Chi serve per primo nel tiebreak è avvantaggiato?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 14 ottobre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Con la loro alternanza di servizi e di cambi di campo, i tiebreak sono così equilibrati da dare l’impressione di essere la modalità più giusta per concludere un set. Per quanto ne sappia, non c’è un orientamento di saggezza popolare tennistica diffuso che assegni una qualsiasi forma di vantaggio al giocatore che serve per primo (o per secondo) nel tiebreak.

Una verifica su più di 5200 partite

Facciamo una verifica. In un campione di più di 5200 tiebreak nel circuito maggiore dell’ATP, chi serve per primo ha poi vinto il tiebreak il 50.8% delle volte. Utilizzando il numero dei punti al servizio vinti da ciascun giocatore in una partita per determinare la probabilità che chi serve per primo nel tiebreak vinca poi il set, si ottiene che quel giocatore avrebbe dovuto vincere solo il 48.8% delle volte.

Due punti percentuali sono una differenza minima, ma in questo caso di grande importanza. E si mantiene tale in tutto il triennio (2013-15) maggiormente rappresentato nel campione, non subendo variazioni in funzione del set. Anche se possono esserci parzialità nei risultati dei tiebreak nel primo set, visto che i giocatori con un servizio migliore spesso scelgono di servire per primi e viceversa i giocatori con un servizio meno efficace di iniziare in risposta, in ogni set chi serve per primo è favorito, e servire per primo ha un impatto maggiore nel terzo set che nel set iniziale.   

Però questo effetto, almeno nella sua portata, è confinato ai risultati del circuito maggiore maschile. Un’analisi di 2500 recenti tiebreak nelle partite WTA evidenzia che la giocatrice che serve per prima ha vinto il 49.7% dei tiebreak, rispetto al 49.4% delle attese. Le partite del circuito minore femminile ITF e dei Future maschili restituiscono risultati simili. Lo stesso algoritmo su 6200 tiebreak dei tornei Challenger aggiunge confusione al tema: in questo caso, il giocatore che serve per primo ha vinto il 48.1% dei tiebreak, mentre avrebbe dovuto vincerne il 48.7%.

Scoperte fortuite

Un scoperta fortuita di quest’analisi arriva dal fatto che, per entrambi i generi e a diversi livelli, chi serve per primo nel tiebreak è, in media, il giocatore più debole. A prima vista, questo può sembrare irrealistico, perché si considera il tiebreak come game decisivo quando i due giocatori stanno esprimendo la stessa efficacia di gioco. E siccome l’effetto persiste per il secondo e il terzo set come nel primo, questo risultato non è influenzato da quale giocatore sceglie di servire per primo.

Questo risultato può essere però in parte spiegato da un’altra scoperta accidentale di una mia recente ricerca. Nel tentativo di stabilire se sia particolarmente difficile chiudere il set al servizio, ho calcolato le probabilità di tenere il servizio in ogni turno del set, rispetto alla frequenza con cui i giocatori avrebbero dovuto tenere il servizio. In molti game in cui il giocatore ha tenuto il servizio, compresi quelli con in gioco il set, non ci sono grandi differenze tra la frequenza con cui il servizio è stato effettivamente tenuto e la frequenza attesa per la medesima occorrenza.

Ho trovato invece alcuni effetti che sono in questo caso rilevanti. In generale, è più difficile tenere il servizio servendo per secondi, in punteggi come 3-4, 4-5 e 5-6, che servendo per primi, in punteggi come 3-3, 4-4 e 5-5. Ad esempio, nelle partite ATP analizzate, un giocatore tiene il servizio sul 4-4 esattamente con la stessa frequenza cui ci si attende che lo faccia in funzione dei punti vinti al servizio durante la partita. Ma sul 4-5, le prestazioni scendono all’1.4% sotto le attese. Nelle partite WTA analizzate, mentre le giocatrici hanno prestazioni peggiori sul 5-5 dell’1.4%, fanno molto peggio sul 5-6, vincendo il 5.2% in meno di quanto dovrebbero.

La ricerca però non è finita!

In altre parole, a parità di livello di gioco, se due giocatori tengono il servizio per diversi dei primi game del set, chi serve per secondo è anche quello che più probabilmente subisce il break e perde il set. Ma, se nessun giocatore perde il servizio (o se il numero di break per parte è uguale), chi serve per secondo è probabile che sia leggermente più bravo.

Questo spiega perché, almeno in parte, il secondo a servire è sulla carta favorito all’inizio del tiebreak. Quello che non tiene in considerazione però è che, per le partite del circuito ATP, i giocatori che servono per primi neutralizzano questo svantaggio vincendo più della metà dei tiebreak. Su questo, non ho ancora trovato una valida risposta.

Does Serving First in a Tiebreak Give You an Edge?

Le probabilità di chiudere il set al servizio

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 28 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Servire per il set è difficile…almeno così dicono. Come altre note supposizioni nel tennis, anche questa è soggetta al fenomeno cognitivo umano del bias di conferma. Ogni volta che vediamo un giocatore faticare per chiudere il set al servizio, siamo propensi a enfatizzare le insidie che ha dovuto affrontare nel game. Se chiude con facilità, ignoriamo la cosa o, peggio, sottolineiamo come sia riuscito in una tale prodezza.

Se l’effetto esiste è marginale

Le mie analisi sull’argomento, che raccolgono punto per punto i dati di decine di migliaia di partite delle ultime stagioni, mostrano in questo senso una continuità di risultato: se un effetto esiste, è marginale. Per molti giocatori, e per alcuni sostanziali sottoinsiemi di partite, i break in situazioni di punteggio come 5-4, 5-3 e simili sembrano essere meno probabili, nonostante si tratti di game in cui apparentemente si serve sotto maggiore pressione.   

Uomini

Nelle partite del circuito maggiore maschile, un giocatore tiene il servizio quando sta servendo per il set quasi esattamente spesso come negli altri momenti della partita. Per ogni partita del campione, ho calcolato la percentuale con cui un giocatore tiene il servizio durante la partita. Se servire per il set fosse più difficile che servire in altre situazioni, troveremmo che le percentuali “medie” con cui un giocatore tiene il servizio nelle altre situazioni sarebbero più alte della frequenza con cui lo stesso tiene il servizio quando sta servendo per il set.    

Ma non è così. Su più di 20.000 game di battuta per chiudere il set, il giocatore al servizio ha tenuto il servizio solo lo 0.7% delle volte in meno di quanto atteso, una differenza che si manifesta solo una volta su 143 game di servizio. Il risultato è lo stesso anche limitando il campione sulle situazioni di punteggio molto equilibrate come quelle in cui il giocatore al servizio ha un solo break di vantaggio.   

Pochi giocatori si sono distinti in positivo (o in negativo). Andy Murray chiude il set al servizio circa il 6% più spesso di quanto tenga il servizio in media durante la partita, abilità che lo rende uno di quattro giocatori (tra i 99 che ho analizzato con almeno 1000 game di servizio) a fare meglio della sua stessa media di più del 5%.

Donne

Sul circuito WTA, servire per il set sembra essere un po’ più difficile. In media, una giocatrice chiude il set al servizio il 3.4% meno spesso della sua media di servizi tenuti durante la partita, una differenza che si manifesta circa una volta su 30 game di servizio. Sette di 85 giocatrici analizzate con 1000 game di servizio hanno chiuso il set al servizio almeno il 10% delle volte in meno rispetto al loro standard realizzativo al servizio.

Tra le giocatrici si mette in mostra Maria Sharapova, che chiude il set al servizio il 3% più spesso di quanto tenga il servizio in media durante la partita e chiude il set al servizio quando ha un solo break di vantaggio il 7% più spesso della sua media realizzativa durante la partita. Sharapova è una di 30 giocatrici tra quelle analizzate con a disposizione almeno 100 opportunità per chiudere il set al servizio con un break di vantaggio e l’unica tra queste a eccedere il rendimento atteso al servizio di più del 5%.

Considerata la dimensione del campione – circa 20.000 tentativi di chiudere il set al servizio, di cui quasi 12.000 con un vantaggio di un solo break – questo sembra essere un effetto reale, per quanto ridotto. Sorprendentemente, è nei circuiti minori del tennis femminile che si ottengono risultati diversi. 

ITF femminile

Per le partite di tabellone principale nel circuito ITF, ho analizzato altre 30.000 opportunità di chiudere il set con il servizio, nelle quali le giocatrici hanno tenuto il servizio il 2.4% in più delle volte rispetto alla loro media durante la partita. Nei set a punteggio ravvicinato, quelli con un solo break, la differenza è stata ancora superiore: le giocatrici al servizio per il set hanno tenuto il servizio il 3.5% in più degli altri game di servizio.

Se non altro, mi sarei aspettato che giocatrici di tornei del circuito minore subissero maggiormente le conseguenze declamate dalla saggezza popolare tennistica. Se è difficile servire in situazioni di forte pressione ad alti livelli, dovrebbe esserlo ancora di più per giocatori o giocatrici di caratura inferiore (i quali, presumibilmente, hanno meno esperienza o sono meno abituati a trovarsi in queste circostanze). E invece sembra vero il contrario. 

