anche la supposizione che ho citato in precedenza, per cui possa essere desiderabile mettere contro giocatori di vertice ed emergenti promesse americane, è affascinante, ma non supportata da evidenza. Solo cinque dei 20 avversari delle prime due teste di serie maschili (e sei delle 20 avversarie femminili) erano americani, sebbene gli Stati Uniti abbiano contribuito con cinque o sei wild card con bassa classifica ogni anno in aggiunta a un numero sproporzionato di qualificati.

È una situazione bizzarra. Gli avversari di primo turno delle prime due teste di serie espongono il tabellone a una plausibile idea di manipolazione, se non forse anche la più ovvia.

Poscritto: un ulteriore questione

Ho scritto che preferirei guardare una partita tra Nadal e Sock che una tra Nadal e Junqueira. Mi piacciono i giocatori emergenti ed è sempre interessante capire se un nuovo avversario costringa un giocatore di vertice a cambiare tattica. Lo rende uno scontro più interessante rispetto a quello tra Nadal e un giocatore di 29 anni che per molto tempo si è aggirato intorno alla centesima posizione.

La mia domanda quindi è: “Se sei Nadal e (si presuppone) vuoi arrivare in fondo agli US Open, chi preferiresti affrontare? La wild card americana con classifica di 450 o il veterano al 99 posto? Una domanda più difficile: Sock o un veterano appena fuori dalle teste di serie, come Fabio Fognini? Penso che giocatori differenti farebbero scelte differenti, ma non credo siano così facili e immediate.

È il tabellone di Jenkins, Britto, Alexa Glatch – in altre parole i Socks degli anni passati – che fornisce evidenza di manipolazione. Sulla carta, il 127esimo giocatore del tabellone può sembrare il 127esimo migliore del campo di partecipazione ma, nella pratica, non è necessariamente un concetto così netto. E se queste wild card sono davvero tali, quindi delle potenziali mine vaganti, quello che appare un tabellone facile potrebbe non esserlo più di dover affrontare ancora una volta Sergiy Stakhovsky o Albert Montanes.

Potrebbe essere vero che in un determinato momento il tabellone degli US Open venga manipolato per (e solamente per) le prime due teste di serie di ciascun singolare, ma questo non dice nulla sul fatto che quei giocatori ne derivino dei benefici.

Ed è tutt’altro che palese che i giocatori dalla classifica più bassa di ogni tabellone siano anche gli avversari più facili da affrontare.

Is the US Open Draw Truly Random?

Negli Slam, partite più brevi portano al successo finale? – Gemme degli US Open

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 3 settembre 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il primo articolo della serie Gemme degli US Open.

Qualche giorno fa, Tom Perrotta del Wall Street Journal ha affermato che giocatori come Roger Federer o giocatrici come Serena Williams sono campioni o campionesse perché, in parte, riescono a vincere velocemente nei primi turni. Nelle sue parole: “Sono davvero bravi a non arrivare in fondo esausti”.

Intuitivamente è un concetto affascinante, specie se si considera che Federer e Novak Djokovic hanno superato il terzo turno quasi a occhi chiusi, mentre Andy Murray, David Ferrer e Tomas Berdych hanno tutti perso un set (anche Juan Martin Del Potro è stato costretto al tiebreak da Leonardo Mayer).

È un nesso casuale?

Prima di lasciarci andare a facili entusiasmi però, cerchiamo il conforto dei numeri. Come vedremo, i vincitori di uno Slam sono di solito i giocatori il cui percorso verso la finale dura un tempo inferiore.

Non è così chiaro però se il nesso sia causale: dopo tutto, i giocatori migliori, proprio per via della loro superiorità, dovrebbero avere più facilità a superare i primi turni.

Per l’analisi possiamo usare la durata delle partite che l’ATP indica fino al 2001, comprendendo quindi gli ultimi 47 Slam giocati.

Nelle ultime 47 finali Slam, il favorito (in questo caso definito semplicemente come il giocatore con la migliore classifica ufficiale) ha vinto 33 volte. In 6 delle 14 finali vinte dal giocatore non favorito, la durata delle sue sei precedenti partite è stata superiore al tempo complessivo trascorso in campo dal giocatore favorito. Non male, eh?

