Le parità interminabili nei game, tra cui i 28 punti al servizio di Gerald Melzer

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 28 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

La scorsa settimana, durante il secondo turno di qualificazione per gli US Open 2018, Gerald Melzer ha dovuto chiudere un game di 28 punti al servizio – vale a dire 11 parità – prima di sconfiggere Kenny De Schepper (perdendo poi il giorno successivo contro Felix Auger-Aliassime, forse anche per la stanchezza mentale accumulata). Osservando il tabellone del punteggio da un campo vicino, ho pensato che non funzionasse più e che la partita fosse finita da tempo.

Game maratona di questo tipo sono rari, ma non impossibili. Sempre un altro qualificato, Lloyd Harris, ha avuto bisogno di 10 parità per tenere il servizio contro Gilles Simon al primo turno del tabellone principale.

Né Melzer né Harris sono però vicini al record, che probabilmente è il game da 28 parità di una partita del 1996 tra Alberto Berasategui e Marcelo Filippini, che equivale a 62 punti, uno in più della leggendaria partita di 28 minuti tra Bernard Tomic e Jarkko Nieminen…l’intera partita! Un game ancora più lungo, di 37 parità e 80 punti, è stato giocato ai Surrey Championships del 1975, un torneo che non rientrava nel circuito ufficiale.

La probabilità teorica

Sul circuito maschile, il giocatore al servizio vince circa il 63% dei punti. Lo scorso anno, Melzer ha vinto circa il 64% dei punti al servizio, quasi gli stessi degli avversari di De Schepper, quindi useremo il numero leggermente più alto.

Con il giocatore al servizio che vince il 64% dei punti, la probabilità di raggiungere la parità in un game è del 24.4%. La parità successiva ha una probabilità di poco inferiore alla metà, il 46.1%. La probabilità di un game con almeno due parità è data dal 24.4% moltiplicato per il 46.1%, la probabilità di un game con almeno tre parità è data dal 24.4% per il 46.1% per il 46.1%, e così via.

Il game di Melzer da 11 parità è dato dalla moltiplicazione tra il 24.4% per (46.1% ^ 10), cioè un po’ meglio di una su un migliaio. La partita ha richiesto 30 game, quindi la probabilità di un determinato game da 28 punti (o più lungo) – assumendo che le ipotesi sottostanti siano identiche per i game al servizio di De Schepper – è circa 30 volte meglio, una su trecento.

Il game da 26 punti tra Simon e Harris è ancora più probabile. Sul circuito Challenger, Harris ha vinto circa il 65% dei punti al servizio, mentre Simon ha vinto più del 40% dei punti alla risposta contro avversari più forti.

Incrociare questi dati va oltre lo scopo dell’articolo, ma ipotizziamo che per Harris l’attesa era del 61% di punti vinti al servizio (ne ha poi vinti solo il 50%, anche se è un numero su cui incide pesantemente il game maratona). La probabilità per Harris di un qualsiasi game al servizio di 26 punti, sempre rispetto a una percentuale del 61% di punti vinti al servizio, è di circa una su tremila.

Un ultimo esempio. La partita record tra Berasategui e Filippini era palcoscenico quasi naturale per game lunghi, visto che nessuno dei due giocatori ha vinto molti punti al servizio e la terra battuta di Casablanca non è mai stata una superficie veloce.

Ma anche in presenza di circostanze favorevoli, un game con 28 parità è quasi impossibile. Con una percentuale del 58% di punti vinti al servizio da Filippini (che in quell’anno ha tenuto una percentuale del 59.6%, contro il 57.7% degli avversari di Berasategui; ho arrotondato leggermente per compensare la superficie), la probabilità di un singolo game di almeno 62 punti è di una su un miliardo.

Pause toilette ritardate

Vediamo ora con quale precisione il calcolo probabilistico è in grado di predire la frequenza effettiva dei game maratona. Nel mio database di circa 435 mila partite sul circuito maggiore dal 2012, 42 game hanno raggiunto i 28 punti, una frequenza di circa uno ogni diecimila, la stessa del numero teorico ottenuto per la partita tra Melzer e De Schepper.

Molti game sono durati più di 28 punti ma nessuno è andato oltre i 36 punti. Il più recente tra questi si è verificato nel terzo turno degli Australian Open 2018, quando Kyle Edmund ha strappato il servizio a Nikoloz Basilashvili (e la sua resistenza mentale) per andare avanti 2-0 nel quarto set.

I game da 28 punti, e in generale i game lunghi, sono un po’ più frequenti sul circuito Challenger. Ne ho trovati 81 su 600 mila game – circa un ogni 7500 game – tra cui tre da 38 punti. Edmund figura in uno di quei game prolungati, riuscendo quasi a fare il break contro Grega Zemlja a Dallas nel 2016. Anche Melzer si ritrova nella lista, essendo riuscito a tenere il servizio contro Robin Haase nel 2015 a Trnava dopo 28 punti, pur perdendo poi la partita.

Il record appartiene alle donne

Teoria e pratica si allineano anche per il circuito femminile. Utilizzando una frequenza media per il circuito del 58% dei punti vinti al servizio, dovremmo attenderci di trovare circa un game da 28 punti ogni 4600 game. In 367 mila game del database, ci sono state 89 occorrenze, cioè una su 4100.

Il record in questo caso va ben oltre qualunque circostanza vista negli ultimi anni sul circuito maggiore maschile o su quello Challenger: Mathilde Johansson ha strappato il servizio a Elena Vesnina al 40esimo punto, dopo 17 parità. Pur avendo tenuto il servizio successivo e vinto il secondo set, ha poi perso la partita al terzo.

Sulla base dei dati degli ultimi anni, il record di Berasategui e Filippini sembra essere al sicuro. Considerando gli sforzi per rendere il tennis più veloce, preferendo un punteggio senza i vantaggi rispetto a episodi da 28 parità come nel caso di Berasategui, probabilmente è meglio che rimanga tale.

Gerald Melzer’s 28-Point Hold, and Other Interminable Deuce Games

Le difficoltà di Simona Halep nei primi turni degli Slam

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 28 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nella partita inaugurale del nuovo Louis Armstrong Stadium agli US Open 2018, Simona Halep, la testa di serie numero 1 e campionessa in carica del Roland Garros, è rimasta in campo poco più di un’ora, battuta dalla solidità dei colpi di Kaia Kanepi.

Halep è anche la numero 1 della classifica da ormai più di sei mesi di fila, e solo dieci giocatrici possono vantare più settimane al vertice mondiale. I tifosi di Halep non sono però proprio i naturali destinatari dei biglietti per la seconda settimana di gioco negli Slam.

Come sottolineato anche da Christopher Clarey su Twitter, Halep è stata eliminata per la dodicesima volta al primo turno in 34 tentativi. Non è un numero così negativo, visto che sette sconfitte rientrano tra le prime dodici volte, quando Halep non era ancora tra le prime 50 e, da Wimbledon 2013, ha un record più favorevole di 17-5, con una di quelle sconfitte per mano di Maria Sharapova l’anno scorso a New York. In ogni caso, non è il tipo di percentuale che ci si possa aspettare da una giocatrice di quel livello.

Quanto è grave la situazione? Per avere un termine di paragone, ho confrontato il record di Halep nei suoi primi 34 Slam con quello di altre vincitrici di Slam, e con quello di qualsiasi altra giocatrice la cui carriera è durata così a lungo da collezionare almeno 30 presenze nel tabellone principale di uno Slam. Più si scava in profondità, maggiori sono gli elementi sfavorevoli per Halep.

Simona contro le vincitrici Slam

Ho trovato 32 vincitrici di Slam con almeno 30 primi turni in uno Slam (escludendo gli Slam con meno di 128 partecipanti. Nel mio database inoltre potrebbero mancare i risultati dei primi turni di alcuni tornei degli inizi dell’era Open. Tecnicamente, quindi, ho considerato solo i tabelloni con 128 giocatrici). La maggior parte di queste ha giocato più a lungo ma, per un confronto omogeneo, ho tenuto conto solo dei primi 34 Slam.

In cima all’elenco troviamo alcune delle solite sospette come Chris Evert, Monica Seles e Serena Williams, che hanno sempre vinto al primo turno di uno Slam a 128 partecipanti.

In media, nei primi 34 turni la vincitrice di uno Slam ha un record di 29-5. Solo quattro giocatrici, tra cui Halep, hanno perso almeno 12 di quelle partite: anche Angelique Kerber ha 22 vittorie a fronte di 12 sconfitte, mentre Flavia Pennetta e Samantha Stosur hanno perso 13 volte. Solo due giocatrici hanno più di 7 sconfitte al primo turno, Marion Bartoli con un record di 24-10 e Iva Majoli con un record di 23-11.

Simona contro le altre

Ci sono 199 giocatrici nell’era Open con almeno 30 partite di primo turno in un tabellone a 128 partecipanti. È un gruppo molto esclusivo – come visto più del 15% sono campionesse di Slam – perché è già uno sforzo considerevole mantenere una classifica tale da consentire l’accesso a quasi un decennio di tabelloni degli Slam.