Challenger

Anche le medie nei circuiti minori del tennis maschile non sistemano definitivamente la questione. Nelle partite del tabellone principale dei Challenger, quando un giocatore serve per il set tiene la battuta l’1.4% in meno rispetto agli altri game di servizio e l’1.8% in meno quando ha il vantaggio aggiuntivo di un break.

Future

Nel tabellone principale dei tornei Future, un giocatore ha le stesse percentuali di successo quando serve per il set degli altri turni in battuta, a prescindere dal vantaggio a disposizione. In tutti i campioni analizzati, ci sono solo una manciata di giocatori il cui record è migliore o peggiore del 10% quando servono per il set, e ancor meno che eccedono, in positivo o in negativo, il rendimento atteso anche solo del 5%. 

Conclusioni

Maggiore è il dettaglio derivante dalle analisi, più l’evidenza dimostra che game e punti sono, per larga parte, indipendenti, vale a dire che i giocatori hanno all’incirca le stesse prestazioni in qualsiasi situazione di punteggio, non importa più di tanto quale tipo di sequenza di punti o di game l’abbia determinata. Per quanto ci siano ancora molte dinamiche di punteggio da analizzare, se quelle di cui più si discute non generano gli effetti sostanziali che a loro si attribuiscono è ipotizzabile che anche altrove questo non accada.      

Se c’è un fondo di verità in affermazioni che sottolineano la difficoltà di chiudere un set al servizio, forse deriva dal fatto che la pressione è sentita allo stesso modo da entrambi i giocatori. Dopotutto, se un giocatore deve tenere il servizio sul 5-4 per chiudere il set, per chi è in risposta il game rappresenta l’ultima opportunità per salvare il set. È possibile che cali il livello di gioco di entrambi i giocatori, ma servono maggiori analisi per capire come questi punti vengano gestiti.

Per il momento, possiamo concludere che i giocatori, a prescindere dal genere o dal livello, chiudono il set al servizio quasi spesso quanto tengono il servizio sull’1-2 o sul 3-3 in qualsiasi altra situazione di punteggio.

The Odds of Successfully Serving Out the Set

Quanto è importante il settimo game del set?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 24 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Poche espressioni di saggezza popolare tennistica sono più scontate dell’idea che il settimo game di ogni set sia particolarmente importante. Anche se è spesso difficile comprenderne la natura, una supposizione ormai così diffusa sembra mettere insieme due diverse convinzioni. 

La prima è che se il punteggio di un set è arrivato sul 3-3, la pressione inizia a farsi sentire ed è meno probabile che il giocatore al servizio tenga la battuta.

 La seconda è che l’esito del settimo game ha conseguenze maggiori rispetto all’immediata variazione di punteggio, forse perché il giocatore che lo vince acquisisce un vantaggio psicologico (comunemente chiamato anche “momentum” o “inerzia”, n.d.t.) derivante dall’aver vinto un game così cruciale.

Mettiamole entrambe alla prova.

Tenere il servizio sul 3-3

Cercando nel mio database di più di 11.000 partite degli ultimi anni di circuito maggiore maschile, ho trovato 11.421 set che hanno raggiunto il punteggio di 3-3. Per ciascuno, ho calcolato la probabilità teorica che il giocatore al servizio tenesse la battuta (in funzione della frequenza di punti ottenuti al servizio durante tutta la partita) e la sua percentuale di game al servizio vinti nella partita. Se la saggezza popolare tennistica ha ragione, la percentuale di game vinti dal giocatore al servizio sul 3-3 dovrebbe essere inferiore di un ampio margine.

Non lo è. Utilizzando il modello teorico, il giocatore al servizio avrebbe dovuto tenere la battuta l’80.5% delle volte. In funzione della capacità di tenere il servizio durante tutta la partita, avrebbe dovuto tenerlo l’80.2% delle volte. Sul 3-3 ha tenuto il servizio il 79.5% delle volte. Questo è sì un valore più basso, ma non a sufficienza per essere minimamente notato dall’occhio umano. La differenza tra l’80.2% e il 79.5% corrisponde all’incirca a un break in più sul 3-3 non di una singola partita di un torneo del Grande Slam, ma di tutto il torneo!

Quasi spesso come negli altri momenti

In nessun modo la differenza dello 0.7% può essere attribuita al fatto che le palline, dopo sei game, siano ormai consumate [1]. Siccome il primo cambio di palline avviene dopo i primi sette game del set, il giocatore al servizio sul 3-3 nel primo set starà sempre utilizzando palline vecchie, aspetto che, secondo un’altra pillola di saggezza popolare tennistica, dovrebbe andare a suo sfavore. In ogni caso, la differenza sul 3-3 tra servizi effettivamente tenuti e servizi che è previsto vengano tenuti è leggermente maggiore dopo il primo set: 78.9% effettivo contro il 79.8% previsto. Anche questa differenza non è grande abbastanza da attribuire al settimo game il peso che gli viene dato. 

La parte semplice del lavoro è stata svolta: i giocatori al servizio tengono la battuta sul 3-3 quasi spesso come negli altri momenti della partita. 

Il vantaggio psicologico dell’aver vinto il settimo game

Sul punteggio di 3-3, il set è combattuto e ogni game conta. Questo è ancor più vero nel tennis maschile, dove i break sono difficili da ottenere. Contro molti giocatori, perdere il servizio così avanti nel set è quasi sinonimo di perdere il set stesso. Però, l’attenzione sul settimo game è un po’ strana. È un game importante in cui servire, ma non tanto quanto servire sul 3-4, sul 4-4, sul 4-5 o…ho reso l’idea. Più il game è vicino alla conclusione del set, più diventa importante, almeno sul piano teorico. Se il game sul 3-3 vale davvero tutto questo clamore, deve conferire a chi lo vince un vantaggio psicologico addizionale.

Per misurare l’effetto del settimo game, ho analizzato nuovamente l’insieme di più di 11.000 set che hanno raggiunto il punteggio di 3-3. Per ogni set, ho calcolato – in funzione dei punti vinti al servizio da entrambi i giocatori – due tipi di probabilità che il giocatore al servizio vinca il set.

La prima, la probabilità del giocatore al servizio sul 3-3 di vincere il set prima del settimo game.

La seconda, la probabilità del giocatore al servizio sul 3-3 di vincere il set dopo aver vinto o perso il settimo game

In questo campione di partite, il giocatore medio al servizio sul 3-3 aveva una probabilità del 48.1% di vincere il set prima del settimo game. Il giocatore al servizio ha poi effettivamente vinto il 49.4% dei set [2].

Non c’è riscontro di un vantaggio psicologico

In più di 9000 set, il giocatore al servizio ha tenuto la battuta nel settimo game. In media, aveva una probabilità del 51.3% di vincere il set prima di servire sul 3-3, che è salita a una media del 57.3% di probabilità dopo aver tenuto il servizio. In realtà, ha poi vinto il set il 58.6% delle volte.

Negli altri 2300 set, il giocatore al servizio ha subito il break. Prima di servire sul 3-3, aveva il 35.9% di probabilità di vincere il set, che è scesa al 12.6% dopo aver perso il servizio. Ha poi vinto il set il 13.7% delle volte. In tutti questi casi, il modello sottostima leggermente la probabilità che il giocatore al servizio sul 3-3 finisca per vincere il set.    

Non c’è riscontro qui di un vantaggio psicologico. I giocatori che tengono il servizio sul 3-3 hanno una lieve probabilità in più di vincere il set rispetto alle previsioni del modello, ma la differenza non è maggiore di quella tra il modello e quanto succede sul campo prima del settimo game. In ogni caso, la differenza è minima e riguarda appena un set su cento.

Quando un giocatore perde il servizio sul 3-3, l’evidenza contraddice direttamente l’ipotesi del vantaggio psicologico. Certamente, il giocatore al servizio ha molte meno probabilità di vincere il set, ma è perché ha appena subito il break! Otterremmo lo stesso risultato se analizzassimo il giocatore al servizio sul 3-4, 4-4, 4-5, o 5-5. Una volta considerate le implicazioni matematiche di un break subito nel settimo game, il giocatore al servizio ha una probabilità di vincere il set leggermente superiore a quella del modello. In questo senso il break non comporta un vantaggio psicologico decisivo nella direzione del giocatore che lo ha ottenuto in risposta.    

Conclusioni

Siamo arrivati alla conclusione.Un giocatore tiene il servizio sul 3-3 quasi spesso come negli altri turni di servizio (a prescindere dal fatto che stia usando palline nuove) e vincere o perdere il settimo game non ha un vantaggio psicologico degno di nota sul resto del set [3]. Tenetelo a mente nelle vostre discussioni con il vicino di casa opinionista di tennis.

Note:

[1] Utilizzando un insieme di partite più ridotto, Klaassen e Magnus hanno visto che servire con palline nuove non si traduce in un maggior numero di servizi tenuti. 

[2] Non è esattamente chiaro il motivo per cui questi numeri non sono il 50%. Mi sono fatto l’idea che gli sfavoriti riescono a non rimanere indietro nel punteggio arrivando sul 3-3 un po’ più spesso di quanto il modello preveda.

[3] Ho fatto lo stesso test su partite WTA, sul circuito ITF femminile, sui Challenger e Future per vedere se dessero risultati diversi per livello o genere. I numeri del circuito ITF sono invertiti rispetto a molti degli altri gruppi ma, complessivamente, nessuno di questi sottoinsiemi è in contraddizione con le conclusioni ottenute sulle partite ATP.

