Un rivisitazione della componente mentale nel tennis

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 13 dicembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Sembra esserci un consenso di fondo sulla rilevanza della componente mentale nel tennis. È meno chiaro però cosa significhi esattamente. Opinionisti e tifosi spesso si riferiscono a determinati giocatori come più forti o meno forti mentalmente, aspetto che aiuta a giustificare un eventuale divario tra talento e prestazioni.

Predominio, mano calda, continuità di risultato

Ci sono tre concetti a cui più si fa riferimento in una discussione sul “gioco mentale”: predominio nei momenti chiave, mano calda, continuità di risultato. Spesso ne ho criticato l’eccessivo utilizzo da parte dei commentatori televisivi. Ad esempio, servire un ace sulla palla break è considerato predominante, nel senso che quel giocatore ha imposto il suo gioco in un momento molto delicato.

Questo però non vuol dire che il giocatore possa essere descritto come predominante. Reagire bene alla pressione di specifiche situazioni non determina necessariamente che venga fatto più spesso della media.

Lo stesso vale per la “mano calda”: si tende a generalizzare in modo eccessivo da piccoli campioni di dati, quindi se un giocatore colpisce di fila tre rovesci lungolinea vincenti, si è portati a pensare che abbia la mano calda, anche se a volte può dipendere solo dalla fortuna.

È probabile che ci siano giocatori più predominanti, più con mano calda e più continui dei colleghi – o viceversa – anche oltre quanto è attribuibile al caso.

Contestualmente, nessun professionista è così tanto o poco predominante al punto che il suo gioco nelle fasi di maggiore importanza della partita spieghi in larga misura il suo successo o fallimento sul circuito.

Effetti ridotti

La maggior parte dei giocatori vince tanti tiebreak quanti ci si attende dal record di set che terminano con altro punteggio e trasforma palle break in numero pronosticatile dalle statistiche complessive alla risposta. Non accade nulla di magico nelle circostanze di maggiore pressione comunemente chiamate in causa, e non ci sono giocatori che diventano improvvisamente superman o materiale da discarica.

Se siete regolari fruitori del mio blog, è probabile che vi sia capitato di aver già letto sulla tematica, da me o da molti altri analisti di sport. Non voglio estremizzare dicendo che il predominio nei momenti chiave sia inesistente (o la mando calda o la continuità di risultato), mi preme evidenziare che questi effetti sono ridotti, così ridotti che difficilmente ce ne si accorge guardando le partite. E a volte così piccoli da mettere in difficoltà anche gli analisti nel distinguerli dalla casualità totale.

Eppure, rimaniamo con l’unanime, e invitante (!), convinzione che il tennis sia un gioco mentale. Nel tentativo di introdurre diversi tipi di modelli semplificati, scriverò sempre qualcosa del tipo: “sarebbe così se i giocatori fossero dei robot”. Per quanto alcuni di questi modelli siano decisamente precisi, credo che si sia tutti d’accordo sul fatto che i giocatori non sono dei robot, a eccezione forse di Milos Raonic.

Puramente mentale

C’è una versione estrema della convinzione che il tennis sia un gioco mentale che ho sentito attribuita a James Blake, quella per cui la differenza tra il numero 1 del mondo e il numero 100 è puramente mentale (immagino sia una eccessiva semplificazione del pensiero di Blake, ma sono opinioni diffuse a sufficienza da rendere l’idea di fondo degna di considerazione).

È un po’ dura da mandare giù. Chi infatti pensa che Radu Albot (l’attuale numero 99) abbia talento nella stessa misura di Rafael Nadal? Se ci allontaniamo un po’ dalle posizioni estreme, possiamo scorgerne l’attrazione.

Al momento, sia Bernard Tomic che Ernests Gulbis hanno una classifica tra il numero 80 e il 100. Si può affermare con sicurezza che entrambi non hanno talento quanto due tra i primi 10 come Kevin Anderson e Marin Cilic? Eppure spesso Tomic si mette in luce positiva in situazioni di pressione, mentre è Cilic quello a crollare.

Non è un problema di gestione della pressione

Il problema con Tomic, Gulbis e tanti degli innumerevoli giocatori che nella storia del tennis non hanno raggiunto grandi risultati non è la loro incapacità a gestire la pressione. Ricordiamo tutti partite, o set, o altre lunghe sequenze di gioco in cui un giocatore sembra disinteressato, poco motivato o senza energie per nessuna apparente ragione.

Anche tenendo conto dell’effetto o distorsione di selezione, penso che sia più probabile assistere a rendimenti inspiegabilmente mediocri da parte di giocatori che non hanno ottenuto risultati all’altezza delle aspettative (riuscite a immaginarvi Nadal non motivato? O Maria Sharapova?).

In senso molto ampio, li si può intendere come mano calda e continuità di risultato, ma non credo che siano gli esempi canonici a cui generalmente ci si riferisce. Operano invece su scala più larga, diciamo un intero set di mediocrità rispetto ad esempio a tre doppi falli in un solo game, e offrono una nuova modalità di pensiero sugli aspetti mentali del tennis.

Livello massimo sostenibile

Diamo a questa nuova variabile il nome di concentrazione. Ci sono innumerevoli potenziali distrazioni, interiori ed esterne a un giocatore, che ostacolano il raggiungimento della massima prestazione. Più un giocatore è in grado di ignorarle, metterle in un angolo o superarle, più è concentrato.

Ipotizziamo che ciascun giocatore abbia un personale livello massimo sostenibile di qualità di gioco e che, su una scala da 1 a 10, il massimo sia appunto 10 (sottolineo sostenibile per far capire che non si sta parlando delle volée smorzate dietro alla schiena da contorsionista di Agnieszka Radwanska, ma del miglior livello che un giocatore è effettivamente capace di mantenere. Il livello 10 di Nadal è diverso quindi dal 10 di Albot). Il valore di 1 alla base della scala si verifica raramente tra i professionisti, pensiamo a Guillermo Coria o Elena Dementieva che all’improvviso non riescono più a servire.

Maggiore la concentrazione, più spesso un giocatore si esprime al valore massimo di 10 e, per quanto non possa essere in grado di sostenerlo per tutta la partita, il giocatore più concentrato rimane più a lungo al livello 10.

Concentrazione, non continuità

Questa idea della concentrazione assomiglia molto alla vecchia definizione di continuità, e forse è quello che le persone hanno davvero in mente quando ne attribuiscono i meriti a un giocatore. Ma ci sono diverse ragioni per le quali credo sia necessario discostarsene.

La prima è pedanteria: continuità non è necessariamente un bene. Se si chiede a un giocatore di essere continuo e quel giocatore colpisce solo errori non forzati di dritto, ha seguito le istruzioni continuando a giocare male.

Più seriamente, la continuità è spesso associata al concetto di basso rischio, che però è una strategia, non un tratto positivo o negativo. Una giocatrice come Petra Kvitova non sarà mai continua perché il gioco aggressivo che la contraddistingue comporterà sempre molti errori, a volte decisamente negativi e occasionalmente in momenti sbagliati. Anche una strategia ottimale per una Kvitova al massimo della concentrazione sembrerà mancare di continuità.

Se non pensate altro che al tennis, la mia definizione di continuità vi apparirà molto limitata. Sono d’accordo, è un po’ provocatoria. Mi fosse possibile fare meglio di così nell’individuare in modo conciso di cosa parlano le persone in relazione alla continuità, lo farei.

Ripeto, parte del problema è l’eccessiva connotazione del termine. Anche se per continuità s’intende effettivamente concentrazione, ritengo sia importante trovare un’altra parola con meno peso.

Come negli scacchi

La concentrazione è davvero meglio delle altre caratteristiche di gioco mentale contro cui mi sono scagliato? Possiamo misurare in modo oggettivo il predominio nei momenti chiave, diventa molto più difficile analizzare i dati di una partita o di un’intera stagione e quantificare il livello di concentrazione raggiunto da un giocatore.

Tuttavia, ho il forte sospetto che tra i giocatori di vertice, la concentrazione vari di più, ad esempio, della mano calda in micro passaggi di gioco. Detta altrimenti: la differenza in concentrazione tra i migliori potrebbe essere la principale spiegazione di rendimenti differenti.

Ho incominciato a riflettere sull’importanza della concentrazione – ancora una volta, la capacità di sostenere il livello massimo di gioco o un livello appena inferiore per lunghi periodi – durante il Campionato del Mondo di Scacchi del mese scorso tra Magnus Carlsen e Fabiano Caruana (di cui ho scritto per l’Economist).

Appellativo di gioco mentale

Gli scacchi sono molto diversi dal tennis, è ovvio. Ma visto che non prevedono vigore, velocità o agilità di alcun tipo, hanno il diritto di arrogarsi l’appellativo di gioco mentale molto più di quanto spetti al tennis.

Pur dando spazio a momenti di splendore, le classiche partite di scacchi richiedono un livello di concentrazione così sostenuto che pochi riescono a comprendere. Basta un passaggio a vuoto contro un giocatore di élite che a quel punto è meglio abbandonare e riposarsi per la partita successiva.

Lo stereotipo più diffuso di grande maestro di scacchi è quello di una persona anziana che fa leva su esperienza e arguzia derivante da decenni di conoscenza per tenere a bada i giovani giocatori.

Eppure Carlsen e Caruana, i primi 2 del mondo, non hanno ancora compiuto trent’anni. Tra gli attuali primi 30, solo quattro giocatori sono nati prima del 1980, dodici negli anni ’90 e due dopo il 1998. La distribuzione dell’età dei più forti negli scacchi è incredibilmente simile a quella dei vertici del tennis.

Curve d’invecchiamento simili

La curva d’invecchiamento nel tennis si presta a una facile spiegazione. I giocatori possono iniziare a scalare la classifica al raggiungimento della maturità fisica verso la fine dell’adolescenza. Continuano a migliorare tra i venti e i trent’anni beneficiando di maggiore esperienza e di un fisico allenato per sopportare qualsiasi sollecitazione. Poi subentra il deterioramento fisico, i cui effetti iniziano a sentirsi verso i trent’anni, aumentando con il passare del tempo.

C’è naturalmente un fondo di verità in questo. Non importa quanto sia rilevante l’aspetto mentale, è difficile rimanere competitivi se si è perso in velocità o resistenza. E diventa ancora più dura con dolori cronici alla schiena o alle ginocchia.

Ma l’analogia con gli scacchi rimane valida: se il tennis fosse un gioco mentale, con la concentrazione a giustificare gran parte della variazione tra giocatori di vertice, la curva d’invecchiamento sarebbe quasi identica agli scacchi.

I miglioramenti introdotti dalla scienza moderna nelle tecniche di allenamento, di alimentazione e di recupero dagli infortuni hanno portato – grazie alla riduzione degli effetti di deterioramento fisico – a un appiattimento della curva d’invecchiamento del tennis verso la fine dei venti e l’inizio dei trent’anni.

In altre parole, la mitigazione della componente di rischio fisico determina una traiettoria della carriera dei giocatori d’élite nel tennis ancora più simile a quella degli scacchi.

Uno sguardo in avanti

Al momento, è solo un’ipotesi. Si può essere d’accordo che sia molto intrigante, ma resta non dimostrata, e probabilmente è estremamente complessa da dimostrare.