Questo a dire che le rimanenti 167 giocatrici non vincitrici di Slam rappresentano un campione superiore alla media: rispetto a tutte le partite di primo turno, la percentuale di vittorie è del 57.4%, che equivale a un record di 20-14, un paio di vittorie in meno di quanto fatto da Halep a oggi in carriera. Circa il 35% delle giocatrici, 58 su 167, hanno vinto almeno 22 dei 34 primi turni, mentre 45, il 27%, sono andate oltre vincendone almeno 23.

Mi vengono in mente due motivi a spiegazione della discrepanza tra lo status di Halep al vertice del tennis e il suo mediocre rendimento negli Slam. Da un lato, per diventare delle stelle le giocatrici impiegano ora una maggiore quantità di tempo. Il record di Halep di 5 vittorie e 7 sconfitte nei primi 12 primi turni di Slam non è indicativo del suo livello di gioco del momento.

Campionesse della precedente generazione, come Williams o Seles, hanno saltato interamente quella fase di crescita, presentandosi sul circuito subito da favorite per il titolo. Anche Jelena Ostapenko, la vincitrice del Roland Garros 2017 quasi da adolescente, aveva un modesto 7-5 nei primi 12 primi turni di Slam. Sloane Stephens, che ha vinto 11 dei primi 12 (tra cui una vittoria proprio contro Halep), al momento ha un più modesto 19-8.

Dall’altro lato, la ragione è più prosaica: sto parlando della parità al vertice del tennis femminile. Pur collezionando settimane da numero 1 del mondo, Halep non è sullo stesso piano di precedenti giocatrici che hanno raggiunto il primo posto.

La sua grandezza deriva dalla capacità di mantenere un livello di competitività ragionevolmente alto con più continuità di qualsiasi avversaria, facendo leva sulla vittoria di molti tornei di seconda fascia, su un solido (complessivamente) record di vittorie-sconfitte e, per contro, su sconfitte sfortunate in palcoscenici importanti.

In un circuito privo di una presenza dominante, questo le è sufficiente a garantirsi – con ampio margine – l’appellativo di migliore giocatrice. Ma “migliore” possiede ora una connotazione più fragile del passato, anche nei primi turni degli Slam.

Simona Halep’s Grand Slam First Round Woes

Si può dare la colpa al sintetico per l’imprevedibilità della stagione sull’erba?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 20 luglio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dopo i risultati deludenti di molte delle migliori giocatrici e giocatori a Wimbledon 2018, analizziamo in questo articolo il possibile impatto associato al numero di occasioni a disposizione per giocare sull’erba. 

Di recente, mi sono trovata di fronte a un’interessante statistica relativa all’erba. Quando Thomas Muster è diventato numero 1 del mondo nel 1996 dopo aver conquistato il Roland Garros l’anno precedente, non aveva vinto – fino a quel momento – nemmeno una partita sull’erba, non una, se si esclude la Coppa Davis (il record di Muster sull’erba al momento del ritiro è di otto vittorie e dieci sconfitte).

È un forte richiamo al fatto che anche i professionisti più esperti non possono passare semplicemente da una superficie all’altra aspettandosi di ottenere gli stessi risultati, in modo particolare se si tratta di specialisti della terra battuta che devono poi giocare sull’erba.

Mi sono chiesta allora se le modifiche alla stagione sull’erba siano state uno dei fattori che hanno contribuito all’apparente ruggine dei giocatori di vertice durante Wimbledon 2018.

Il ruolo del sintetico sull’evoluzione dei tornei sull’erba

Se si osserva semplicemente la percentuale dei tornei sull’erba in calendario per il circuito maggiore, si trova che, dall’inizio degli anni ’90, sono cresciuti dal 5 al 12%, in apparente contrasto con l’idea che la stagione sull’erba sia andata riducendosi nel corso degli anni. Si scopre però che non è possibile valutare la stagione sull’erba senza considerare il sintetico. 

IMMAGINE 1 – Andamento negli anni delle occasioni di gioco sull’erba per il circuito maschile

Fino alla fine degli anni ’90, il sintetico era una delle superfici più diffuse sul circuito maggiore, rappresentando circa il 20% dei tornei. Inoltre, per lo scopo di quest’analisi, era una superficie veloce, considerata seconda solo all’erba.

Quando il sintetico è stato abbandonato, sono aumentati i tornei sull’erba ma non in misura tale da avvicinarsi al numero complessivo di quelli in erba e sintetico precedentemente organizzati. Il cemento ha poi progressivamente sostituito il sintetico. È un andamento ancora più marcato per il circuito femminile, in cui negli anni ’90 il 30% dei tornei si giocava sull’erba e sul sintetico, contro i meno del 10% sull’erba attualmente disponibili. 

IMMAGINE 2 – Andamento negli anni delle occasioni di gioco sull’erba per il circuito femminile

Le occasioni vanno però distinte da dove effettivamente si finisce per giocare. La scomparsa del sintetico e il numero ridotto di opportunità sull’erba hanno comportato meno gioco sulle superfici più veloci?

L’impatto sui giocatori di vertice

Al di fuori di Wimbledon, i primi 30 della classifica maschile in realtà giocano complessivamente di più sull’erba. Ma, ancora una volta, non si può ignorare l’impatto del sintetico. Negli anni ’90, giocare sull’erba o sul sintetico per i più forti era una certezza. Con i tornei sull’erba che non hanno colmato il vuoto lasciato dal sintetico, quasi il 30% dei giocatori di vertice non gioca più su superfici così veloci se non a Wimbledon.

IMMAGINE 3 – Andamento di gioco sull’erba per i primi 30 giocatori

L’impatto sulle giocatrici di vertice

Per quanto riguarda le giocatrici più forti, il numero sale a circa il 50%. Questo significa che ancor meno giocatrici tra le migliori, rispetto agli uomini, avrebbe avuto la possibilità di competere sull’erba ad alti livelli in preparazione alle recenti edizioni di Wimbledon.

IMMAGINE 4 – Andamento di gioco sull’erba per le prime 30 giocatrici

Se si vuole assistere a rendimenti più solidi e continui nel torneo più prestigioso del calendario, allungare la stagione potrebbe risultare l’unica strada percorribile in futuro. 

Is Carpet to Blame for an Unpredictable Grass Court Season?

La competitività del circuito femminile può spiegare il bizzarro andamento di Wimbledon 2018?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 20 luglio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Le teste di serie del tabellone di singolare femminile non hanno mai ottenuto risultati così negativi come a Wimbledon 2018. Si è trattato di semplice sfortuna o è un riflesso dell’equilibrio competitivo sul circuito femminile?

I record generati dalle sconfitte a sorpresa a Wimbledon 2018 – vinto poi dalla testa di serie numero 11 Angelique Kerber – sono ormai ben noti. Si è già parlato di come solo due delle prime 8 teste di serie, Karolina Pliskova e Simona Halep, siano arrivate al terzo turno, mai in numero così ridotto per qualsiasi Slam da quando le teste di serie sono salite a trentadue.

Con l’uscita poi di Halep al terzo turno e di Pliskova al quarto, nessuna testa di serie delle prime 8 ha raggiunto i quarti di finale, evento inedito in qualsiasi tabellone Slam di singolare femminile o maschile.

L’andamento di Wimbledon 2018 è stato quindi decisamente bizzarro. Quali sono i motivi? Dobbiamo considerarla una rara occorrenza nelle 132 edizioni del torneo o un esito così sorprendente indica la presenza di cause sistematiche?

Riduzione del divario tra giocatrici

La teoria più accreditata richiama il livello di competitività raggiunto nel tennis femminile, che ha determinato una riduzione nel divario tra giocatrici di vertice e altre giocatrici, portandolo a margini ridottissimi. Per questo l’attribuzione delle teste di serie riflette in misura minore rispetto al passato la capacità di una giocatrice di vincere in qualsiasi turno.

Ci sono prove a supporto della teoria della competitività? Per trovarle è necessario guardare oltre le teste di serie e la classifica ufficiale su cui si basano. Fa il suo ingresso il sistema Elo, un metodo statistico ampiamente dibattuto e particolarmente utile.

Il sistema Elo è la misurazione più accurata possibile della bravura di una giocatrice. Se la teoria della competitività è corretta, dovremmo aspettarci valutazioni Elo più raggruppate. In altre parole, la distanza di valutazione tra la settima o l’ottava giocatrice del mondo e la 100esima o 101esima dovrebbe essere più ridotta di quella riscontrata in passato.

È effettivamente così?

Le curve dell’immagine 1 mostrano quanto, nel periodo dal 2010 al 2018, le differenze nelle valutazioni Elo si siano accumulate dalla giocatrice con la classifica più alta a quella più bassa al momento del sorteggio del tabellone di Wimbledon.