Un problema però: in sei altre volte, il giocatore favorito ha vinto la finale nonostante fosse rimasto in campo più a lungo nelle partite precedenti. Se si dovesse quindi scegliere tra il favorito e il giocatore con più riposo, niente in questo campione di partite sarebbe di aiuto per prendere una posizione.

Più lineare se il favorito è rimasto meno in campo

Si può giungere a una conclusione più lineare nella circostanza in cui il favorito sia rimasto meno in campo. Ci sono state 35 finali di questo tipo dal 2001 e il favorito, e più riposato, ne ha vinte 27. La maggior parte delle volte, il favorito ha raggiunto la finale con meno sforzo del suo avversario, e forse è questa una chiave di lettura del suo status da favorito (se si preferiscono i game giocati ai minuti in campo, forse a difesa del ritmo di gioco di Rafael Nadal e Djokovic, si può stare certi che i risultati sono pressoché identici. Ci sono pochi casi in cui i giocatori sono rimasti meno in campo giocando più game, o viceversa, ma se nell’analisi precedente si sostituiscono i game ai minuti, i risultati rimangono invariati).

A parità di condizioni, la scelta dovrebbe andare sul finalista che è rimasto meno tempo in campo. Questo non implica necessariamente però che il giocatore più riposato abbia più probabilità di vincere la finale perché è rimasto meno tempo in campo. Questo sembra particolarmente vero negli Slam, dove i giocatori quasi sempre beneficiano di un giorno di riposo tra le partite, e dove i principali favoriti per la vittoria quasi mai giocano anche il doppio.

Il tempo trascorso in campo è indizio dello stato di forma

È più probabile invece che un giocatore trascorra meno tempo in campo perché effettivamente è il favorito. Nessuno è rimasto sorpreso dalla facile vittoria di Federer su Fernando Verdasco al terzo turno e pochi dal fatto che Murray abbia impiegato di più per battere Feliciano Lopez. Il tempo trascorso in campo è indizio del migliore stato di forma di un giocatore, a prescindere dall’energia che il riposo aggiuntivo può dare nelle fasi conclusive del torneo.

Si può trovare una formula che metta tutti d’accordo dicendo in modo più conservativo che – a parità di condizioni – il giocatore migliore preferisce senz’altro trascorrere meno tempo in campo, anche se questo non aumenta la sua probabilità per la vittoria finale. Può dare soddisfazione vincere una partita combattuta nei primi turni, ma certamente è più gratificante ricordare a tutti gli altri avversari perché si è i favoriti del torneo.

At Slams, Do Shorter Matches Lead to Later Success?

Le conseguenze di un ritiro pre partita – Gemme degli US Open

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 3 settembre 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

In occasione dello svolgimento degli US Open 2017, vengono riproposte delle gemme analitiche dallo scrigno di TennisAbstract, su alcune tematiche comuni all’edizione in corso.

Mardy Fish si è ritirato prima dell’inizio dell’ottavo di finale contro Roger Federer agli US Open 2012. Come discusso in un altro articolo, Federer potrebbe beneficiare di un riposo addizionale, ma con la programmazione a giorni alterni di uno Slam rischia anche di passare troppo tempo fuori dal campo.

Quale conseguenza quindi ha più peso? Il riposo aggiuntivo renderà Federer ancora più favorito nel quarto di finale contro Tomas Berdych? O la ruggine da un’interruzione così lunga bloccherà gli ingranaggi del suo tennis?

Riposo aggiuntivo o ruggine da interruzione?

Virtualmente, non ci sono effetti degni di nota. I giocatori che beneficiano di un ritiro pre partita vincono il turno successivo quasi esattamente la metà delle volte, e uno sguardo ravvicinato a quelle partite rivela che il 50% è quello che ci saremmo attesi, a prescindere dal ritiro.