Circuito                           WTA    ITF  CHALL    FUT  
Partite                          11203  17143  18717  14052  
                                                  
% serv. tenuti                   64.3%  54.9%  75.8%  69.9%  
Serv. tenuto sul 3-3             63.4%  57.1%  74.6%  69.4%  
% Serv. tenuto (no primo set)    63.9%  54.4%  75.4%  69.6%  
Serv. tenuto sul 3-3 (no primo)  64.0%  56.4%  73.6%  68.4%  
                                                  
Prob. sul 3-3                    49.2%  49.1%  47.8%  48.2%  
Server set%                      50.0%  49.4%  48.0%  48.7%  

VINCERE game sul 3-3:                                       
Prob. sul 3-3                    54.6%  56.6%  51.8%  53.2%  
Prob. sul 4-3                    65.0%  69.2%  58.8%  61.5%  
% set vinto                      65.8%  68.7%  58.9%  61.2%  

PERDERE game sul 3-3:                                      
Prob. sul 3-3                    40.0%  39.1%  36.1%  36.8%  
Prob. sul 3-4                    21.5%  24.2%  14.9%  17.8%  
% set vinto                      22.8%  23.8%  16.1%  20.3%

How Important is the Seventh Game of the Set?

Le ragioni a favore di Novak Djokovic…e Roger Federer…e Rafael Nadal

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 18 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Con il decimo titolo Slam ottenuto vincendo gli US Open 2015, Novak Djokovic si è inserito a pieno diritto nel dibattito sul più forte giocatore di sempre. Non è sicuramente in dubbio il fatto che la sua stagione 2015 si stia imponendo come una delle migliori della storia del tennis.   

Un recente articolo di FiveThirtyEight ha affrontato la tematica introducendo le valutazioni del sistema Elo, che mostrano come il picco di forma di Djokovic – raggiunto al Roland Garros 2015 – è il più alto di tutti, appena sopra a quello di Roger Federer nel 2007 e Bjorn Borg nel 1980. Utilizzando una versione personalizzata del sistema Elo, ho scoperto quanto questi picchi di forma siano in realtà tra loro vicini.

Questi sono i miei risultati per i primi 15 picchi di forma di tutti i tempi [1].

Giocatore  Anno  Elo
Djokovic   2015  2525
Federer    2007  2524
Borg       1980  2519
McEnroe    1985  2496
Nadal      2013  2489
Lendl      1986  2458
Murray     2009  2388
Connors    1979  2384
Becker     1990  2383
Sampras    1994  2376
Agassi     1995  2355
Wilander   1984  2355
Del Potro  2009  2352
Edberg     1988  2346
Vilas      1978  2325

 La differenza di un punto tra Djokovic e Federer è praticamente ininfluente: significa che Djokovic al massimo della forma ha il 50.1% di probabilità di battere Federer al massimo della forma.

I 35 punti che separano Djokovic da Rafael Nadal al massimo della forma hanno un significato più importante, perché in questo caso il giocatore migliore, cioè Djokovic, ha il 55% di probabilità di vittoria. 

Il sistema Elo per superficie di gioco

Se si delimita il perimetro di analisi alle partite su cemento, Djokovic è ancora tra i più forti, ma Federer nel 2007 ha chiaramente raggiunto il picco di forma più alto di sempre su questa superficie.

Giocatore  Anno  Elo cemento
Federer    2007  2453
Djokovic   2014  2418
Lendl      1989  2370
Sampras    1997  2356
Nadal      2014  2342
McEnroe    1986  2332
Murray     2009  2330
Agassi     1995  2326
Edberg     1987  2285
Hewitt     2002  2262

Ivan Lendl e Pete Sampras occupano una posizione decisamente migliore in questa classifica che non nella complessiva. Nonostante questo, sono piuttosto indietro rispetto a Federer e Djokovic – i circa 100 punti di differenza Federer al massimo della forma e Sampras al massimo della forma equivalgono al 64% di probabilità che il giocatore con la valutazione più alta, cioè Federer, vinca.

Sulla terra, il dominio assoluto di Nadal non ha paragoni.

Giocatore  Anno  Elo terra
Nadal      2009  2550
Borg       1982  2475
Djokovic   2015  2421
Lendl      1988  2408
Wilander   1984  2386
Federer    2009  2343
Clerc      1981  2318
Vilas      1982  2316
Muster     1996  2313
Connors    1980  2307

Borg era un maestro della terra, ma Nadal appartiene a una categoria inarrivabile. Sebbene, almeno per il momento, Djokovic abbia spodestato Nadal in molte delle conversazioni sul giocatore più forte di sempre, non ci sono dubbi che Nadal è il più grande giocatore sulla terra di tutti i tempi, e probabilmente il giocatore più dominante su una singola superficie che ci sia mai stato.

Djokovic è molto indietro rispetto a Nadal e a Borg, ma va detto in suo favore che è l’unico giocatore che si classifica fra i primi tre in entrambe le superfici.

Il superstite

L’articolo di FiveThirtyEight mostra anche che Federer è il più grande giocatore di tutti i tempi alla sua età. Molti giocatori si sono ritirati ben prima del compimento del 34esimo anno, e anche quelli che continuano a giocare solitamente non raggiungono finali Slam. A dirla tutta, la valutazione Elo di Federer pari a 2393 a seguito della sua vittoria in semifinale contro Wawrinka agli US Open 2015 lo metterebbe al sesto posto tra i giocatori al massimo della forma di sempre, dietro a Lendl e appena davanti a Andy Murray

Questi sono i primi dieci giocatori al massimo della forma di sempre secondo il sistema Elo per giocatori di 34 o più anni:

Giocatore  Età   Elo 34+ anni  
Federer    34.1  2393  
Connors    34.1  2234  
Agassi     35.3  2207  
Laver      36.6  2207  
Rosewall   37.4  2195  
Haas       35.3  2111  
Ashe       35.7  2107  
Lendl      34.1  2054  
Gimeno     35.0  2035  
Cox        34.0  2014

I 160 punti di differenza tra Federer e Jimmy Connors vogliono dire che il 34enne Federer vincerebbe circa il 70% delle volte contro il 34enne Connors. Nessun altro giocatore ha mai espresso questo livello di gioco, o nemmeno qualcosa di lontanamente paragonabile, così a lungo.

A rischio di essere ripetitivi, un ragionamento simile si può fare per il 33enne Federer proseguendo fino al 30enne Federer. In quasi tutti i momenti degli ultimi quattro anni, Federer è stato più forte di qualsiasi altro giocatore della storia a quell’età [2]. Ad oggi, Djokovic ha eguagliato o superato molti dei risultati ottenuti in carriera da Federer, specialmente sulla terra, ma sarebbe davvero notevole se riuscisse a mantenere un simile livello di gioco fino al termine del decennio.

Note:

[1] Questi numeri non sono identici a quelli di FiveThirtyEight o di altre due metriche di valutazione elaborate di recente. Alcune delle differenze sembrano dovute all’inclusione o esclusione dei ritiri, intesi sia come ritiri dall’attività agonistica sia come ritiri dalla singola partita. FiveThirtyEight ed io non li consideriamo, ma quando ho incluso i ritiri dall’attività agonistica, Federer e Djokovic si sono scambiati di posizione in cima alla classifica.

[2] Il grafico di FiveThirtyEight mostra il trentenne Lendl davanti a Federer, e Connors con un temporaneo e leggero margine di vantaggio all’età di circa 32 anni.

The Case for Novak Djokovic … and Roger Federer … and Rafael Nadal

Il punto critico sul 15-30

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 17 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Quasi tutti i commentatori tv di tennis concordano nel dire che sul 15-30 ci si trova in una situazione di punteggio critica, specialmente nel tennis maschile nel quale strappare il servizio all’avversario è un evento piuttosto raro. Una ragionevole spiegazione di questo è che, da 15-30, se il giocatore al servizio perde uno dei due punti successivi, dovrà fronteggiare una situazione di palla break, in particolare due palle break nel caso in cui perda il primo punto (15-40), una palla break se perde il secondo (30-40). 

Un altro modo per affrontare la questione è quello di utilizzare un modello teorico. Un giocatore che vince il 65% dei punti al servizio (più o meno la media ATP) ha il 62% di probabilità di vincere il game da un punteggio di 15-30. Se vince il punto successivo, andando 30-30, la probabilità di tenere il servizio sale al 78%. Se invece perde il punto successivo, andando 15-40, avrà solo il 33% di probabilità di salvare il game. 

Quale sia la sequenza successiva, le situazioni di punteggio sul 15-30 aprono diversi importanti scenari di valutazione. Così come in precedenza ho analizzato il valore del primo punto di ogni game, esploriamo ora più in dettaglio le situazioni di punteggio sul 15-30, in termini di probabilità di raggiungerlo, di esito del punto successivo e di probabilità di riuscire a tenere il servizio, oltre a vedere quali giocatori sono particolarmente forti, o deboli, in queste circostanze.