Dove la curva ha un’inclinazione meno accentuata all’aumentare della classifica, la differenza tra la valutazione di una giocatrice e la successiva è più ridotta, a indicazione di competitività. Da questo punto di vista, sono gli anni dal 2016 al 2018 a mostrare il più alto livello competitivo.

IMMAGINE 1 – Tendenze nella competitività tra le prime 128 giocatrici del circuito femminile all’inizio di Wimbledon 2018

Ad esempio, dal grafico la differenza totale nelle valutazioni per la prima metà del tabellone era di 404, che significa una differenza media di solo sei punti nella valutazione Elo per giocatrici separate in classifica da una sola posizione. Nel 2017, il gruppo è ancora più ravvicinato in termini di bravura, con una differenza media di 5 punti per le prime 64, rispetto al doppio della differenza nel 2013, la più accentuata negli anni presi in esame.

Variazione non lineare

Va detto che le valutazioni non variano in modo lineare. Ci si attende che siano più vicine a una distribuzione secondo legge di potenza, con le giocatrici di classifica più alta che sono superiori di ordini di magnitudo alle giocatrici a loro appena inferiori in classifica. Ci si potrebbe chiedere se, osservando le differenze cumulate, si stanno semplicemente cogliendo, al vertice del tennis, valutazioni più ravvicinate.

Possiamo farci un’idea al riguardo approfondendo l’analisi sulla crescita della differenza di valutazione tra le prime 32 della classifica. L’immagine 2 mostra che il divario tra le prime 5 negli ultimi anni è diminuito rispetto a quello di cinque anni fa, quando osserviamo ad esempio che la curva del 2013 sale a circa 400 punti alla decima posizione in classifica. Allo stesso tempo dalla decima alla 32esima la curva si appiattisce per il 2017 e il 2018, rispetto agli altri anni.

Questo risultato lascia intendere che le sole differenze al vertice non riescono a spiegare il comportamento di queste curve: anche una maggiore competitività deve essere considerata come forza trainante.

IMMAGINE 2 – Tendenze nella competitività tra le prime 32 giocatrici del circuito femminile all’inizio di Wimbledon 2018

Conclusioni

Le differenze nelle valutazioni Elo forniscono quindi evidenza, quantomeno parziale, a supporto della teoria della competitività. Anche se è interessante notare come, solamente secondo queste statistiche, sarebbe dovuto essere il 2017 (quando tre teste di serie tra le prime 8 hanno raggiunto i quarti di finale) l’anno in cui ci si poteva attendere il più alto numero di vittorie a sorpresa, invece del 2018.

Se la follia del tabellone del 2018 possiede comunque un minimo di razionalità, occorre allora tenere in conto anche altri fattori, come la preparazione dei campi, il percorso di avvicinamento al torneo e un generalizzato abbandono dello stile offensivo, il più remunerativo sull’erba.

Does WTA Depth Explain How Wild 2018 Wimbledon Was?

Sul possibile motivo per il quale l’età dei giocatori è in crescita

di Matt Whitaker // Medium

Pubblicato il 16 settembre 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nella finale di singolare maschile degli US Open 2017, Rafael Nadal, 31 anni, ha battuto Kevin Anderson, anche lui trentunenne. Nel 2017, tre delle quattro finali Slam hanno avuto in campo due giocatori di età superiore ai trent’anni (nel 2018, dei sei finalisti Slam solo Marin Cilic – comunque 29enne – e Dominic Thiem non avevano superato quella soglia, n.d.t.).

È inutile girarci intorno: i giocatori stanno invecchiando – o per essere più precisi – l’età media dei giocatori al vertice dello sport è in aumento, ormai da un po’ di tempo.

Numerosi articoli e blog sono intervenuti sul tema, tra questi l’Economist che ha calcolato che l’età media dei primi 100 giocatori è passata da 24.6 anni nel 1990 a 28.6 nel 2017. Nello stesso periodo, l’età media tra le donne è cresciuta da 22.8 a 25.9.

La rappresentazione grafica della quantità di giocatori tra i primi 100 con età superiore ai trent’anni, come mostrata nell’immagine 1, rende visivamente la drammaticità del cambiamento [1].

IMMAGINE 1 – Percentuale dei giocatori di almeno trent’anni tra i primi 100

La proporzione di giocatori nei primi 100 che hanno più di trent’anni è balzata dal 6% nel 1990 al 40% nel 2017.

Se si tratta di una dinamica ben conosciuta, pochi però sono i tentativi di trovarne giustificazione. L’articolo dell’Economist accenna in modo vago a “miglioramenti nella medicina dello sport e nella tecnologia dei materiali, specialmente delle racchette”. L’evoluzione continua di queste tecnologie non è sicuramente sufficiente a spiegare un cambiamento così radicale. Ci sono quindi altri fattori o non è stato detto tutto sulla tematica?

Non tutti i giocatori stanno invecchiando

Ampliamo la prospettiva e diamo uno sguardo all’età media per i primi 1000 [2], a confronto con quella dei primi 100.

IMMAGINE 2 – Età media dei primi 100 giocatori rispetto all’età media dei primi 1000 giocatori

Il risultato è impressionante. Di fronte a un’età media dei primi 100 cresciuta considerevolmente negli ultimi trent’anni, l’età media dei primi 1000 giocatori si è mossa a malapena, oscillando tra i 23 e i 24 anni. La tendenza all’invecchiamento sembra quindi riguardare solo i giocatori più forti in classifica.

La disparità tra i due gruppi risulta ancora più marcata aggiungendo l’età media solo dei primi 10 giocatori.

IMMAGINE 3 – Età media dei giocatori nei primi 10, 100 e 1000 della classifica

Si assiste a dinamiche sorprendentemente analoghe anche in campo femminile, con una minima variazione nell’età media delle prime 1000, un aumento stabile nell’età media delle prime 100 negli ultimi trent’anni e un ripido incremento nell’età media delle prime 10 negli ultimi dieci anni.

IMMAGINE 4 – Età media delle giocatrici nelle prime 10, 100 e 1000 della classifica

Non è la tecnologia o il dominio di pochi

Siamo quindi pronti a sbarazzarci della teoria che miglioramenti nella tecnologia delle racchette o delle corde sia alla base di quanto osservato. Non esiste una racchetta magica che Nadal o Serena Williams possono usare che non sia anche a disposizione del o della numero 300 del mondo.

Allo stesso modo, si può escludere un’altra teoria, quella per cui siamo testimoni di una generazione d’oro di un manipolo di giocatori eccezionali che hanno dominato il tennis e sono ora a fine carriera, spostando in modo sostanziale l’età media verso l’alto.

I Fantastici Quattro possono aver alterato le dinamiche tra gli uomini, ma l’andamento generale è chiaro e continuo in entrambi i circuiti e, con l’eccezione di Williams, il tennis femminile dell’ultima decade è stato caratterizzato dall’estrema varietà, invece che dal predominio di alcune specifiche giocatrici.

Serve trovare un’altra spiegazione. Perché negli ultimi dieci anni i massimi livelli dello sport sono stati sempre più oggetto di giocatori più vecchi, mentre l’età media nelle fasce inferiori di classifica è rimasta stabile?

Ho una teoria.

Soldi

O, per essere ancora una volta più specifici, la disparità di ricchezza. Nei dieci o venti anni passati, l’ammontare di denaro elargito al vertice, sia in termini di montepremi che di sponsorizzazioni, è cresciuto su scala logaritmica.

A Wimbledon, il montepremi complessivo è aumentato da 1.5 milioni di sterline del 1984 a 31.6 milioni di sterline del 2017 (valori al 2017). Nel solo 2016, Roger Federer ha ricevuto 60 milioni di dollari dagli sponsor, arrivando al quarto posto tra gli atleti più pagati al mondo.

L’esplosione economica per i giocatori di vertice non ha però comportato sostanziali benefici a favore chi si muove nelle retrovie. In un articolo di un paio di anni fa su FiveThirtyEight si faceva notare che i montepremi dei tornei del circuito Challenger erano in diminuzione anno su anno, stimando inoltre che solo i primi 336 e le prime 253 del mondo riuscivano a guadagnarsi da vivere giocando a tennis.

Viaggiare con l’allenatore al seguito – un dettaglio che lo spettatore casuale può pensare sia d’obbligo per i professionisti – è in realtà un lusso esclusivo dei primi 100. In un articolo apparso su Forbes relativo alla disparità di ricchezza nel tennis, il 92esimo giocatore della classifica racconta che per sbarcare il lunario serve fare affidamento su alloggi a basso costo e su un approccio da zaino in spalla.

Professionalizzazione

Federer invece è accompagnato da due allenatori, un fisioterapista, un preparatore atletico e da personale di supporto che include una tata e delle insegnanti per i suoi bambini. Novak Djokovic dorme in camere iperbariche, Andy Murray segue una dieta su misura elaborata da un nutrizionista personale comprensiva di 50 pezzi di sushi al giorno.