Alla ricerca di un possibile nesso, dal 2001 ho trovato 139 ritiri pre partita del tabellone principale di tornei del circuito maggiore, il cui beneficiario ha poi giocato almeno un’altra partita nello stesso torneo – in altre parole – finali escluse. Per quanto possa sembrare che i ritiri avvengano quando un giocatore ha poche speranze di vincere una partita (come nel caso di Fish o degli altri due che si sono ritirati prima di giocare con Federer quest’anno), non ci sono prove a sostegno nemmeno di questa teoria. In media, le probabilità di vittoria del giocatore che poi si ritira prima della partita sono di circa il 51%.

Possiamo quindi procedere nell’assunto che ci sia parzialità marginale nel campione di 139 giocatori che hanno beneficiato di un libero accesso al turno successivo. Per ogni Federer esiste un Donald Young che avanza per ritiro pre partita di Richard Gasquet (secondo turno degli US Open 2007, n.d.t.). A bilanciare il ritiro di giocatori senza possibilità di vittoria potrebbero esserci giocatori di vertice che decidono rapidamente di ritirarsi perché sono nella condizione di farlo, derivante dal loro successo, e hanno un orizzonte temporale più lungo.

Nelle 139 partite successive a un ritiro pre partita, il record è stato 67-72, vale a dire che i beneficiari hanno vinto il 48.2% delle volte. Previsioni pre partita (con il mio sistema Jrank) davano una percentuale di vittoria del 48.9%.

Nessun effetto sul beneficiario

Se restringiamo la ricerca agli Slam, rimaniamo con un campione di 12 partite praticamente privo di importanza. I giocatori con accesso al turno successivo grazie a un ritiro pre partita hanno siglato un record di sei vittorie e sei sconfitte, a fronte di una previsione pre partita rispettivamente di 7 e 5. Forse la ruggine influisce, seppur in modo limitato; molto più probabilmente invece il ritiro pre partita non ha alcun effetto sul beneficiario.

Per i tifosi di Federer, in ogni caso, c’è scarso motivo di preoccupazione. È la nona volta in carriera che ha beneficiato di un ritiro pre partita perdendo la partita successiva solo due volte, la prima nel 2002, l’ultima all’Indian Wells Masters 2008. Il giocatore che lo ha battuto in quell’occasione? Fish, ovviamente (Berdych in realtà ha poi eliminato Federer nei quarti di finale in quattro set, n.d.t.).

Withdrawal Effects

Nick Kyrgios e le prime cinquanta partite – Verso Wimbledon

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 3 luglio 2014 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il sesto articolo della serie Verso Wimbledon.

La sconfitta di Nick Kyrgios contro Milos Raonic nel quarto di finale di Wimbledon 2014 è stata la sua cinquantesima partita giocata in un torneo dell’ATP almeno di livello Challenger. Numeri rotondi invitano a fare analisi di più ampio raggio: vediamo quindi come questo primo traguardo di Kyrgios si posizioni rispetto a quello di altri giocatori.

Solo in pochi con una classifica migliore

Con l’aggiornamento della classifica a fine Wimbledon 2014, Kyrgios fa il suo ingresso nei primi 100, fino alla 66esima posizione. Solo Rafael Nadal (61), Gael Monfils (65) e Lleyton Hewitt (65) avevano una classifica migliore al momento della loro cinquantunesima partita almeno di livello Challenger. Roger Federer era 93esimo, Novak Djokovic 128esimo e Jo Wilfried Tsonga 314esimo. Degli attuali primi 100, solo dieci giocatori sono entrati tra i primi 99 entro la loro cinquantunesima partita.

Vittoria in 36 delle prime 50 partite

L’abbondanza di punti disponibili nei tornei Slam ha sicuramente avuto un ruolo importante nell’ascesa di Kyrgios, ma c’è di più. Ha infatti vinto 36 delle sue prime 50 partite, che lo mettono al pari dei migliori giocatori del momento. Anche Nadal ha ottenuto un record di 36 vittorie e 14 sconfitte, seguito da Djokovic e Santiago Giraldo (che ha giocato quasi solo Challenger) con 34-16. Prima di Wimbledon, la maggior parte delle vittorie di Kyrgios sono arrivate nei Challenger, dove ha vinto quattro tornei.

