La ricetta di Aliaksandra Sasnovich per le ciambelle

di Chapel Heel // HiddenGameOfTennis

Pubblicato il 20 febbraio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nel gergo inglese dell’appassionato di tennis, il termine “bagel” – la pasta lievitata della cucina polacca ed ebraica, assimilabile a una ciambella di pane in italiano – identifica la circostanza in cui una giocatrice (o un giocatore) perde il set con il punteggio di 0-6, senza cioè aver vinto nemmeno un game al servizio o alla risposta. È immediata la somiglianza tra il simbolo del numero 0 e la forma di una ciambella, da cui l’utilizzo. L’articolo fa ampio ricorso al termine bagel, sia come sostantivo che verbo. Ove possibile, si è cercato di mantenere il gioco di parole, preferendo negli altri casi la notazione classica di 0-6, n.d.t.

Aliaksandra Sasnovich ha preso uno 0-6 nel primo set della sua partita inaugurale a Dubai, per poi recuperare e vincere. È l’undicesima volta dall’inizio del 2018 che Sasnovich subisce uno 0-6 (su dieci partite), ed è la terza volta che ha riesce a ribaltare la situazione e vincere. Parlare di inizio 2018 è una cortesia, visto che il primo degli undici 0-6 è arrivato lo scorso giugno in un torneo di preparazione a Wimbledon. Considerando i due mesi di pausa a fine stagione, il periodo non va oltre i sei mesi di tennis effettivo. Più della metà degli 0-6 tra l’altro è del 2019, con poco più di un mese di gioco.

Numeri sorprendenti

Sono numeri decisamente sorprendenti per una giocatrice intorno alle prime 30 o, in alternativa, per una che è molto spesso nel tabellone principale di un torneo. Al secondo posto troviamo Su Wei Hsieh, al momento vicino a Sasnovich in classifica ma con uno stile diametralmente opposto. Ha infatti collezionato sette 0-6. Il terzo posto è conteso tra due giocatrici (oltre a Shuai Zhang) estremamente aggressive, Danielle Collins e Jelena Ostapenko, con sei 0-6. Uno sguardo alle prime 20 di questo speciale elenco rivela una combinazione di stili. Oltre alle giocatrici citate, ce ne sono altre con gioco offensivo come Katerina Siniakova e Simona Cristea, ma anche giocatrici più difensive come Angelique Kerber, Johanna Larsson, Lara Arruabarrena, Sara Sorribes Tormo e Maria Sharapova (non vengono considerati i tornei $125k o inferiori).

Qual è il quantitativo medio di ciambelle per una giocatrice?

Dall’inizio della scorsa stagione, una giocatrice tra le prime 100 ha subìto uno 0-6 circa ogni 22 partite, anche se ce ne sono stati tre fino a questo momento nel torneo di Dubai su 40 partite completate (più, in realtà, un quarto, ma a carico di una giocatrice fuori dalle prime 100).

Per le giocatrici che perdono un set 0-6, la vittoria attesa è inferiore al 6% delle volte. Con uno 0-6 in 10 delle 73 partite che ha giocato dal 2018, Sasnovich se ne aspetta uno tre volte più spesso di una giocatrice tra le prime 100. Avendo però vinto tre di quelle partite, è probabile che vinca cinque volte più spesso quando perde un set 0-6, per quanto in presenza di un campione ridotto.

La collezione di ciambelle di Sasnovich

Anziché continuare a trattare genericamente gli 0-6, vediamo uno per uno quelli di Sasnovich alla ricerca di eventuali tendenze. Per avere un riferimento, è importante sapere che la percentuale di prime di servizio di Sasnovich è in media con quella del circuito, è invece sopra la media nella percentuale di punti vinti con la prima e sotto la media nella percentuale di punti vinti con la seconda. Di fatto, è in media con il circuito per percentuale di punti vinti al servizio.

Alla risposta, Sasnovich è leggermente meglio della media, e (relativamente ad altre giocatrici) meglio alla risposta sulla seconda che sulla prima.

Ciambella #1 (con crema vegetariana spalmata)


Il primo 0-6 risale all’erba di Maiorca, in una sconfitta pesante per 4-6 0-6 contro Antonia Lottner, allora la numero 140 del mondo. Sasnovich è partita bene, tenendo il servizio e ottenendo il break nel secondo game. Dopo aver perso il servizio nel terzo game, ha fatto un altro break nel quarto e consolidato il vantaggio nel quinto. Con una probabilità di vittoria di circa il 66% a inizio partita, sul 4-1 Sasnovich era arrivata a quasi l’81%. Poi non ha sfruttato due palle break nel sesto game per andare avanti di due break e chiudere facilmente il set, perdendo invece il game e i successivi nove di fila.

Nel set perso 0-6, ha vinto meno di un terzo dei punti giocati. Non riusciva a mettere la prima di servizio in campo ed è stata aggredita sulla seconda (perdendo il 78% dei punti). Il suo indice di dominio (Dominance Ratio o DR) – cioè il rapporto tra punti vinti alla risposta dalle due giocatrici – nel set è stato di 0.44

Ciambella #2 (di segale)

Il secondo 0-6 è arrivato sempre sull’erba tre settimane dopo, nel quarto turno di Wimbledon, contro una giocatrice che a sua volta aveva ricevuto sei 0-6 dall’inizio del 2018, cioè Ostapenko. Sasnovich non si aspettava di vincere questa partita, ma nemmeno di essere battuta così sonoramente. Il primo set è stato equilibrato, con Ostapenko che si è aggiudicata il tiebreak 7-4. Nel secondo set Sasnovich è scomparsa, ancora una volta vincendo meno di un terzo dei punti e perdendo l’82% dei punti sulla seconda. Il suo DR nel set è stato di 0.42

Potrebbe essere che, di fronte al miglior risultato in uno Slam, Sasnovich fosse sopraffatta dall’occasione, ma è un’ipotesi poco probabile visto che si trovava a tre punti dal vincere il primo set. Magari ha lasciato che la frustrazione avesse la meglio nel secondo set dopo aver sprecato entrambi i servizi alla fine del primo.

Ciambella #3 (farcita)

Siamo al secondo turno di Cincinnati, contro Viktoria Kuzmova, una giocatrice più bassa in classifica. Sembra che Sasnovich abbia deciso di servire la prima in modo più conservativo per una percentuale più alta di prime in campo. Ci è riuscita (con il 71%), ma ha vinto solo 5 punti su 17 sul proprio servizio. Il DR per il set perso 0-6 è stato di 0.42. Si è ripresa nel secondo set, vinto 6-4 con il 62% dei punti vinti al servizio, ma è crollata di nuovo nel terzo, perso 1-6.

È una partita presente nel database del Match Charting Project. Kuzmova ha chiaramente servito con efficacia nel set finito 0-6, ma si può anche vedere dalla profondità delle risposte di Kuzmova che la prima di Sasnovich non è stata incisiva. Basandomi solo su questi dati, ipotizzo che non fosse pronta per risposte profonde sulla seconda di servizio, avendo commesso molti errori (forzati e non forzati) subito dopo la risposta di Kuzmova. E non c’è nemmeno una risposta corta da parte di Kuzmova, che può essere dovuto a un servizio debole, una risposta in grande spolvero, o una combinazione delle due. Se pensiamo però che le statistiche complessive alla risposta di Kuzmova sono inferiori alla media, propenderei per un servizio debole.

Ciambelle #4 e #5 (con extra crema di formaggio)

Le due che più vorrebbe dimenticare, in cui è stata surclassata da Naomi Osaka al terzo turno degli US Open. Non riusciva a mettere la prima in campo, con sette doppi falli in sei game, e ha vinto solo il 25% dei punti sulla seconda di servizio. Se vi sembrano pessimi numeri, dovreste vedere le statistiche alla risposa. Il DR nei due set è stato di 0.36 e 0.31. L’unica consolazione è che a Osaka mancavano ancora quattro vittorie prima della consacrazione, quindi forse in pochi hanno prestato attenzione.

Ciambelle #6 e #7 (all’aglio)

#7

Siamo ora a Brisbane, nel primo torneo femminile del 2019, nel quale Sasnovich raggiunge i quarti di finale ma viene eliminata da Donna Vekic, con una classifica simile. Vekic vince il primo set facilmente, in gran parte perché Sasnovich riesce a vincere solo il 22% dei punti sulla seconda di Vekic. Anche il servizio di Sasnovich non va male nel primo set, appena sotto la media, e ha più vincenti che errori non forzati.

Poi, beh, il servizio svanisce. C’è un set perso 0-6, e c’è un set perso in questo modo, a iniziare dal 36% di prime in campo senza nessun punto vinto sulla prima. Abbiamo già visto cosa possono fare le avversarie sulla seconda, e succede anche qui, con il 22% di punti vinti sulla seconda. E senza doppi falli. In tutto, il 14% dei punti vinti al servizio nel secondo set. Molto è dipeso da Vekic però, che era proprio in forma. Il DR per il set è stato di 0.41.

Tempo di gioco

Anche questa è una partita nel database del Match Charting Project. È difficile dire esattamente cosa sia andato storto, ma Vekic prende gran parte della colpa (o del merito). Se vi è capitato di vedere qualche partita di Vekic, ci sono momenti in cui è totalmente dominante, e così è stato contro Sasnovich.

Ho rivisto il video del set e della conclusione del set precedente. Di fronte all’ottima prestazione di Vekic nel primo set, si nota il basso livello di fiducia di Sasnovich nel secondo, però solo nei colpi, non nel comportamento. Interessante come Vekic riceva la visita dell’allenatore Torben Beltz tra un set e l’altro, ma non accade lo stesso per Sasnovich. Vekic e Beltz commentano sorridendo che a volte la seconda di Sasnovich è più forte della prima. La tattica principale di Beltz è togliere tempo di gioco a Sasnovich.

Dopo il secondo break, sotto 0-3 nel secondo set, Sasnovich riceve la visita dell’allenatore. La conversazione era in russo, ma si poteva vedere la frustrazione sul volto di Sasnovich e un fare abbastanza polemico, nel senso di “non funzionerà, non c’è nulla che io possa fare”. Dai gesti delle mani si intuisce che dica di sentirsi pressata nel tempo di gioco. La visita non porta frutti. Questa era la ciambella #7, con troppo aglio.

#6

La ciambella #6 arriva in una partita ben condita contro Elina Svitolina, al turno precedente a quello contro Veckic. Sansovich vince il primo set 6-4 giocando molto bene. Prima del secondo set si prende una pausa per tornare nello spogliatoio e al rientro non ha più lo stesso ritmo, mentre Svitolina continua con la solita combinazione di solidità e giusta quantità di gioco offensivo.

La percentuale di prime di Sasnovich scende, ma non ai livelli terribili osservati negli altri 0-6. Svitolina aggredisce la seconda di Sasnovich, che non riesce a controllare le sue stesse risposte. Il DR per il set 0-6 è stato di 0.39. L’allenatore arriva prima dell’inizio del terzo set. A differenza di quanto poi successo durante la partita con Vekic, la conversazione qui è più interattiva e con un tono molto più positivo. I risultati si vedono. Sasnovich gioca ancora meglio nel terzo set di quanto avesse fatto nel primo, contro un livello di forma più alto espresso da Svitolina rispetto a quello del primo set.