Arrivare sul punteggio di 15-30

Solitamente, situazioni di punteggio sul 15-30 si presentano circa una volta ogni quattro game, e non lo fanno di più o di meno delle attese. In altre parole, non è particolarmente probabile e non è particolarmente improbabile che un game raggiunga il punteggio di 15-30.

D’altro canto, per alcuni giocatori può essere più probabile o meno probabile ritrovarsi sul 15-30. Stranamente, i giocatori dotati di un grande servizio compaiono a entrambi gli estremi. John Isner è il giocatore che – rispetto alle attese – si trova più spesso a servire sul 15-30, precisamente il 13% delle volte in più di quanto dovrebbe. Considerata l’alta frequenza con cui vince i punti sul proprio servizio, dovrebbe arrivare sul 15-30 solo nel 17% dei game di servizio, contro il 19% delle volte in cui questo effettivamente succede.

L’elenco di giocatori che servono sul 15-30 più spesso di quanto dovrebbero è decisamente eterogeneo. Ho considerato i primi 13 in modo da includere anche un altro giocatore della categoria di Isner, cioè Ivo Karlovic.

Giocatore      Game  GameVA  GameEV  Indice
Isner          3166  537     608     1.13
Sousa          1390  384     432     1.12
Tipsarevic     1984  444     486     1.09
Haas           1645  368     401     1.09
Hewitt         1442  391     425     1.09
Berdych        3947  824     894     1.08
Pospisil       1541  361     390     1.08
Nadal          3209  661     713     1.08
Andujar        1922  563     605     1.08
Kohlschreiber  2948  652     698     1.07
Monfils        2319  547     585     1.07
Kubot          1360  381     405     1.06
Karlovic       1941  299     318     1.06

In questa tabella e nelle successive, “Game” si riferisce al numero di game al servizio nel campione dati di ogni giocatore, con almeno 1000 game al servizio giocati, “Game VA” è il numero atteso di game vinti come predetto dal modello, “Game EV” è il numero di game effettivamente vinti, e “Indice” è il rapporto game vinti/game attesi.

Arrivarci spesso è in parte uno svantaggio

Molti di questi giocatori sono in grado di recuperare da situazioni di punteggio come sul 15-30, anche se arrivarci così spesso è in parte uno svantaggio. Isner ad esempio non solo resta comunque il favorito sul 15-30 – la sua frequenza media del 72% di punti vinti al servizio significa che vincerà il 75% dei game in cui si trova sul 15-30 – ma vince anche l’11% delle volte in più di quanto dovrebbe.     

A vari livelli, questo è vero anche per tutti gli altri giocatori dell’elenco. Joao Sousa non riesce a recuperare da 15-30 con la stessa frequenza con cui ci arriva, ma tiene comunque il game il 4% delle volte in più di quanto dovrebbe. Rafael Nadal, Tomas Berdych e Gael Monfils vincono il servizio dal 15-30 tra il 6 e l’8% delle volte in più di quanto il modello teorico suggerisca. Nel caso di Nadal, è quasi sicuramente collegato alla sua bravura sul lato di campo dei vantaggi, in modo particolare quando si trova a dover salvare palle break.

I forti partenti

All’estremo opposto, ci sono giocatori che potremmo definire “forti partenti” in grado di evitare di trovarsi sul 15-30 più spesso delle attese. Anche in questo caso, la rappresentanza è eterogenea.

Giocatore  Game  Game VA  Game Ev  Indice
Brown      1013  249      216      0.87
Hanescu    1181  308      274      0.89
Raonic     3050  514      462      0.90
Sela       1066  297      270      0.91
Gasquet    2897  641      593      0.93
Del Potro  2259  469      438      0.93
Gulbis     2308  534      500      0.94
Anderson   2946  610      571      0.94
Davydenko  1488  412      388      0.94
Mahut      1344  314      297      0.94

Con alcune eccezioni, molti dei giocatori di questo elenco hanno una reputazione di debolezza nei momenti che più contano in una partita (al 12esimo e 13esimo posto troviamo la coppia olandese di giocatori Robin Haase e Igor Sijsling). Questo ha un senso, perché tipicamente in situazioni di basso punteggio la pressione è minore. Un giocatore che vince punti più spesso, ad esempio, sul 15-0 piuttosto che sul 40-30, non diventa certamente famoso per riuscire a fare la differenza quando davvero conta.

Sul 15-30 alla risposta

Lo stesso tipo di analisi per i giocatori in risposta non è altrettanto interessante. Juan Martin Del Potro, ancora lui, è uno dei giocatori con minori probabilità di raggiungere il 15-30 mentre Isner è, per mia stessa sorpresa, uno tra quelli con maggiori probabilità. Non è possibile individuare un andamento preciso tra i migliori in risposta: Novak Djokovic raggiunge il 15-30 il 2% delle volte in meno delle attese, Nadal l’1% in meno, Andy Murray lo stesso numero di volte e David Ferrer il 3% delle volte in più.

In ultimo, è molto più probabile che i giocatori in risposta non cerchino in tutti i modi di arrivare a una situazione di punteggio di 15-30 se sono già vicini a chiudere il set. Su punteggi di game come 0-4, 0-5 e 1-5, il punteggio arriva sul 15-30 il 10% in meno del solito. All’estremo opposto, due dei game in cui è più frequente una situazione di punteggio di 15-30 sono 5-6 e 6-5, quando si arriva sul 15-30 l’8% in più del solito. 

La grande importanza del punto sul 15-30

Come abbiamo visto, c’è una differenza significativa tra vincere o perdere il punto sul 15-30. Nelle 290 mila partite che ho analizzato per questo articolo, il giocatore che serve o quello che è in risposta non ha un vantaggio specifico sul 15-30. Ci sono però alcuni giocatori che servono meglio di altri.

Da un confronto tra la frequenza di punti ottenuti al servizio sul 15-30 e la tipica frequenza di punti ottenuti al servizio, questo è l’elenco dei primi 11 giocatori, in cui compaiono diversi mancini, non a sorpresa.

Giocatore  Game  Game VA  Game EV  Indice
Young      1298  204      229      1.12
Haase      2134  322      347      1.08
Johnson    1194  181      195      1.08
Paire      1848  313      336      1.08
Verdasco   2571  395      423      1.07
Bellucci   1906  300      321      1.07
Isner      3166  421      449      1.07
Malisse    1125  175      186      1.06
Pospisil   1541  243      258      1.06
Nadal      3209  470      497      1.06
Tomic      2124  328      347      1.06

C’è di nuovo Isner, il quale compensa il fatto di trovarsi sul 15-30 più spesso di quanto dovrebbe.

Questo è l’elenco dei giocatori che vincono il punto sul 15-30 meno spesso di quanto vincano gli altri punti al servizio.

Giocatore      Game  Game VA  Game EV  Indice
Berlocq        1867  303      273      0.90
Montanes       1183  191      173      0.91
Anderson       2946  377      342      0.91
Garcia-Lopez   2356  397      370      0.93
Bautista-Agut  1716  264      247      0.93
Monaco         2326  360      338      0.94
Ebden          1088  186      176      0.94
Dimitrov       2647  360      341      0.95
Gasquet        2897  380      360      0.95
Murray         3416  473      449      0.95

Il confronto delle prestazioni in risposta sul 15-30 è meno interessante. Va notato però che vincere il punto in questa situazione cruciale è correlato, almeno debolmente, con i risultati complessivi di un giocatore: otto dei primi dieci giocatori al mondo del momento (tutti tranne Roger Federer e Milos Raonic) vincono il punto sul 15-30 più spesso delle attese. Djokovic vince il 4% in più delle attese, Nadal e Berdych il 3% in più.    

Anche in questo caso, analizzare l’andamento del game sul 15-30 in funzione del punteggio nel set  è istruttivo. Quando il giocatore al servizio ha un vantaggio consistente nel set, come sul 5-1, 4-0, 3-2 e 3-0, è meno probabile che vinca il punto sul 15-30. Quando invece si trova a dover servire molto indietro nel punteggio, come sullo 0-3, 1-4, 0-4, etc. è più probabile che vinca il punto sul 15-30. Per quanto minima, questa è un’evidenza del fatto che vincere un set può essere difficile. 

Vincere il game dal 15-30

Per il giocatore al servizio, arrivare sul 15-30 non è esattamente una buona idea. Se confrontata con il modello teorico però, non è una situazione così negativa. Dal 15-30 infatti, il giocatore al servizio vince il 2% più spesso di quanto il modello preveda. Per quanto non sia un effetto sostanziale, è comunque persistente.

Questo è l’elenco dei giocatori che giocano meglio del solito da una situazione di 15-30, vincendo game molto più spesso di quanto il modello preveda.

Giocatore  Game  Game VA  Game EV  Indice
Davydenko  1488  194      228      1.17
Johnson    1194  166      190      1.14
Young      1298  163      185      1.13
Isner      3166  423      470      1.11
Mahut      1344  172      188      1.09
Paire      1848  266      288      1.08
Lacko      1162  164      177      1.08
Nadal      3209  450      484      1.08
Klizan     1534  201      216      1.08
Lopez      2598  341      367      1.07
Berdych    3947  556      597      1.07

Ovviamente, questo elenco comprende molti dei giocatori che già si distinguono per il livello di gioco sul 15-30, inclusi molti mancini. La grande sorpresa è data da Nikolay Davydenko, un giocatore considerato da molti debole nelle situazioni più importanti e tra i primi nomi di giocatori con una reputazione discutibile in situazioni ad alta pressione. Eppure Davydenko, almeno verso la fine della sua carriera, era molto efficace in situazioni di punteggio di questo tipo. 