Sono aspetti afferenti la professionalizzazione del tennis avvenuta negli ultimi trent’anni. Agli inizi degli anni ’80, John McEnroe dominava pur non avendo un allenatore, e solo verso la fine della carriera ha accettato, seppur con riluttanza, che la sua probabilità di vittoria avrebbe potuto aumentare grazie a un allenamento fisico mirato. E a quei tempi il suo titolo a Wimbledon 1984 valeva “solo” 100 mila sterline (circa 265 mila sterline oggi).

Con la crescita dei montepremi, si è alzato anche il livello di gioco, e la ricerca di un vantaggio competitivo è diventata ancora più estensiva, con ogni guadagno marginale più difficile, e più costoso, del precedente.

La mia idea è che una combinazione nel tennis di iper-professionalizzazione e distribuzione di ricchezza incredibilmente a senso unico ha portato a circostanze di disparità consolidata, che ha manifestazione concreta nelle dinamiche di invecchiamento dei giocatori più forti.

Invecchiamento, guadagni e classifica

Nel grafico che segue, la crescita del montepremi complessivo a Wimbledon dal 1984 è messa a confronto con l’età media dei primi 10 (i premi partita formano di fatto una piccola parte dei guadagni dei giocatori, ma li considero una valida approssimazione).

IMMAGINE 5 – Età media dei primi 10 giocatori in rapporto al montepremi complessivo a Wimbledon

Il crescente predominio dei giocatori più vecchi è in stretta correlazione con l’aumento dei montepremi in palio per i giocatori ai massimi vertici.

Guardiamo ora i dati relativi al numero di nuovi giocatori e giocatrici che entrano nei primi 100 per la prima volta anno per anno.

IMMAGINE 6 – Giocatori che entrano tra i primi 100 per la prima volta

IMMAGINE 7 – Giocatrici che entrano tra le prime 100 per la prima volta

In entrambi i circuiti si nota una chiara tendenza ribassista, che mostra esserci meno movimento in ingresso e uscita dai primi 100.

La frase “i giocatori di vertice stanno invecchiando” non risolve quindi la tematica in modo esaustivo. Sarebbe infatti più preciso affermare che una volta che i giocatori hanno raggiunto il vertice, aumenta la probabilità che vi rimangano e rimangano più a lungo. O, senza mezzi termini, sembra che i giocatori che riescono ad arrivare al vertice facciano poi terra bruciata intorno a sé.

Velocità di fuga

I dati inducono a ritenere che vi sia nel tennis una barriera – o una serie di barriere – all’ingresso di natura economica. Quando un giocatore inizia a guadagnare oltre un certo ammontare, raggiunge una sorta di velocità di fuga che gli permette di proiettarsi nell’aria rarefatta della vetta, lasciandosi alle spalle la massa degli altri giocatori.

Una volta arrivato in alto, può consolidare la posizione pagando profumatamente per quella serie di servizi che i giocatori di bassa classifica sognano di avere – come allenatori a tempo pieno, preparatori atletici, nutrizionisti, assistenza medica personale, biglietti di prima classe, hotel a sei stelle, e così via – prolungando la permanenza al vertice per molto più tempo di quanto accadesse prima della iper-professionalizzazione del gioco e dell’esplosione dei montepremi per le élite.

Ovviamente non si tratta solo di benessere materiale immediatamente fruibile. La disponibilità incide anche sugli aspetti psicologici – quanto diventa più complicato servire per chiudere una partita sapendo che la tua sussistenza dipende anche da quella specifica vittoria? – e sul modo di affrontare una competizione.

Federer può permettersi di smettere di giocare per sei mesi per garantire completa guarigione al ginocchio operato, avendo come sola preoccupazione l’impatto sul numero di titoli collezionati a fine carriera.

Se però i premi partita sono la fonte di sostentamento per rimanere nel circuito, è molto più probabile che un giocatore ignorerà il fastidio al ginocchio, si esporrà a un infortunio cronico e terminerà la carriera prematuramente.

Ha importanza? Può essere fatto qualcosa al riguardo?

Se l’idea è quella di desiderare una competizione equilibrata e vedere un qualsiasi sport giocato da tutti ai massimi livelli, allora la situazione descritta è fonte di preoccupazione. La conseguenza inevitabile è quella per cui potrebbero esserci giocatori fuori dai primi 100 con talento e potenziale simile a quello dei primi 10, ma che non avranno mai l’opportunità di arrivare a scalare la classifica a causa della modalità con cui i montepremi sono distribuiti.

È difficile pensare a una cura immediata, e l’interesse a trovarne una è tenue, se non altro perché la malattia non manifesta sintomi evidenti. Sul circuito maschile si è assistito a un decennio di qualità assoluta del gioco e di intense rivalità tra grandi di sempre. Gli introiti dalla vendita dei biglietti e dai diritti televisivi si sono rafforzati di torneo in torneo. Il movimento tennistico mostra uno stato di salute invidiabile e il costo associato al mancato sviluppo di potenziale talento appare sommerso.

Fortunatamente però, la problematica non sembra essere passata inosservata ai dirigenti dell’ATP, che l’anno scorso hanno avviato un’indagine della durata di 24 mesi sulla distribuzione dei montepremi.

Uno degli elementi guida potrebbe essere l’incertezza sull’evoluzione del circuito maschile dopo il ritiro dei Fantastici Quattro, anche se la speranza è che sia semplicemente un fattore scaturente che costringe a un profondo ripensamento degli aspetti economici e finanziari del tennis professionistico, affiancato da proposte innovative che permettano al talento una realizzazione completa.

Note:

[1] I dati utilizzati per quest’analisi arrivano dal database di Jeff Sackmann, a cui va un ringraziamento enorme per il prezioso lavoro di raccolta di statistiche e le brillanti analisi pubblicate su TennisAbstract.

[2] Non sempre si tratta di dati completi. Per alcuni giocatori non è disponibile la data di nascita, e per il periodo all’inizio degli anni ’80 la classifica non va oltre il numero 300 o 400 invece delle 1000 posizioni normalmente previste. In ogni caso, non ci sono ricadute significative su nessuno dei grafici o delle conclusioni raggiunte.

Why are tennis players getting older?

La novità storica delle sconfitte nei primi turni delle teste di serie a Wimbledon 2018

di Graeme Spence // OnTheT

Pubblicato il 29 giugno 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Molte delle teste di serie del tabellone maschile e femminile a Wimbledon 2018 hanno perso nei primi turni, stabilendo un record di sconfitte. Di seguito, si analizza la novità storica di questi risultati, se sono parte di una tendenza più ampia e quale tra le sorprese del primo turno è stata la più inattesa.

Le teste di serie si sono cotte al torrido sole della prima settimana come le famose fragole alla crema del torneo. Sono stati registrati record sia per il maggior numero complessivo di teste di serie eliminate nei primi turni dei tabelloni di singolare maschile e femminile che per il maggior numero di sconfitte tra le prime 8 teste di serie femminili prima del terzo turno.

Si tratta per la precisione di record sia per Wimbledon che per gli altri Slam da quando, a metà del 2001, il numero delle teste di serie è raddoppiato, passando da sedici a trentadue. Ho analizzato i precedenti record per capire più nel dettaglio la natura di questi risultati ed esaminato le probabilità pre-partita delle vittorie a sorpresa per il primo turno.

Sconfitte al primo turno delle teste di serie

In totale, ventuno teste di serie tra uomini e donne hanno perso al primo turno, superando con il minore dei margini il precedente record di venti teste di serie eliminate al primo turno a Wimbledon e agli Australian Open nel 2004. Pur trattandosi di un nuovo riferimento, non è chiaro se questo rappresenti indicazione di un cambiamento significativo nel tennis.

Possiamo approfondire la questione separando il numero di sconfitte al primo turno delle teste di serie maschili da quelle femminili. L’immagine 1 mostra che ci sono state tre edizioni di Wimbledon con undici teste di serie maschili eliminate al primo turno: 2001, 2003 e 2018. Nel 2004 invece, c’è stata l’eliminazione di un maggior numero di teste di serie femminili rispetto anche al 2018, undici contro le dieci di quest’anno.

Sembra quindi che un così alto – ma non inaudito – numero di sconfitte tra le teste di serie al primo turno sia un evento già verificatosi in entrambi i tabelloni. Il fatto che questo sia accaduto nel 2018 in contemporanea tra donne e uomini lo ho reso un record.

IMMAGINE 1 – Numero di teste di serie eliminate al primo turno a Wimbledon nel tabellone di singolare maschile e femminile

Teste di serie femminili più importanti

Delle otto teste di serie accreditate per raggiungere i quarti di finale, solo due sono rimaste in tabellone alla fine del secondo turno, un record negativo in tutti gli Slam, compreso il singolare maschile, del sistema attualmente in uso di assegnazione delle teste di serie.