Quattro titoli Challenger

Nessun altro giocatore in attività ha vinto quattro titoli Challenger nelle prime 50 partite. In otto, tra cui Djokovic, Tsonga, Stanislas Wawrinka e David Ferrer ne hanno vinti tre. E tutti hanno avuto bisogno di giocare più tornei di quella categoria per vincerne tre di quanto Kyrgios abbia fatto per vincerne quattro.

La pur breve carriera di Kyrgios nei Challenger è un altro indicatore di un roseo futuro. Ha giocato solamente nove tornei Challenger e con una classifica ora all’interno dei primi 70, potrebbe non doverne più giocare. Come ho analizzato in precedenza, i giocatori migliori hanno fretta di arrivare sul circuito maggiore: Federer, Nadal e Djokovic hanno giocato tra otto e dodici Challenger. Raramente un talento emergente passa a giocare stabilmente sul circuito maggiore prima di aver disputato meno di una ventina di Challenger. Quando ho approfondito la tematica due anni fa, più della metà dei primi 100 aveva giocato almeno cinquanta Challenger.

L’età non lo distingue

Un aspetto per cui Kyrgios non si distingue in modo particolare è l’età. Quando giocherà la sua cinquantunesima partita, avrà superato i diciannove anni da un paio di mesi. Circa un quarto degli attuali primi 100 hanno raggiunto quel totale di partite a un’età inferiore. Nadal, Richard Gasquet e Juan Martin Del Potro lo hanno fatto prima di compiere diciotto anni, mentre Djokovic, Hewitt e Bernard Tomic hanno impiegato solo qualche settimana in più.

Senza poter sapere che risultati avrebbe ottenuto Kyrgios sul circuito uno o due anni prima, è difficile arrivare a delle conclusioni. Il suo record di 36-14 a diciannove anni non è certamente così impressionante come l’identico record di Nadal a diciassette.

Entrare nei primi 100 a diciassette o diciotto anni è indicazione di grandezza futura più di quanto non lo sia a diciannove anni, ma con il progressivo innalzamento dell’età nel circuito, i diciannove potrebbero essere i nuovi sedici. Grigor Dimitrov non è entrato nei primi 100 se non tre mesi prima dei vent’anni, mentre Dominic Thiem e Jiri Vesely ne erano ancora fuori da ventenni. All’interno del gruppo di giocatori a lui più ravvicinato, Kyrgios spicca su tutti: nessun giovanissimo è classificato tra i primi 240.

In termini predittivi, la prestazione di Kyrgios a Wimbledon 2014 – in cui ha mostrato grande controllo sotto pressione – è l’evidenza più importante. Solo sette giocatori in attività hanno raggiunto un quarto di finale di un torneo Slam da giovanissimi e quattro – Federer, Nadal, Djokovic e Hewitt – sono diventati poi anche numero 1 del mondo (gli altri tre sono Del Potro, Tomic e Ernests Gulbis).

Per essere un giocatore con alle spalle solo cinquanta partite, è in ottima compagnia.

Nick Kyrgios and the First Fifty Matches

Il tabellone maschile di Wimbledon sta invecchiando – Verso Wimbledon

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 25 giugno 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il quinto articolo della serie Verso Wimbledon.

Il tennis maschile sta invecchiando e il torneo di Wimbledon 2012 ne è evidenza. Dei 128 giocatori nel tabellone del singolare maschile, 34 hanno almeno trent’anni, mentre solo due sono giovanissimi. È solo l’esempio più recente di una tendenza ormai in essere da più di una decade.

I giovanissimi sono diventati merce rara

I 34 giocatori con almeno trent’anni non rappresentano solo un record dei nostri giorni, ma surclassano qualsiasi numero visto finora. A Wimbledon 2011 c’erano 24 giocatori nel tabellone principale con almeno trent’anni, il totale più alto dal 1979. I giovanissimi sono diventata merce rara ultimamente: solo due nel tabellone principale degli ultimi quattro anni, quando non più tardi del 2001 ce n’erano otto. In diverse edizioni del torneo durante gli anni ’80 e ’90 figuravano più giovanissimi che giocatori trentenni.