Ciambella #8 (al mirtillo)

Ci spostiamo a Sydney, la settimana successiva, contro la giocatrice locale Priscilla Hon, che Sasnovich dovrebbe battere facilmente. Invece, parte con un 38% di percentuale sulla prima di servizio, vincendo solo un terzo dei punti sulla prima e solo il 20% dei punti sulla seconda. E non fa nulla sul servizio di Hon. In tutto, vince solo sei punti nel primo set, nel quale il DR è uno sconvolgente 0.19.

Guardando il set, pensavo di vedere un linguaggio del corpo negativo o dell’indolenza a giustificare lo 0-6, ma invece l’energia e la postura sembrano normali. Mi ha colpito anche la difficoltà di Sasnovich a ritrovare la posizione dopo il servizio, in modo da non riuscire a gestire risposte di peso e velocità. L’allenatore entra in campo dopo il terzo game. Sasnovich è abbastanza polemica, anche se indietro di un solo break, ma non definirei il suo atteggiamento negativo. A ogni modo, poco cambia nel resto del set. Ormai ha esperienza in queste situazioni, l’energia rimane alta, la percentuale di prime torna normale e inizia a rispondere meglio. Aumenta ancora il livello e vince la partita in tre set.

Ciambella #9 (abbrustolita)

Australian Open 2019, terzo turno, contro una Anastasia Pavlyuchenkova nella stessa fascia di classifica e vittoriosa a sorpresa nel turno precedente contro Kiki Bertens. Lo 0-6 è arrivato nel primo set, con dinamiche simili. Orribile percentuale di prime di servizio (33%) e di punti vinti sulla seconda (25%), con un DR di 0.44. Forse avrebbe potuto ricordarsi degli 0-6 presi consecutivamente e di aver comunque vinto, ma non è andata così, perché il secondo set è stato solo leggermente migliore.

Ciambella #10 (a fette)

Al primo turno di Doha, lo scontro al vertice. Sasnovic gioca contro Su Wi Hsieh, al secondo posto della classifica delle giocatrici che più probabilmente subiranno uno 0-6. Riuscirà Hsieh a ridurre il distacco o Sasnovich prenderà il largo?

Non si può dire che Sasnovich abbia giocato bene nel primo set, ma almeno era in partita, nonostante un punteggio di 2-6. Hsieh l’ha mandata nel pallone con colpi poco classici. Nel secondo set, la percentuale al servizio è crollata e Hsieh ha iniziato a punirla sulla seconda di servizio. Eppure, il DR di 0.52 è stato il più alto degli undici set che ha perso 0-6. Il problema è che anche l’altro set ha avuto un andamento simile, quindi l’intera partita è stata una delusione.

Ciambella #11 (con salmone affumicato)

A Dubai, contro la Ekaterina Makarova precedentemente conosciuta come una buona giocatrice di singolare, Sasnovich ancora una volta ha un inizio soporifero. Il servizio è più preciso, ma non abbastanza da impedire a Makarova di vincere il 59% dei punti alla risposta nel primo set. Oltre al fatto che Sasnovich sembra non riuscire a tenere la pallina in campo durante gli scambi. A 0.24, diventa uno dei peggiori DR di un set perso 0-6.

Non riceve visite dall’allenatore durante o immediatamente dopo la conclusione del primo set. Come però per la ciambella # 8, quella al mirtillo, riprende a giocare bene nel secondo set, migliora nel terzo e chiude vincendo.

Anche in questa partita, al pari di quella con Hon, Sasnovich sarebbe stata la super favorita. Perdendo però il primo set (con o senza 0-6), ha praticamente pareggiato la probabilità. E se si considera il presunto vantaggio psicologico derivante dal 6-0 e la bravura dimostrata in passato da Makarova, a quel punto sarebbe stata lei la favorita. Diventa quindi controprova della compostezza di Sasnovich la capacità di risalire la china da questi abissi di gioco e tirare fuori in qualche occasione una vittoria dalle sabbie mobili della sconfitta.

(nota a margine: dopo questa vittoria Sasnovich ha giocato nel turno successivo di nuovo contro Hsieh a Dubai, senza subire 0-6 ma vincendo in tutto tre game.)

Ingredienti chiave

Poche cose vanno nel verso giusto quando si perde un set 0-6, ma in teoria è possibile giocare in modo ragionevolmente simile all’avversaria e subire sempre il break al servizio. In generale, non è quello che capita a Sasnovich. In metà delle 10 partite in cui ha perso almeno un set 0-6, ha iniziato molto lentamente, perdendo proprio il primo set con quel punteggio. In quasi tutti i set persi 0-6, Sasnovich non è riuscita a mettere la prima in campo.

Non sto parlando di un calo dalla media del 61.5% a valori del 50%. Sto parlando di numeri intorno al 35%, che la costringono ad affidarsi a una seconda di servizio inferiore alla media. Si assiste a un’importante varianza nella prima di servizio in queste partite. Può rimanere intorno al 30% per un set intero e poi salire al 70% nel set successivo. In media, nei set persi 0-6, la percentuale sulla prima di servizio è più bassa del 15% della sua media.

Problema sulla prima

La percentuale sulla prima è evidentemente un problema, con la conseguenza di dover servire molte seconde. E anche la seconda è evidentemente un problema, anche se qualsiasi giocatrice costretta a servire troppe seconde sarà sempre sugli spilli.

Se si limita l’analisi ai numeri, si potrebbe pensare che Sasnovich abbia una mozzarella al posto della seconda di servizio che le avversarie tagliano a pezzettini. Guardando le partite però non è quello che succede, almeno per larga parte. La seconda di Sasnovich è un po’ di facile presa. Nei set che ho visto, ha in genere una velocità di 137 km/h anche se spesso supera i 145 km/h. Nella seconda partita della ciambella all’aglio, durante la visita dell’allenatore Vekic commenta che la seconda di Sasnovich è più forte della prima.

Seconda troppo centrata

È difficile dire perché la seconda sia così vulnerabile, a parte essere una seconda. Se dovessi dare una risposta, direi che nonostante una buona velocità, la direzione è troppo centrata e sembra rimbalzare esattamente nella zona di impatto ideale per l’avversaria. Le risposte diventano quindi pesanti e profonde, e Sasnovich non è molto brava in assenza di tempo per preparare il colpo. È una cosa risaputa. Ho sentito Vekic dire all’allenatore di toglierle il tempo, e Sasnovich è sembrata esprimere la stessa preoccupazione al suo di allenatore. 

Anche se riesce a trovare il modo di replicare a risposte profonde, Sasnovich si lascia comunque in una posizione vulnerabile mandando dall’altra parte del campo colpi corti, oltre a dar vita a una combinazione di scelte improbabili e altamente rischiose. Così non può funzionare.

Ma non smette di lottare

Nei set che ho visto, sono rimasto sorpreso dall’equilibrio mentale con cui Sasnovich ha affrontato i set persi 0-6. In linea generale, pur mostrando sempre un po’ di frustrazione durante la visita con l’allenatore, anche nelle sconfitte non smette di lottare. La sua energia resta alta e sembra essere mentalmente concentrata, anche in presenza di un punteggio a senso unico.

A nessuna giocatrice piace perdere set ovviamente, e proprio non sopportano l’idea di non vincere neanche un game. Eppure non vedo in Sasnovich un fastidio superiore all’aver perso un set con un punteggio qualsiasi. Non sembra che subire uno 0-6 abbia conseguenze aggiuntive. Mi fa pensare a qualsiasi intervista dopo partita di Rafael Nadal o di altri professionisti. Non ci sono vittorie morali nello sport, una sconfitta è una sconfitta, la si accetta e si va avanti. È una disposizione d’animo che nasce dal sapere di essere a disagio di fronte a una sconfitta. Ma il lato positivo è che in caso di sconfitta, il punteggio con cui si perde non fa alcuna differenza. Di nuovo, una sconfitta è solo una sconfitta.

Tenuta mentale

Per Sasnovich, la causa del problema probabilmente non è meccanica. Forse non è ancora al livello di concentrazione richiesto da una partita completa, perché nei set adiacenti a quelli persi 0-6, spesso gioca molto bene, anche nelle sconfitte. In altre parole, la ciambella non arriva solo in giornate totalmente negative, anche se è capitato un paio di volte. Il DR nei set con punteggio 0-6 è in media di 0.38. Il DR nei set adiacenti è in media di 0.98.

Se vogliamo ricavare elementi positivi dalla tendenza a subire degli 0-6, dobbiamo guardare al 30% di partite vinte quando questi si verificano. E sono tutte vittorie ottenute nel 2019. Magari, insieme al suo allenatore, ha accettato che gli 0-6 possano presentarsi per via dell’estrema varianza nella percentuale della prima di servizio ma, continuando a giocare, si mette comunque nella posizione di vincere quelle partite.

Aliaksandra Sasnovich’s Bagel Recipe

Il metodo migliore per determinare la pressione al servizio

di Stephanie Kovalchik // StatsOnTheT

Pubblicato il 29 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

La pressione è uno di quegli aspetti del tennis di cui si conosce l’esistenza ma che si fatica a definire. Ho tentato in diversi modi di quantificare la pressione associata al punteggio, ma devo ancora arrivare a una procedura che sia al contempo statisticamente utile e facile da interpretare. In alcune più recenti sperimentazioni penso di aver trovato un metodo che si avvicina alla definizione più precisa di una statistica per la pressione a cui potrei mai giungere.

Un tema costante

Quello della pressione è un tema costante del tennis. Per ogni torneo ci si chiede inevitabilmente quali giocatori abbiano dovuto gestire la pressione maggiore e quali lo abbiano fatto al meglio. Ed è stato uno degli argomenti di conversazione più interessanti alla vigilia di entrambe le finali di singolare degli Australian Open 2019, considerata la similarità di percorso dei finalisti. Sia Naomi Osaka che Novak Djokovic sono arrivati all’ultima partita con una posizione in classifica migliore dei rispettivi avversari, e da campioni in carica degli US Open 2018. Ma hanno anche dovuto faticare di più, quantomeno in termini di set, con Djokovic che ne ha persi due e Osaka tre. I loro avversari invece, Petra Kvitova e Rafael Nadal, sono sembrati in forma perfetta fino alla finale, senza aver perso neanche un set in sei partite.

Prima dell’inizio delle finali, gli opinionisti, alla stregua di esponenti dell’antica scuola peripatetica, dibattevano su cosa fosse più vantaggioso tra l’aver dominato con sicurezza prima della finale o l’aver superato avversità per raggiungerla. Ora che siamo al corrente del risultato, è difficile soppesare l’alternativa senza l’ingerenza del senno di poi. L’obiettivo di questo articolo però non è stabilire quanta pressione aiuti a preparare per la finale di uno Slam, ma è quello di capire come misurare la pressione in prima battuta.

La pressione del giocatore al servizio

Iniziamo con la pressione affrontata dal giocatore al servizio. Non credo che partire da qui lasci indietro qualcosa visto che, specialmente tra gli uomini, ci si attende che chi serve vinca la maggioranza dei punti. Per questa ragione, le aspettative sull’esito dei punti poggiano in larga parte sulle spalle del giocatore al servizio.

Tradizionalmente, la modalità più diffusa per quantificare la pressione affrontata dal giocatore al servizio è quella delle palle break fronteggiate. Questo conteggio (non riesco a chiamarla statistica senza trasalire) possiede il vantaggio di essere facilmente comprensibile. Si tratta infatti del numero dei game che un giocatore al servizio avrebbe potuto perdere sulla base dell’esito di un singolo punto.