L’immagine 2 mostra la tendenza nel numero delle prime 8 teste di serie eliminate nei primi due turni a Wimbledon dall’edizione 2001, con il 2018 che si impone come record assoluto.

IMMAGINE 2 – Eliminazioni tra le prime 8 teste di serie nei primi due turni a Wimbledon nel tabellone di singolare femminile

Oltre ad alcune variazioni anno su anno, sembra esserci un incremento generalizzato nell’incidenza del numero di teste di serie femminili più importanti che perdono nei primi turni. Per capire se sia effettivamente una tendenza più estesa, ho analizzato le medie annuali delle prime 8 teste di serie, maschili e femminili, eliminate prima del terzo turno in tutti gli Slam da metà 2001.

Per le donne, rappresentate dal colore blu nell’immagine 3, sembra esserci un chiaro aumento da una media di circa una testa di serie delle prime 8 tra il 2001 e il 2010 a quasi tre teste di serie delle prime 8 dal 2015. Sono numeri che rafforzano l’impressione per cui il tennis femminile al vertice ha raggiunto in questo periodo massimi livelli di imprevedibilità.

Viceversa, il numero delle teste di serie maschili tra le prime 8 eliminate ai primi turni non segue le stesse dinamiche [1]. Anzi, in media un numero minore di teste di serie è stato eliminato prima del terzo turno. Nel periodo dal 2001 al 2009, in sette anni su nove la media delle eliminazioni tra le prime 8 teste di serie è stata maggiore di uno (tra cui il massimo di 3.75 nel 200), contro i quattro anni su nove dal 2010 al 2018 (con al momento un massimo di 1.67 per il 2018).

Forse è conseguenza della relativa continuità di rendimento al vertice del tennis maschile, per mano dei Fantastici Quattro come delle altre teste di serie più alte.

IMMAGINE 3 – Numero di teste di serie tra le prime 8 eliminate nei primi turni di tutti gli Slam per il tabellone femminile (blu) e maschile (arancione)

Vittorie a sorpresa più inattese nei primi turni

Con le probabilità di vittoria per i primi turni fornite dalle valutazioni Elo specifiche per l’erba – che utilizziamo al Game Insight Group di Tennis Australia, la Federazione australiana, per le previsioni di titolo a Wimbledon – possiamo determinare quali sono state le eliminazioni più sorprendenti tra le teste di serie. Le tabelle riepilogano le cinque vittorie a sorpresa con la probabilità inferiori per i due tabelloni di singolare.

Per quanto riguarda le donne, il modello attribuiva a Petra Kvitova, Elina Svitolina e Maria Sharapova meno del 20% di probabilità di perdere al primo turno. Sono quindi Aliaksandra Sasnovich, Tatjana Maria e Vitalia Diatchenko ad aver ottenuto le vittorie a sorpresa più inattese.

Tra gli uomini, con il 25% di probabilità di sconfitta al primo turno sono state l’eliminazione di Dominic Thiem – per merito del veterano Marcos Baghdatis – e David Goffin – contro Matthew Ebden – a sorprendere di più.

Oltre ad aver aperto drammaticamente i tabelloni, specialmente quello femminile, il numero di vittorie inattese dei primi due turni a Wimbledon 2018 è senza dubbio entrato nel libro dei record degli Slam. Se da un lato si è già verificato che così tante teste di serie fossero eliminate all’inizio del torneo, dall’altro il numero delle teste di serie femminili tra le prime 8 che non sono più in corsa per il titolo rientra in una più generica diffusione di imprevedibilità di risultato.

Possiamo solo continuare a seguire Wimbledon per vedere se ci saranno altre sorprese e se verranno abbattuti altri record (la sconfitta della testa di serie numero 1 Simona Halep al terzo turno ha portato ad avere nella seconda settimana di gioco una sola testa di serie tra le prime 8, la numero 7 Karolina Pliskova, che però ha raggiunto gli ottavi di finale in singolare a Wimbledon per la prima volta, n.d.t.)!

Tra gli uomini, sono rimaste a questo punto del tabellone di singolare più di tre teste di serie delle prime 8 rispetto al 2002 e al 2008 (sebbene ve ne sia una sola in più, n.d.t.).

Note:

[1] Nel grafico si ipotizza che Alexander Zverev abbia superato il secondo turno, non ancora completato al momento della stesura: se così fosse, l’effetto riscontrato beneficerebbe di ulteriore evidenza (Zverev è poi arrivato al terzo turno, dove ha perso però da Ernest Gulbis, n.d.t.).

Wimbledon Seeds – Just How Unprecedented Are All These Early Exits?

Le giocatrici con le migliori prospettive per la prima vittoria di uno Slam a Wimbledon

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 22 giugno 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

A pochi giorni dall’inizio di Wimbledon, analizziamo le dinamiche relative alle prime vittorie di uno Slam nel circuito femminile e individuiamo le giocatrici meglio posizionate per realizzare quest’impresa a Londra.

L’innalzamento del livello competitivo in campo femminile

Negli ultimi anni si è assistito a uno dei più alti livelli competitivi mai espressi dal tennis femminile. Il numero di nuove vincitrici di uno Slam è senz’altro tra gli indicatori dello spessore qualitativo del campo partecipanti nella WTA.

Come mostrato dal grafico dell’immagine 1, dagli US Open 2015 – il primo e unico Slam vinto da Flavia Pennetta – alla sospirata vittoria di Simona Halep al Roland Garros 2018, ci sono state sette nuove vincitrici Slam sulle undici complessive (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). Pochi altri periodi degli ultimi cinquant’anni hanno visto una simile concentrazione di giocatrici alla loro prima vittoria in uno Slam.

IMMAGINE 1 – Dinamiche relative alle prime vincitrici di Slam nel circuito femminile

È probabile che vedremo una nuova prima vincitrice a Wimbledon? E chi, tra le migliori, ha più possibilità di arrivare a giocarsi il titolo?

Le dieci giocatrici con maggiore possibilità di titolo

Sulla base delle attuali valutazioni Elo specifiche sull’erba, queste sono le 10 giocatrici con le migliori prospettive di una vittoria che definirebbe una carriera.

In cima troviamo Elina Svitolina, per molti già la favorita al Roland Garros, dove ha perso da Mihaela Buzarnescu al terzo turno. Buzarneuscu aveva sicuramente la mano calda, ma va detto che Svitolina non ha mai superato i quarti di finale di uno Slam. Sembra quindi che riuscire a capitalizzare la prima posizione di questo gruppo proprio a Wimbledon sia un compito arduo.

Karolina Pliskova è al secondo posto, e con una finale Slam agli US Open 2017 le sue possibilità aprono a un maggiore ottimismo.

Sesta è la giocatrice di casa Johanna Konta. Attendersi di vedere Konta negli ultimi turni è poco probabile, ma sarebbe comunque un sogno per tifosi e appassionati del Regno Unito.

La vittoria a Wimbledon della maggior parte di queste giocatrici genererebbe una sorpresa simile a quella di Jelena Ostapenko al Roland Garros 2017. Considerata però la situazione degli ultimi tempi tra le donne, un’altra vincitrice di Slam inattesa potrebbe emergere più facilmente di quanto si pensi.

IMMAGINE 2 – Valutazioni Elo specifiche su erba delle dieci giocatrici più accreditate per la loro prima vittoria a Wimbledon

Top WTA Prospects for a First Slam at Wimbledon

Quando essere aggressivi o conservativi

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 20 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Gli errori non forzati sono comunemente associati all’idea che un giocatore stia “tirando troppo”, anche se è indubbio che comprendano errori non dettati dall’aggressività. Qualsiasi professionista con l’obiettivo di un gioco più offensivo deve chiedersi quale sia la sua avversione al rischio nel ricercare vincenti e nel forzare gli avversari all’errore. 

Grazie ai dati del Match Charting Project, ho analizzato la tematica nell’ambito del circuito femminile. Ho fatto questa scelta principalmente perché si sente spesso dire che le giocatrici devono essere più aggressive, e anche perché sapevo di non dovermi preoccupare delle partite al meglio dei cinque set.

Offensività nel gioco femminile

Ho iniziato restringendo il campo alle partite dopo il 2006, l’anno in cui ritengo che i cambiamenti nei materiali di corde e racchette abbiano maggiormente inciso sullo stile di gioco. Con questo non voglio dire che è proprio il 2006 da cui tutto non è stato più lo stesso, ma è anche il riferimento prima del quale la maggior parte delle giocatrici ora attive sul circuito non aveva un numero significativo di partite valide per i criteri dell’analisi. Mi è sembrato quindi un buon punto di partenza. 

Sono emerse 1528 partite, che equivalgono a 3056 partite-giocatrice.

Subito alcune statistiche descrittive che riguardano l’insieme completo delle 3056 partite-giocatrice. Il numero medio di vincenti, errori forzati ed errori non forzati è rispettivamente di 20.6, 20.5 e 27.6.