Il percorso di crescita di un giovane è sempre più lungo

Quale sia la spiegazione – e ce ne sono diverse possibili – è chiaro che si sta assistendo a un cambiamento. Il percorso di crescita e realizzazione per un giovane talento è diventato sempre più lungo, oltre al fatto che i giocatori di vertice rimangono in forma e sono competitivi come mai non hanno fatto in passato.

La tabella riepiloga i risultati in maggiore dettaglio, con diverse statistiche per il tabellone principale di ciascuna edizione del torneo (aggiornata anche per il periodo tra il 2013 e il 2016, n.d.t.): età media dei giocatori, numero degli almeno trentenni e numero dei giovanissimi. La sigla DOBs indica le edizioni in cui la data di nascita non è disponibile per tutti i giocatori, ma non fa molta differenza se non per i dati prima del 1980.

Anno  DOBs  Media  30+  Giovanissimi  
2016  128   28.5   49   3
2015  128   27.8   37   5
2014  128   27.7   34   2
2013  128   27.6   30   1
2012  128   27.3   34   2  
2011  128   26.9   24   2  
2010  128   26.5   20   2 

Anno  DOBs  Media  30+  Giovanissimi 
2009  128   26.5   19   2  
2008  128   25.9   18   5  
2007  128   26.2   19   7  
2006  128   26.0   17   4  
2005  128   25.8   23   8  
2004  128   25.7   20   4  
2003  128   25.4   14   5  
2002  128   25.5   15   4  
2001  128   25.6   18   8  
2000  128   25.6   13   6  

Anno  DOBs  Media  30+  Giovanissimi
1999  128   25.5   12   3  
1998  128   25.3   10   2  
1997  128   25.2   9    5  
1996  128   25.4   15   5  
1995  128   25.3   13   5  
1994  128   25.0   6    6  
1993  128   24.9   11   5  
1992  128   24.9   9    5  
1991  128   24.9   9    7  
1990  127   24.8   11   15  

Anno  DOBs  Media  30+  Giovanissimi  
1989  128   24.6   9    13  
1988  128   24.2   8    9  
1987  128   24.6   8    10  
1986  128   24.9   16   7  
1985  126   25.4   16   6  
1984  126   25.3   16   12  
1983  126   25.1   14   11  
1982  127   25.6   18   8  
1981  125   26.0   19   10  
1980  127   26.3   23   5  

Anno  DOBs  Media  30+  Giovanissimi  
1979  124   26.4   26   7  
1978  123   26.8   31   6  
1977  124   26.4   27   6  
1976  124   26.6   28   3  
1975  122   26.7   26   5  
1974  124   26.5   30   7  
1973  95    25.3   16   15  
1972  116   26.6   27   7  
1971  122   26.8   27   8  
1970  115   26.2   20   9  
1969  116   27.0   28   6  
1968  114   26.8   29   4

The Aging Wimbledon Men’s Draw

Partite a senso unico..doppio – Verso Wimbledon

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 7 luglio 2011 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il quarto articolo della serie Verso Wimbledon.

Nella finale di Wimbledon 2011, Novak Djokovic ha battuto Rafael Nadal con un punteggio abbastanza anomalo: 6-4 6-1 1-6 6-3. Non sono i quattro set a causare perplessità, ma il set terminato 1-6, che è un po’ un grattacapo specialmente su una superficie veloce. Wimbledon è un torneo meglio conosciuto per il predominio del servizio, che si traduce in set come 6-4, 7-5, 7-6 e lo sporadico 70-68.

Il punteggio tra Djokovic e Nadal mi ha incuriosito per due aspetti:

  • quanto spesso un giocatore perde un set per 1-6 (o anche 0-6) ma vince comunque poi la partita?
  • quanto spesso un giocatore vince e perde un set a senso unico (6-1 o 6-0)?

(Nota: è vero, qualche volta un 6-1 contiene solo due break, nel qual caso è simile a un 6-2. Ma 6-1 1-6 è una combinazione molto meno frequente di 6-2 2-6. Sarebbe interessante poter distinguere un 6-1 con due break da un 6-1 con tre break ma, per il momento, quello che si può fare è gustarci la curiosità statistica e accettarne le limitazioni).