Se una concentrazione sostenuta è un fattore così rilevante nella prestazione dei vertici del tennis, come riusciamo anche solo a identificarla? Il metodo più diretto sarebbe quello di evitare del tutto il campo e studiare esperimenti di misurazione della concentrazione dei più forti. Dubito però si possa convincere i primi 100 della classifica a passare una divertente giornata di test in laboratorio.

C’è tuttavia del potenziale di lungo termine, perché è quello che le federazioni nazionali potrebbero fare con le loro giovani promesse. Anzi, potrebbe essere che alcune lo stiano già facendo. Ad esempio, alcune squadre professioniste americane di baseball e pallacanestro prevedono test cognitivi per valutare giocatori da mettere sotto contratto.

No cavie da laboratorio

Purtroppo, non possiamo fare dei migliori giocatori del mondo delle cavie. Se considerassimo invece i risultati delle partite, potremmo provare a calcolare la concentrazione con un approccio simile a quello che ho adottato prima in nome della quantificazione della continuità (oops!).

Il precedente algoritmo provava a misurare la prevedibilità dei risultati di un giocatore, vale a dire capire se l’undicesimo migliore del mondo perde dai primi 10 ma batte tutti gli altri o se il suo rendimento è meno pronosticabile. Non è quello a cui siamo interessati ora, perché per definizione la continuità non è necessariamente positiva.

Si può però seguire un percorso simile. Con in mano uno o più anni di risultati, si potrebbe stimare il livello massimo di un giocatore, magari con la media dei suoi cinque migliori risultati (il miglior risultato in assoluto potrebbe dipendere da un infortunio dell’avversario, una sospensione per pioggia nel momento sbagliato o un altro episodio inusuale). Avremmo così definito il livello 10 nella scala da 1 a 10 di quel giocatore.

A questo punto, confrontiamo gli altri risultati con il suo massimo. Se la maggior parte è vicina a quel livello – cioè il giocatore con continuità di gioco che perde dai primi 10 ma batte tutti gli altri – sembra allora essere concentrato, almeno da una partita all’altra. Se invece accumula molte sconfitte nette, non riesce a sostenere il livello di cui lo sappiamo capace.

Conclusioni

Non è un metodo totalmente soddisfacente, come spesso accade quando si opera con statistiche riguardanti un’intera partita. Forse, si potrebbe fare ancora meglio con dati specifici sui colpi o generati da sistemi come Hawk-Eye. Con un approccio come quello descritto – stabilire un massimo come termine di paragone – si potrebbero analizzare la velocità o l’efficacia al servizio, la frequenza delle risposte in gioco, la conversione delle opportunità a rete, e così via.

Sarebbe complicato, in parte perché la bravura dell’avversario e la velocità della superficie hanno sempre la possibilità di incidere su quei numeri, ma credo valga la pena approfondire. Se ho ragione, se cioè il tennis non è solo un gioco mentale, ma è profondamente influenzato da una concentrazione sostenuta, l’impatto di lungo termine è sullo sviluppo dei giocatori. Scuole e allenatori dedicano già molto tempo alle strategie, usando anche idee derivate dalla psicologia. Sarebbe un passo ulteriore in quella direzione.

La componente mentale nel tennis, e nello sport in generale, resta un caotico groviglio di aspetti sconosciuti. E, visto che la nuova generazione di giocatori d’élite è alla ricerca di piccoli miglioramenti tecnico-tattici da cui ricavare un vantaggio, forse la componente mentale è davvero la prossima frontiera, quella che permetterà alle nuove leve di ribaltare l’ordine precostituito.

Rethinking the Mental Game

Idee rubate al golf: la Hall of Fame

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 24 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il terzo articolo della serie.

L’International Tennis Hall of Fame si trova a Newport, nello stato americano del Rhode Island. Newport è una cittadina molto affascinante del New England e la sua Hall of Fame, con una collezione di oggetti e artefatti anche storici, è decisamente tradizionale. Durante la settimana dell’investitura si gioca un torneo 250 sull’erba. L’edificio principale è coperto da edera. Pur relativamente piccola, è una struttura incantevole.   

Il contesto delle due Hall of Fame

Si arriva alla Hall of Fame guidando per Bellevue Avenue, la strada principale che attraversa il paese, ed è uno degli edifici che si incontrano in mezzo ad altri edifici. Sono andato a Newport una volta e ho notato la Hall of Fame solo sulla via di ritorno (ero di passaggio per altri motivi). All’incrocio successivo c’è il palazzo della Social Security Administration, mentre a un isolato di distanza si trovano un Dunkin’ Donuts e un CVS. Non ci si fermerebbe da quelle parti se non fosse per la Hall of Fame di tennis. 

La World Golf Hall of Fame è a St. Augustine, Florida, non lontano dal quartier generale di Ponte Vedra (dove si trova anche la sede dell’ATP). La Hall of Fame di Golf è parte del complesso che prende il nome di World Golf Village, una specie di Disney World per il golf in piccolo. Oltre allo spazio tradizionalmente dedicato alla Hall of Fame, con targhe e memorabilia, ci sono negozi, hotel, un cinema IMAX che proietta film totalmente estranei al golf e – fondamentale – due campi da golf.

C’è un gigantesco lago vicino agli edifici principali e i marciapiedi che lo circondano recano iscrizioni con i nomi dei giocatori entrati nella Hall of Fame. Con pochi dollari, si può anche acquistare uno dei mattoni del marciapiede e far incidere un messaggio personale prima che venga posto accanto al campione che si è scelto.   

Ci si arriva dalla I-95, seguendo indicazioni su cartelli dedicati al World Golf Village (chiamato in realtà World Golf Village Boulevard) e guidando poi su stradine per arrivare alle varie attrazioni. Non c’è nulla di emozionante negli edifici del complesso – per la maggior parte con facciate rosa Florida o imitazione di architettura spagnola – che non hanno di certo il fascino di Newport. Anzi, non hanno alcun tipo di fascino. Non ci sono altri insediamenti nelle vicinanze se non le caratteristiche case a schiera con tetto triangolare della Florida (per quanto in quartieri di piacevole contesto). 

Cosa può imparare la Hall of Fame di tennis dalla Hall of Fame di golf?

Lo dico per chiarezza, a me piace il fascino di Newport. Il World Golf Village invece non ha fascino. Chi lo ha costruito però ha deciso di sacrificare la bellezza estetica per un approccio creativo al tema della Hall of Fame. Il World Golf Village non è più solo un museo, ma è una meta turistica.

L’International Tennis Hall of Fame non è una meta. Ci si va se si è a Newport per altre ragioni, o nel vicino New England. Si programma di andare al World Golf Village e di rimanerci una settimana. Non ci si passa solo perché è capitato di essere già a St. Augustine.

Come mai è così? Non è solo una questione di località. St. Augustine è più vicina, ma è una città turistica, non una vera e propria città. Il World Golf Village è a 30-45 minuti a sud di Jacksonville e a 90 minuti abbondanti a nord di Orlando. È stato costruito nel mezzo del nulla in modo da non fare leva solo sulla popolazione della zona, ma per essere una destinazione principale. 

Ed è per questo che possiede tutti gli elementi di un’attrazione turistica. Ci sono ristoranti (come il Caddyshack, di proprietà di Bill Murray, attore dell’omonimo film ambientato su un campo da golf), ci sono posti in cui fermarsi pieni di foto di giocatori e campi da golf. Non sorprende che anche i posti in cui dormire siano a tema.

E ci sono altre cose da fare oltre a visitare il museo, come ad esempio giocare a lungo a golf sui due campi del World Golf Village, che prendono il nome di giocatori della Hall of Fame e che sono stati ideati con il loro aiuto.

L’International Tennis Hall of Fame non ha infrastrutture così dettagliate e quelle che ci sono comunque non rientrano in un’offerta di esperienza dedicata. Si può stare in un hotel, ma è semplicemente un hotel a Newport in cui chiunque può andare.

Ci sono campi in erba che ospitano l’ATP 250 e ci si può giocare per 120 dollari l’ora, ma non sono molti e non si possono prenotare tutto il giorno anche potendoselo permettere. E poi, visto dove si trova la Hall of Fame, perché si dovrebbe avere con sé una racchetta?

La necessità di abbandonare Newport

Non sono certo un paladino della Disney-ficazione, ma sono convinto che la International Tennis Hall of Fame debba volgere lo sguardo al World Golf Village, almeno in minima parte. Sfortunatamente, vorrebbe poter dire abbandonare Newport.

La Hall of Fame non ha sede a Newport per caso. Il primo campionato di singolare US National si è infatti giocato li nel diciannovesimo secolo. Da questo punto di vista, assomiglia alla Pro Football Hall of Fame a Canton, Ohio (dove è stata creata la NFL nel 1920), e alla popolarissima Baseball Hall of Fame a Cooperstown, New York (dove si dice sia stata giocata la prima partita di baseball di Abner Doubleday, anche se non è certamente vero). Canton non ha fascino, ma Cooperstown ne ha da vendere. L’immagine cittadina ruota completamente intorno alla presenza della Baseball Hall of Fame. 

Lo stesso si potrebbe dire della Hall of Fame di tennis, che però è uno sport più vicino al golf di quanto lo sia al football o al baseball. Nessun visitatore delle hall of fame di football o baseball penserebbe di raggruppare 22 o 18 persone per fare una partita (a meno di non essere genitori dei bambini iscritti alla Little League di baseball).

Al contrario, gli appassionati di golf in visita alla World Golf Hall of Fame vogliono sicuramente giocare a golf. E se andassi alla Hall of Fame di tennis, mi piacerebbe giocare sui campi dove giocano i professionisti, specialmente se sono campi in erba. Affinché succeda però, la Hall of Fame di tennis deve rientrare nei miei piani, non essere solo una visita di passaggio mentre sto andando da qualche altra parte.

Durante il secolo scorso il tennis è diventato troppo grande per Newport. Nel 1914 il campionato di singolare si è trasferito a New York (fino a diventare gli attuali US Open). La Hall of Fame è rimasta ed è diventata la sede di un ATP 250. Non mi è chiaro perché non venga organizzato anche un torneo femminile, visto che le donne sono tra i membri della Hall of Fame. Ci saranno di sicuro molteplici “ragioni” (cioè soldi), ma è comunque ridicolo. Anzi, fosse per me farei un evento congiunto uomini e donne durante la settimana di investitura, ma il problema è che nella struttura di Newport non ci sarebbe spazio.

Deve esserci da qualche parte nel mondo un altro complesso con più fascino del World Golf Village, che abbia una struttura dedicata al tennis, ristoranti e hotel sul posto e campi da tennis a dismisura. Anni fa ci fu una potenziale opportunità a Ponte Vedra Beach, in Florida, dove si trovano gli uffici dell’ATP. Quando fu costruita all’inizio degli anni ’90, la sede dell’ATP aveva molti campi con diverse superfici.

Sawgrass, dove si gioca il The Players Championship e dove si trova la PGA, è letteralmente in fondo alla strada. Il contesto è molto accogliente e sufficientemente lontano da Jacksonville da renderlo una destinazione. A pochi chilometri c’è anche l’oceano Atlantico. Poteva essere un sito perfettamente adatto a creare una International Tennis Hall of Fame di grande portata, senza che diventasse l’equivalente di Disney World.