Le limitazioni delle palle break

Se vogliamo però una misura che rifletta la pressione del punteggio che un giocatore al servizio ha dovuto probabilmente affrontare, le palle break non vanno bene. Una ragione sta nel fatto che il semplice conteggio assegna la stesso peso a tutte le palle break, come se non ci fossero differenze in termini di pressione. Ma se confrontiamo una situazione di palla break a break già subìto e una sul 5-5 nel set decisivo, ci rendiamo conto che la pressione delle palle break segue una progressione lineare. Inoltre, il semplice conteggio ignora tutte le altre situazioni di pressione al di fuori delle palle break, come ad esempio i punti del tiebreak, le parità o i 30-30.

E in funzione del set e del game in cui si verificano, possono costringere il giocatore al servizio a una pressione ben più grande di molte altre situazioni sempre di palle break. Nonostante queste limitazioni, le palle break sono rimaste nel tempo il parametro di riferimento per valutare la pressione durante la partita. Pur rappresentando un elemento di irritazione per chi è orientato a un approccio più statistico, la longevità delle palle break comunica che, per la più ampia diffusione di una statistica, l’immediatezza interpretativa è importante tanto quanto le proprietà matematiche.

Tutto questo mi ha fatto riflettere. Immaginiamo di avere un metodo solido per determinare quantitativamente la pressione cumulata. Se si potesse esprimere in unità di palle break, non si avrebbe il meglio dei due mondi?

La pressione punto

Affrontiamo per primo l’ostacolo della pressione cumulata. Come suggerito dal nome, dovrebbe trattarsi di una specie di somma della pressione associata a tutti i punti giocati al servizio. Grazie all’idea di Carl Morris dell’importanza di un punto, del lavoro preparatorio è in realtà già stato fatto. Assegno un indice di pressione a ciascun punto usando una formula leggermente modificata rispetto a quella di Morris. In sostanza, mi concentro sulla perdita potenziale, nell’assunto che noi umani, in quanto deboli creature, siamo più avversi alla perdita di quanto non siamo attratti da un equivalente guadagno. Otteniamo così una forma di pressione avversa alla perdita data da:

Pressione(punteggio) = Vittoria(punteggio) − Vittoria(punteggio−1)

In questa notazione non troppo rigida, Vittoria(punteggio) indica la probabilità condizionale di vincere la partita dal punteggio attuale. Il punteggio-1 si riferisce al punteggio dopo aver perso il punto che si sta giocando. La pressione quindi è sempre un certo valore positivo che corrisponde a quanta probabilità di vittoria, in termini assoluti, ha da perdere un giocatore al servizio sulla base dell’esito di un singolo punto.

La distribuzione della pressione punto

Come si può intuire, in qualsiasi momento della partita sulla probabilità di vittoria incide più direttamente l’abilità del giocatore al servizio contro l’avversario, l’abilità dell’avversario contro il giocatore al servizio e il punteggio raggiunto. Si potrebbe pensare di variare la pressione in funzione del singolo giocatore e della singola partita, e potrebbe essere il modo migliore per arrivare alla pressione effettivamente sperimentata in campo, ma diventerebbe poi estremamente complicato mettere a confronto l’indice di pressione tra una partita e l’altra.

Per arrivare quindi a uno standard comparativo tra partite, assegno indici di pressione sulla base delle aspettative di vittoria di una partita con due giocatori dal servizio medio di identica abilità (vale a dire il 65% dei punti vinti al servizio per gli uomini e il 57% per le donne).

La distribuzione della pressione punto in alcune situazioni chiave

Se questa misura probabilistica della pressione è sensata, ci aspettiamo che le palle break tendano ad avere più pressione dei punti normali. Ma anche che i punti nelle fasi avanzate di una partita equilibrata abbiano importanza di gran lunga maggiore dei punti in una partita a senso unico. Confrontiamo allora la distribuzione della pressione punto in alcune delle situazioni chiave di partite giocate nella stagione 2018.

Nell’immagine 1 la pressione dei punti normali e delle palle break nei game del set decisivo e nei set che decidono la partita è messa a confronto con quella di altre situazioni. Il primo dettaglio che si nota è che a parità di circostanza di game o set, le palle break hanno una mediana di pressione più alta (i cerchi nel grafico) e una pressione massima più alta (le linee indicano la pressione minima e massima). C’è però molta sovrapposizione tra punti normali e palle break, a evidenziare che la pressione può essere comunque alta per i giocatori al servizio anche quando non devono salvare una palla break.

IMMAGINE 1 – Distribuzione della pressione punto

Dal grafico notiamo anche che la pressione può variare molto da una palla break all’altra, specialmente se la si inserisce nel contesto del game e del set. La pressione mediana tra le palle break va dal 2.7% al 5.3% passando da game che non determinano l’esito del set a quelli che invece lo determinano. In un set che decide la partita, la pressione mediana raddoppia anche per le palle break nei game che decidono il set rispetto agli altri game.

L’indice di pressione può raggiungere anche il 25%

Escludendo il tiebreak, la massima pressione associata a un qualsiasi punto è relativa alle palle break nel game decisivo di set equilibrati. Si parla ad esempio di dover salvare una palla break sul punteggio di due set pari e al servizio per il quinto set, nel qual caso l’indice di pressione raggiunge il 25%.

Naturalmente i valori della pressione variano a seconda del format della partita (in generale, nelle partite al meglio dei tre set i punti hanno una pressione superiore). Quanto visto è relativo a partite al meglio dei cinque set, ma le dinamiche di pressione si mantengono tali nel paragone tra il set decisivo e gli altri set, a prescindere dal formato.

La pressione cumulata

Se siamo in grado di assegnare un indice di pressione a ciascun punto, possiamo sommare la pressione dei punti al servizio di un set per misurare la pressione cumulata al servizio di quello specifico set. Visto che la pressione è sempre diversa da zero, la semplice somma delle singole pressioni restituirà necessariamente indici più alti in quei set con un numero maggiore di punti al servizio. È ragionevole ipotizzarlo?

Quando si gioca un numero maggiore di punti al servizio è perché si è di fronte a game molto equilibrati o perché ci sono stati più game al servizio giocati nel set. I game equilibrati possono far pensare a una pressione più alta, ed è preferibile includere in quel caso tutti i punti. Ma non è così evidente dover assegnare una pressione maggiore al set semplicemente perché ci sono stati più game al servizio.

Il quinto set della semifinale di Wimbledon 2018 tra Kevin Anderson e John Isner è l’esempio perfetto del caso in cui la pressione cumulata potrebbe aver aumentato l’effettiva pressione percepita al servizio dai giocatori. Con 48 game al servizio solo nel quinto set, dopo quella partita a Wimbledon è stato eliminato il format ai vantaggi a favore di un tiebreak sul 12-12 del set decisivo. Pur avendo giocato 122 punti al servizio, Anderson non ha mai fronteggiato una palla break nel quinto set. È stato un lungo ed estenuante set, ma non uno in cui la pressione ha fatto la differenza.

Una versione troncata della somma cumulata

Partite di quel tipo inducono all’utilizzo di una versione troncata della somma cumulata, che ignori punti con indici di pressione non sufficientemente alti da posizionarsi al di sopra di una pressione media.

Che differenza ci sarebbe con una somma troncata? L’immagine 2 mostra tutti i set giocati nelle partite di singolare maschile degli Australian Open 2019. Ci sono tre modi per esaminare la pressione al servizio nel set. Il primo è dato dalla somma della pressione di tutti i punti al servizio, senza troncature. Il secondo è dato dall’inserimento di una troncatura al 5%, vale a dire la pressione mediana delle palle break nel set decisivo. Il terzo è dato dall’inserimento di una troncatura all’8%, vale a dire la pressione mediana delle palle break che decidono la partita.

IMMAGINE 2 – Pressione set: troncare o non troncare?

In tutti i casi, esiste una forte correlazione, ma osserviamo un aumento molto più pronunciato della pressione in assenza di troncatura. Anzi, nei set a maggiore pressione, si raggiungono somme non troncate superiori a 400, mentre con la troncatura all’8% raramente si va oltre 300.

Palle break equivalenti

Quale sia la preferenza sul calcolo della somma cumulata, serve ancora tradurre il risultato in unità di misura che siano facilmente riconoscibili. Del resto, è lo scopo di partenza di questo articolo.

Abbiamo visto che la circostanza di palla break più carica di pressione è quella che porta alla conclusione della partita. L’indice di pressione di quel punto è del 25%. In altre parole, quando un giocatore è al servizio nel game che lo porterebbe alla vittoria, il massimo che può perdere contro un avversario dello stesso livello è lo 0.25 in termini di probabilità assoluta.

Non è chiaramente la situazione di palla break più tipica, ma è un riferimento utile. Pensiamo ai 3 match point che Naomi Osaka non ha sfruttato in finale in Australia, dovendo poi andare al terzo set. Sono questi i momenti che più rimangono nella memoria in tema di punti ad alta pressione.

Se dividiamo l’indice di pressione del set per 25, possiamo interpretare quel valore in unità di “palle break equivalenti”. La classifica dei set in termini di pressione non si modifica, ma otteniamo una buona approssimazione del tipo di pressione dettata dal punteggio che può aver sperimentato il giocatore al servizio.

Una classifica di pressione del set agli Australian Open 2019

Se usiamo le unità di palle break equivalenti (o PBE) per identificare i set a più alta pressione per il giocatore al servizio agli Australian Open 2019, che risultati otteniamo? Prendiamo due versioni, una basata sulla pressione cumulata al servizio, e una sulla pressione troncata all’8%.

L’immagine 3 mostra le dieci più alte PBE con i relativi indici di pressione cumulata e troncata. Per le prime quattro posizioni, c’è concordanza di partite tra le due versioni, anche se l’ordine non è identico, con la pressione cumulata che assegna a Ugo Humbert nel quinto set della partita di primo turno contro Jeremy Chardy l’esperienza di maggiore pressione al servizio. È anche stata la prima partita del nuovo super-tiebreak al quinto set agli Australian Open. Alla conclusione del set, Humbert aveva fronteggiato 12 palle break e 17 PBE in termini di pressione troncata.

Iniziano a vedersi divergenze tra i due metodi dalla quinta posizione. La vittoria di Taylor Fritz al secondo turno contro Gael Monfils ne è un buon esempio. Il terzo set di quella partita terminata in quattro set, in una situazione di punteggio di un set pari, avrebbe il quinto più alto valore come pressione cumulata. Se però consideriamo la pressione troncata all’8%, il valore sarebbe il nono più alto, con sole dieci BPE.

Un’enfatizzazione eccessiva sulle situazioni di chiusura della partita

Qual è la scelta migliore? Le palle break che Fritz ha effettivamente annullato in quel set erano cinque, cioè la metà delle PBE derivanti dalla pressione troncata. Considerando che il set è stato sufficientemente equilibrato da andare al tiebreak, è ragionevole osservare un aumento relativo di pressione di quella entità.

Se poi cerchiamo la quinta posizione con le PBE troncate, troviamo il quinto set del primo turno di Pablo Carreno Busta contro Luca Vanni, nel quale Carreno Busta non ha mai subito un break ma in più di un’occasione è rimasto indietro nel punteggio al servizio.

Comunque, le PBE troncate possono dare l’idea di un’enfatizzazione eccessiva delle situazioni che determinano la chiusura della partita rispetto a quanto si vorrebbe da una statistica per la pressione al servizio nel set.