Nadal invece è l’unico di questo elenco a essere anche ai primi posti tra i giocatori in risposta che giocano sopra la media da 15-30. Nadal supera le attese in quell’aspetto di gioco del 7%, meglio di qualsiasi altro giocatore negli ultimi anni.

Infine, questo è l’elenco dei giocatori al servizio che giocano sotto la media da 15-30.

Giocatore  Game  Game VA  Game EV  Indice
Brown      1013  122      111      0.91
Robredo    2140  289      270      0.93
Dolgopolov 2379  306      288      0.94
Delbonis   1110  157      148      0.94
Monaco     2326  304      289      0.95
Bolelli    1015  132      126      0.96
Mathieu    1083  155      148      0.96
Muller     1332  179      172      0.96
Berlocq    1867  256      246      0.96
Dimitrov   2647  333      320      0.96
Gasquet    2897  352      339      0.96

Conclusioni provvisorie

Sotto certi aspetti, questa è una tematica in cui saggezza popolare tennistica e analisi statistica concordano: il punto da giocare su una situazione di punteggio di 15-30 è molto importante, anche se, inserito nel contesto, non ha più importanza di alcuni dei punti successivi.

Questi numeri mostrano come alcuni giocatori siano meglio di altri in determinati momenti di ogni game. Per alcuni, punti di forza e di debolezza si compensano, per altri, le statistiche possono evidenziare una situazione di particolare pressione che il giocatore non è in grado di reggere.

Sebbene alcuni esempi di ciascun estremo sono significativi, è anche importante ricondurli al giusto contesto. Per il giocatore medio, il punteggio raggiunge il 15-30 in circa un quarto dei game giocati, quindi giocare il 10% meglio o peggio delle attese in queste circostanze ha effetto solo su un game ogni quaranta

L’effetto si somma nel corso di una carriera, ma difficilmente si potranno individuare queste tendenze durante una partita o un anche un intero torneo. Per quanto giocare meglio delle attese sul 15-30 (o su qualsiasi altra categoria di punteggio) sia vantaggioso, raramente i migliori giocatori vi fanno affidamento. Se si gioca così bene come Djokovic, non serve giocare ancora meglio nelle situazioni più importanti. È sufficiente mantenere il livello atteso.

The Pivotal Point of 15-30

Quale valutazione il sistema Elo assegna a Flavia Pennetta e Roberta Vinci, finaliste degli US Open 2015

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 16 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

In virtù della finale agli US Open 2015, Flavia Pennetta e Roberta Vinci hanno beneficiato di un grande balzo nella classifica WTA pubblicata il lunedì successivo: Pennetta è passata dal 26esimo all’ottavo posto mentre Vinci è salita dal 43esimo al 19esimo posto.

Delle variazioni così importanti nella classifica destano sempre qualche sospetto e contribuiscono a esporre i limiti di un sistema che assegna punti in funzione del turno raggiunto. Un tabellone più facile o un risultato del tutto anomalo di una partita non vogliono certamente dire che, all’improvviso, una giocatrice è diventata molto più forte di quanto lo fosse due settimane prima.

In altre parole: per come è strutturata, la classifica ufficiale dà un’onesta rappresentazione delle prestazioni passate di una giocatrice. Quello che non riesce a mostrare con altrettanta chiarezza è quanto bene stia giocando una giocatrice o, problematica strettamente correlata, quanto bene giocherà in futuro. 

Una stima migliore dell’attuale stato di forma

Per ovviare a queste mancanze, ci si può affidare alle valutazioni del sistema Elo che Carl Bialik e Benjamin Morris di FiveThirtyEight hanno utilizzato all’inizio degli US Open 2015 per confrontare Serena Williams con le altre giocatrici più forti di sempre [1]. Il sistema Elo assegna punti sulla base della qualità dell’avversario, non dell’importanza del torneo o del turno raggiunto. In questo modo, il sistema Elo fornisce una stima migliore dell’attuale livello di gioco di ciascuna giocatrice rispetto a quello della classifica ufficiale.    

Come prevedibile, il sistema Elo concorda con la mia supposizione che Pennetta non è diventata all’improvviso l’ottava più forte giocatrice del mondo. Invece, per il sistema Elo Pennetta è salita al 17esimo posto, appena dietro Garbine Muguruza (un’altra finalista Slam che, per lo stesso principio, si trova più in alto nella classifica WTA di quanto dovrebbe) e davanti a Elina Svitolina. Nemmeno Vinci è davvero tornata tra le prime 20: il sistema Elo la posiziona al 34esimo posto, tra Camila Giorgi e Barbora Strycova.

Il sistema Elo è anche in disaccordo con il fatto che l’ottavo posto della classifica WTA rappresenta per Pennetta il punto più alto della sua carriera. Secondo il sistema Elo, Pennetta ha raggiunto il suo massimo livello di gioco durante gli US Open 2009, a seguito di un’estate di ottimi risultati in cui è arrivata almeno in semifinale in quattro tornei di fila, oltre a una vittoria al quarto turno su Vera Zvonareva a New York. Al momento, Pennetta è indietro di più di 100 punti rispetto al suo massimo di carriera, la stessa differenza che c’è tra lei e Angelique Kerber, settima nella classifica Elo.

La finale tra giocatrici più anziane

Pennetta e Vinci hanno raggiunto la finale di uno Slam a un’età in cui solitamente questo non accade, per di più se si tratta di una prima finale Slam (per entrambe le giocatrici). Se per il sistema Elo entrambe non sono tra le migliori giocatrici oggi in attività, rispetto ad altre giocatrici di 32 e 33 anni nella storia del tennis femminile Pennetta e Vinci hanno un posto di riguardo. 

Tra le giocatrici con almeno 33 anni, Pennetta è attualmente al sesto posto della classifica degli ultimi trent’anni [2]. Come mostra la tabella, è in compagnia di giocatrici di altissimo valore:

Pos.  Giocatrice   Età   Elo
1     Navratilova  33.4  2527
2     SWilliams    33.9  2480
3     Evert        33.4  2412
4     VWilliams    33.3  2175
5     Tauziat      33.9  2088
6     Pennetta     33.5  2030
7     Turnbull     33.1  2018
8     Martinez     33.3  2014

Tra le giocatrici con almeno 32 anni, anche Vinci ha un’ottima classifica. La sua valutazione più bassa e un numero maggiore di giocatrici rimaste competitive più a lungo la mettono al 24esimo posto. Ma per una giocatrice che non è mai entrata tra le prime dieci (Vinci ha raggiunto il settimo posto a maggio 2016, la sua migliore classifica di sempre, n.d.t.), il 24esimo posto di tutti i tempi è sicuramente un risultato notevole.

Note:

[1] I miei calcoli non sono perfettamente identici a quelli dell’articolo su FiveThirtyEight, ma sono molto simili. I dati a disposizione sono gli stessi per tutti, ma il codice da me utilizzato ha solo poche modifiche rispetto a Elo R.   

[2] Una versione base del sistema Elo non penalizza i giocatori inattivi per un periodo o che si sono addirittura ritirati. Una giocatrice quindi che rientra alle competizioni anche molti anni dopo dal suo ritiro beneficia della stessa classifica che aveva al momento del ritiro. Tecnicamente, Martina Hingis (al suo rientro nel singolare di Fed Cup quest’anno) e Kimiko Date-Krumm (all’inizio del suo rientro nel 2008) appartengono a questa lista, facendo scendere Pennetta all’ottavo posto. Visto però che non è in linea con lo spirito di valutazioni di questo tipo, le ho escluse di proposito. Inoltre, ho a disposizione l’età delle giocatrici solo fino all’inizio degli anni ’80, aspetto che probabilmente esclude alcune grandi del tennis che hanno avuto risultati eccellenti anche dopo aver compiuto 30 anni.

How Elo Rates US Open Finalists Flavia Pennetta and Roberta Vinci

Quanto è importante il primo punto del game?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 15 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’opinione diffusa tra giocatori, allenatori e commentatori tv è quella per cui il primo punto di ogni game riveste particolare importanza perché, viene spesso sottolineato, determina poi l’andamento dell’intero game.   

Vincere il primo punto è sicuramente meglio che perderlo, ma non è questo di cui sto parlando, perché altrimenti è meglio vincere tutti i punti piuttosto che perderli, non solo il primo.

Se vincere il primo punto del game è più importante che vincere gli altri, questo dovrebbe dare un vantaggio al giocatore che va oltre il semplice fatto di trovarsi sul 15-0 invece che sullo 0-15. 

Quella tra il 15-0 e lo 0-15, al di là di quale sia l’effetto positivo che può generare, è una differenza sostanziale. Usando un modello teorico che considera ciascun punto indipendentemente, un giocatore che vince tipicamente il 60% dei punti al servizio terrà il servizio circa il 74% delle volte.

Questo vuol dire che sul punteggio di 0-0 il giocatore al servizio ha il 74% di probabilità di vincere il game. Sul 15-0, la probabilità sale all’84%. Sullo 0-15 la probabilità è solo del 58%.