Una metà turistica con richiami storici

Purtroppo, anche a causa della struttura di allenamento della USTA a Orlando, quei campi furono poco utilizzati e poi venduti (o affittati) a una scuola privata locale, che li ha completamente asfaltati per la squadra di tennis del liceo. La sede dell’ATP è ora in un bell’edificio circondato da alberi dalla parte opposta della strada.

Non nego che potrebbe essere arduo trovare un complesso con lo stesso fascino di Newport ma che possegga anche gli elementi di cui si è discusso, e sospetto che sia quasi impossibile negli Stati Uniti, in particolare se si tiene conto di un sito con importanza storica per il tennis. Ma la Hall of Fame di tennis non deve per forza essere negli Stati Uniti – dove si trovano le altre Hall of Fame – perché il tennis è uno sport veramente internazionale.

Il golf si è impegnato a rendere la sua Hall of Fame una meta turistica. Non servivano richiami di tipo storico ed è stata costruita essenzialmente dal nulla. Per il tennis questo sarebbe un po’ ambizioso, ma suggerirei maggiore flessibilità sugli aspetti storici, perché gli appassionati sono più interessati all’esperienza di visita della Hall of Fame di quanto non lo siano della storia legata alla sede. E invece che promuoverla con slogan come “Mentre siete in zona…”, perché non “Portatevi la racchetta…”?

Stealing Ideas from Golf: The Hall of Fame

Idee rubate al golf: il consolidamento

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 9 giugno 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il secondo articolo della serie.

Questa volta non parlo solo di idee rubate al golf…certamente non nel modo in cui ho fatto negli altri due interventi sull’argomento. Anche in questo caso però sono idee che provengono dal golf e per le quali ho individuato un collegamento non golfistico. Non vedo quindi la necessità di suddividerle in più articoli solo per non uscire dallo schema originario delle idee rubate al golf.

La tematica di fondo qui è il consolidamento, principalmente del marketing e degli aspetti televisivi. Si può pensare che marketing e televisione siano la stessa cosa, e certamente c’è della sovrapposizione, ma la televisione è solo uno dei piani di azione del marketing. Servono anche idee di marketing.

Il consolidamento nel marketing e negli aspetti televisivi

Iniziamo con la parte non relativa al golf, perché di fatto conduce poi alle altre idee rubate al golf.

1) Consolidare il circuito maschile (ATP) e quello femminile (WTA)

Se è vero che nel golf il circuito maschile (PGA) e quello femminile (LPGA) sono separati, ci sono buone ragioni affinché i due circuiti nel tennis dovrebbero essere uniti. Non ho la pretesa di elencarle tutte, mi limito alle tre per me più importanti.

Il consolidamento è potenzialmente in grado di portare i tifosi sul gioco, non tanto e solo sui protagonisti. Nell’articolo introduttivo, ho raccontato di come al centro commerciale vicino al posto in cui abito si sia quasi assaliti dalla quantità di attrezzatura per il golf, mentre sono richieste capacità da segugio per trovare le palline da tennis. Serve promuovere il gioco, non solo i campioni.

La PGA e la LPGA vogliono che alla gente piaccia il golf, perché così facendo le persone giocano, guardano i tornei e ammirano i giocatori. Tutti i giocatori. C’era lo stesso entusiasmo per la vittoria al The Players Championship di Webb Simpson di quella che ci sarebbe stata se avesse vinto Rory McIllroy, perché Simpson è stato il migliore durante quella settimana. Il golf vuole che sia Jordan Spieth il futuro campione, ma non serve che vinca tutte le settimane perché si parli dei tornei di golf.

Il tennis professionistico ha ottenuto il risultato opposto. Le sorti dell’ATP sono così collegate a Roger Federer e Rafael Nadal – e quelle della WTA a Serena Williams e forse anche Venus Williams, a Maria Sharapova o Victoria Azarenka – che è difficile trovare un tifoso occasionale disposto a guardare partite di altri giocatori.

Se da un lato sono ormai anni che questo concentrato di campioni mantiene viva l’attenzione su entrambi i circuiti, dall’altro sembra che il tennis si stia sforzando di far emergere la nuova generazione nella speranza che diventi un valido sostituto dei grandi nomi del momento (anche se, qual è la probabilità di un’altra era subito dopo questa che esprima lo stesso livello di grandezza?).

I circuiti di golf professionistico fanno un buon lavoro di auto promozione. E, per il bene del golf, non hanno nemmeno timore di promuoversi a vicenda. Non occorre andare oltre i rispettivi siti internet per capirlo: sulla pagina iniziale di entrambi c’è un collegamento diretto all’altro sito chiaramente identificabile.

L’ATP e la WTA invece? Al quinto tentativo, sono riuscito a trovare un collegamento al sito della WTA in fondo alla pagina del sito dell’ATP, in tonalità meno facilmente leggibile e accanto alle informazioni sul copyright. Al terzo tentativo, ho trovato sul sito della WTA il link al sito dell’ATP posizionato praticamente nello stessa punto. Si è trattato per me di una piccola vittoria, la prima volta in cui riuscivo a trovare un’informazione sul sito dell WTA in meno di tre tentativi.

Sono convinto che non venga fatto il giusto lavoro per valorizzare il gioco del tennis, e consolidare le due organizzazioni darebbe più opportunità di introdurre lo sport come una sola entità. Di nuovo, serve promuovere il gioco, non solo i campioni.

Quindi, l’ATP e la WTA non devono consolidarsi per raggiungere l’obiettivo se la PGA e la LPGA ci riescono pur rimanendo separate (grazie anche all’aiuto di associazioni dilettantistiche). Nulla da dire, ma qual è la probabilità che l’ATP e la WTA trovino un accordo, in quanto entità con organi di governo distinti, per perseguire la stessa linea direttiva? Non c’è mai stata grande volontà di procedere nella medesima direzione, visto che ciascuna organizzazione lavora per il raggiungimento dei propri scopi.

2) Il consolidamento delle due organizzazioni permetterebbe un maggiore potere (e fornirebbe una maggiore spinta) negoziale per ottenere diritti televisivi o di streaming più unificati

Sia l’ATP che la WTA hanno faticato a capire come confezionare con precisione la loro offerta televisiva. La nascita e successiva diffusione di Tennis Channel negli Stati Uniti è stata per loro una vera manna dal cielo.

Finalmente dava modo a tutti gli appassionati in quel mercato di smettere di inveire davanti alla televisione con frasi del tipo: “Perché trasmettono Serena che annienta Annika Beck quando Azarenka e Sloane Stephens sono 6-6 al terzo set? ODIO ESPN!”. E mi capitava di inveire solo poche volte all’anno, perché poche erano le volte in un anno in cui il tennis veniva trasmesso.

Il tennis aveva praticamente il suo personale The Golf Channel. Ma si è trattato di una luna di miele molto breve, come spesso accade quando soldi (e alternative) fanno il loro ingresso. La WTA è uscita da Tennis Channel nel 2017 (tranne che per il torneo di Charleston e alcuni degli eventi in congiunta con gli uomini).

Il risultato? Non si è potuto vedere il tennis femminile con frequenza regolare – negli Stati Uniti – per un periodo dai sei ai nove mesi. A un certo punto la WTA ha annunciato di aver venduto i diritti a beIN Sports, emittente nota principalmente per le partite di calcio. Capisco che beIN abbia un seguito di rilievo in alcune aree del mondo, ma molti appassionati non hanno accesso al loro canale.

Io non l’avevo nemmeno mai sentito. Dopo un po’ di ricerca, ho saputo che potevo aggiungerlo al mio abbonamento via cavo per una canone mensile addizionale (penso sui dieci dollari). Gli spettatori però continuavano a lamentarsi del fatto che beIN interrompeva il tennis femminile per non perdere l’inizio delle partite di calcio. Dieci dollari al mese per questo trattamento? No grazie.

Tennis Channel, Tennis TV, ESPN e WTA TV

Per quanto riguarda l’ATP, Tennis Channel mantiene una forte presenza, ma nelle settimane in cui si gioca su più fronti, può succedere di non rendersene conto, perché spesso Tennis Channel possiede i diritti solo per un torneo.

C’è inoltre Tennis Channel Plus, che offre ulteriori partite in diretta. È un servizio in abbonamento, per circa 7.50 dollari al mese con sottoscrizione annuale (con rinnovo automatico di cui ci si ricorda ovviamente il giorno dopo in cui è avvenuto l’addebito). Tennis Channel Plus ha la funzione on-demand che, se fino a un paio di anni fa consentiva di vedere quasi tutte le partite con questa modalità, ora impone di affrettarsi. Ad esempio, è possibile vedere virtualmente tutte le partite del torneo di Barcellona 2018, solo però fino a due settimane dopo la finale.

Ci sono poi i canali streaming dei due circuiti. La WTA TV costa circa sei dollari al mese con sottoscrizione annuale (e rinnovo automatico). Sostiene di trasmettere all’anno 2000 partite in diretta (tranne in presenza di restrizioni geolocalizzate, che a quanto pare al momento intervengono solo per la Cina). Per la stagione in corso, la WTA TV non trasmette solo sette dei tornei del calendario (e non comprende nessuno degli Slam). È un’offerta valida. Ha partite on-demand, che però scadono dopo tre giorni. Beh, è assurdo. Può davvero essere un problema di grandezza del server?

Il canale dell’ATP è Tennis TV che, ai fini del consolidamento, avrebbe già fortunatamente il nome giusto. Qui si va sui 14.99 dollari al mese, con sottoscrizione annuale inferiore (è necessario registrarsi per sapere di sia il costo esatto, ma ipotizzo aggirarsi intorno ai cento dollari). Sostiene di trasmettere 2000 partite in diretta e “fino a” 64 tornei, esclusi gli Slam e la Coppa Davis. È un buon compromesso. Non ho fatto l’abbonamento, ma mi sembra che ci sia una folta sezione di partite on-demand.

Le restrizioni geolocalizzate sono più importanti, specialmente in alcuni paesi, anche se negli Stati Uniti è bloccato solo il torneo di Washington (queste restrizioni sono un mistero, visto che c’è una connessione tra restrizioni a livello di paese e tornei locali. Vivo in Florida, ma non posso vedere Washington? Chi abita a Brisbane non può vedere Sydney? Non ho idea di quante persone guidino dieci ore per andare a un ATP 500 o 250, ma escluderli dalla visione di certo non li spinge a mettersi in macchina o a prendere un’aereo).

Aspettate un attimo, anche ESPN possiede i diritti di alcuni tornei, anche tramite ESPN2. A volte però ESPN non trasmette l’evento via cavo, perché preferisce altro (specie se non gioca Serena, Sharapova, Federer, Nadal o Murray). In quel caso serve verificare se c’è su WatchESPN o ESPN3 (o come viene chiamato). Lo stesso per gli Slam, che sono su altre reti, come il Roland Garros molto saltuariamente trasmesso dalla NBC. Non conosco se la situazione a livello internazionale sia più unificata.