Dovremmo essere in grado di ipotizzare che il numero effettivo di vincenti non sia strettamente correlato con la vittoria (o la sconfitta) della partita, e lo stesso per gli errori forzati e non forzati. I dati lo confermano, con una correlazione positiva molto debole di .22 e di .19 per il numero di errori forzati, e una correlazione negativa debole di -.28 per il numero di errori non forzati. Per questo motivo, mi concentrerò sugli indici invece che contare le statistiche.

Indici e correlazioni

Ho considerato due indici rilevanti ai fini di quest’analisi: (a) il rapporto tra vincenti (V) su errori non forzati (EF) espresso come V/ENF e (b) il rapporto tra vincenti + errori forzati su errori non forzati (ENF) espresso come (V + EF)/ENF. Si ottengono ovviamente correlazioni migliori rispetto al conteggio statistico, ma non sono comunque decisive. L’indice V/ENF ha una correlazione di .44 e l’indice (V + EF)/ENF ha sorprendentemente – almeno per me – una correlazione solo di .40.

Il significato di tutto questo è che vincere una partita di tennis ha ben più a che vedere della semplice valutazione dei vincenti, degli errori non forzati e di quelli forzati, primo fra tutti ad esempio il momento della partita in cui si verificano. In ogni caso, una correlazione positiva di .44 è indicazione che l’indice V/ENF è meritevole di approfondimento.   

Visto che l’obiettivo è stabilire se una giocatrice sta forzando la mano nella ricerca del gioco offensivo, non c’è ragione di considerare anche quelle partite con un numero totale ridotto di errori non forzati. Sono partite caratterizzate da un approccio super conservativo che si traduce in pochi vincenti o partite in cui uno stato di forma impeccabile consente a una giocatrice di non dover fare scelte complicate in termini di aggressività in campo.

Su questa linea, ho ulteriormente ristretto il campione alle sole partite in cui una delle due giocatrici ha commesso almeno 25 errori non forzati che, in partite che terminano in due set, sono molti. Non lo sono in partite andate al terzo set, ma è comunque un rendimento eccessivamente negativo.

A meno di non riuscire proprio a tenere la palla in campo, 25 errori non forzati sono una prima indicazione della volontà di avere un gioco più offensivo. È di poco inferiore al numero medio di errori non forzati per giocatrice-partita nel campione, ma è vicino al valore mediano di 26.

La ricerca del punto di pareggio

Raggiunto l’insieme ideale di partite, ho analizzato il rapporto V/ENF alla ricerca di un punto di pareggio superato il quale una giocatrice ha più probabilità di vincere che di perdere.

Ho quindi eseguito una regressione logistica per calcolare la probabilità di vincere la partita con l’indice V/ENF come unica variabile. Ci sono diversi strumenti per calcolare una regressione logistica (come R, Python, etc), ma per un risultato semplice e diretto preferisco usare l’algoritmo di calcolo messo a disposizione da statpages

Il punto dal quale la vittoria diventa più probabile è un indice di .84 vincenti su errori non forzati. In presenza di 30 errori non forzati, si vogliono almeno 25 vincenti in modo da andare a pareggio al 50%. 

L’immagine 1 mostra la rappresentazione grafica di questo concetto.

IMMAGINE 1 – Funzione logaritmica dell’indice V/ENF

Il tradizionale adagio del tennis di non trovarsi con un numero di vincenti inferiore agli errori non forzati è messo in ottima luce da quest’analisi. Se una giocatrice è in grado di compensare i molti errori che commette con un analogo numero di vincenti, la sua percentuale di vittoria attesa è di circa il 64%. 

Naturalmente, si dovrebbe evitare di avere come obiettivo il 50% di probabilità di vittoria, perché passare da un 49.9% a un 50.1% non garantisce troppa sicurezza su un esito finale positivo. E questo è ancora più vero considerando l’incertezza intrinseca associata a qualsiasi pronostico basato sulle probabilità. 

Per lasciare del margine nella gestione di queste problematiche, ho convenuto che una probabilità del 57.5% fosse un’obiettivo più ragionevole, in modo da tenere conto di parte dell’incertezza intrinseca ma discostandosi contestualmente da quelle partite molto equilibrate e aperte a un risultato finale a favore di una o dell’altra giocatrice (con probabilità dal 47% al 53%).

Al 57.5% di probabilità di vittoria, l’indice V/ENF è intorno a .92, vale a dire che se si ha una passività di 30 errori non forzati si cercano almeno 28 vincenti che li giustifichino. Non troppo lontano dalla tradizione, ma con un po’ di spazio di manovra. 

Non si può tralasciare il rendimento dell’avversaria

L’obiettivo del .92 è però fuorviante, perché ignora il rendimento dell’avversaria. Si possono avere 28 vincenti e 30 errori non forzati, con una probabilità di vittoria attesa del 57.5%. È possibile però che anche l’avversaria commetta molti errori e il suo indice sia più alto. Oppure, che l’avversaria commetta molti meno errori.

Esaminiamo solamente le partite nelle quali anche l’avversaria ha fatto almeno 25 errori. Per questo sottoinsieme, ipotizziamo che la giocatrice in esame stia avendo un rendimento discreto con una probabilità di vittoria di almeno il 40%, sulla base del suo indice V/ENF (di circa .70), ma non può essere considerata la favorita indiscussa semplicemente in funzione del livello di gioco, cioè quindi meno del 68% di probabilità di vittoria (o un indice V/ENF di circa 1.05). Ci sono 172 partite di questo tipo nel campione considerato.   

In esse, il valore medio dell’indice è di .85, e il modello logaritmico prevede una probabilità di vittoria del 51.3%. Le giocatrici in esame hanno in realtà vinto 114 delle 172 partite con una percentuale molto più alta.

Però, il rendimento delle avversarie non è equamente distribuito. Le giocatrici in esame hanno avuto un indice migliore nella grande maggioranza delle partite (117 su 172) e in 95 delle 114 vittorie. La giocatrice in esame ha vinto 19 volte e perso 36 quando l’avversaria ha avuto un indice superiore.

Se spingiamo ora l’indice della giocatrice in esame ad almeno .85, il valore in cui abbiamo detto essere leggermente favorita, e lo portiamo poi al valore 1.05, otteniamo solo 85 partite, di cui 20 con un indice migliore da parte dell’avversaria. La giocatrice in esame ha vinto 8 di quelle 20 partite, ma ne ha vinte 54 su 65 quando il suo indice è stato più alto. Non sorprende quindi che il gioco dell’avversaria rivesta importanza nella ricerca del punto di equilibrio tra vincenti ed errori non forzati.   

Le situazioni di gioco con pochi errori

Occupiamoci dell’altra circostanza, quella in cui non vengono commessi molti errori. Cosa succede se escludiamo tutte le partite in cui entrambe le giocatrici hanno fatto almeno 25 errori non forzati, lasciando quelle in cui invece solo una giocatrice ne ha commessi almeno 25?

Il campione complessivo si riduce del 40%, che è già un’indicazione interessante di per sé, come se gli errori non forzati da un lato della rete generassero errori non forzati dall’altro.

Tralasciando questa considerazione, mi aspetto che in un campione di partite senza avversarie che commettono molti errori non forzati debba esserci un numero ancora più alto di vincenti per la giocatrice in esame che compensino i suoi errori non forzati, se vuole effettivamente vincere la partita.

L’immagine 2 mostra la sovrapposizione tra il grafico del modello che considera solo le partite con una giocatrice prona all’errore (in rosso) e il grafico del modello che include anche le partite in cui entrambe le giocatrici hanno commesso almeno 25 errori (in blu).

IMMAGINE 2 – Funzione logaritmica dell’indice V/ENF per due modelli a confronto

In questo sottoinsieme di partite, serve avere un numero di vincenti in rapporto di 1:1 con gli errori non forzati anche solo per avvicinarsi a una probabilità di vittoria in zona positiva, appena inferiore al 50%. Vale la pena ricordare che con il campione di dati originario in presenza di un rapporto di 1:1 la probabilità di vittoria era del 64%.

Sempre in questo insieme ristretto, per raggiungere l’obiettivo del 57.5% di probabilità di vittoria inizialmente stabilito, serve il 7% di vincenti in più degli errori non forzati se l’avversaria ha meno di 25 errori non forzati. Se la giocatrice in esame ha 30 errori non forzati, si tratta in sostanza di 4 vincenti in più (il 15%) di quelli necessari con il campione di partite più ampio.

****

Vorrei sottolineare che non si può prevedere l’esito di una partita solamente sulla base del rapporto tra vincenti ed errori non forzati nelle due forme viste in precedenza, perché sono indicative di determinati aspetti, ma non di tutti quelli che intervengono nel corso di una partita. 

Fatta questa premessa, ci sono un paio di elementi particolarmente interessanti. Da un lato, giocatrici aggressive che non riescono a evitare errori non forzati possono in effetti fare leva sul tradizionale adagio del rapporto di 1:1 tra vincenti ed errori non forzati come parametro approssimativo di vittoria finale. Farlo contro avversarie simili può portare immediatamente a una probabilità positiva di vittoria, specie se eseguito con più efficacia. 