Affermare quindi che il primo punto del game è particolarmente importante significa dire che il divario tra vincere e perdere il primo punto è maggiore di quanto queste percentuali indichino.

Più di 20 mila recenti partite ATP e WTA, in cui sono stati giocati quasi mezzo milione di game, mostrano però che il primo punto non ha più importanza di quella che gli viene attribuita.

Se si escludono, forse, alcuni giocatori e qualche specifico momento di gioco durante la partita, il primo punto non determina un impulso addizionale per nessuno dei due giocatori. 

L’assunzione di base

La prima evidenza è anche forse quella più sorprendente: il giocatore al servizio riceve un vantaggio se perde il primo punto del game, mentre se lo vince non ne riceve alcuno. Questo accade ugualmente per le partite ATP e per quelle WTA. Se il giocatore/giocatrice al servizio perde il primo punto, è circa l’1% più probabile che vinca poi il game rispetto al caso in cui i punti fossero davvero indipendenti l’uno con l’altro.   

Ovviamente, questo non è un invito per il giocatore al servizio a perdere il primo punto di ogni game! Per chi vince mediamente il 60% dei punti al servizio, vincere il primo punto comunque aumenta le probabilità di tenere il servizio all’84%. Ma invece del 58% di probabilità di vincere il game dallo 0-15 come previsto dal modello teorico, nella realtà si tratta di una percentuale tra il 58.5 e il 59%. 

Un effetto di questo tipo non lo si nota certamente guardando partite di tennis in tv e probabilmente non ha nemmeno conseguenze pratiche. Ma su campioni molto ampi di recenti partite professionistiche, è dimostrato che il primo punto del game non conferisce al giocatore che lo conquista alcun beneficio aggiuntivo.

Circostanze in cui vincere il primo punto del game conta davvero

Di fondo, il primo punto ha validità solo in termini di effetto immediato sul punteggio. Ci sono però determinate circostante in cui vincere il primo punto sembra poter dare al giocatore al servizio un vantaggio extra, o nelle quali perderlo non rappresenta lo svantaggio che dovrebbe rappresentare.   

Quest’ultima situazione è la più evidente delle due. Sia nel tennis maschile che in quello femminile, chi è al servizio ha una prestazione migliore di quanto indicato dal modello teorico quando è indietro di due break, su punteggi come 0-4, 0-5 e 1-5.

Invece, chi serve in svantaggio di un solo break, fa meglio del modello in misura molto minore, per quanto sempre concreta. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che il giocatore/giocatrice riconosce che quel tipo di game sono assolutamente da vincere (must win games) o, in situazioni di doppio break, a un impegno minore da parte di chi è alla risposta.

A prescindere dal motivo, con un doppio break di svantaggio, le conseguenze dello 0-15 sono molto inferiori rispetto a quanto previsto dal modello. Il giocatore che vince mediamente il 60% dei punti al servizio, invece di trovarsi di fronte a un bivio tra l’84% di probabilità di tenere il game dal 15-0 o il 58% sullo 0-15, può aspettarsi il 91% di probabilità di tenere il game dal 15-0 o il 71% di probabilità dallo 0-15. 

Non ci sono altri effetti se non il vantaggio del punteggio

La situazione si capovolge servendo in vantaggio di un break, ma con effetti minori. Su punteggi come 6-5 e 3-2, il modello ha una buona capacità predittiva della probabilità di tenere il game dal 15-0, ma chi è al servizio ha prestazioni inferiori al modello dallo 0-15.

La differenza è però solo di pochi punti percentuali e può essere dovuta a una maggiore aggressività o concentrazione dal giocatore in risposta, o al fatto che chi è al servizio percepisce la tensione di un punteggio importante.

Tuttavia, nella maggior parte delle situazioni di punteggio l’effetto del primo punto del game non è diverso da quanto visto in aggregato, con il primo punto che non genera effetti se non quelli in termini di vantaggio immediato sul punteggio.

Quanto il giocatore al servizio è condizionato dal primo punto del game

Ci sono alcuni giocatori che sembrano avere una marcia in più dopo la conquista del primo punto. Si raggruppano in due categorie: i giocatori che confermano l’opinione diffusa di riuscire a giocare molto meglio (rispetto alle previsioni del modello) dal 15-0 invece che dallo 0-15, e quelli che sono all’estremo opposto, in grado cioè di ridurre la differenza tra i probabili esiti associati al trovarsi sul 15-0 piuttosto che sullo 0-15. 

Tra i 38 giocatori ATP di cui possiedo dati per più di 2000 game di servizio, quello della prima categoria che riceve maggiori benefici dal primo punto è Richard Gasquet. Dal 15-0, supera il modello di circa l’1%, ma dallo 0-15 gioca peggio del 5%. È l’unico giocatore del lotto per cui la differenza tra i due eventi è maggiore del 5%. 

Dall’altro lato dell’intervallo si trova Santiago Giraldo, che dal 15-0 ha una prestazione peggiore del modello del 2%, ma dallo 0-15 lo supera del 7%.

Le cose diventano interessanti per il resto della categoria di Giraldo. Gli altri quattro giocatori con una differenza uguale o superiore al 4% sono Feliciano Lopez, John Isner, Juan Martin Del Potro e Rafael Nadal. Non sorprende trovare due giocatori mancini, visto che tipicamente vincono più punti dal lato di campo dei vantaggi. È così anche per gli altri mancini del campione considerato, anche se con differenze minori.

La presenza di giocatori dal servizio bomba alla fine di questo elenco si spiega meno facilmente. Forse perché riescono agevolmente a tenere il servizio ogni volta che servono, possono delle volte perdere la concentrazione nel primo punto del game e ritrovarla dopo essere andati sullo 0-15.

Identica distribuzione tra le donne

Tra le giocatrici WTA, la distribuzione è identica. L’effetto più estremo è sul servizio di Sorana Cirstea che, come Giraldo, è molto più efficace (rispetto al modello) se è sullo 0-15 anziché sul 15-0. Le altre giocatrici con una differenza maggiore del 5% sono Flavia Pennetta, Ekaterina Makarova, e Ana Ivanovic.

All’altro estremo, nella categoria di Gasquet, si trovano Francesca Schiavone, Li Na, Julia Goerges e Eugenie Bouchard, tutte giocatrici che sono più efficaci delle attese del 2% da 15-0 e del 4% in meno da 0-15.

Diffusa esagerazione

Come spesso accade, la saggezza popolare tennistica dimostra di possedere un fondo di verità…qualche volta, forse e in misura decisamente minore di quanto generalmente accettato! Anche nelle situazioni di maggiore condizionamento, come quelle di Gasquet o Cristea, il risultato del game non cambia più spesso di una volta ogni due o tre partite.   

Il primo punto del game è molto importante, perché andare sul 15-0 è molto meglio dello 0-15. Detto questo, a eccezione di alcuni giocatori e in poche situazioni di gioco – alcune delle quali di fatto riducono la differenza tra il 15-0 e lo 0-15 – c’è poca evidenza all’opinione diffusa che il primo punto del game rivesta più importanza del suo mero ruolo di iniziatore del punteggio. 

How Important is the First Point of Each Game?

Le palle break convertite e le partite molto equilibrate che Federer non vince

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 14 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Alla data di traduzione, negli scontri diretti Djokovic conduce su Federer per 23 vittorie a 22. Per mantenere i successivi riferimenti numerici, si è lasciato inalterato il valore riportato nel testo originale, n.d.t. 

Negli scontri diretti, Roger Federer e Novak Djokovic hanno 21 vittorie a testa, ma la loro più recente rivalità è stata decisamente a favore di Djokovic che, dal 2011, ha vinto 15 delle ultime 23 partite, compresa la finale degli US Open 2015 giocata la scorsa notte.

Le partite lotteria

Sono partite, le loro, generalmente caratterizzate da un punteggio molto ravvicinato. Infatti, solo in 7 su 23 uno dei due ha vinto più del 55% dei punti, e in più della metà (12 su 23) nessuno ha vinto più del 53% dei punti, facendole rientrare nella mia definizione di partite lotteria

Nelle 12 partite lotteria giocate tra Federer e Djokovic dal 2011, il giocatore che ha vinto più punti ha poi vinto anche la partita. Però Djokovic ha vinto molti più di queste partite tirate, ben 9 su 12. La finale degli US Open 2015 è stata l’esempio perfetto: Federer ha vinto più punti alla risposta del suo avversario, ed è stata la terza volta dalle Finali di stagione del 2012 che Djokovic ha battuto Federer vincendo il 50.3% dei punti.    

Quando un giocatore vince il 50.3% dei punti, vince poi la partita solo il 59% delle volte. Anche con il 51.8% dei punti vinti, vale a dire la percentuale dei punti totali vinti da Djokovic in altre tre partite giocate contro Federer, il giocatore con più punti ha poi vinto la partita solo il 91% delle volte. 

Se molte di queste partite sono estremamente equilibrate, e uno dei due giocatori ne vince comunque così tante, deve esserci un’altra spiegazione. 

Di nuovo le palle break

Chiaramente, Djokovic vince più punti importanti di Federer. Considerando inoltre che Federer ha vinto più della metà dei tiebreak giocati contro Djokovic, come passaggio logico successivo vanno analizzate le palle break. 