Sembra che entrambi i circuiti generino risposta dalla maggior parte dei tifosi, anche se ci sono sicuramente preferenze per l’uno o l’altro. Da accanito spettatore televisivo, sento di aver bisogno del cavo, di Tennis Channel Plus, della WTA TV e dell’ATP TV per vedere ciò che voglio vedere. Al momento, ho solo l’abbonamento via cavo e quello a Tennis Channel Plus, quindi – tranne gli Slam – non vedo quasi nulla del tennis femminile. E non è quello che desidero.

Anche in presenza di quest’offerta, è comunque necessario orientarsi con attenzione per capire quali partite vengono trasmesse su quale emittente. E questo per il privilegio di dover pagare circa 300 dollari all’anno? Saltando da un canale all’altro è inevitabile perdersi qualche partita, bisogna quindi fare attenzione a quali perdere. Sulla WTA TV le partite on-demand non sono più disponibili dopo tre giorni. Tennis Channel Plus potrebbe (o non potrebbe) toglierle dopo un determinato periodo di tempo, etc.

In sintesi: troppo lavoro e troppi soldi da investire. Lo sforzo è tutto incentrato nel fare in modo che le persone paghino per vedere un prodotto in televisione, anziché trovare modi per portarle a guardare lo sport, da cui una maggiore diffusione, un aumento dei ricavi pubblicitari, etc.

PGA e LPGA

Pur non avendo il golf consolidato le organizzazioni della PGA e LPGA, i diritti televisivi di ciascun circuito in particolari regioni sono unificati. Ad esempio, negli Stati Uniti gli eventi della PGA e LPGA vengono trasmessi o dalla NBC o da The Golf Channel, che è posseduto dalla NBC. Passare da uno all’altro non crea normalmente alcun problema.

Essere sotto la stessa proprietà permette a una rete di promuovere l’altra. Ad esempio, se si guardano le partenze della mattina su The Golf Channel, ma bisogna poi mettere sulla NBC per vedere i migliori in azione, The Golf Channel è autorizzato a dirti dove andare per il resto della telecronaca. Tennis Channel invece non può farlo quando deve interrompere la trasmissione, perché è NBC (o qualcun altro) ad avere i diritti per continuare.

Di recente guardavo una partita del Roland Garros su Tennis Channel Plus. Caroline Garcia serviva contro Irina Camelia Begu e portandosi sul 15-0. All’improvviso, letteralmente in un battito di ciglia, le immagini vanno su una replica del Monte Carlo Masters perché dal quel momento è subentrata la NBC. Ero disorientato e pensavo che qualcuno avesse cambiato canale per sbaglio e che saremmo prima o poi tornati su Parigi. Nessun annuncio, nessun messaggio sullo schermo. Ho impiegato un quarto d’ora per ritrovare il Roland Garros e ovviamente non ho potuto vedere la fine della partita tra Garcia e Begu.

È ovvio che siano stati negoziati accordi esclusivi per altre regioni ma, a grandi linee, non dai due ai quattro in ciascuna regione. La PGA va in streaming anche su PGA Tour Live (per quanto ne sappia, la LPGA non offre il proprio servizio di streaming).

Un pacchetto diritti come nel golf

Il tennis potrebbe imitare esplicitamente il golf, con un pacchetto di diritti per ciascun circuito e suddiviso per regione, che non richiede di dover affrontare la problematica del consolidamento delle organizzazioni.

Qui però penso che il tennis abbia un vantaggio sul golf. Non c’è infatti un grande divario di popolarità tra uomini e donne. Anzi, non saprei dire quale tra i due circuiti sia, a livello mondiale, il più seguito, e la comunità Twitter sembra equamente divisa.

Il partito dei montepremi differenziati (non è adorabile sapere che ci sono persone a favore della disuguaglianza?) sostiene che il tennis maschile sia più popolare. L’ATP ha i Fantastici Quattro e la WTA ha la Fantastica, quindi si intuisce da dove arrivi quella tesi. Ma Tennys Sandgren richiama più appassionati di giocatrici con classifica simile come Sorana Cirstea, Lucie Safarova o CeCe Bellis? Ne dubito, anche negli Stati Uniti. Se il tennis promuovesse lo sport invece di cinque dei suoi giocatori, forse non ci sarebbe alcun divario di cui parlare.

Sto andando un po’ fuori tema. Non credo però che nessuno possa avere argomentazioni convincenti sul fatto che la distanza di notorietà tra i due circuiti del tennis sia maggiore di quella esistente tra la PGA e la LPGA.

Proviamo a pensare se l’ATP e la WTA facessero una promozione reciproca del tennis – o lavorassero ricevendo direttive in un singolo contesto di riferimento – sostenendola con un pacchetto televisivo unificato. Avrebbero una posizione negoziale più forte data dall’agire insieme, modalità che fa dello sport un organismo più grande della somma delle sue parti.

Potrebbero essere offerti diritti a una sola rete per regione, inclusivi delle partite di entrambi i circuiti, e un servizio di streaming onnicomprensivo con un solido archivio on-demand (Tennis TV è un nome molto facile da ricordare). Direi che è molto più efficace rispetto alla scelta che ho dovuto fare, cioè seguire i risultati dell WTA tramite Twitter e guardare le partite maschili su Tennis Channel o Tennis Channel Plus.

Semplificare i diritti televisivi è possibile anche senza consolidare le organizzazioni, ma più complicato. La separazione dei due circuiti – e le dinamiche storiche della loro interazione – rende molto meno probabile che ci sia una convergenza di intenti per concludere quel tipo di accordi.
Non c’è ragione per cui le varie emittenti continuino a dividere e conquistare, ancor meno che i due circuiti debbano pensare indipendentemente a una miriade di canali per un prodotto analogo.

3) Logistica

Dovesse esserci un consolidamento, presumo che saremmo poi di fronte ad almeno due livelli di governance per ciascun circuito, uno relativo agli organi di governo effettivi (come il consiglio di amministrazione), all’interno dei quali forse si otterrebbe ragionevolezza di pensiero. L’altro mi aspetto che sia l’approvazione dei giocatori, cioè la fonte più probabile di problemi.

Non ho affermato che in futuro ci sarà un consolidamento, ma la ritengo una buona idea.

Seguirebbero complicazioni logistiche a naturale conseguenza, come in qualsiasi accorpamento di questa entità, ma il tema qui è l’idea di fondo, non i singoli dettagli, perché si riesce sempre a sistemare i singoli dettagli in presenza di unità d’orientamento sulle grandi idee.

Vedo obiezioni sollevate da ciascun gruppo d’interesse, fondamentalmente del tipo “ci sono aspetti specifici che differenziano il tennis maschile da quello femminile e viceversa”. A me sembra fuorviante. I circuiti sono strutturati praticamente allo stesso modo, perché si gioca con le stesse regole, sulle stesse superfici, con le stesse racchette, palline e campi. Non è che la linea del servizio viene spostata come succede con i tee di partenza nel circuito femminile di golf.

Certo, tra gli uomini non ci si deve preoccupare della classifica protetta durante la maternità, ma cosa importa? Verrebbero creati comitati interni per gestire qualsiasi problematica specifica di genere. Le regole relative alla classifica protetta per le tenniste madri sarebbero irrilevanti per gli uomini, non un impiccio.

Invece le questioni che affliggono il tennis su scala globale dovrebbero essere affrontate a livello di consiglio di amministrazione, con l’obbligo di equa ripartizione di membri tra donne e uomini (e inizialmente lo stesso numero di risorse provenienti dalle organizzazioni correnti).

Si smetterebbe di discutere del perché le donne possono chiamare l’allenatore in campo e agli uomini è vietato. Non sarebbe più una sorpresa vedere una donna arbitrare una partita maschile. E, si spererebbe, la disparità di premi partita tra i due circuiti sarebbe storia passata (un argomento che anche Nadal ha riproposto, un po’ inelegantemente).

Temo che l’ATP rappresenterebbe l’ostacolo maggiore. Se il motto è di andare la dove sono i soldi, con una singola strategia di marketing e diritti televisivi consolidati si otterrebbero più ricavi per tutti gli attori coinvolti. Si desidera una fetta grande di una torta piccola o una fetta più piccola ma di una torta decisamente più grande? Si vuole che sia lo sport a crescere o che le persone riescano a ricordare i nomi di meno di dieci giocatori del circuito? Nel gergo delle operazioni azionarie e di Fusione e Acquisizione, si parla di accrescimento, che è l’opposto di diluizione.

Se nulla di questo vi convince, almeno la WTA emergerebbe dal consolidamento con un sito internet decente, perché non c’è possibilità che wtatennis.com sopravviva alla fusione.

Se ci riescono Flavia Pennetta e Fabio Fognini, Dominic Thiem e Kristina Mladenovic, Stanislas Wawrinka e Donna Vekic, perché non l’ATP e la WTA?

Stealing Ideas from Golf (sort of): Consolidation

Idee rubate al golf: posti a sedere e ambientazione*

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 27 maggio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

(*nella versione originale, il gioco di parole del titolo è tra “seat” – il posto a sedere in un evento – e “setting” – l’ambientazione o contesto dell’evento – n.d.t.)

Il primo articolo della serie.

É già apparsa la folla al Roland Garros 2018, ma i posti a bordo campo, quelli più esclusivi, rimangono vuoti. Non è una circostanza insolita, basta guardare un torneo 250 e si assiste allo stesso fenomeno quando sui campi principali si giocano i primi turni. Sono posti spesso acquistati da aziende e altre organizzazioni, nell’ambito di sponsorizzazioni o pacchetti ospitalità.   

Al di la del negare ai meno abbienti la facoltà di essere più vicini al campo, è l’atmosfera della partita a risentirne pesantemente. Quando gli appassionati più calorosi sono costretti a una crescente lontananza fisica dal gioco, il supporto motivazionale che possono dare ai giocatori si dissolve velocemente. Un effetto secondario è quello per cui un telespettatore occasionale si ritrova a pensare – nel momento in cui capita sulla partita e vede i posti vuoti – che se nessuno la sta guardando dal vivo, allora non è così interessante da guardare nemmeno in televisione. 

A questo proposito, cosa può imparare il tennis dal golf?

In primo luogo, uno dei maggiori elementi attrattivi del golf è il contesto in cui viene giocato. Sebbene rifletta un approccio artificioso alla natura (e anche ad alto impatto ambientale), è difficile rimanere impassibili al richiamo dei grandi percorsi del mondo. Anche chi non ama il golf come sport, comunque apprezza la libertà che offre di muoversi intorno all’evento, socializzare, prendere il sole, bere in compagnia, etc. È una bella esperienza all’aperto.

Anche il tennis si gioca in un contesto piacevole ma, nella maggior parte dei casi, gli stadi ostacolano la fruizione della bellezza. Ci sono alcuni tornei, ad esempio Monte Carlo, dai cui si possono vedere le barche veleggiare in mare. In generale però, si è intrappolati dalle strutture. 

In secondo luogo, quasi tutti i biglietti di un torneo di golf consentono la mobilità che nel tennis equivale al ground pass, cioè l’accesso ai campi non principali e con posti non assegnati. Nel golf si può andare in qualsiasi buca, non importa chi la stia giocando, e si può farlo tutto il giorno.