Al contrario, l’idea di poter attuare una strategia così rischiosa e cavarsela contro un’avversaria che commette molti meno errori è di dubbia validità. Si sente spesso dire che le giocatrici devono “continuare a essere offensive” anche contro avversarie più difensive.

Le giocatrici stesse affermano di scendere in campo cercando di imporre il proprio gioco. Ma se questo significa che per riuscire a essere offensiva a una giocatrice serve incamerare molti errori non forzati, allora deve poi rendersi conto che il margine tra vincenti ed errori non forzati è – contro determinate avversarie – più ristretto o magari anche invertito. A un certo punto, la strategia dovrà essere adattata al gioco espresso dall’avversaria.

Non ho analizzato il rapporto tra vincenti + errori forzati su errori non forzati (ENF) espresso come (V + EF)/ENF che ho indicato al punto (b). È un indice intuitivamente interessante, perché si presuppone che una giocatrice rischi più errori non forzati non solo cercando dei vincenti, ma anche per indurre l’avversaria all’errore.

Però, l’indice (V + EF)/ENF ha una correlazione inferiore con la vittoria finale di V/ENF, almeno nel campione utilizzato. Se dovessi scegliere (come il poco tempo mi ha costretto a fare), prenderei l’indice a più alta correlazione. Analizzerò l’indice (V + EF)/ENF in futuro se ci sarà occasione. 

La percezione del numero di vincenti ed errori non forzati

Tuttavia, ha contribuito alla scelta il fatto che, dal punto di vista della giocatrice che valuta se apportare modifiche al suo gioco durante la partita, è più facile mentalmente separare vincenti da errori non forzati di quanto non lo sia tenere nota degli errori forzati dell’avversaria rispetto ai colpi che avrebbe dovuto rimandare in campo ma che non è stata capace di fare.

I due terzi dei valori che l’indice V/ENF assume nel campione sono tra il .5 e l’1, quindi una giocatrice dovrebbe avere percezione se vincenti ed errori non forzati sono all’incirca uguali o se prevalgono i secondi.

Al contrario, i due terzi dei valori che l’indice (V+EF)/ENF assume sono tra il .9 e l’1.75, quindi oltre a essere più complicati da tenere a mente, è probabile che una giocatrice abbia più difficoltà a stabilirne il rapporto se vengono aggiunti anche gli errori forzati.   

When to dial it back…

Gli specialisti sono una razza in via di estinzione?

di Graeme Spence // OnTheT

Pubblicato l’1 giugno 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Storicamente, il passaggio dal Roland Garros a Wimbledon ha offerto agli appassionati il più accentuato contrasto di stili di gioco. A breve distanza dal culmine a Parigi della stagione sulla terra battuta – in cui i migliori hanno mostrato tutto il loro arsenale di colpi carichi di effetto e di scambi interminabili – l’erba di Wimbledon diventa il palcoscenico per la potenza dei grandi battitori e per il tocco leggero dei migliori colpitori a rete.

Come il contrasto cromatico tra il rosso della terra e il verde dell’erba, anche la contrapposizione di stili è stata parte essenziale del calendario tennistico.

Un recente articolo di ESPN in cui si criticava questa tradizione sostenendo che ci sono troppi tornei sulla terra ha generato un mini ciclone su Twitter. A prescindere dalla ragionevolezza argomentativa dell’articolo, la tesi di fondo presuppone che il gioco sulla terra è sostanzialmente differente da quello sul cemento, la superficie di gioco più diffusa nel circuito.

Seguendo da vicino il tennis negli ultimi dieci anni non si può fare a meno di pensare che, con il predominio del gioco da fondo, la prevalenza degli specialisti di una superficie sembra aver perso trazione. I numeri confermano questa sensazione?

Valutazioni Elo specifiche per superficie

Ci sono diversi modi per definire la specializzazione rispetto a una superficie. Nel tentativo di un’analisi di ampia portata, con il Game Insight Group di Tennis Australia – la Federazione australiana – ci siamo concentrati nelle differenze di bravura su ogni superficie dei primi 100 della classifica dal 1990 al 2017. In particolare, la valutazione Elo specifica per superficie di ciascun giocatore è stata confrontata con la valutazione media dei primi 100 giocatori nell’anno di riferimento.

È una metodologia che permette di attestare la bravura di un giocatore su superfici diverse rispetto a quella dei suoi avversari, confrontando, ad esempio, la valutazione Elo relativa sulla terra verso la valutazione Elo relativa sul cemento.

Per correttezza, sono state eliminate dal campione le valutazioni di quei giocatori che, nello specifico anno, non hanno giocato nemmeno una partita su quella superficie.

Relativamente agli uomini, questo vuol dire ogni anno togliere in media le valutazioni di due giocatori per il cemento, quattro per la terra e sedici per l’erba.

Rispetto alle donne, la frequenza di esclusione annua è della valutazione di meno di una giocatrice per il cemento, di tre per la terra e di dieci per l’erba.

Dinamiche nella specializzazione per superficie tra gli uomini

Osservando la media delle differenze assolute tra le valutazioni Elo relative sulla terra e quelle sul cemento anno per anno, si evidenzia una marcata riduzione nella distanza tra la bravura dei giocatori sulla terra e sul cemento.

È una tendenza continua nell’arco degli ultimi 28 anni, con una differenza di valutazione che in media inizia intorno ai 175 punti per scendere al livello attuale di circa 110 punti. E questo vale sia per i giocatori con una valutazione Elo sulla terra più alta del cemento, sia per quelli che sono più forti sul cemento che sulla terra.

Per avere un termine di paragone, una differenza di 175 punti nella valutazione Elo corrisponde a una probabilità di vittoria del 73% nella singola partita per il giocatore migliore, mentre una differenza di 110 punti corrisponde a una probabilità del 65%, sempre per il giocatore migliore.

Sembra esserci una riduzione anche nella differenza media tra le valutazioni relative sull’erba e sul cemento, seppur con dinamiche più deboli rispetto a quelle sulla terra. La differenza media tra la bravura sull’erba e sul cemento era di 130 punti nel 1990, considerevolmente più bassa della differenza tra terra e cemento (175 punti). Anche l’attuale differenza di circa 100 punti arriva da una diminuzione più graduale nel tempo (30 punti contro i 65 punti tra terra e cemento).

IMMAGINE 1 – Dinamiche nella specializzazione sulla terra e sull’erba per il circuito maschile

Dinamiche nella specializzazione per superficie tra le donne

Per quanto riguarda le donne, si osservano simili dinamiche di riduzione della differenza sia per la terra che per l’erba. Su entrambe le superfici infatti, si assiste in media a una riduzione nella bravura relativa da 130 punti a circa 100-110 punti. Ricordiamo che una differenza di 130 punti corrisponde a una percentuale di vittoria del 68% nella singola partita per la giocatrice migliore, mentre una differenza di 100 punti corrisponde al 64%.

IMMAGINE 2 – Dinamiche nella specializzazione sulla terra e sull’erba per il circuito femminile

Effetto delle variazioni di calendario

Emergono però complicazioni nel momento in cui si interpreta la bravura specifica per superficie rispetto alle differenze nel calendario dei giocatori e nella variazione della tipologia di tornei nel tempo.

In primo luogo, con più giocatori che saltano la stagione sull’erba di quelli che saltano la stagione sulla terra, dovremmo aspettarci una maggiore incertezza in merito alle dinamiche sull’erba.

In secondo luogo, se il numero dei primi 100 che salta la stagione sulla terra rimane abbastanza stabile in entrambi i circuiti nel periodo considerato, il numero di giocatori e giocatrici che salta la stagione sull’erba si riduce significativamente: da un massimo di 29 nel 1990 a un minimo di 7 nel 2011 per gli uomini, e da 19 nel 1991 a due nel 2015 per le donne.

Quali sono le conseguenze sulle dinamiche osservate in precedenza? Se in passato i giocatori con rendimento peggiore sull’erba hanno saltato la stagione su quella superficie, la vera differenza media di bravura tra erba e cemento sarebbe maggiore di quanto stimato, comportando di fatto una sottostima dell’intensità del declino nella specializzazione sull’erba sia per gli uomini che per le donne.

La decisione di Roger Federer di saltare i tornei sulla terra per il 2017 e il 2018 è un interessante esempio di moderno giocatore che decide di non competere sulla sua “peggiore” superficie, anche se nel caso di Federer “peggiore” è un livello invidiabile per la maggior parte dei giocatori del circuito.

Sfortunatamente, è difficile trarre conclusioni scolpite nella pietra riguardo sia alla potenziale sottostima nella parte iniziale delle dinamiche studiate, sia alla differenza tra generi, per via dell’incertezza circa l’ampiezza dell’effetto di selezione.