La presunta incapacità di Federer di trasformare le palle break è da lungo tempo fonte di preoccupazione per i suoi tifosi. All’inizio dello scorso anno, analizzando la percentuale di conversione delle palle break, ho scoperto che Federer in effetti trasforma meno palle break di quelle che dovrebbe trasformare, ma solo di qualche punto percentuale. Inoltre, come detto, non è un problema di questi giorni: Federer convertiva meno palle break di quanto avesse dovuto anche nel periodo in cui il suo dominio era incontrastato.  

Non può più essere solo un’eccezione 

Djokovic però rappresenta un altro livello di tennis, e, visto che giocano uno contro l’altro così frequentemente, non è più possibile considerare la scarsa trasformazione delle palle break da parte di Federer come una semplice eccezione.

Nelle ultime 23 partite, compresa la finale degli US Open 2015 di ieri in cui Federer ha fatto 4 su 23 nelle palle break, Federer ha trasformato il 15% delle palle break in meno rispetto a quanto avrebbe dovuto, vale a dire il doppio, in negativo, della sua più bassa percentuale di conversione per singola stagione. Djokovic invece ha trasformato le palle break a sua disposizione in una percentuale simile a quella con cui ha vinto gli altri punti in risposta.    

Ipotizzare che Federer non sia in grado di reggere la pressione sembra più un esercizio di fantasia, ma l’evidenza dimostra che, nelle situazioni di particolare importanza di punteggio, anche Federer sviluppa il così detto “braccino”.

Si può pensare di escludere a priori due di spiegazioni di questa tendenza, da una parte le opportunità di break, dall’altra il livello di gioco espresso in risposta da sinistra, cioè il lato di campo dei vantaggi.

Le opportunità di break

Iniziamo con le opportunità di break. 4 palle break su 23 è senza dubbio un rapporto di conversione deficitario, ma c’è un aspetto positivo: se si riesce ad avere 23 opportunità per fare break contro un giocatore del calibro di Djokovic, significa che si sta giocando un ottimo tennis.

Di più, c’è una dipendenza molto chiara, quasi diretta, tra i punti vinti in risposta e le opportunità di break generate e nella finale di ieri Federer ha superato le attese del 77%. Su 21 game in risposta un giocatore che vince il 39% di punti come ha fatto Federer dovrebbe creare solo 13 opportunità di break. Una conversione di 4 su 13 sarebbe comunque deludente, ma non così negativa come 4 su 23. 

In queste 23 partite, Federer ha ottenuto opportunità di break per quanto ci si attendesse e lo stesso ha fatto Djokovic. Si tratta evidentemente del livello di gioco espresso sul 30-40 o sul vantaggio esterno (40-AD), non invece di quello in situazioni più tranquille di punteggio. Ad esempio, nei punti che non fossero palle break, Federer ieri ha risposto molto efficacemente.

Risposta dal lato dei vantaggi

La seconda possibile spiegazione ha a che fare con il gioco di Federer in risposta dal lato di campo dei vantaggi. Può essere questo il caso contro Rafael Nadal, che sfrutta abilmente il servizio mancino per salvare le palle break. Non vale però negli scontri diretti con Djokovic.

Secondo i dati raccolti dal Match Charting Project, nessuno dei due giocatori gioca decisamente meglio in un lato del campo piuttosto che nell’altro. Djokovic vince più punti al servizio sul lato destro – il 65% contro il 64% sul lato sinistro, il 66% contro il 64% sui campi in cemento – e Federer vince punti in risposta nella stessa percentuale su entrambi i lati del campo. 

Agli esperti piace dire che il tennis è un confronto di tecnica e stile, e in questa rivalità entrambi i giocatori hanno messo i discussione i rispettivi canoni.

Nella sua carriera Djokovic ha salvato palle break con più successo della media, ma mai così bene come riesce a fare contro Federer. Federer, di converso, ha prodotto alcune delle sue migliori prestazioni alla risposta contro Djokovic…se si esclude la scarsa percentuale di trasformazione di palle break, che è più bassa della sue già non proprio brillanti medie storiche.

Conclusioni

Forse l’unica soluzione per Federer è quella di trovare un modo per migliorare i game in battuta, in cui però si esprime già su standard altissimi.

Nella finale del Cincinnati Masters 2015 – l’ultima partita tra i due prima della finale degli US Open – Federer ha trasformato 1 sola palla break sulle 8 concesse da Djokovic, un tipo di statistica che farebbe immediatamente pensare a una sconfitta. In quella partita invece, il solo break di Federer è stato sufficiente, visto che Djokovic non ha mai strappato il servizio all’avversario.

Federer ha vinto il 56.4% dei punti totali, la terza più alta percentuale nelle partite contro Djokovic dal 2011. Se Djokovic continuerà a giocare meglio nei punti più importanti e vincere le partite combattute, per vincere Federer avrà a disposizione solamente la non invidiabile alternativa di dover giocare decisamente meglio del più forte giocatore al momento in circolazione.

Break Point Conversions and the Close Matches Federer Isn’t Winning

Un nuovo modo di interpretare le partite lotteria

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’11 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

È intervenuta la sfortuna nell’eliminazione di Rafael Nadal dagli US Open 2015..almeno, un pizzico di sfortuna. Nadal ha infatti vinto solo 2 punti in meno di Fabio Fognini, il suo avversario, raccogliendo il 49.7% dei punti complessivamente giocati. Fino a quel momento nella sua carriera Nadal aveva vinto 8 delle 18 partite in cui aveva ottenuto tra il 49 e il 50% dei punti totali. E basta davvero poco per cambiare il risultato.

Le partite in cui nessuno dei due giocatori ottiene più del 51% dei punti sono circa il 10% delle partite giocate nel circuito professionistico. Come dimostrato lo scorso anno da Michael Beuoy, quel tipo di partite hanno un esito piuttosto incerto: il giocatore che ha fatto più punti vince meno del 65% delle volte. 

Estensione del campo di analisi

Analizzando il sottoinsieme delle poche partite in cui il giocatore che perde ottiene una percentuale più alta di punti in risposta del vincitore, Carl Bialik di FiveThirtyEight, ha coniato l’utile termine “partite lotteria”. Bialik ne ha però limitato l’applicazione a quelle partite che hanno un risultato inatteso. Vorrei qui allargare la definizione e considerare anche quelle partite molto equilibrate che potrebbero finire in qualsiasi modo, cioè anche quelle in cui il giocatore che vince più punti vince poi la partita, come è lecito attendersi.

Una parentesi veloce: Bialik preferisce confrontare i punti ottenuti in risposta, vale a dire le fondamenta della sua statistica indice di dominio (Dominance Ratio o DR). Le partite sono vinte più spesso quando il DR del vincitore è inferiore a 1.0 rispetto al caso in cui il vincitore ottenga meno del 50% dei punti totali. Naturalmente queste due statistiche spesso si sovrappongono. Per cercare di rendere più chiaro questo argomento, preferisco affidarmi alla tradizionale statistica del numero totale di punti vinti.

Chi ne gioca di più

Come mostrato da Beuoy, il giocatore che vince più punti non ha sicurezza di vincere la partita se non vincendo almeno il 53% dei punti totali (e anche in quel caso, esiste una minima possibilità di un risultato a sorpresa, ma accade così di rado che, ai fini di questo articolo, è un’ipotesi che non terrò in considerazione). Ad esempio, vincere il 52.5% dei punti è certamente meglio che vincere il 50.5% dei punti, ma anche con il 52.5% si perde una partita ogni 25. 

Estendendo l’attributo di partite lotteria anche ai quelle in cui nessuno dei due giocatori vince il 51, 52 o anche il 53% dei punti totali, si stabilisce che nessuna di queste partite ha una conclusione certa e predefinita, così da poter analizzare uno spettro più ampio di partite e capire se i giocatori vincono tutte quelle che dovrebbero effettivamente vincere. Inoltre, considerando questo specifico insieme di partite, è possibile identificare quei giocatori che ne giocano molte esponendosi a eventuali sconfitte a sorpresa in cui subentra la fortuna.    

Vincendo la lotteria (delle partite lotteria)

Partiamo dalla categoria più ampia: tutte quelle partite in cui nessuno dei due giocatori vince più del 53% dei punti totali.

Meno del 53% dei punti totali

Con questo si intendono sia le partite al 50% da lancio della moneta, sia le partite al 52.9% da vittoria sicura. Utilizzando il modello proposto da Beuoy, possiamo prendere il numero totale di punti vinti in ciascuna di queste partite e calcolare la probabilità che il giocatore con il maggior numero di punti abbia vinto la partita.   

Ad esempio, Nadal è uno dei giocatori più efficaci in partite molto equilibrate. All’inizio degli US Open 2015, Nadal aveva vinto 115 partite di questo tipo sulle 168 giocate. Prendendo il numero totale dei punti vinti in ciascuna di queste partite, si può calcolare come Nadal “avrebbe dovuto” vincerne solo 102.5 e che, grazie a un misto di fortuna e bravura nei momenti decisivi, è andato per il 12% oltre le attese.   