Nel tennis, i pacchetti variano a seconda del torneo, ma spesso sono strutturati in questo modo: oltre ai ground pass, ci sono accessi specifici per determinati campi televisivi che includono anche i ground pass (nel caso del Roland Garros Lenglen e ground pass, o Chatrier e ground pass, ma no Lenglen e Chatrier e ground pass) e poi gli accessi esclusivi per i posti migliori di tutti i campi. I posti esclusivi sono tipicamente quelli a bordo campo o i più vicini nel campo di appartenenza e, come visto al Roland Garros 2018, sono in larga parte vuoti nei primi turni.

Nel golf invece, i posti esclusivi sono solitamente al di sopra della buca e chi guarda in televisione non percepisce l’eventuale assenza di spettatori, perché all’altezza della buca è sempre pieno di persone.

Per i tornei che prevedono partite in notturna, nel tennis vengono spesso venduti biglietti separati per ciascuna sessione, diurna e serale. Provate a pensare se nel golf, nei primi due giorni di gara (giovedì e venerdì) si dovesse far entrare i possessori dei biglietti del secondo gruppo di partenti dopo aver fatto uscire quelli del primo gruppo.   

Idee varie per gli organizzatori

1) Considerare il biglietto per un determinato giorno valido per l’intero giorno, con la possibilità di muoversi per tutti i campi, tranne precise eccezioni. Non si deve pagare di più per vedere Rafael Nadal giocare contro un ripescato. Per quanto sia interessante vedere Nadal, i veri appassionati vogliono assistere a una buona partita.

Non pago in più per vedere la partenza di Rory McIlroy, perché dovrei pagare di più per vedere Caroline Wozniacki giocare un primo turno (perdonatemi per quello che starete pensando su questo esempio)?

2) Non programmare partite prima dei quarti di finale su campi con posti riservati a pacchetti aziendali. Sembra essere meno importante se ai possessori di biglietti ordinari è consentito l’accesso a quei campi, perché possono comunque vedere un grande giocatore con un biglietto normale, ma devono potersi avvicinare al campo se i possessori dei biglietti aziendali non sono ancora arrivati dopo la fine del primo set.

Per le ragioni esposte in precedenza, si vuole sempre vedere i posti a bordo campo pieni, per generare seguito e dare l’impressione che sia una partita fantastica (anche se non lo è). Originariamente, il Superdome di New Orleans aveva i seggiolini di diversi colori, in modo da far sembrare che fosse sempre pieno.

Immaginate di girare sulla diretta del Byron Nelson Classic e non vedere nessuno spettatore alla buca 15: non pensereste “Ah, devo proprio guardare quest’evento?”

Gli organizzatori sarebbero preoccupati di dover abbassare il prezzo dei pacchetti esclusivi, se comprendono meno partite. Forse, ma la maggior parte dei possessori di questi biglietti comunque non si presenta prima dei quarti di finale, quindi possono ricevere l’equivalente di un ground pass per i primi giorni.

E, onestamente, chi compra biglietti già molto costosi non nota la differenza di prezzo. Se riescono a vedere partite importanti nei turni preliminari, vale certamente la pena. 

Un altro problema generato da questa idea è la ben più ridotta capacità dei campi esterni, che si traduce nell’impossibilità per il torneo di ricevere lo stesso numero di persone, da cui il conseguente declino nei ricavi da biglietti. Ne parlo meglio in seguito.

3) Invece di vendere i biglietti a bordo campo come pacchetti esclusivi per le aziende, adottare il modello introdotto dalla NFL e in altri sport (in Italia nel calcio ad esempio, n.d.t.) e prevedere gli skybox, dei posti di lusso protetti, con visuale da metà altezza e amenità accessorie. Perché si rivolgono a persone che non seguono il tennis con estrema regolarità e subiscono più il richiamo sociale dell’evento che quello tecnico della partita. 

Gli organizzatori possono comunque far pagare di più posti individuali più vicini al campo, così come i posti dietro casa base nel baseball costano di più, o quelli solitamente occupati da Jack Nicholson accanto alla panchina dei Los Angeles Lakers quando giocano in casa. Sono però appassionati presi dalla partita e dallo sport. Tifano, non si trovano li solo per socializzare e fare bella figura con i clienti.

Il campo da tennis come un anfiteatro

4) Ed ecco l’idea più radicale. Abbandonare gli stadi tradizionali e la classica suddivisione dei posti a sedere, tranne forse per uno stadio per le fasi finali più importanti (quarti, semifinali e finale) nei tornei più rilevanti. Ogni campo invece dovrebbe essere al centro di un anfiteatro (di forma rotonda), con un prato che ha la giusta pendenza per favorire la visibilità e, se necessario per determinati contesti, posti esclusivi più elevati.

Pensiamo alla buca 18 al The Masters o al The Player Championship. I veri appassionati di golf praticamente circondano i giocatori durante la loro permanenza alla buca. Strutture temporanee tipo gazebo, per i possessori di pacchetti aziendali, vengono montate in posizione elevata dietro alle persone a livello della buca, in modo da garantire comunque ottimi posti ma con aria condizionata e abbeveraggio illimitato. Se poi vogliono scendere a visitare la buca 16 (o qualsiasi altra), possono comunque farlo, oppure rimanere nella comodità della tenda.

I tifosi di golf rispettano il gioco in estremo silenzio, ma la prossimità al centro dell’azione e applausi e incitamenti tra un colpo e l’altro danno una carica tremenda ai giocatori (e, da qui, agli altri tifosi). Apprezzano di essere immersi nella natura e di avere una vista a 360 gradi. In televisione è tutto bellissimo e ti fa desiderare di essere li. E questo al giovedì, solo il primo giorno di competizione. 

E se anche il tennis facesse così? Si avrebbe la stessa energia. Si avrebbe la stessa percezione che è esattamente quello che deve essere offerto alle persone che spendono soldi per uno spettacolo, di qualsiasi natura.

Sarebbe facile acquistare biglietti: o si rientra tra le aziende acquirenti dei posti esclusivi nei gazebo o, se non lo si è, il prezzo è unico e non serve preoccuparsi della scelta dei posti, di comprarne quattro vicini, etc. Ci si può spostare facilmente da un anfiteatro all’altro, riducendo la coda per entrare e uscire.

È un aspetto importante, visto che molto spesso alla ripresa del gioco occorre aspettare che l’afflusso e deflusso degli spettatori sia terminato: le interruzioni quindi non arrivano da comportamenti irrispettosi, ma dal movimento delle persone.

I possessori di pacchetti aziendali sono comunque sistemati in ottima posizione e con ospitalità esclusiva, possono vedere un po’ di tennis e socializzare. E la loro eventuale assenza nei primi turni non solo non è ripresa in televisione, ma non priva dell’energia che il contorno delle persone imprime all’evento.

In molti (se non in tutti) i contesti di tennis, un anfiteatro permetterebbe agli spettatori accesso alla bellezza del paesaggio circostante, così preponderante nei tornei di golf. Non sono sicuro come si possa fare in città tipo Atlanta, visto che il torneo è fisicamente situato in un’area di parcheggio del centro, ma deve esserci un’alternativa (ad esempio spostarlo oltre l’autostrada almeno fino a Piedmont Park, una specie di Central Park di New York con una bella visuale sui grattacieli di Atlanta).

In termini di vendita di biglietti, una sistemazione ad anfiteatro è molto più flessibile rispetto a campi con tribune scomode e di ridotte dimensioni, è più facile da gestire e darebbe ingresso a un numero di persone molto più alto di quello attualmente possibile nei campi secondari di un torneo di tennis.

Ciò non significa che non possano esserci tornei con posti a sedere classici da stadio (introducendo comunque alcune delle idee appena discusse) o in strutture al coperto dove è troppo freddo per lo stile anfiteatro. Preferirei vedere stadi come il Campo 1 (l’Arena) del Roland Garros, purtroppo ci si sta muovendo in direzione opposta.

Continuano a essere costruiti stadi o coperture mobili sopra quelli presenti, rendendo i tornei più suscettibili alle problematiche esistenti, tranne forse le condizioni meteorologiche.

In caso di pioggia, l’anfiteatro potrebbe essere parzialmente coperto, nella maniera in cui accade per le sedi dei concerti. È un ottimo esempio per dare credito all’idea: se vi fosse chiesto di scegliere tra un anfiteatro e il centro polifunzionale locale, quanti di voi preferirebbero quest’ultima soluzione?

Problemi di ordine pratico

Naturalmente, ci sono sostanziali problemi di ordine pratico nell’attuazione rapida di questa idea, visto che implica modifiche radicali alle infrastrutture esistenti di ogni torneo professionistico. Non deve però avvenire all’istante. Invece di pensarla come un’idea da demolizione totale, per avviare la procedura si potrebbe intenderla in due fattispecie mirate: 

  • i tornei che entrano in calendario a sostituzione di tornei in scadenza dovrebbero pensare a innovare con una visione non tradizionale che incorpori queste idee (o altre);
  • quando le sedi di tornei esistenti sono costrette a rinnovare, devono innovare. Il Roland Garros lo ha fatto poco, anzi ha fatto di più per portare avanti la tendenza attuale, anziché cambiare. Sono stati demoliti due dei campi più raccolti (negativo), e coperto uno stadio esistente per protezione dal meteo (ci può stare), preferendo chiaramente strutture imponenti a stadi come l’Arena (questo non riesco proprio a mandarlo giù). Però è in costruzione un nuovo campo che sfrutta i vantaggi dell’ambiente naturale fornito dai giardini botanici di Auteuil. Non è esattamente un anfiteatro, ma meglio che erigere un altro Chatrier o Lenglen. 

Stealing Ideas from Golf: The Se(a)(t)ting

Idee eccentriche: il tennis dovrebbe diventare come il golf?

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 26 maggio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Tempo fa, nel circolo dove gioco a tennis ho sentito qualcuno dire: “Il nostro sport sta morendo”. Un salto da Academy Sports ha confermato quest’impressione: mentre un’intera sezione dell’enorme spazio commerciale era dominata da attrezzatura per il golf di qualsiasi tipo e ordine, dopo ben due giri del negozio non avevo ancora trovato le palline da tennis.

Erano nello scaffale più alto di fronte al lato più lontano della sezione riservata al golf, insieme a un paio di copri manico, circa una decina di racchette e una ventina di diversi gommini anti-vibrazione. Niente scarpe o abbigliamento tecnico. Al contrario, ho visto le palline da golf in almeno cinque punti del negozio (contando anche un tubo lasciato su uno scaffale dell’area campeggio).

Lo stato di salute del tennis

La mancanza di spazio espositivo in un negozio non significa che il tennis stia morendo, considerando la facilità con cui è possibile acquistare su internet prodotti dedicati, racchette di prova o altro. Certamente però non aiuta ad avvicinare più persone a questo sport, e mi ha fatto riflettere sulla preoccupazione di molti riguardo allo stato di salute del tennis quando campioni come Roger Federer, Rafael Nadal e Serena Williams si saranno ritirati.

Non si sente gli appassionati discutere del futuro del golf quando Tiger Woods o Phil Mickelson non giocheranno più (e non sembra mancare troppo). Perché c’è entusiasmo se si nomina Jordan Spieth mentre si rimane attendisti pensando ad Alexander Zverev? Nessuno nel posto in cui gioco sbaglia a pronunciare Spieth con “Spyth”, ma tutti dicono “Za-ver-a-vev” invece di Zverev.