Nadal: lo specialista per definizione della terra battuta, ma certamente non un giocatore da una sola superficie

Anche se il livello medio di specializzazione di superficie sembra essersi ridotto negli anni e tra i generi – in modo più consistente sulla terra per il circuito maschile – questo non vuol dire che non esistano singoli specialisti.

Le incredibili vittorie di Rafael Nadal sulla terra lo identificano come specialista assoluto della superficie, e questo è rimarcato da una valutazione Elo specifica sempre ai massimi livelli nelle ultime due decadi.

È noto però che negli anni Nadal si sia allenato duramente per migliorare anche il suo gioco sul cemento. Dopo il 2005, quando si è imposto sulla scena vincendo per la prima volta il Roland Garros da diciannovenne, la differenza tra la valutazione Elo relativa sulla terra e quella sul cemento è diminuita in modo costante, dando credito alla tendenza diffusa di riduzione della specializzazione per superficie.

IMMAGINE 3 – Dinamiche di specializzazione sulla terra di Rafael Nadal

Con l’undicesimo titolo al Roland Garros da poco in bacheca, si fatica a sostenere che il livello di Nadal sulla terra sia in qualche modo diminuito. Più probabile invece che si sia stato un netto miglioramento sul cemento, testimoniato anche dai quattro titoli Slam vinti tra il 2009 e il 2017.

Are Surface Specialists a Dying Breed?

Analisi di una rivalità da una partita che non c’è mai stata

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 4 giugno 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Serena Williams avrebbe dovuto giocare contro Maria Sharapova negli ottavi di finale del Roland Garros 2018, ma un infortunio subito durante il terzo turno l’ha costretta a ritirarsi dal torneo. L’analisi che segue prende spunto dalla possibilità di una partita che di fatto non c’è mai stata per individuare le ragioni di una rivalità a senso unico.

Con un record di 19 vinte e 2 perse (che salgono a 3 con il ritiro pre partita di Parigi) in molti si sono domandati quanto il predominio di Williams contro Sharapova sia alimentato da fattori che esulano dalla semplice qualità del gioco.

In questo articolo cercherò di valutare le componenti meno visibili della loro rivalità, sul cui interesse è spesso intervenuto per gli appassionati più il confronto tra personalità opposte che l’effettiva competitività delle partite.

Quanto, davvero, a senso unico?

In 21 partite giocate, Sharapova ha vinto solo due volte, entrambe nel 2004, l’anno in cui, da giovanissima, si è catapultata ai vertici del circuito. Colpisce quindi la successiva assenza di vittorie, considerando che in molte di quelle partite Sharapova era una delle migliori giocatrici del mondo. Quattro sconfitte sono arrivate quando era la numero 2 della classifica mondiale e Williams la numero 1, mentre in altre sei partite erano separate solo da una posizione.

Non sorprende quindi che queste statistiche abbiano dato adito alle teorie più disparate a spiegazione della mancanza di rivalità sul campo tra Williams e Sharapova. È uno scontro sfavorevole o Williams è più determinata nel voler vincere? A Sharapova manca la convinzione di poter vincere contro Williams?

La classifica di Williams non riflette il suo livello

Nessuna delle ipotesi prende in considerazione la possibilità che la classifica di Williams, come sembra sia stato anche per il Roland Garros 2018, non sia in grado di riflettere il livello qualitativo raggiunto in passato.

Se cerchiamo una misura più accurata della capacità di vincere di Williams quando ha giocato contro Sharapova, è possibile che le sue vittorie appaiano in realtà del tutto normali.

Utilizzando la valutazione Elo specifica per superficie, riusciamo a farci un’idea migliore di quanto improbabile, o probabile, sia stata ciascuna delle 19 vittorie di Williams.

L’immagine 1 mostra come – per la maggior parte degli scontri diretti con Sharapova – Williams ha avuto una percentuale di vittoria attesa oscillante tra il 60 e l’80%, quindi meno competitiva di quanto suggerisse la classifica (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). 

IMMAGINE 1 – Percentuale di vittoria attesa storica di Williams contro Sharapova

Quali considerazioni emergono sull’impressionante record di 19 vittorie in 21 partite?

Eseguendo una simulazione, possiamo calcolare la probabilità che un record di almeno 19 vittorie restituisca le percentuali di vittoria per Williams viste in precedenza.

L’immagine 2 mostra la distribuzione della probabilità del numero di vittorie ottenibili da Williams, nella quale 14 era l’occorrenza più probabile, anche considerando il vantaggio storico di Williams nelle partite contro Sharapova.

IMMAGINE 2 – Distribuzione delle vittorie di Williams contro Sharapova

La possibilità di accumulare almeno 19 vittorie è solo dell’1.5%. Sembra quindi che Williams sia andata ben oltre il rendimento atteso sulla base della valutazione Elo, facendo pensare che questa rivalità a senso unico non sia semplicemente riconducibile alla bravura.

L’impatto di Serena

Per capire meglio la prestazione eccezionale di Williams contro Sharapova o quella non altrettanto efficace nel caso opposto, si può utilizzare un confronto tra rendimenti a parità di condizioni. In sostanza, si tratta di vedere i risultati ottenuti storicamente contro avversarie dello stesso livello di difficoltà.

Nel caso di Sharapova ad esempio vuol dire trovare partite in cui ha perso contro una giocatrice con una valutazione Elo superiore di 150 punti, come appunto è stato lo scenario “tipico” contro Williams.

Se entrambe hanno giocato contro avversarie analoghe nello stesso modo in cui hanno giocato tra loro, ci aspetteremmo statistiche simili a quelle registrate negli scontri diretti.

Se invece ci sono elementi relativi alla dinamica di gioco (strategia, psicologia o altro) che rende le loro partite fondamentalmente diverse da quelle contro qualsiasi giocatrice, dovremmo trovarci in presenza di un profilo della partita che cambia se confrontato con quello del gruppo di controllo.

Qual è esattamente un gruppo di controllo ragionevole?

Visto che delle due è Williams ad aver avuto tendenzialmente una valutazione pre-partita più alta, analizziamo situazioni in cui ha vinto contro altre avversarie con valutazione inferiore di non più di 150 punti Elo.

Per Sharapova, cerchiamo lo stesso divario ma in partite in cui ha perso, perché questo è stato l’esito più frequente quando ha giocato contro Williams. Otteniamo un campione di 29 partite analoghe (comprese avversarie come Venus Williams e Victoria Azarenka) per Williams e di 32 partite analoghe (comprese avversarie come Caroline Wozniacki e Na Li) per Sharapova. Sono, in entrambi i casi, partite che rientrano nei criteri di competitività e per le quali i dati sono pubblicamente disponibili.

L’effetto dimensionale

Esiste quindi prova del fatto che abbiano giocato tra loro partite diverse da quelle contro altre avversarie di vertice, rispetto a una selezione di statistiche di base al servizio e alla risposta?

L’immagine 3 mostra questo confronto con le discrepanze riepilogate in funzione di un “effetto dimensionale”, cioè la differenza nella media per la specifica statistica di rendimento (gli scontri diretti verso la loro media verso avversarie analoghe) divisa per la deviazione standard, in modo da poter confrontare l’importanza relativa degli effetti su tutte le statistiche considerate.

IMMAGINE 3 – Effetto dimensionale negli scontri diretti tra Williams e Sharapova rispetto a quello contro altre avversarie di vertice

Effetti dimensionali positivi rivelano quando l’una ha giocato meglio contro l’altra, e viceversa, rispetto a quanto fatto con avversarie di vertice; effetti dimensionali negativi evidenziano la tendenza ad avere rendimenti peggiori.

Sharapova ottiene prestazioni inferiori in diverse categorie, in particolare nella percentuale di punti vinti alla risposta sulla prima di servizio. Anche la percentuale di prime in campo e la frequenza di doppi falli sono risultati significativamente peggiori nelle partite contro Williams rispetto alle sconfitte contro altre giocatrici di vertice.

Anche se per Williams il confronto delle prestazioni negli scontri diretti è con un gruppo di partite diverse da quello di Sharapova, è interessante osservare come abbia in media alzato il livello di gioco in quelle categorie in cui invece Sharapova è andata male, vale a dire i punti vinti alla risposta e la percentuale di prime in campo.

L’unica area in cui entrambe hanno avuto prestazioni negative è la frequenza di doppi falli, a indicazione di una possibile maggiore pressione al servizio percepita negli scontri diretti.

Conclusioni

Sono passati due anni dall’ultima partita tra Williams e Sharapova agli Australian Open 2016, e molto è cambiato: la squalifica di 15 mesi per doping comminata a Sharapova, la pubblicazione del suo controverso libro e la nascita della prima figlia di Williams.

Se si considerano solo i risultati più recenti, Sharapova avrebbe avuto un vantaggio ma, come suggerisce l’analisi, Williams avrebbe potuto recuperare il distacco con una prestazione simile a quelle precedenti. Un indicatore importante sarebbe stato il controllo del gioco alla risposta.

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