Tra i giocatori in attività con almeno 100 di queste partite, Nadal ha un ottimo quarto posto, dietro a John Isner, Fognini e Jurgen Melzer. Novak Djokovic e Andy Murray arrivano appena tra i primi venti, superando le attese rispettivamente del 6% e del 5%, mentre Roger Federer è molto più indietro, visto che vince il 7% in meno delle partite equilibrate che dovrebbe vincere.   

Trovare Federer nella parte di classifica con segno negativo è certamente una sorpresa, visto che Federer, insieme a Nadal e Isner, è tra i pochissimi giocatori che costantemente superano le attese nei tiebreak. La capacità di eccellere nei tiebreak dovrebbe avere una correlazione diretta con il superare le attese nelle partite molto equilibrate. Il mio collega Ryan Rodenberg ha scritto più volte di come Federer non riesca a vincere alcune delle partite lotteria.

Meno del 51% dei punti totali

Concentrandoci ora sulle partite in cui nessuno dei due giocatori vince più del 51% dei punti – le vere partite da lancio della moneta – ancora una volta troviamo Nadal molto in alto. A dirla tutta, i quattro migliori sono sempre gli stessi, Nadal, Fognini, Melzer e Isner, visto che ciascuno di questi giocatori ha vinto tra il 36 e il 38% in più di quanto avrebbe dovuto in partite dai margini così ridotti. Anche in questo caso, Djokovic e Murray rimangono nella parte positiva della classifica, rispettivamente a +16% e +6%, mentre Federer è molto indietro, a -9%.

Tendenze ribassiste

Con la definizione più ampia di partite lotteria (quella del 53% dei punti totali) si ha il grande vantaggio di poter utilizzare un campione più esteso di partite. Nadal ha giocato solo 27 partite nella sua carriera in cui chi ha perso aveva fatto più punti del vincitore e giocato solo 40 partite in cui nessuno dei giocatori aveva vinto più del 51% dei punti totali.      

Ha invece giocato ogni anno ben più partite della categoria 53%, permettendoci di evidenziare tendenze più significative. In ciascuna stagione del periodo 2005-2011, Nadal ha giocato in media 15 partite molto equilibrate e ne ha vinta almeno una in più di quanto ci si attendesse, spesso due o tre in più. Dall’inizio del 2014, invece, ne ha giocate 25 vincendone solo 13 rispetto alle 16 che avrebbe dovuto vincere. 

Margini davvero ridotti

Anche con un campione più grande, questi sono margini davvero sottili. Se Nadal dovesse tornare a dominare nei prossimi anni, vincendo più partite molto equilibrate delle attese, considereremo queste due stagioni come un’eccezione. Ma anche molti dei giocatori del calibro di Nadal mostrano record sorprendentemente costanti in partite molto equilibrate. Negli ultimi dieci anni, Djokovic e Murray hanno avuto una sola stagione sotto il -10%, mentre i risultati di Federer sono sempre stati modesti, non essendo andato mai oltre il 7% in un’intera stagione. Non sono molti i giocatori a essere così forti come Nadal in questo tipo di partite, ma quelli che ci riescono hanno prestazioni molto simili da una stagione all’altra.    

Il quadro d’insieme

Vincere partite molto equilibrate torna utile ma, come l’esperienza di Federer dimostra, non è una stretta necessità. Nel caso di Fognini ad esempio superare le attese in partite lotteria non è indice di successo anche in altro tipo di partite.

Ancora meglio delle vittorie in partite molto equilibrate sono le vittorie in partite facili, e un utile effetto collaterale dell’analisi delle partite lotteria è quello di avere riferimenti numerici su chi ne gioca di più e, ovviamente, chi ne gioca di meno.

Le partite lotteria, cioè quelle, e vale la pena ripeterlo, in cui nessuno dei due giocatori vince più del 53% dei punti, rappresentano meno del 20% di tutte le partite giocate in carriera da Nadal. Il suo 19.7% di partite molto equilibrate è inferiore a quello di qualsiasi altro giocatore a partire dal 2000 (con almeno 100 partite giocate). All’interno di questa categoria, i Fantastici Quattro sono vicini tra loro, come si poteva immaginare. Tra i giocatori in attività, Federer è al secondo posto dietro Nadal, Djokovic al terzo e Murray all’ottavo. Anche Kei Nishikori e David Ferrer compaiono tra i primi dieci.

Alla parte opposta dell’intervallo, troviamo i soliti sospetti dal servizio bomba. Vasek Pospisil è al primo posto con il 49.5% delle partite lotteria, seguito da Ivo Karlovic (44.5%), Isner (41.9%) e Jerzy Janowicz (40.5%), a completamento dei primi quattro.

Meglio non aver bisogno della fortuna che essere fortunati

L’analisi dei risultati di partite molto equilibrate, qualsiasi sia la definizione di preferenza, è un modo valido per identificare quei giocatori in strisce fortunate o sfortunate di partite, o anche quelli che sembrano giocare davvero bene i punti importanti.

Tuttavia, una statistica più significativa – certamente con una proporzionalità più diretta rispetto all’ottenimento di risultati di altissimo livello – è quella che ci dice chi evita di giocare partite molto equilibrate. Perché la cosa migliore della fortuna è non aver bisogno di fortuna.

A New Way of Looking at Lottery Matches

Il sogno dei giocatori nati negli anni ’90 è vivo

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 5 agosto 2014 – Traduzione di Edoardo Salvati

I finalisti dell’edizione 2014 dei tornei di Kitzbuhel e Washington sono stati rispettivamente David Goffin e Dominic Thiem (in Austria), Vasek Pospisil e Milos Raonic (negli Stati Uniti). Per la prima volta nella storia del circuito professionistico, la finale di un torneo – in questo caso due nello stesso weekend – è disputata da giocatori entrambi nati negli anni ’90. 

Beh, era anche ora! Il gruppo di giocatori nati nella prima metà degli anni ’90 ha ormai 24 anni, un’età che, almeno un tempo, segnava l’ingresso di un giocatore nella fase di vertice della sua carriera. Dei quattro finalisti, solo Thiem non è nato nel 1990 (è nato nel 1993, diventando il più giovane finalista della stagione, sino a questo momento). 

Non ci è mai voluto così tanto

Non ci è mai voluto così tanto tempo prima che giocatori nati in uno specifico anno o più giovani giocassero uno contro l’altro in una finale del circuito professionistico. In media, per i 31 anni tra i nati nel 1960 e i nati nel 1990 ci sono voluti meno di 21 anni prima che due giovani nati nello stesso periodo si disputassero il titolo di un torneo. Ci sono voluti 24 anni e 7 mesi prima che il gruppo del 1990 raggiungesse – con l’aiuto di Thiem – questo traguardo.   

Per mettere in prospettiva il risultato del gruppo del 1990, questo è un elenco delle “prime” finali per ogni gruppo di età su intervalli di cinque anni.

Nati negli anni ‘60 

Yannick Noah batte Ivan Lendl al torneo WCT Richmond del 1981, entrambi i giocatori dovevano ancora compiere il 21esimo anno.

Nati nel 1965 o più giovani

Kent Carlsson batte Horacio De La Pena al torneo di Bari del 1986, Carlssonn era da poco maggiorenne e De La Pena aveva ancora 19 anni.

Nati negli anni ’70

Richard Fromberg batte Marc Rosset al torneo di Bologna del 1990, Fromberg aveva compiuto 20 anni da qualche giorno e Rosset aveva 19 anni e mezzo.

Nati nel 1975 o più giovani

 Marcelo Rios batte Mark Philippoussis al torneo di Kuala Lumpur del 1995, entrambi erano adolescenti, Philippoussis era ancora diciottenne.

Nati negli anni ’80

Lleyton Hewitt batte Xavier Malisse al torneo di Delray Beach nel 1999, entrambi i giocatori erano diciottenni.

Nati nel 1985 o più giovani

Rafael Nadal batte Tomas Berdych al torneo di Bastad del 2005, entrambi i giocatori avevano 19 anni.

Negli ultimi anni, l’età di queste finali storiche è stabilmente aumentata. La classe del 1987 è stata generosa, regalandoci Novak Djokovic e Andy Murray, ma anche questi due campioni non si sono incontrati in una finale se non prima del Cincinnati Masters 2008, quando entrambi avevano già compiuto 21 anni.

Dopo i nati del 1987, c’è stato un netto declino. Prima di una finale maschile tra nati nel 1988 o più giovani si sono dovuti attendere 3 anni, quando Alexandr Dolgopolov ha incontrato Marin Cilic nella finale del torneo di Umag del 2011. Nei tre anni successivi, ci sono state solo sei finali tra nati nel 1988 o più giovani, comprese le due di Kitzbuhel e Washington.

Speranze per un’inversione di tendenza

Thiem, insieme ad altri giovani colleghi, offre speranze per un’inversione di tendenza. Questa settimana, per la prima volta dal 2005 (quando, come abbiamo visto, Nadal e Berdych hanno giocato l’ultima finale tra teenagers), nei primi 200 della classifica ATP figurano quattro teenagers, due dei quali – Borna Coric e Alexander Zverev – non hanno ancora compiuto diciotto anni. È anche vero però che sia Goffin sia Pospisil sono rimasti tre anni tra i 200 prima di raggiungere una finale. Dovremo continuare a osservare i giocatori 23enni per un’altra prima finale storica.

The Dream of the Nineties is Alive