Golf e tennis condividono molti aspetti. Entrambi sono sport individuali che in qualche occasione prevedono competizioni di squadra. Gli atleti hanno estrazione internazionale e ogni continente con insediamenti umani di rilievo contribuisce in misura significativa, anche se i tornei del circuito PGA si svolgono in maggioranza negli Stati Uniti.

Si gioca ogni settimana (con alcune eccezioni nel tennis) e la stagione è più lunga di quella della maggior parte degli sport. C’è una classifica a punti che assegna posti limitati per l’ultimo torneo dell’anno. Ci sono quattro Slam ufficiali e poi c’è n’è un “quinto” ufficioso.

Attraggono appassionati che sono anche praticanti e, in molti casi, veicolano l’entusiasmo per lo sport. E così via. Naturalmente, ci sono anche molte differenze importanti, come ad esempio lo svolgimento dei tornei e la sede in cui vengono giocati.

Lo spunto offerto dal circuito PGA

Considerando le somiglianze e il successo ottenuto dal PGA Tour nel promuovere il golf professionistico maschile, credo abbia senso prendere spunto dal circuito PGA per capire come aumentare la popolarità del tennis.

In una serie di successivi articoli, spero di riuscire a proporre alcune idee perché ritengo che non ci siano validi motivi per cui il tennis debba avere un seguito così ridotto rispetto al golf. So già che sarà facile ridicolizzarle una per una, pur non sapendo nemmeno ora tutte quelle che mi verranno in mente.

Alcune entreranno nel filone della resistenza al cambiamento, altre in quello del mantenimento della tradizione, che è un po’ più sottile come concetto rispetto al precedente. Alcune non potranno avere fattibilità pratica. E anche se non credo che siano tutte buone idee, questo significa che non possiamo astenerci dal discuterne, perché il tennis ha proprio bisogno di essere scosso, e in fretta.

Il PGA Tour ha portato il golf maschile alla pari di giganti come l’NFL, l’NBA e l’MLB, elevandolo da sport secondario, il livello a cui sembra appartenere il tennis. Non so se il tennis possieda un simile potenziale per raggiungere il vertice gerarchico, ma sono convinto che possa avvicinarsi più di così.

Parzialità verso il mondo americano

A questo punto però devo confessare che le mie idee probabilmente soffriranno di parzialità verso il mondo americano, perché è la nazione in cui vivo e dove mi nutro di tennis.

Il tennis gode di maggiore popolarità fuori dagli Stati Uniti, ma lo stesso vale per il calcio. Se potrà sembrare che abbiano senso solo negli Stati Uniti, spero che qualcuno possa aggiungere quel tocco internazionale per aiutarmi nella comprensione.

Gli altri due articoli della serie.

Should Tennis Become Golf? (Crazy Tennis Ideas)

Una nuova statistica per misurare la fruizione visiva del tennis professionistico

di Rohan Rao // PrincetonSportsAnalytics

Pubblicato il 3 dicembre 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Negli ultimi tempi, organizzazioni come la NCAA (la lega collegiale americana) hanno cercato di incrementare l’audience televisiva del tennis introducendo modifiche al regolamento con l’obiettivo di ridurre la lunghezza delle singole partite.

La logica sottostante questi cambiamenti è di aumentare l’importanza relativa di ciascun punto in modo da rendere l’esperienza complessiva più emozionante. Ritengo sia una questione di primaria importanza per uno sport alle prese con un calo degli ascolti (la finale del singolare maschile degli US Open ha totalizzato 1.4 milioni di telespettatori in meno rispetto a quella dell’anno precedente).

Creare maggiore incertezza?

Creare più incertezza è davvero la soluzione migliore per attrarre pubblico televisivo o per accrescere l’emozione generata da una partita di tennis?

Stabilire quali siano esattamente le regole da modificare per consolidare la base di spettatori rischia di essere un compito improbo. Tuttavia, analizzando statisticamente la selezione dei colpi adottata dai giocatori in più partite di più tornei, è possibile a mio avviso elaborare un indice sostitutivo utile nel definire il livello di emozione o d’interesse di una partita e in grado di arricchire la comprensione della problematica.

Intuitivamente, si tratta di una misurazione dello scostamento della distribuzione nella selezione dei colpi rispetto alla distribuzione di colpi attesa.

Altri modelli utilizzano statistiche dipendenti dall’effetto che ogni punto produce sulla partita nel suo insieme. È sicuramente un approccio legittimo, che tenta di descrivere l’emozione in funzione della maggiore incertezza su quale sarà il giocatore a vincere la partita, ma che non è in grado di catturare l’eccitazione legata alla creatività e alla diversa prestazione in campo dei giocatori.

L’eccitazione deriva da giocate fuori dal comune, che hanno un ruolo importante nell’influenzare il giudizio sulla qualità della partita. Gli scambi considerati più belli sono infatti spesso oggetto di video che poi vengono condivisi sui canali social con effetto moltiplicatore (che, incidentalmente, è anche un modo per avvicinare nuovi appassionati al tennis).

Un modello per le giocate fuori dal comune

Definiamo un semplice modello come segue:

𝐺 è una variabile casuale che assume vettori nella forma

tale che

Intuitivamente, si può pensare a 𝐺 come alla rappresentazione numerica di una partita.

Introduciamo una conveniente trasformazione

definita come

dove D è {1, 2, …, 18}  e ai è l’elemento nella i-esima colonna. La trasformazione T converte semplicemente il vettore dei numeri nel vettore delle percentuali. Definiremo una nuova statistica 𝜑 come:

dove

è un’occorrenza osservata di 𝐺.

Valori più alti di 𝜑 danno indicazione di una partita più emozionante (è utile notare che si richiede solo una stima grezza del centro dei dati visto che l’indice in questione restituisce solo informazioni ordinali. In effetti, può andare bene qualsiasi misura del centro). Sviluppando il modello:

𝑇 (𝔼 (𝐺)) = [45.69, 36.16, 2.08, 9.529, 1.384, 1.52, 0.842, 0.057, 0.456, 0.614, 0.403, 0.745, 0.15072, 0.152674, 0.171139, 0.026, 0.015, 0]

𝔼 (𝐺) è stimato dall’insieme di dati a disposizione come

che rappresenta la stima secondo il metodo della massima verosimiglianza per µ di 𝐺, con 𝐺j i vettori casuali indipendenti e identicamente distribuiti con distribuzione di probabilità 𝐺.

Valori campione

La scelta di un vettore partita sulla base di dati reali restituisce i seguenti valori campione:

    • 1978 Pepsi Grand Slam – Semifinale – Borg vs Gottfried (6-2 6-4) = 41.5
    • 1990 US Open – Finale – Sampras vs Agassi (6-4 6-3 6-2) = 11.21
    • 2014 Australian Open – Finale – Wawrinka vs Nadal (6-3 6-2 3-6 6-3) = 9.34

Con più rovesci tagliati di qualsiasi altro colpo, la partita tra Bjorn Borg e Brian Gottfried presenta una deviazione dalla distribuzione standard della selezione dei colpi.

Quella tra Pete Sampras e Andre Agassi si è avvicinata di più al vettore atteso, mostrando tuttavia una deviazione in virtù della volontà di entrambi i giocatori di colpire rovesci a rimbalzo in topspin invece che rovesci tagliati.

La partita tra Stanislas Wawrinka e Rafael Nadal è andata vicino alle aspettative, con solo una percentuale più alta di dritti a rimbalzo in topspin. 

Qual è quindi il significato di 𝜑?

Da un punto di vista matematico, 𝜑 calcola la distanza tra i due vettori che rappresentano le distribuzioni trovando la norma del vettore differenza (differenza tra il vettore trasformato atteso e il vettore trasformato osservato).

Che tipo di delucidazioni può dare questo valore rispetto a una specifica partita?

In primo luogo, è un valido strumento per identificare quelle partite che si distinguono per la prevalenza di un determinato colpo. Alti valori di 𝜑 possono segnalare dinamiche di gioco atipiche (una prevalenza di volée ad esempio potrebbe indicare scambi più rapidi). Se si necessita di un’analisi più approfondita, si possono studiare gli specifici vettori oggetto di calcolo.

Il vettore trasformato osservato di gioco fornisce la distribuzione della selezione dei colpi durante la partita. La deviazione quadrata di ciascun componente può aiutare a individuare le differenze più significative tra vettore atteso e vettore osservato, utili per trarre conclusioni quantitative relativamente al tipo di colpi giocati e allo stile complessivo della partita.

Pur essendo un indice da cui ricavare molte informazioni, 𝜑 non tiene conto direttamente del posizionamento o della velocità dei colpi, entrambe caratteristiche in grado di incidere sullo stile e sul ritmo di gioco.

Tuttavia, avere maggiore comprensione del tipo di colpi che sono stati usati durante la partita conferisce una solida base statistica da cui dedurre informazioni su velocità e posizionamento.

In media, ad esempio, i colpi tagliati sono più lenti degli smash, e, sempre in media, i pallonetti sono più profondi delle volée. Il valore di 𝜑 può segnalare in quali partite trovare colpi con caratteristiche di velocità o posizionamento più interessanti e valevoli di ulteriore analisi con altre metodologie.

Il fattore sorpresa

Una perplessità che è stata sollevata riguarda la possibilità che alcune partite con alto 𝜑 siano in realtà più noiose di altre con basso 𝜑, aspetto che muoverebbe a sfavore di questa statistica nel catturare le partite interessanti.

Un amico ha portato come esempio una partita fatta solo di dritti, che potrebbe essere più noiosa di una con una classica distribuzione dei colpi. Lo scopo di 𝜑 non è di supportare definizioni soggettive di quanto una partita sia interessante. Sarebbe un approccio per cui è richiesto di identificare un’ideale distribuzione che porta alla “partita in assoluto più interessante”, ma che non è percorribile secondo un metodo davvero basato sulla logica.

Invece, 𝜑 è costantemente in grado di verificare in modo oggettivo lo scostamento dalla norma della modalità in cui è stata giocata una partita. Più è inaspettata, più risulta sorprendente.

E proprio su questo elemento di sorpresa si potrebbe fare leva per attrarre spettatori, visto che è un valore oggettivo da interpretare per classificare quanto una partita sia relativamente interessante. Molto spesso 𝜑 può essere indice di quanto sia emozionante ciascun punto (semplicemente perché non è quello che ci si attende).

Vale la pena sottolineare che l’unica garanzia fornita dal valore 𝜑 𝐺 è che 𝐺 è più irregolare di alcune 𝐺* tale che 𝜑 𝐺* < 𝜑(𝐺). Guarderei comunque con molto interesse anche una partita di soli dritti, ma se si è preoccupati che una partita del genere venga penalizzata per la sua omogeneità, si può introdurre una nuova statistica:

per la quale 𝜗 è massimizzata quando tutte le componenti del vettore partita osservato sono uguali, vale a dire nella partita con la distribuzione di colpi più perfettamente bilanciata. 

Esiti positivi

Ritornando al quesito iniziale, possiamo affermare che l’indice 𝜑 sia davvero in grado di riflettere il livello di eccitazione o di interesse che trasmette una partita?

Per certi versi, la risposta è positiva. L’idea di fondo è che eliminando alcuni dei vincoli presenti nel regolamento tennistico del “vincere con (almeno) uno scarto di due” è possibile aumentare le circostanze di un risultato a sorpresa, rendendo le partite a tutti gli effetti più combattute e nel contempo più veloci, ingredienti potenzialmente più accattivanti per conquistare nuovi spettatori.