IMMAGINE 3 – Set a più alta pressione delle partite di singolare maschile degli Australian Open

Non è chiaro quindi se siamo in presenza, o se mai lo saremo, della “migliore” misura della pressione. Penso e spero però che questi esempi abbiano mostrato che la pressione espressa in termini di palle break equivalenti è un buon inizio.

How to Best Quantify Service Pressure

Tendenze al servizio sulle palle break nel circuito maschile

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 7 febbraio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nei momenti di maggiore pressione, ogni giocatore fa ricorso al servizio preferito, quello che ritiene dare più garanzie. Allo stesso tempo, l’avversario è in grado di identificare la ripetitività delle dinamiche al servizio, quindi nessun giocatore può essere troppo prevedibile al riguardo. Affidiamoci ai numeri per vedere le direzioni di scelta, l’efficacia realizzativa e le indicazioni dai risultati che ne derivano in termini di strategie al servizio nel circuito maschile.

Nello specifico, analizziamo le prime sul lato dei vantaggi, e la direzione del servizio sulle palle break. Ai nostri fini, concentriamoci su 43 giocatori, vale a dire quelli con almeno 20 partite dal 2010 a oggi inserite nel database del Match Charting Project. Per ciascuno, abbiamo almeno 85 palle break sul lato dei vantaggi, oltre a più di 800 punti sempre sul lato dei vantaggi che non sono palle break (ho escluso i punti del tiebreak, perché seppur molti sono ad alta pressione, la dinamica è meno facile da comprendere). Per la maggior parte dei giocatori i dati a disposizione sono ben più abbondanti, tra cui quasi 1000 palle break sul lato dei vantaggi sia per Novak Djokovic che per Rafael Nadal.

Prima domanda: qual è il servizio preferito sulle palle break?

In media, i 43 giocatori del campione hanno servito il 20% in più di prime esterne rispetto alle prime al centro (anche i servizi al corpo sono rilevanti, ma compongono poco meno del 10% del totale delle prime, e confrontare due opzioni è decisamente più semplice che confrontarne tre).

La differenza del 20% non è così ampia quanto sembri, visto che sui punti che non sono palle break sul lato dei vantaggi la decisione è per il servizio esterno circa il 10% più spesso. Pur rimanendo il servizio esterno la scelta classica, è solo poco più frequente che su altri punti sul lato dei vantaggi.

Le medie del circuito non danno una rappresentazione completa, guardiamo quindi le individualità. La tabella riepiloga i dieci giocatori che più scelgono una determinata direzione con la prima di servizio sul lato dei vantaggi quando si trovano a fronteggiare una palla break.

Giocatore          PB Esterno/Centro   
Kohlschreiber 2.58
Cuevas 2.46
Shapovalov 1.94
Nadal 1.87
Sock 1.84
Goffin 1.78
Kyrgios 1.69
Dolgopolov 1.66
Thiem 1.64
Carreno Busta 1.58

Simon 0.94
De Minaur 0.94
Monfils 0.90
F. Lopez 0.83
Berdych 0.83
Khachanov 0.82
Ferrer 0.81
Fognini 0.77
Schwartzman 0.69
Coric 0.67

Forse anche voi non siete stupiti dalla presenza di Nadal quasi in cima all’elenco. La combinazione di Nadal e Denis Shapovalov sembrerebbe informare che tutti i mancini seguono la stessa dinamica, anche se poi Feliciano Lopez demolisce l’ipotesi in quanto uno dei giocatori che più preferisce il servizio al centro sulle palle break. Gli altri due mancini del campione, Adrian Mannarino e Fernando Verdasco, hanno servito esternamente più della media, quindi forse è Lopez il “diverso” del gruppo. Senza molti dati su altri mancini attivi in questo periodo, è difficile poterlo dire con certezza.

Seconda domanda: Cosa succede sulle palle break sul lato dei vantaggi rispetto agli altri punti?

Abbiamo già visto che la preferenza è per l’utilizzo del servizio esterno circa il 10% più spesso del servizio centrale in situazioni di altri punti sul lato dei vantaggi. La differenza raddoppia sulle palle break. C’è una facile spiegazione a variazioni di entità modesta come queste: la maggior parte dei giocatori serve esterno un po’ meglio sul lato dei vantaggi e, quando la pressione aumenta, è più probabile che si affidi all’opzione più sicura.

Per alcuni però, non c’è nulla di modesto. Philipp Kohlschreiber ad esempio serve esterno in ogni occasione sulle palle break, più spesso di qualsiasi altro giocatore del campione. Eppure sugli altri punti sempre sul lato dei vantaggi, la sua selezione è quasi al 50%. È una differenza significativa in termini di tendenze tra palle break e altri punti. Non è l’unico. Borna Coric si comporta in modo simile (anche se meno estremo) nella direzione opposta, scegliendo quasi equamente nei servizi sul lato dei vantaggi in circostanze d’importanza relativa, per poi servire continuamente al centro di fronte alle palle break.

Cambio tattica

La tabella che segue mostra i giocatori che cambiano tattica in modo più deciso sulle palle break. Le prime due colonne identificano il rapporto tra servizi esterni (E) e centrali (C) sulle palle break e su altri punti sul lato dei vantaggi. La colonna più a destra mostra l’indice tra quei due valori. In cima all’elenco troviamo giocatori come Kohlschreiber, che, sotto pressione, serve esterno. In fondo all’elenco troviamo invece giocatori come Coric. Ho inserito i primi dieci per ogni direzione, oltre a tre dei Fantastici Quattro che non rientrano in nessuna delle due categorie. Djokovic ad esempio non lascia che la circostanza modifichi le sue scelte, almeno a questo proposito.

Giocatore       PB E/C     Altri E/C    PB E/Altri   
Kohlschreiber 2.58 1.04 2.49
Kyrgios 1.69 0.74 2.28
Del Potro 1.52 0.81 1.87
Sock 1.84 1.05 1.75
Cuevas 2.46 1.50 1.64
Anderson 1.18 0.74 1.59
Goffin 1.78 1.13 1.58
Isner 1.43 0.91 1.58
Dimitrov 1.41 0.94 1.49
Thiem 1.64 1.11 1.48

Murray 1.19 0.86 1.39
Nadal 1.87 1.51 1.24
Djokovic 1.20 1.16 1.03

Wawrinka 0.99 1.15 0.87
Bautista Agut 1.38 1.60 0.86
Fognini 0.77 0.91 0.85
Federer 1.08 1.35 0.80
Paire 1.36 1.73 0.78
Mannarino 1.45 1.86 0.78
Schwartzman 0.69 0.89 0.78
F. Lopez 0.83 1.09 0.76
Coric 0.67 0.97 0.69
Khachanov 0.82 1.25 0.66

Sempre nella zona alta dell’elenco troviamo alcuni dei giocatori che meglio servono nel circuito maggiore. In generale, molti preferiscono servire esterno sul lato di vantaggi per poi scegliere quella direzione con frequenza ancora superiore in situazioni di pressione. Con questa tattica si spiega perché alcuni ottengano (non sempre) rendimenti migliori sulle palle break e nei tiebreak. Nick Kyrgios ad esempio ha un servizio letale in tutte le direzioni, ma all’esterno sul lato dei vantaggi è ancora più forte. Complessivamente, vince il 78.8% delle prime di servizio esterne sul lato dei vantaggi, contro il 75.8% con le prime al centro. “Conservando” il servizio esterno per i momenti più critici, Kyrgios riesce a difendere più palle break di quanto la sua efficacia al servizio sul lato dei vantaggi suggerirebbe. La stessa teoria è valida per i tiebreak, nei quali i giocatori potrebbero usare il servizio preferito più spesso.

Terza domanda: queste tattiche potrebbero essere migliorate?

Parto sempre dall’assunto che i giocatori sanno quello che fanno. Se Kyrgios serve al centro la maggior parte delle volte e va esterno più spesso sulle palle break, probabilmente non è frutto del caso. C’è una regola del pollice immediata per verificare se chi serve ha scelto in modo ottimale, descritta qualche anno fa dal mio compagno di podcast Carl Bialik:

Se il tuo servizio al centro è meglio di quello esterno, servi più spesso al centro. Ma non servire al centro il 100% delle volte perché se lo fai, l’avversario ne è consapevole e si mette a metà del campo in attesa del servizio al centro invece di preoccuparsi anche della traiettoria esterna. Quanto spesso dovresti servire al centro? Esattamente quanto è necessario a renderlo efficace allo stesso modo del servizio esterno, ma non più di così. Se il tasso di rendimento su scelte diverse è a sua volta diverso, non stai servendo in modo ottimale.

Ad esempio, di fronte a una palla break sul lato dei vantaggi, Kyrgios vince il 79.7% delle prime di servizio esterne e il 76.1% delle prime al centro. Secondo la logica di Bialik derivata dalla teoria dei giochi, Kyrgios dovrebbe andare esterno ancora più spesso. La percentuale di punti vinti scenderà leggermente per la maggiore prevedibilità, ma il risultato medio di tutti i servizi sulle palle break aumenterà, perché alcuni servizi al centro saranno sostituiti da servizi esterni più redditizi.

Divario tra percentuali di punti vinti

In media, per i 43 giocatori del campione c’è un divario del 4% sulle palle break tra la percentuale di punti vinti con il servizio esterno e con quello al centro. In parte è probabilmente dovuta a rumore statistico. Sono solo 94 i servizi di Alexandr Dolgopolov sulle palle break, quindi il suo divario del 15% non è così affidabile. Però divari di quel tipo compaiono anche per quei giocatori con molti più dati a disposizione.

La tabella che segue riepiloga i dieci giocatori del campione con più palle break fronteggiate. La terza colonna “PB E/C” mostra quanto abbiano preferito il servizio esterno sulle palle break. Le due colonne successive mostrano la percentuale di punti vinti con la prima sulle palle break nelle due direzioni principali. L’ultima colonna mostra, sempre in termini percentuali, la differenza tra le percentuali vincenti. Più il divario si riduce verso lo 0%, più si è trovata la strategia ottimale.

Giocatore    PB    PB E/C  % PT E  % PT C   Divario   
Djokovic 973 1.20 73.1% 72.9% 0.3%
Nadal 971 1.87 67.3% 76.7% 12.2%
Federer 865 1.08 77.1% 77.1% 0.0%
Murray 730 1.19 71.1% 72.2% 1.6%
A. Zverev 493 1.04 72.4% 76.6% 5.5%
Wawrinka 379 0.99 72.7% 71.9% 1.2%
Nishikori 366 1.18 59.5% 69.6% 14.5%
Ferrer 347 0.81 59.7% 63.7% 6.2%
Schwartzman 338 0.69 72.2% 67.8% 6.5%
Thiem 294 1.64 71.8% 73.9% 2.8%

Djokovic, Roger FedererAndy MurrayStanislas Wawrinka si avvicinano alla tattica più efficace, non è così per Nadal, il quale adora il servizio esterno sulle palle break pur ottenendo molta più fortuna con la prima al centro. Richiamo però sempre la premessa per cui i giocatori conoscono il loro mestiere, soprattuto se si parla di Nadal, le cui strategie di gioco hanno condotto a risultati di massimo rilievo.