6-1 (o 6-0) bidirezionali

Andiamo con ordine. Come si può immaginare, punteggi come questi sono estremamente rari a Wimbledon. Nell’edizione 2011, oltre alla finale c’è stata solo un’altra partita, la vittoria al secondo turno di Xavier Malisse contro Florian Mayer, con il punteggio di 1-6 6-3 6-2 6-2. Nel 2010, c’è stato solo il primo turno tra Victor Hanescu e Andrey Kuznetsov. Stranamente, Hanescu ha perso il terzo set 1-6 dopo un tiebreak a testa nei primi due set. In nessuna di queste partite però il vincitore ha vinto anche il suo set a senso unico, come ha fatto Djokovic.

Da questo punto di vista, Wimbledon rimane un caso a sé, non è quindi un tema di “terra battuta” e “tutto il resto”. Agli Australian Open 2011, ci sono state otto partite con set per 1-6 o 0-6, nel 2010 ce ne sono state undici. Agli US Open 2010 sono state sei. Sono punteggi più comuni negli Slam, perché il format al meglio dei cinque set rende più probabile che il giocatore inizialmente indietro nei set (con qualsiasi punteggio) possa rimontare e vincere la partita.

I numeri

Nel 2010, sono state circa 2600 le partite del circuito maggiore conclusesi senza ritiri. Quasi i due terzi sono terminate in due set, mentre 871 partite sono andate al terzo set (o al quinto per gli Slam). Solo 94 di queste hanno avuto un set per 1-6 o 0-6, e solo in 30 il set a senso unico è stato vinto da entrambi i giocatori, come nella finale tra Djokovic e Nadal. Nel 2011, la frequenza di queste partite è diminuita sensibilmente: in 1546 partite, 48 hanno visto il vincitore perdere un set a senso unico e in 11 entrambi i giocatori hanno perso un set a senso unico. Mettendo insieme i dati dei due anni, la probabilità che una qualsiasi partita contenga un set per 6-1 (o 6-0) e uno per 1-6 (o 0-6) è quasi esattamente 1 su 100. Di nuovo, il format al meglio dei cinque set degli Slam aumenta leggermente la probabilità, ma i campi veloci di Wimbledon generano l’effetto opposto.

I colpevoli

Quali sono i giocatori protagonisti di queste partite altalenanti? Per poter rispondere bisogna arrangiarsi con la selezione meno specifica che riguarda partite con set per 1-6 o 0-6. Se dovessimo anche aggiungere un set per 6-1 o 6-0 a favore del vincitore, non ci sarebbero dati a sufficienza per un calcolo interessante.

Si è indotti a pensare che i giocatori dal servizio più forte siano in fondo a un elenco popolato nelle posizioni di vertice dai ribattitori. In realtà non è così. Sono i giocatori conosciuti per subire passaggi a vuoto – a prescindere dalla loro capacità al servizio o alla risposta – a dominare la parte alta dell’elenco.

Per tutte le partite dal 2007 a Wimbledon 2011, troviamo Andy Murray al primo posto, avendo giocato 18 partite di questo tipo, in cui ha perso un set a senso unico in 10 di quelle che ha vinto, mentre ha vinto un set a senso unico in 8 delle sconfitte. Murray è di una classe a parte, il numero due dell’elenco è Guillermo Garcia-Lopez con 13. Al terzo posto c’è Djokovic con 12 (con un record di 8-4), anche se la finale di Wimbledon è stata l’unica volta a oggi nel 2011.

Dodici giocatori sono raggruppati rispettivamente a 10 e 11 di queste partite, tra cui molti francesi e diversi altri conosciuti per una forza mentale discutibile:

Fognini (9-2) e Tsonga (8-2) hanno lo scomodo primato di vincere più partite, vale a dire che sono nell’elenco perché perdono set a senso unico in partite che poi vincono. Mathieu (2-8) si trova all’altro estremo, cioè domina set in partite che poi perde.

Rarità e improbabilità

La finale di Wimbledon è stata una rarità per Nadal, solo la quarta volta che si è trovato in una partita con questo tipo di punteggio, e solo la seconda volta in cui ha vinto un set a senso unico nel mezzo di una sconfitta. Roger Federer ha giocato solo tre di queste partite.