Parallelamente, partite caratterizzate da un alto valore di 𝜑 avrebbero scambi creativi con colpi poco ortodossi che si presterebbero naturalmente a essere inclusi nei video che circolano sui social e che aiutano ad ampliare la base di spettatori (allo stesso modo in cui spezzoni di giocate memorabili favoriscono l’aumento del numero degli appassionati NBA perché più persone rimangono in estasi di fronte ai tiri impensabili di giocatori come Stephen Curry).

Le partite in cui gli scambi seguono dinamiche meno prevedibili possono essere più interessanti e regalare più emozioni. Sono entrambi aspetti da tenere in attenta considerazione, in ottica di lungo periodo, per migliorare la competizione.

Aumentare l’eccitazione

Allo stesso modo in cui è stato suggerito di eliminare la struttura con vittoria per scarto di almeno due punti nei game ai vantaggi, esiste un modo per incentivare dinamiche di scambio che aumentino il valore 𝜑 di una partita?

Una possibilità sarebbe quella di introdurre qualche tipo di vincolo temporale durante il punto, come ad esempio costringere il giocatore al servizio a provare a terminare lo scambio entro un determinato intervallo di tempo, pena l’assegnazione del punto al giocatore alla risposta (una variazione all’alternanza attacco/difesa del basket).

In questo modo diminuirebbero molti dei dritti o rovesci interlocutori, facendo aumentare di converso i colpi di approccio e i punti a rete. La riduzione dei colpi a rimbalzo si tradurrebbe in un aumento del valore 𝜑 di una partita.

Sarebbe senza dubbio un cambiamento radicale, e quindi di improbabile accadimento, ma sono convinto che per rendere il tennis ancora più emozionante e allargare il numero di tifosi, si dovrebbe valutare – insieme agli altri indici emozionali – anche una statistica come 𝜑, o una della stessa natura. 

A New Metric to Analyze Viewer Experience in Pro Tennis

Presente e futuro degli errori

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 13 gennaio 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Quando un errore è forzato? Se, per rispondere alla domanda, si ipotizza di sviluppare un algoritmo, la situazione diventa rapidamente ingestibile. Bisognerebbe tenere conto della posizione del giocatore, della velocità, angolo e rotazione del colpo, della velocità della superficie e forse di qualcos’altro. Ci sono errori chiaramente individuabili come forzati e non forzati, ma molti finiscono in un’ambigua terra di mezzo.

Molte delle statistiche relative agli errori non forzati mostrate durante una telecronaca o di riepilogo alla fine della partita sono conteggiate a mano.

Eccessiva semplificazione

Il valutatore riceve delle istruzioni preliminari e prende nota di ogni tipo di errore. Se si dovesse ridurre l’algoritmo umano di conteggio a una sola regola, la sua definizione sarebbe simile a: “Ci si aspetta che un professionista medio sia in grado di non sbagliare quel colpo?”. Ci sono valutatori che limitano il computo degli errori non forzati escludendo errori come le risposte al servizio, i colpi a rete o i tentativi di passante.

Naturalmente, qualsiasi intenzione di raggruppare i colpi sbagliati solo in due categorie sarebbe frutto di eccessiva semplificazione. E non credo che il mio sia un punto di vista estremo.

Molti commentatori di tennis danno credito a questa posizione quando spiegano che l’errore non forzato di un giocatore “non la dice tutta”, o un’altra espressione a effetto di questa natura.

Ho scritto in passato dei limiti dello spesso citato rapporto tra vincenti ed errori non forzati e della somiglianza tra gli errori non forzati e la giustamente criticata statistica della media difensiva nel baseball.

Si immagini per un momento di avere a disposizione dei dati migliori con cui lavorare – perché ad esempio quelli di Hawk-Eye non sono protetti in cassaforte – e di poter elaborare una metodologia di identificazione degli errori più precisa.

In primo luogo, invece di considerare solo gli errori, è più istruttivo classificare i potenziali colpi in tre categorie: colpi rimessi in gioco, errori (che specificheremo meglio più avanti) e vincenti dell’avversario.

Sei riuscito a giocare il colpo, l’hai sbagliato o non hai nemmeno visto la pallina?

L’errore forzato di un giocatore corrisponde al colpo rimesso in gioco dall’avversario (specialmente se il giocatore è Bernard Tomic e se l’avversario è Andy Murray). Diventa quindi necessario valutare l’intero spettro di possibili esiti di ciascun potenziale colpo.

La chiave per acquisire conoscenza diretta dalle statistiche di tennis è di raffinare il contesto di riferimento con altre informazioni a disposizione.

Ad esempio confrontare le statistiche di un giocatore con il rendimento di un giocatore medio del circuito, o contrapporle a quelle derivanti dall’ultima partita giocata con caratteristiche simili. Per gli errori la questione non è diversa.

Kasatkina vs Kerber Sidney 2017

Ecco un facile esempio. Nel sesto game dei sedicesimi di finale contro Darya Kasatkina al torneo di Sidney 2017, Angelique Kerber ha colpito un dritto lungolinea come nella foto:

Grazie al Match Charting Project, siamo in possesso di dati su 350 dritti lungolinea di Kerber, per cui sappiamo che ottiene un vincente il 25% delle volte, mentre la sua avversaria colpisce un errore forzato un altro 9% delle volte.

Diciamo che un ulteriore 11% si trasforma in errori non forzati e arriviamo a un profilo di quanto succede abitualmente quando Kerber cerca il lungolinea: 25% vincenti, 20% errori, 55% colpo rimesso in gioco.

Si potrebbe approfondire ancora e stabilire che il 55% dei colpi rimessi in gioco consiste in un 30% che determina la conquista del punto da parte di Kerber rispetto a un 25% in cui il punto lo ha perso.

In questo caso, Kasatkina è riuscita ad arrivarci con la racchetta, sbagliando però un colpo che molti valutatori sarebbero d’accordo nel giudicare un errore forzato:

Questa singola occorrenza – un errore forzato di Kasatkina contro un tipo di colpo offensivo molto efficace – non rivela nulla in sé e per sé. Ipotizziamo però di aver tenuto traccia di 100 tentativi di replica a un dritto lungolinea di Kerber da parte di molteplici giocatrici.

Potremmo scoprire che Kasatkina concede 35 vincenti su 100, o che Simona Halep concede solo 15 vincenti e rimette in gioco 70 colpi, o ancora che Anastasia Pavlyuchenkova commette un errore 30 volte su 100 tentativi.

La mia tesi

Con più statistiche granulari, possiamo inserire gli errori in un contesto concreto. Invece di esprimere un giudizio sulla difficoltà di un determinato colpo (o affidarsi a un valutatore per stabilirlo), è concepibile lasciare che sia un algoritmo a eseguire il lavoro su 100 colpi, per verificare se una giocatrice riesce a raggiungere più colpi della giocatrice media o se sta facendo più errori di quanto non faccia abitualmente.

Il presente e il futuro

Nel precedente esempio, ho omesso molti dettagli importanti. Nel confrontare l’errore di Kasatkina con un centinaio di altri dritti lungolinea di Kerber, non sappiamo se il colpo sia stato più difficile del solito, se sia stato piazzato più accuratamente all’incrocio, se Kasatkina fosse in una posizione di campo migliore di quella di una giocatrice media nella stessa dinamica di gioco o se fosse diversa la velocità della superficie.

È probabile che su un centinaio di dritti lungolinea siano parametri che si annullino. Ma nella partita in questione, Kerber ne ha colpiti solo 18. Se, tipicamente, in una partita al meglio dei tre set si raccoglie materiale per qualche centinaio di colpi, con questo tipo di analisi non si riesce ad andare oltre.

In futuro, un ideale algoritmo di classificazione degli errori potrà fare molto di più. Considererà tutte le variabili che ho elencato (e, senza dubbio, altre) e, per ogni colpo, calcolerà la probabilità di differenti esiti.

Nel momento di gioco della prima immagine, cioè quando la pallina ha appena abbandonato la racchetta di Kerber, con Kasatkina nella metà di campo più lontana, potremmo stimare una probabilità di vincente del 35%, una di errore del 25% e un 40% di probabilità che venga rimessa in gioco. In funzione del tipo di analisi che stiamo facendo, potremmo calcolare quei numeri per la giocatrice media del circuito o per Kasatkina stessa.

Sono stime con cui potremmo, di fatto, assegnare un “valore” agli errori. Continuando con l’esempio, l’algoritmo prevede solo un 40% di probabilità per Kasatkina di rimettere la pallina in gioco. In confronto, un colpo in uno scambio ha in media il 90% di probabilità di essere rimesso in gioco.

Suddivisioni più accurate

Invece di dover catalogare gli errori come “forzati” e “non forzati”, saremmo in grado a nostro piacimento di operare una suddivisione più accurata, come ad esempio raggruppare i potenziali colpi in quintili.

Potremmo ad esempio calcolare se Murray riesce a rimettere in gioco più spesso rispetto a Novak Djokovic la maggior parte dei colpi che non hanno replica. Anche se già abbiamo un’idea al riguardo, finché non abbiamo stabilito con precisione in cosa consista il quintile (o quartile o qualsiasi altro) non possiamo nemmeno iniziare a dimostrarla.

Sarebbe un tipo di analisi accattivante anche per quegli appassionati solitamente non interessati alle statistiche aggregate. Pensiamo alla facoltà di un commentatore di isolare uno specifico colpo di Murray e poter dire che avesse solo il 2% di probabilità di rimettere in gioco la pallina in quella situazione.

In scambi con continui capovolgimenti di fronte, è un metodo in grado di generare un grafico di probabilità di vittoria per ogni singolo punto, un’immagine capace di comunicare immediatamente quanto abbia dovuto faticare un giocatore per rientrare in uno scambio che sembrava ormai perso.

La tecnologia è già disponibile

Fortunatamente, la tecnologia per raggiungere questo livello esiste già. Analisti con accesso a sottoinsiemi di dati Hawk-Eye hanno incominciato a individuare i fattori che incidono su aspetti come la scelta del colpo.

Il software “SmartCourts” di Playsight distingue gli errori tra forzati e non forzati quasi in tempo reale, lasciando intendere di far leva su un meccanismo molto più sofisticato ma non visibile, anche se nemmeno gli algoritmi di Intelligenza Artificiale sono esenti da occasionali cantonate.

Un’altra possibile strada è di applicare algoritmi di apprendimento automatico a enormi quantità di partite, facendo in modo che siano essi stessi a determinare i migliori fattori predittivi di vincenti, errori e altri esiti di un colpo.

Un giorno gli appassionati di tennis guarderanno con meraviglia alla scarsa conoscenza statistica nello sport del 21° secolo.

The Continuum of Errors

Teoria e pratica di ogni risposta

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 19 novembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Alla fine de “La cattedrale di Turing”, George Dyson suggerisce che sebbene i computer non siano sempre in grado di rispondere alle nostre domande in modo utile, sono però capaci di generare uno sbalorditivo e inaudito patrimonio di risposte, anche se le relative domande non sono in realtà mai state formulate.