Nadal fa storia a sé

L’oggetto di quest’analisi sono le prime di servizio. In generale, la frequenza con cui i giocatori mettono in campo la prima è circa la stessa a prescindere dalla direzione. Sul lato dei vantaggi, è più probabile che entri una prima al centro che una esterna. Nadal però fa storia a sé. Il suo servizio esterno non è particolarmente letale, ma è la fotografia dell’affidabilità. La prima esterna sul lato dei vantaggi è in campo il 77.8% delle volte, rispetto a un semplice 59.5% al centro. Il servizio al centro è efficace quando entra, ma non è ragione sufficiente per provarlo più spesso.

Nishikori e la teoria dei giochi

La stessa logica non può venire in soccorso di Kei Nishikori, che ha un divario ancora più marcato di quello di Nadal, salvando circa il 70% delle palle break con un servizio centrale ma solo il 60% con uno esterno. Quasi sicuramente non è dovuto alla fortuna: ipotizzando 180 servizi in ciascuna direzione e una media di punti vinti di circa il 65%, le possibilità che entrambi i numeri siano almeno di cinque punti percentuali sopra o sotto la media è di circa il 18%. La probabilità che siano entrambi così estremi è di circa il 3.5%, da cui una probabilità che siano estremi in direzioni opposte inferiore al 2%, cioè 1 su 50.

Come Nadal, Nishikori è uno dei pochi giocatori che serve molto più spesso in una direzione che nell’altra. Rispetto a Nadal però, la discrepanza tra le prime in campo è molto più pronunciata! Nelle 366 palle break delle partite a disposizione, Nishikori ha servito in campo una prima esterna per il 48.8% delle volte e una prima al centro per il 62.8% delle volte. Più prime in campo al centro quindi per lui e una maggiore probabilità di vincere il punto che ne consegue. Nishikori deve servire molte più prime al centro di fronte alle palle break. Così facendo infatti, la percentuale di punti vinti specifica per quella direzione diminuirà visto che gli avversari scopriranno quella tendenza più accentuata, ma è probabile che l’esito complessivo migliori.

Conclusioni

Anche al livello più semplice, i giocatori dovrebbero avere consapevolezza delle tendenze al servizio degli avversari, che sia tramite voci di corridoio, osservazione avanzata o dati come quelli del Match Charting Project.

All’aumentare della complessità di analisi, abbiamo visto il potenziale espressivo dei dati, capaci di evidenziare come alcuni giocatori stiano rinunciando a convertire palle break. La maggior parte dei giocatori di élite ha sviluppato una padronanza intuitiva della teoria degli giochi. A volte però, anche l’intuizione dei più forti può sbagliare.

Break Point Serve Tendencies on the ATP Tour

Gli scambi si allungano con l’avanzare della partita?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 14 febbraio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nel secondo turno del New York Open 2019, Paolo Lorenzi ha lottato per tre set prima di vincere contro Ryan Harrison. È stato un risultato degno di nota per diverse ragioni, a partire dal fatto che raramente Lorenzi decide di giocare sul cemento quando ci sono altre possibilità a disposizione.

A 37 anni, Lorenzi è tra i molti giocatori che piegano a proprio favore la curva d’invecchiamento del tennis contemporaneo. Si è anche garantito di giocare almeno un quarto di finale del circuito maggiore per l’ottavo anno di fila, nonostante il primo sia arrivato alla soglia degli trent’anni. Il modo in cui ha vinto ricalca l’unicità del suo percorso di carriera.

Questa è la lunghezza media dello scambio in ciascun set.

Set  Scambio medio   
1 3.2
2 4.0
3 4.9

Probabilmente non avete bisogno di me per capire quale sia il set vinto da Harrison. Il primo set è stato dominato dal servizio, come tipicamente accade per i tornei indoor americani sul cemento. Con l’avanzare della partita, i punti si sono avvicinati allo scambio da terra battuta che Lorenzi senza dubbio privilegia.

Fare della teoria

Pur in forma estrema, la partita tra Lorenzi e Harrison presenta i canoni di quella che ritengo sia la saggezza popolare tennistica. Nel corso di una partita, un giocatore migliora nella lettura del gioco dell’avversario, riducendo il numero dei servizi senza risposta e aumentando la probabilità che ogni punto diventi uno scambio prolungato. Almeno, questa è la teoria. Esistono fattori di mitigazione, come la fatica, che va in direzione opposta, ma possiamo generalmente aspettarci degli scambi più lunghi.

La partita in questione però non ha seguito esattamente il copione. Gli scambi possono essersi allungati perché entrambi hanno iniziato a prevedere i colpi dell’avversario, ma gli ace – che Harrison ha colpito tra il 18% e il 21% a set – o la categoria ancora più ampia dei servizi senza risposta non ne danno segno evidente.

Set  Punti  Serv no risp   
1 47 42.6%
2 65 32.3%
3 73 37.0%

Se la lettura del servizio può spiegare l’aumento della lunghezza dello scambio tra il primo e il secondo set, agisce nell’altro verso tra il secondo e il terzo set. È senza dubbio un campione ridotto e non si devono considerare solo i servizi senza risposta. Ci sono però segnali che alla teoria iniziale manca qualcosa.

Servono più partite

Per quanto interessante sia il caso di Lorenzi, servono più giocatori e più dati per capire più approfonditamente le dinamiche delle risposte al servizio e della lunghezza dello scambio nello svolgimento della partita. Iniziamo dalle partite del tabellone principale del singolare maschile degli Australian Open 2019. Non solo è un campione di partite numeroso, ma sono al meglio dei cinque set, dando quindi l’opportunità di un’analisi su molti set per singola partita.

Per ogni set di ciascuna partita, ho calcolato la lunghezza media dello scambio e la frequenza di servizi senza risposta, per poi fare un confronto tra set in funzione della durata della partita. Ad esempio, tra Lorenzi e Harrison la lunghezza dello scambio è aumentata del 25% dal primo al secondo set. Poi, per ciascun set, ho messo insieme tutte le partite sufficientemente lunghe per vedere con quale percentuale il circuito, in aggregato, cambia da un set all’altro.

Risultati divergenti

Sono risultati che si fanno notare decisamente meno di quelli nella partita di Lorenzi. Le colonne “Scambio medio” e “ Serv no risp” della tabella mostrano il cambiamento in forma di rapporto: se la frequenza di riferimento nel primo set è 1.0, la lunghezza dello scambio nel secondo set aumenta dello 0.8% e il numero dei servizi senza risposta sale del 2.4%. Ho inserito anche colonne di esempio, con lunghezze e frequenze di servizi senza risposta realistiche per ciascun set sulla base di medie del torneo di 3.2 colpi per scambio e del 34% di servizi senza risposta.

Set  Scambio medio  Es Scambio  Serv no risp  Es Serv no risp   
1 1 3.20 1 34.0%
2 1.008 3.23 1.024 34.8%
3 1.019 3.26 1.033 35.1%
4 0.987 3.16 1.155 39.3%
5 1.021 3.27 1.144 38.9%

Le differenze tra set in termini di lunghezza dello scambio solo a malapena possono chiamarsi tali. La variazione nella frequenza di servizi senza risposta invece è molto più evidente, considerando anche che è di segno opposto a quanto ci si aspettasse (si può pensare che l’effetto sia generato artificiosamente dai dati a disposizione, per cui i giocatori che arrivano al quarto e quinto set sono i grandi servitori. Potrebbe essere così, ma non è quello che si verifica. Il confronto infatti è tra statistiche di un set e del precedente all’interno della stessa partita, seguito da una media della variazione set su set, ponderata per il numero di punti nei set. Un quinto set di John Isner quindi è messo a confronto solo con un quarto set di Isner).

Forse la fatica – o una conservazione strategica dell’energia – gioca un ruolo maggiore di quanto pensassi, o forse ancora i giocatori al servizio riescono a leggere con più facilità l’avversario che non il contrario.

Arriva in soccorso il circuito femminile

Per le donne, i risultati sono completamente differenti. La tabella riepiloga gli stessi dati per le 127 partite del tabellone principale di singolare degli Australian Open 2019.

Set  Scambio medio  Es Scambio  Serv no risp  Es Serv no risp   
1 1 3.40 1 27.0%
2 1.035 3.52 0.974 26.3%
3 1.103 3.75 0.915 24.7%

Seppur non accentuata come nella partita tra Lorenzi e Harrison, la dinamica è più marcata rispetto gli uomini. Il numero dei servizi senza risposta diminuisce considerevolmente, e la lunghezza dello scambio aumenta in modo da poter essere notata da uno spettatore concentrato sulla partita.

Sono due parametri collegati, cioè in presenza di meno servizi senza risposta ci sono più colpi per punto, anche solo tenendo conto del secondo colpo. Oltre a questo, ci sono più opportunità per scambi più lunghi. In ogni caso, l’andamento set su set per le donne è più vicino alla teoria iniziale di quanto non lo sia per gli uomini.

Come per qualsiasi statistica aggregata, mi aspetto che ci sia abbondanza di variazione da un giocatore all’altro. Giocatori che sono molto forti nei terzi set riescono davvero a rispondere a più servizi o, come dimostrato da Lorenzi, modificano la strategia a favore di uno stile di gioco con cui hanno più familiarità. Un’analisi di queste tipologie di numeri per singoli giocatori è la naturale evoluzione del discorso, ma dovrà aspettare un’altra volta.

Do Rallies Get Longer as Matches Progress?

L’impatto del nuovo servizio di Rafael Nadal

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 26 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un paio di anni fa, il nuovo rovescio di un certo svizzero veterano del circuito aveva monopolizzato la conversazione agli Australian Open. Roger Federer vinceva il torneo, e recuperava posizioni in classifica fino a riconquistare il numero 1 del mondo. Il 2019 è iniziato con un’altra mega stella, Rafael Nadal, impegnata a perfezionare la propria relativa debolezza con la ricerca della massima efficenza al servizio.

I primi risultati sono decisamente positivi. Fino alla semifinale, la prima di servizio di Nadal agli Australian Open 2019 ha raggiunto in media i 185 km/h (115 mph), rispetto ai 177 km/h (110 mph) degli US Open 2018. Non ha subito un break in cinque partite di fila, indietro fino al secondo turno, e ha dovuto salvare solo 13 palle break negli ultimi 15 set.

Va detto che non ha affrontato avversari di grande spessore, visto che il tabellone gli ha messo contro solo due teste di serie fuori dai primi 10. Risultati così a senso unico però possono equamente ascriversi al suo dominio. In fondo, ha demolito Stefanos Tsitsipas poco dopo che la promessa greca aveva eliminato Federer.

Alcuni dei numeri al servizio migliori di sempre negli Slam

Le velocità al servizio sono incoraggianti e le vittorie a senso unico un toccasana per il fisico, ma l’attenzione dovrebbe essere sempre rivolta ai punti, e a quanti Nadal ne vince. Su questa base, con il nuovo servizio Nadal ha raggiunto livelli di eccellenza, con alcuni dei numeri al servizio migliori di sempre negli Slam.

In sei partite Nadal ha vinto l’80.9% dei punti sulla prima di servizio (l’altro finalista, Novak Djokovic, ne ha vinti il 77.5%. Sono entrambi numeri superlativi, visto che la media del circuito sul cemento è inferiore al 75%, un valore che comprende il contributo di giocatori molto più dominanti al servizio). Solo due volte Nadal ha fatto meglio in uno Slam sull’erba o sul cemento: agli US Open 2010 con l’83.6% e a Wimbledon 2008 con l’81.3%.