Sono numeri da prendere con cautela, ma è interessante notare quanti giocatori dello stesso tipo siano in cima all’elenco. Quantomeno, abbiamo imparato che il set per 1-6 nella finale di domenica è piuttosto raro e che la sequenza 6-1 1-6 è ancora più improbabile.

Doubly Lopsided Matches

Nick Kyrgios, il giovane Jedi del tiebreak – Verso Wimbledon

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’1 luglio 2014 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il terzo articolo della serie Verso Wimbledon.

A Wimbledon 2014, la giovane promessa emergente Nick Kyrgios ha mostrato di essere impermeabile alla pressione. Nella vittoria a sorpresa al secondo turno contro Richard Gasquet, ha pareggiato il record di nove match point salvati in una partita di un torneo Slam. Contro Rafael Nadal, ha tenuto testa al giocatore forse più mentalmente solido nei momenti chiave di tutto il circuito. Nonostante Nadal sia considerato uno dei più forti nei tiebreak, Kyrgios ha vinto entrambi i tiebreak della loro partita.

Vincere più tiebreak delle attese

Come ho scritto in precedenza, per la maggior parte dei giocatori il tiebreak equivale a un lancio della moneta. Tipicamente, i giocatori migliori vincono più del 50% dei tiebreak che giocano, semplicemente perché sono giocatori più bravi, non perché possiedano un talento specifico per il tiebreak. Solo un gruppo molto ristretto – Nadal, Roger Federer e John Isner sono virtualmente gli unici tra i giocatori in attività – vincono più tiebreak di quanti il loro rendimento in situazione diverse dal tiebreak lascia intendere.

Kyrgios sta sottoponendo con decisione la sua candidatura per essere aggiunto a questo prestigioso elenco. Sul circuito maggiore, nelle qualificazioni e nei Challenger, ha vinto 23 tiebreak su 31, equivalente a un incredibile 74% (attualmente il suo record è di 84 tiebreak vinti e 56 persi, cioè il 60% di vittorie, n.d.t.). Isner non ha mai avuto una singola stagione con una percentuale così alta e Federer ci è riuscito solo due volte.

Kyrgios ha affrontato avversari forti in queste partite, con un punteggio nei set che non finiscono al tiebreak non di quelli a senso unico (troppe situazioni del tipo 7-6 6-1 potrebbero indicare che, per il suo livello di gioco, avrebbe dovuto evitare in prima battuta di trovarsi sul 6-6). Sulla base dei punti vinti al servizio e alla risposta su tutte le partite, un robot che sapesse giocare a tennis avrebbe il 52% di possibilità di vincere ogni tiebreak.

Kyrgios è all’estremo della curva di distribuzione delle vittorie di tiebreak

Considerando questi numeri, è quasi sicuro che Kyrgios si posizioni all’estremo della curva di distribuzione, vale a dire che sia uno di quei giocatori che vincono molti più tiebreak di quelli che ci si attende. La probabilità che la sua eccellente percentuale di vittoria sia attribuibile alla fortuna è solo dell’1%. Possiamo avere un grado di certezza del 95% che una percentuale di vittoria nei tiebreak di almeno il 58% sia da ricondurre alla tecnica e un grado di certezza del 90% che il talento di Kyrgios meriti una percentuale di vittoria nei tiebreak di almeno il 62%.

Anche una sola di queste più modeste statistiche (il 58% o 62% rispetto al 74%) sarebbe comunque un indicatore di eccellenza. Milos Raonic, l’avversario di Kyrgios nei quarti di finale e un giocatore con un percorso di carriera idealmente simile a quanto potrebbe realizzare Kyrgios nei prossimi anni, ha il 58% di vittorie nei tiebreak sul circuito maggiore.

La loro partita non basterà a dimostrare quale giocatore abbia una prestazione migliore in questi momenti ad alta pressione ma, giudicando dallo stile di gioco di entrambi, è praticamente certo che vedremo Kyrgios messo alla prova in qualche altro tiebreak (Kyrgios perderà poi con il punteggio di 7-6 2-6 4-6 6-7, n.d.t.)

Nick Kyrgios, Young Jedi of the Tiebreak