La tabella riepiloga i primi 10 rendimenti al servizio in uno Slam su una superficie veloce fino alle semifinali.

Torneo                 Pt 1^   Pt 2^             
2010 US Open 83.6% 66.9%
2008 Wimbledon 81.3% 64.3%
2019 Australian Open 80.9% 58.0%
2013 US Open 79.5% 64.7%
2017 Wimbledon 79.4% 58.6%
2011 Wimbledon 79.4% 59.4%
2010 Wimbledon 79.3% 61.6%
2006 Wimbledon 77.9% 62.1%
2012 Wimbledon 77.3% 61.5%
2012 Australian Open 76.8% 56.7%

Si può notare una tendenza in cima all’elenco, vale a dire che sono Slam che Nadal ha poi vinto. Gli US Open 2010 sono il primo Slam vinto sul cemento, con una vittoria in quattro set contro Djokovic, la vittoria più dominante sul rivale di lungo corso in uno Slam che non fosse sulla terra battuta.

A Wimbledon nel 2008 è arrivata la prima vittoria sull’erba nella memorabile finale contro Federer. Gli US Open 2013 sono stati un’altra vittoria relativamente lineare contro Djokovic. I risultati nelle varie edizioni di Wimbledon che riempiono la parte bassa sono un po’ gonfiati dalla superficie, ed è significativo che il secondo migliore rendimento agli Australian Open risale al 2012, con un 76.5% di punti vinti sulla prima. Pur non avendo vinto quel torneo, Nadal ha costretto Djokovic a impiegare quasi sei ore per batterlo.

Sono segnali positivi per Nadal che, come minimo, renderanno la finale ancora più interessante nel confronto tra la nuova pericolosità del servizio di Nadal e il sempre brillante gioco alla risposta di Djokovic.

La seconda rimane più attaccabile

Con un campione di solo sei partite però è difficile, analiticamente, avventurarsi oltre. Nadal ha dominato Tsitsipas, ma lo ha fatto appena meglio della loro partita al Canada Masters la scorsa estate. In Australia, ha vinto l’80.3% dei punti al servizio, di cui l’85% sulla prima. Nelle precedenti partite, ha vinto il 78.9% dei punti al servizio di cui il 93.8% sulla prima.

Un paragone più rilevante è quello tra la vittoria al quarto turno contro Tomas Berdych (75.3% dei punti vinti al servizio, 80.4% sulla prima) e le precedenti partite sul cemento (rispettivamente 66.6% e 72.7%). Non vi si può dare però troppo peso visto che non giocavano dal 2015 e Berdych era di rientro da un infortunio.

In finale, i tifosi più pessimisti di Nadal terranno d’occhio la seconda di servizio, che non ha mostrato lo stesso incremento in efficacia della prima. Nelle sei partite degli Australian Open 2019, Nadal ha vinto il 58.0% dei punti sulla seconda, appena sopra alla sua media in carriera negli Slam sul cemento del 57.3%.

Alex De Minaur, il miglior avversario alla risposta tra quelli di Melbourne, ha effettivamente sfruttato questo accenno di debolezza, limitando Nadal a un misero 36.4% di punti vinti sulla seconda. Djokovic è ancora meglio, perché capace di neutralizzare seconde di servizio più potenti di quella di Nadal e quindi creare seria preoccupazione.

Più efficacia e minore durata delle partite

Dovesse portare alla vittoria del titolo, il servizio di Nadal prenderà giustamente buona parte del merito. Non solo ha reso più efficace quell’aspetto del gioco, ma è stato un fattore nella minore durata delle partite e nella conservazione di energia per le insidie del cemento.

Anni fa ho sfidato la saggezza popolare e sostenuto che Nadal potesse raggiungere 17 vittorie Slam. Da allora, Federe ha alzato l’asticella, ma un Nadal con l’arma in più al servizio fa di 20 o 21 un numero mai così realistico (Nadal ha poi perso la finale con il 51% dei punti vinti con la prima di servizio e con il 62% con la seconda, contro rispettivamente l’80% e l’84% di Djokovic, n.d.t.).

The Impact of Rafael Nadal’s New Serve

La strana debolezza della seconda di servizio di Naomi Osaka

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 23 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Grazie alla potenza dei suoi colpi, specialmente la prima di servizio tra le più forti in circolazione, Naomi Osaka ha raggiunto velocemente il vertice del tennis femminile.

Agli Australian Open 2019, compresa la semifinale vinta contro Karolina Pliskova, la velocità media della prima di Osaka è stata di 169 km/h (105 mph), superiore a quella di tutte le giocatrici che sono arrivate al terzo turno, tranne due. E anche le due in questione, Aryna SabalenkaCamila Giorgi, hanno fatto meglio di poco, con una media di 170 km/h (106 mph).

La maggiore differenza in media tra prima e seconda

Se però si guarda la seconda di servizio, la posizione di Osaka si inverte. Rispetto a una tipica seconda di Sabalenka a 145 km/h (90 mph) e una di Giorgi a 151 (94 mph), Osaka in media ha servito a soli 126 km/h (78 mph), la quartultima tra le ultime 32. È un valore che la mette davanti a giocatrici come Angelique Kerber e Sloane Stephens, entrambe con una prima inferiore in media di circa 16 km/h.

I 43 km/h di Osaka rappresentano la differenza più marcata del gruppo. Segue Caroline Wozniacki, con i 37 km/h tra una prima a 164 km/h (102 mph) e una a seconda a 127 km/h (79 mph). In termini percentuali, in media la seconda di Osaka raggiunge solo il 74% della velocità della prima. Anche questo è il divario più ampio delle giocatrici al terzo turno a Melbourne, seguito sempre da quello di Wozniacki al 77%.

La tabella mostra le velocità della prima e della seconda, insieme al divario e al rapporto tra i due numeri, per qualche giocatrice in meno, cioè quelle per le quali gli Australian Open hanno reso note le velocità al servizio di almeno quattro partite.

Giocatrice      Media 1^  Media 2^  Diff   Indice 
Osaka 169.7 126.3 43.4 0.74
Keys 169.3 137.4 31.7 0.81
S.Williams 167.0 142.5 24.4 0.85
Barty 164.1 141.9 22.0 0.87
Ka. Pliskova 163.9 129.5 34.4 0.79
Collins 162.8 132.2 30.7 0.81
Kvitova 160.2 147.4 12.8 0.92
Muguruza 157.8 132.7 25.0 0.84
Pavlyuchenkova 157.5 135.9 21.5 0.86
Sharapova 157.5 144.1 13.1 0.92
Svitolina 157.0 125.8 31.2 0.80
Stephens 154.6 120.8 33.7 0.78
Halep 153.3 130.1 23.1 0.85
Kerber 151.2 126.1 25.2 0.83

Una seconda lenta può non creare troppi problemi

Stranamente, avere una seconda di servizio così lenta non sembra creare troppi problemi. Nella semifinale contro Pliskova, Osaka ha vinto l’81% dei punti sulla prima e solo il 41% dei punti sulla seconda. Di solito però il suo rendimento sulla seconda è migliore.

E in questa partita entrambe hanno approfittato della debolezza del servizio dell’avversaria. Pliskova ha vinto solo il 32% dei punti sulla seconda (per correttezza va detto che Pliskova ha il secondo divario più grande del precedente elenco, perché tende a fare affidamento più sulle rotazioni che sulla velocità quando non mette la prima).

In sei partite, Osaka ha vinto il 73.3% dei punti sulla prima e il 49.7% dei punti sulla seconda, leggermente meglio della media delle giocatrici ai quarti di finale sulla prima e di poco peggio sulla seconda.

Il rapporto tra i due numeri, pari al 68%, è quasi identico a quello di Danielle Collins, Petra Kvitova, Anastasia PavlyuchenkovaSerena Williams, tutte con differenze più ridotte tra prima e seconda. Delle otto ai quarti di finale, Kvitova ha la differenza più piccola, eppure è arrivata in finale così come Osaka, solo di qualche punto percentuale più veloce in entrambi i servizi.

Più di un modo per arrivare nella fase finale

La tabella elenca la percentuale di punti vinti sulla prima (PVS1) e sulla seconda (PVS2) per le giocatrici ai quarti di finale a Melbourne, insieme al rapporto tra i due valori (Pt %) e l’indice di velocità di ciascuna dalla tabella precedente.

Ai quarti       PVS1    PVS2    Pt %   Indice   
Kvitova 77.9% 52.8% 0.68 0.92
Williams 74.7% 50.0% 0.67 0.85
Osaka 73.3% 49.7% 0.68 0.74
Collins 72.5% 50.0% 0.69 0.81
Barty 70.8% 55.7% 0.79 0.87
Pliskova 70.5% 50.0% 0.71 0.79
Pavlyuchenkova 67.0% 44.9% 0.67 0.86
Svitolina 66.5% 48.1% 0.72 0.80

È evidente che ci sia più di un modo per entrare tra le ultime otto. Kvitova ad esempio raccoglie punti facili con un servizio angolato invece che veloce, rendendo il confronto dei chilometri orari di poco conto.

Il servizio di Williams è vicino a quello di Osaka, pur avendo una seconda di servizio più incisiva. E poi c’è Svitolina, il cui servizio non è necessariamente potente o efficace, ma è compensato da altri colpi o acume tattico.

Dovrebbe servire seconde più forti?

Alla luce di tutto questo, Osaka dovrebbe servire seconde più forti? In casi estremi, come nella semifinale contro Pliskova con un 81% / 41%, la risposta è affermativa. Cioè se avesse servito solo prime mantenendo quella percentuale di punti vinti, avrebbe accumulato molti doppi falli ma vinto più punti totali.

I margini però sono solitamente più risicati, e come visto il rendimento sulla seconda di Osaka non è malvagio, ma lascia spazio a miglioramenti. Pur nell’adagio che ogni giocatrice è diversa, un servizio più veloce è tendenzialmente più efficace.

Con i dati a disposizione si può fare un’analisi più approfondita, serve aspettare la conclusione del torneo. Intanto però la finale femminile è il palcoscenico per un confronto di stili. Da un lato, la potenza della prima di Osaka e la leggerezza della seconda, dall’altro gli angoli e il piazzamento di Kvitova su entrambi i servizi.

Sia le mie previsioni che le quote degli scommettitori danno una partita molto equilibrata, e forse sarà proprio la seconda di servizio di Osaka a fare la differenza.

The Oddity of Naomi Osaka’s Soft Second Serves

I margini ridotti di Frances Tiafoe

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 21 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Con la vittoria al quarto turno contro Grigor Dimitrov agli Australian Open 2019, Frances Tiafoe ha aggiunto un altro prestigioso scalpo alla sua giovane carriera.

Da poco ventunenne, per Tiafoe l’intero torneo si è rivelato un palcoscenico da cui mostrare la sua abilità, visto che è arrivato alla seconda settimana dopo aver battuto al secondo turno in modo ancora più impressionante Kevin Anderson, la testa di serie numero 5.

Tiafoe entrerà per la prima volta tra i primi 30 della classifica, consolidando ulteriormente la sua candidatura a possibile prossima stella del marketing tennistico.

Non lasciarsi andare a facili entusiasmi

All’emergere di dinamiche che creano entusiasmo, il ruolo dello statistico di tennis è spesso quello di mettersi di traverso e gridare “Fermi!”. Temo che così dovrò fare in questo articolo.

Senza dubbio, Tiafoe è un giocatore giovane e interessante, con un alto potenziale. Nel corso del 2018 ha dimostrato ripetutamente di poter sfidare i migliori del mondo, dandone seguito con la vittoria su Anderson a inizio torneo.

Ma quella con Dimitrov, per quanto gli abbia dato accesso al primo quarto di finale in uno Slam (dove poi ha perso da Rafael Nadal, n.d.t.), è stata un po’ fortunosa.

A dire il vero, secondo un paio di semplici statistiche molte delle sconfitte di Tiafoe nel 2018 sono state più significative della vittoria contro Dimitrov, tra cui anche una sempre contro Dimitrov al Canada Masters lo scorso anno.

Un basso valore nell’Indice di Dominio

Dei 337 punti giocati nell’ottavo a Melbourne, Tiafoe ne ha persi più della meta, vincendo solo il 34.7% di punti alla risposta rispetto al 39.5% del suo avversario. Il risultante Indice di Dominio (o Dominance Ratio, DR) della partita è di 0.88, un valore che quasi mai porta alla vittoria.

Il DR è il rapporto tra i punti vinti alla risposta e quelli vinti alla risposta dall’avversario. Un valore di 1.0 significa un livello di gioco identico, e più alto il numero migliore il rendimento di uno sull’altro.

Più del 92% dei vincitori sul circuito maggiore nel 2018 hanno registrato un DR di almeno 1.0, e il 97.4% tra essi – vale a dire 39 su 40 – hanno vinto punti a sufficienza per ottenere un DR di 0.9.

Come detto, in molte delle sconfitte Tiafoe ha giocato meglio. Contro Dimitrov in Canada, il suo DR è stato di 0.98. Contro Anderson al Miami Masters è stato di 0.99 pur avendo perso in due set. E anche nella sconfitta di misura per 6-4 6-4 nella finale di Estoril contro Joao Sousa, il DR di Tiafoe è stato quasi altrettanto alto che nella vittoria contro Dimitrov, con un valore di 0.87.

Delle partite equilibrate nelle quali però l’avversario ha giocato meglio – diciamo quelle comprese tra un DR di 0.85 e 0.99 – Tiafoe ne ha vinte 4 su 18 lo scorso anno, e tutte le vittorie tranne una sono state più ravvicinate di quella negli ottavi a Melbourne.

Giocare meglio nei momenti più importanti

Il trucco per vincere una partita in cui si raccolgono meno della metà dei punti totali e con una frequenza di punti vinti alla risposta inferiore a quella dell’avversario è di giocare meglio nei momenti che più contano, come le palle break. È certamente quello che ha fatto Tiafoe, trasformando 5 opportunità su 13 rispetto alle 3 su 18 di Dimitrov.

Alzare il livello nei tiebreak è un altro buon metodo, anche se in questo caso non ha influito, visto che ne hanno vinto uno per parte. In difesa di Tiafoe, va detto che ha giocato meglio di Dimitrov quando la partita era in bilico. Merita quindi la vittoria, a prescindere dal verdetto delle statistiche.

Il rendimento sulle palle break e nei tiebreak nel lungo periodo tende però a rientrare nella norma. Non è automatico che Tiafoe riesca a replicare la brillantezza di alcuni momenti chiave di una partita di alto profilo solo perché lo ha fatto una volta.

Così come non ci sono praticamente giocatori che vincono tiebreak più spesso di quanto il loro rendimento complessivo lascerebbe intendere, giocatori con singole annate di record eccellenti sulle palle break regrediscono rapidamente verso la media.

Forse non è giusto affermare che Tiafoe ha avuto fortuna, avrebbe comunque potuto mantenere alti concentrazione e livello di gioco meglio di quanto abbia fatto Dimitrov. Quale sia l’aspetto che ha marcato la differenza, certamente non è qualcosa dotato di potere predittivo. Nella prossima settimana o Slam o anno, Tiafoe non ha più probabilità di un giocatore qualsiasi di vincere una partita con un DR di 0.88.

Un futuro in ogni caso luminoso

Non sono comunque qui per raffreddare gli animi sul futuro di un giovane giocatore. Anche se un paio di break point fossero girati a favore di Dimitrov dandogli poi la vittoria, gli ottavi di finale in uno Slam sarebbero stati un ottimo risultato a prescindere.

Nella vittoria a sorpresa su Anderson, un DR di 1.29 – cioè il 35.1% dei punti vinti alla risposta contro il 27.2% – è stato particolarmente impressionante. Tranne che per dieci partite l’anno scorso, Anderson non ha mai fatto meglio (tre delle quali contro Novak Djokovic e le altre contro giocatori tra i primi 10).

Tiafoe sta migliorando, e per molti aspetti è la promessa più luminosa del tennis maschile americano. Ha ottenuto molte soddisfazioni a Melbourne, ma aver giocato meglio di Dimitrov non è tra quelle.

Frances Tiafoe’s Narrow Margins

Uno sguardo ravvicinato alle strategie nel tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 17 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

In teoria, i tiebreak sono il proscenio per grandi doti al servizio, una circostanza del gioco in cui il talento limita le occasioni per un break e spinge il punteggio sul 6-6. Non importa come ci si arrivi, durante il tiebreak le cose non vanno sempre nella direzione del servizio.

Bastano due esempi dal secondo turno degli Australian Open 2019. La partita di Roger Federer contro Daniel Evans è iniziata con dodici servizi tenuti di fila, e la minaccia di una sola palla break. Poi però ne tiebreak, vinto da Federer 7-5, il giocatore alla risposta ha fatto 9 punti su 12.

In un campo defilato e di fronte a molti meno spettatori, Thomas Fabbiano e Reilly Opelka sono andati al super-tiebreak del quinto set. In 52 game e 319 punti, Opelka ha servito 67 ace. Gli scambi non sono andati oltre i 2.9 colpi di media. Nel tiebreak decisivo, Opelka non ha fatto ace, Fabbiano ha risposto a tutti i servizi tranne uno e la media è salita a 5.5 colpi.

Nelle mie analisi sul tiebreak di ormai diversi anni fa, ho trovato che il vantaggio posseduto sul servizio svanisce. I giocatori alla risposta vincono più punti nel tiebreak che in altri momenti del set. Non è un effetto marcato, quasi una diminuzione del 6% nella percentuale di punti vinti al servizio, probabilmente dovuto al fatto che viene dato sempre il massimo nel tiebreak, a differenza dei giocatori deboli alla risposta su un punteggio come 40-0 a metà del set.

Senza dubbio le due partite rappresentano degli estremi. L’eventuale sofferenza di un giocatore al servizio in un tiebreak tipico non sconvolge il tennis in quanto sport. L’effetto però merita analisi approfondita.

Isner non è l’unico conservatore

Iniziamo da qualche tendenza generale. Nelle partite maschili dal 2010 al 2019 del Match Charting Project, ho trovato 831 tiebreak con dati punto per punto. Per ogni set terminato al tiebreak, ho conteggiato diverse statistiche per i punti nel tiebreak e quelli nel resto de set. Per ogni statistica, ho calcolato l’indice nel singolo set, e poi ho aggregato gli 831 tiebreak per ottenere dei numeri a livello di circuito.

Ecco cosa accade per le statistiche nei tiebreak:

  • Punti vinti al servizio: -6.5%
  • Ace: -6.1%
  • Prime di servizio valide: +1.3%
  • Risposte in gioco: +8.5%
  • Lunghezza degli scambi: +18.9%

(Nota tecnica: nell’aggregazione degli indici, ho ponderato per il numero di punti in ciascun tiebreak, ma fino a un massimo di 11. Tiebreak più lunghi tendono a essere quelli in cui il giocatore al servizio è più forte, come quello maratona terminato 17-15 nel primo set tra Fabbiano e Opelka. Se fossero ponderati per l’effettiva durata, i risultati verrebbero distorti a favore delle prestazioni al servizio migliori.)

A giudicare dall’aumento delle prime di servizio in campo, sembra che i giocatori al servizio siano più conservativi nei tiebreak. La significativa diminuzione degli ace e l’ancora maggiore incremento delle risposte in gioco forniscono ulteriore prova.

Un’alta concentrazione alla risposta può evitare qualche ace, ma non molti, e non si riesce a trasformarne poi così tanti in risposte in gioco. Un aumento di quasi il 20% nella lunghezza degli scambi può essere spiegato in parte dalla diminuzione degli ace (gli scambi da un colpo vengono rimpiazzati da scambi a più colpi). Ma la grandezza dell’effetto suggerisce un atteggiamento più conservativo sia al servizio che alla risposta.

Qualche altra riflessione

Non tutti gestiscono il tiebreak allo stesso modo. Molti, tra cui Federer, servono con la stessa efficacia anche in quelle situazioni ad alta pressione. Altri, come Rafael Nadal, sembrano risultare più conservativi, ma compensano facendo incetta di servizi meno incisivi degli avversari. Un terzo gruppo, come Ivo Karlovic che non si può non citare quando si parla di tiebreak, ha un rendimento inferiore in entrambe le situazioni di gioco.

La tabella elenca i venti giocatori con il maggior numero di tiebreak nelle partite del Match Charting Project dal 2010. Per ciascuno di essi, è mostrato il confronto tra frequenza di punti vinti al servizio (PVS) e punti vinti alla risposta (PVR) nel tiebreak e negli altri game.

Ad esempio Jo Wilfried Tsonga vince il 5.4% di punti al servizio in più durante il tiebreak che nei game regolari, rispetto alla variazione media del 6.5% nella direzione opposta. Ma la sua frequenza di punti vinti alla risposta scende del 3.4%, mentre il giocatore tipico la aumenta del 6.5%.

Giocatore           PVS     PVR   
Tsonga 5.4% -3.4%
Federer 0.4% 3.2%
Wawrinka -0.1% 4.2%
Isner -0.6% 6.4%
Djokovic -0.8% 11.8%
Murray -2.2% 8.7%
A. Zverev -2.7% 18.7%
Del Potro -3.3% 5.3%
Kyrgios -4.1% 10.5%
Thiem -4.6% 12.1%
---MEDIA ATP--- -6.5% 6.5%
Anderson -7.1% 8.9%
Simon -8.0% 16.3%
Berdych -8.4% 6.8%
Raonic -9.2% 9.1%
Nadal -9.4% 13.6%
Cilic -10.2% 5.8%
Tomic -11.3% 4.5%
Karlovic -12.6% -0.9%
Dimitrov -13.8% 5.1%
Khachanov -25.1% -5.4%

Per la maggior parte dei giocatori, l’obiettivo sembra quello di vincere un numero sufficiente di punti aggiuntivi alla risposta in modo da controbilanciare la perdita di quelli al servizio. Nadal è l’esempio più estremo, vincendo quasi il 10% di punti al servizio in meno del solito, infliggendo però un danno superiore agli avversari.

Alexander Zverev è il più impressionante del gruppo. Il suo servizio scende di poco, ma si trasforma alla risposta in un giocatore tipo Nadal. Non è un caso quindi che il suo record nei tiebreak sia stellare, con una percentuale di vittorie molto superiore alle attese. È da vedere se riuscirà a mantenere numeri così sbalorditivi.

Una strategia vincente

Un articolo come questo terminerebbe idealmente con una raccomandazione da parte mia. Qualcosa come: “analizzando varie metodologie, sulla base di questi numeri, possiamo dire con sicurezza che i giocatori dovrebbero…”.

Non è così semplice. Già è difficile identificare i giocatori più virtuosi nel tiebreak, ancora più complicato capire le ragioni. Come ho già scritto molte volte in passato, i risultati nel tiebreak sono strettamente correlati alla bravura complessiva e non a prodezze al servizio o alla capacità di predominio nei momenti chiave.

In qualsiasi stagione, alcuni giocatori sono in grado di accumulare un record incredibile nei tiebreak, ma raramente al successo in un anno ne corrisponde uno nell’anno successivo. In più riprese in passato ho fatto vedere come Federer, Isner, Nadal e Andy Murray sono giocatori costantemente abili nel fare meglio delle previsioni e superare le aspettative nei tiebreak. Ma anche loro non sempre ci riescono. Isner ad esempio, l’uomo copertina dei trionfi al tiebreak, ne ha vinti pochi di più di quanto ci si attendesse sia nel 2016 che nel 2018.

Vediamo comunque i risultati di questi quattro giocatori in relazione ai dati punto per punto che ho condiviso in precedenza. Federer, Isner e Murray sono parte di quella minoranza che serve più ace nel tiebreak che negli altri game del set.

Non significa però che sono necessariamente più offensivi. Dei tre, solo Federer serve meno prime del solito. Isner riesce a ridurre il numero delle risposte in gioco del 10% rispetto a situazioni di non tiebreak, Federer e Murray non ci riescono. Nadal si comporta in modo completamente diverso, servendo il 6% di prime in più ma facendo a malapena la metà degli ace che nel resto dei game.

In altre parole, non esiste una sola combinazione per il successo. Federer e Isner mantengono il loro livello superlativo di servizio e si avvantaggiano della tensione degli avversari o di tattiche conservative (in precedenza ho suggerito che la differenza nella percentuale di punti vinti al servizio arriva da giocatori come Isner che sono in grado di alzare il rendimento alla risposta in momenti di maggiore pressione. Lui ci riesce, ma non più del giocatore medio). Nadal fa leva sul suo punto di forza, imponendo all’avversario più scambi al servizio e alla risposta.

Potrebbe esistere una qualità che accomuna questi quattro giocatori (come la concentrazione), ma qui non ne troveremo traccia.

A Closer Look at Tiebreak Tactics

Le costose conseguenze dei doppi falli di Kasatkina

di Chapel Heel // HiddenGameOfTennis

Pubblicato il 15 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nel primo turno degli Australian Open 2019 contro Timea Bacsinszky, Darya Kasatkina ha commesso 9 doppi falli perdendo con il punteggio di 3-6 0-6. Ha servito solo 19 seconde, mettendone in campo il 47%, e ha sbagliato un servizio su quattro.

Il problema dei doppi falli per lei non è generalmente così grave. Di solito infatti ha una percentuale di doppi falli superiore alla media del circuito dell’1%, pur avendo la tendenza a giornate davvero storte.

Dall’inizio della stagione 2018, è la decima volta in cui ha commesso almeno 9 doppi falli. Nelle altre nove partite però ha giocato in media 13 game di servizio. In questa, i game al servizio erano solo 7.

Diverse cose non hanno funzionato per Kasatkina, ma aveva cominciato nel modo giusto, andando sul 3-0 con il primo game di servizio tenuto a zero. Poi, l’ecatombe.

Una quantificazione dell’effetto dei doppi falli in un modello di Markov

Utilizziamo un modello di Markov per analizzare le conseguenze di ciascun doppio fallo in termini di probabilità di vittoria. Partiamo dall’ipotesi che Kasatkina avesse una probabilità di vittoria del 60.3%, cioè la media dei pronostici degli allibratori a Las Vegas. La mia era del 77%, quella di Riles dell’87%.

A Las Vegas dovevano sapere qualcosa di ignoto agli altri ma, qualsiasi fosse il loro segreto, non si era manifestato nei primi tre game di dominio di Kasatkina. Rimaniamo comunque con il pronostico di Las Vegas come punto di partenza.

Dopo aver vinto i primi tre game, comprensivi di due break, la probabilità di vittoria di Kasatkina sale al 78.4%. Visto che sta anche per servire, le previsioni sono decisamente rosee. Ma in qualche modo smette di vincere game e, da quel momento, riesce a conquistare solo il 25% dei punti. La partita si chiude in meno di un’ora.

Il quarto game

Nel quarto game, Kasatkina perde il primo punto su un errore di rovescio, ma vince il successivo su un errore di dritto di Bacsinszky. Sul 3-0, 15-15, la probabilità di vittoria è del 78.25%. Commette un doppio fallo sul terzo punto e ancora sul quinto. La tabella mostra la probabilità di vittoria di Kasatkina prima e dopo i doppi falli.

Si tratta di un solo game, quindi può essere ancora un problema gestibile. La sua probabilità di vittoria si riduce di poco meno del 3%. Ci sono strascichi? Bacsinszky tiene il game successivo, molto equilibrato, quindi non sembrano essercene.

Il sesto game

Kasatkina serve di nuovo, ancora in vantaggio di un break. Va subito 30-0, quindi i doppi falli nel quarto game sembrano un passaggio a vuoto sporadico. Poi commette un doppio fallo nel terzo, quarto e quinto punto. La tabella è aggiornata con questi tre punti.

Kasatkina perde il game e il vantaggio dei break. Perde anche circa l’8% di probabilità di vittoria in quei tre doppi falli di fila. Però il punteggio del set è ancora in parità e la sua probabilità di vittoria dopo il quinto doppio fallo è ancora superiore a quella con cui ha iniziato la partita.

Sfortunatamente (per lei), quei tre doppi falli arrivano nel mezzo di una striscia negativa di 9 punti. Bacsinszky consolida il recupero tenendo il servizio a zero. Sembra che ora i doppi falli siano entrati nella testa di Kasatkina.

L’ottavo game

Kasatkina torna a servire, sotto 3-4 nel punteggio, ma con il gioco in mano. La sua probabilità di vittoria è ora di poco superiore, al 54%. È un game al servizio critico, ma commette doppio fallo sul primo, terzo e quarto punto. La tabella è aggiornata con questi tre punti.

Perde un altro 13% di probabilità di vittoria dopo quei tre doppi falli. Peggio ancora, dà chiaramente impressione di aver psmarrito la concentrazione per via dei problemi al servizio. Dal secondo dei tre doppi falli parte una nuova striscia negativa di nove punti, perché Bacsinszky vince il servizio a zero e poi altri due punti all’inizio del secondo set.

L’ultimo doppio fallo di Kasatkina arriva verso la fine del secondo set e, sullo 0-5 a sfavore, è irrilevante.

Il conteggio finale

Sulla base di questa metodologia, i doppi falli sono costati all’incirca il 24.7% di probabilità di vittoria (l’ultimo è valso solo lo 0.7%, visto che la probabilità a quel momento della partita era solo del 3.1%). È già abbastanza per indirizzare il vantaggio in modo deciso verso Bacsinszky, ma non è finita qui.

Se si è avanti di due break (sul 3-0) e si fa in modo di regalare 8 punti nei successivi tre game al servizio commettendo altrettanti doppi falli, il problema diventa ben più grosso di quegli otto punti. Da quel momento, Kasatkina ha vinto solo 10 punti in tutta la partita!

Forse ha forzato al servizio per limitare la risposta di Bacsinszky. Nelle 10 seconde che ha tenuto in campo, ha vinto solo 3 punti. Ha vinto anche vinto meno del 50% dei punti con la prima di servizio.

Quale il motivo, è il secondo peggior rendimento al servizio da parte di Kasatkina da quando si è fatta notare (nel 2017 Simona Halep l’ha distrutta al servizio in una partita, ma i doppi falli erano un problema marginale e Kasatkina era ancora indietro in classifica, anche se nelle prime 30).

Measuring the Cost of Kasatkina’s Double Faults

I giocatori di vertice non sempre hanno la frequenza di ace più alta

di John McCool // sportsbrain

Pubblicato il 17 giugno 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Quest’analisi prende spunto dall’articolo di David Robinson sulla stima empirica di Bayes, un metodo statistico utilizzato per stimare un grande numero di percentuali. Qui l’idea è di prevedere il numero di ace sulla base del numero di game al servizio giocati in una determinata partita.

Entrando nel dettaglio, si definisce la frequenza di ace di un giocatore come il numero di ace diviso per il numero di game al servizio in una partita. Per la stima della frequenza di ace, si può usare uno stimatore empirico di Bayes mediante una distribuzione Beta. Per chiarezza, la distribuzione Beta è una famiglia delle distribuzioni di probabilità continua definita da due parametri positivi alfa e beta nell’intervallo unitario [0,1].

Definizione dello stimatore e dei parametri

Il primo passo in una stima empirica di Bayes è la definizione dello stimatore Beta a priori rispetto ai dati delle partite a disposizione (dall’inizio della stagione 2016 fino al 28 maggio 2018). L’immagine 1 mostra la densità della frequenza di ace dei vincitori in partite terminate in tre set.

IMMAGINE 1 – Distribuzione della frequenza di ace dei vincitori in partite di tre set.

Serve anche selezionare gli “iper-parametri” alfa e beta per il modello Beta che, in questo caso, hanno un valore rispettivamente di 1.76 e 10.83. Si può poi aggiornare la distribuzione Beta con i dati delle singole partite, vale a dire la frequenza degli ace per ciascun giocatore.

Applichiamo ora i parametri alfa e beta per provare a stimare la frequenza di ace nel caso un giocatore avesse servito cinque ace in dodici game al servizio. La modifica ai parametri alfa e beta cambia il modo in cui il modello si adatta ai dati a disposizione. Noti i valori di alfa e beta e la distribuzione Beta possiamo ottenere una stima della frequenza di ace di un giocatore come segue:

5 + alfa / 12 + alfa + beta = (5+1.76/12+1.76+10.83) = 0.274

Vale a dire, la stima della frequenza di ace per questo giocatore sarebbe del 27.4%. Il grafico di immagine 2 suggerisce che il modello Beta creato ha stimato con accuratezza la frequenza di ace sulla base dei dati dalle partite.

IMMAGINE 2 – Stima della frequenza di ace (asse delle X) di ciascun giocatore rispetto alla frequenza effettiva (asse delle Y)

Più ace non portano per forza a una classifica di vertice

La tabella elenca le prime 20 stime di frequenza di ace e la relativa frequenza effettiva usando la distribuzione Beta a priori per la stima della frequenza di ace della singola partita.

Troviamo una combinazione di giocatori noti e meno noti. Non sorprende la presenza di John Isner (1.49 di frequenza ace effettiva) e Ivo Karlovic (0.74 di frequenza stimata) tra i più alti valori stimati dal modello, considerando la loro efficacia al servizio.

Questi nomi però dimostrano che un’alta frequenza di ace non necessariamente si traduce in una classifica di vertice. Rafael Nadal e Roger Federer non collezionano ace a profusione, ma si può dire che siano stati probabilmente i due giocatori di massimo vertice negli ultimi dieci anni.

Complessivamente, il modello Bayesiano tende a una leggera sottostima della frequenza effettiva di ace di ciascun giocatore, ma è un buon metodo di stima, a cui sarà utile rivolgersi nella previsione di altre statistiche di tennis in futuro.

Il codice per quest’analisi è disponibile qui.

Elite Tennis Players Don’t Always Have the Highest Ace Rates