Pensiamo a un motore di ricerca: ha indicizzato ogni possibile parola e frase, in molti casi ancora in attesa del primo utente che le cerchi.

Cinque milioni di miliardi di diverse interrogazioni

TennisAbstract è la stessa cosa. Utilizzando i menù a sinistra nella pagina di Roger Federer – anche evitando di filtrare per gli scontri diretti, i tornei, i paesi, le statistiche della partita e altri parametri specifici come data e classifica – si possono generare cinque milioni di miliardi di diverse interrogazioni. Sono dodici zeri, e solo per Federer. Stando alle visualizzazioni generate dal sito, ci vorrà ancora un po’ prima che vengano provate tutte quelle combinazioni.

Ogni filtro ha il suo motivo di esistere, un tentativo cioè di rispondere a domande degne di nota relative a un determinato giocatore. La grande maggioranza di quei cinque milioni di miliardi di interrogazioni però fornisce informazioni su quesiti che nessuna persona sana di mente penserebbe di porsi, ad esempio il record di Federer nei tornei Master del 2010 sul cemento dopo aver vinto il primo set 6-1 contro giocatori fuori dai primi 10 (record di 2 vittorie e 0 sconfitte).

Il pericolo di possedere tutte queste risposte risiede nella tentazione di credere che stessimo effettivamente facendo domande o, peggio, che stessimo facendo domande sospettando per tutto il tempo che le risposte sarebbero state di questo tipo.

Il primo istinto è di cercare prova delle nostre consapevolezze

I dati forniti da Hawk-Eye durante le telecronache sono l’esempio perfetto. Quando la grafica mostra la traiettoria di vari servizi o il percorso della pallina per ogni colpo dello scambio, si sta osservando un’enorme mole di dati grezzi, più di quanto la maggior parte di noi sarebbe in grado di intendere se non fossero accompagnati dal familiare sfondo di un campo da tennis. Considerate tutte quelle risposte, il nostro primo istinto è troppo spesso quello di cercare prova di qualcosa di cui siamo già ben consapevoli, che il dritto arrotato di Jack Sock è quello che gli fa vincere più punti o che la seconda di servizio di Rafael Nadal è attaccabile.

È difficile prendere una posizione su questo tipo di affermazioni, soprattutto in presenza di grafiche ad alto contenuto tecnologico che sembrano servire da controprova. Se quelle grafiche rappresentano delle “risposte” (o se lo sono i risultati delle interrogazioni a più filtri su TennisAbstract), lo fanno riferendosi solamente a domande di portata ridotta, che di rado dimostrano le tesi che invece ci convinciamo riescano a dimostrare.

Queste risposte limitate sono semplicemente punti di partenza per domande cariche di significato. Anziché osservare i numeri generati dal rovescio di Novak Djokovic durante una partita dichiarando “Lo sapevo, il suo rovescio lungolinea è il migliore che ci sia in giro” dovremmo renderci conto che stiamo analizzando un piccolo e decontestualizzato insieme di dati, e cogliere l’opportunità di chiedersi, “Il suo rovescio lungolinea è sempre così impressionante?” oppure “Qual è il rendimento del suo rovescio lungolinea rispetto agli altri?” o ancora “Un rovescio lungolinea quanto fa aumentare la probabilità di vincere lo scambio?”

Domande poco significative e conclusioni tratte da pseudo-risposte

Sfortunatamente, la conversazione si interrompe di solito prima che venga formulata una domanda significativa. Anche senza che i dati raccolti dal sistema Hawk-Eye siano pubblicamente condivisi, stiamo iniziando a possedere le informazioni necessarie per fare ricerche su molte di queste domande.

Per quanto siamo propensi a lamentarci della scarsità di analisi statistiche nel tennis, sono troppe le persone che traggono conclusioni dalle pseudo-risposte associate a grafiche scintillanti. Con il più grande numero di dati a disposizione di sempre, è un peccato confondere risposte semplici e limitative per risposte profonde e di ampia portata.

All the Answers

Il ruolo pervasivo della fortuna nel tennis

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 25 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Non importa quale sia l’orizzonte di riferimento – da un singolo punto alla classifica di una stagione o anche a un’intera carriera – la fortuna ha un ruolo determinante nel tennis. Ci sono volte in cui fortuna e sfortuna si elidono, come nel caso di due punti vinti da entrambi i giocatori grazie a una deviazione del nastro. Ci sono altre però in cui la fortuna si muove in una sola direzione, premiando gli stessi fortunati giocatori con opportunità che li rendono poi ancora più fortunati.

Di solito, interpretiamo la fortuna come un passaggio temporaneo a possibile spiegazione di un fenomeno isolato. Per comprendere però quanto incida veramente la fortuna è necessario esaminare questi episodi collegandoli tra loro.

Il singolo punto

Solitamente, siamo d’accordo nell’associare l’esito di uno specifico punto alla bravura del giocatore. Occasionalmente però succede qualcosa che fa vincere il punto al giocatore che non lo merita. Gli esempi più ovvi sono le situazioni in cui l’intervento del nastro o un cattivo rimbalzo su una superficie irregolare rendono la pallina imprendibile. Ma ce ne sono altri. 

Anche l’arbitraggio può rappresentare un fattore. Una chiamata sbagliata che non viene modificata dal giudice di sedia può assegnare un punto in modo scorretto. Anche se il giudice di sedia (o il sistema Hawk-Eye) cambia la chiamata iniziale, può accadere di dover rigiocare il punto quando uno dei due giocatori era in totale controllo dello scambio precedente.

Addentrandoci nel territorio dei “colpi fortunati”, possiamo includere le steccate che portano al punto o anche i colpi in mezzo alle gambe che accendono il tifo ma che un giocatore difficilmente riesce a ripetere con successo. Sebbene la demarcazione tra colpi davvero fortunati e colpi a bassa percentuale di realizzazione sia piuttosto incerta, vale la pena ricordare che nelle situazioni più estreme non è il talento l’unico elemento a determinare l’esito di un punto.   

Partite fortunate

Più del 5% delle partite della stagione in corso sono state vinte da un giocatore che non è riuscito a vincere più della metà dei punti giocati. Un altro 25% è stato vinto da un giocatore che non è riuscito a raccogliere più del 53% dei punti, un livello che non garantisce automaticamente la vittoria.

In funzione della vostra opinione sulla capacità di fare la differenza e sul vantaggio psicologico nel tennis, potreste considerare alcuni di questi risultati, o tutti, come non dipendenti dalla fortuna. Se un giocatore converte tutte le opportunità di break e vince nonostante abbia fatto solo il 49% dei punti totali, forse è perché lo merita effettivamente di più. Discorso analogo si può fare per prestazioni molto solide nel tiebreak, che di fatto è un concentrato di punti ad alta leva che possono far sfuggire la vittoria finale al giocatore che ha vinto più punti. 

Quando però il margine è così sottile che uno o due punti chiave possono cambiare il risultato finale – specialmente quando sappiamo che la fortuna è in grado di incidere sul singolo punto – dobbiamo considerare fortunato il risultato di alcune di queste partite molto equilibrate. Non serve decidere quale partita sia stata segnata dalla fortuna e quale non lo sia stata, semplicemente riconoscere che alcune partite non sono vinte dal giocatore migliore, anche usando una definizione piuttosto vaga di “giocatore migliore quel determinato giorno”.

Fortuna di lungo periodo

Forse la manifestazione più evidente di fortuna nel tennis è nel sorteggio del tabellone di ogni torneo. Un giocatore fuori dalle teste di serie potrebbe trovarsi ad affrontare una delle prime teste di serie in una partita quasi impossibile da vincere o, all’opposto, avere un turno estremamente facile con una wild card dalla bassa classifica. Anche le teste di serie possono essere soggette alla fortuna, in funzione di quale giocatore fuori dalle teste di serie viene sorteggiato o di quali teste di serie troveranno nei turni successivi. 

C’è un’altra forma di fortuna di lungo periodo, anch’essa influenzata dalla fortuna nel sorteggio, che potremmo chiamare “sequenziale”. Un giocatore che in una stagione ottiene un record di 20-20 vincendo tutte le partite del primo turno e perdendo tutte quelle del secondo turno non raccoglierà lo stesso numero di punti o premi partita di un giocatore che invece ottiene lo stesso record vincendo solo 10 partite di primo turno, raggiungendo però il terzo turno ogni volta che ci riesce.

Di nuovo, potrebbe non dipendere esclusivamente dalla fortuna – le vittorie di un giocatore di questo tipo sarebbero velocemente etichettate come una striscia vincente – ma, insieme alla fortuna del sorteggio, un giocatore potrebbe semplicemente trovarsi ad affrontare avversari che è in grado di battere in sequenza, anziché avere primi turni facili e secondi turni difficili. 

L’effetto Matteo

Queste diverse forme di fortuna relative al tennis giocato sono tra loro in qualche modo collegate. Il sociologo Robert Merton ha coniato il termine “effetto Matteo” – anche conosciuto come il principio del vantaggio cumulativo – per descrivere quelle situazioni in cui un’entità in possesso di un vantaggio minimo finirà con l’avere un vantaggio molto più ampio, per via di una maggiore facilità di accesso alle risorse messe a disposizione in virtù del vantaggio inizialmente posseduto.

L’effetto Matteo è applicabile a una vasta gamma di fenomeni e ritengo che sia qui istruttivo. Consideriamo il caso di due giocatori separati in classifica da pochissimi punti, un margine che potrebbe dipendere solo da pura fortuna, ad esempio in presenza di vittoria per ritiro dell’avversario prima della partita. Uno dei due giocatori riceve la testa di serie numero 32 in uno Slam, mentre l’altro è fuori dalle teste di serie.

I due giocatori – che ricordiamo sono praticamente indistinguibili – si trovano di fronte a un percorso ben differente. Al primo sono garantite due partite contro avversari fuori dalle teste di serie, il secondo invece giocherà quasi sicuramente contro una testa di serie prima del terzo turno, magari anche una testa di serie di vertice già al primo turno. Quest’ultimo potrebbe avere fortuna, dal tabellone o durante le partite, eliminando lo svantaggio dovuto al non essere tra le teste di serie, ma è più probabile che il primo giocatore (la testa di serie) guadagnerà più punti nel torneo, consolidando una classifica più alta che non si è necessariamente meritato in campo.   

Carriere che si creano e si distruggono

L’effetto Matteo può generare conseguenze anche su più larga scala. I professionisti di oggi hanno iniziato ad allenarsi e gareggiare da giovanissimi, e la maggior parte di loro ha ricevuto una discreta dose di aiuto nella crescita, sia essa in termini di allenatori lungimiranti, di supporto dalla federazione nazionale o da wild card assegnate nei momenti giusti.

È difficile quantificare l’effetto positivo (o negativo) dell’intervento di un buon allenatore a 15 anni, ma le wild card sono un esempio del fenomeno più facilmente comprensibile. Lo sfortunato giocatore fuori dalle teste di serie citato in precedenza almeno è riuscito ad accedere al tabellone principale del torneo. Ma quando la federazione del paese che ospita uno Slam decide a quale giovane promessa assegnare una wild card, crea le condizioni per un contesto a somma zero: un giocatore riceve un’opportunità enorme (soldi e punti validi per la classifica, anche se perde al primo turno), l’altro non ottiene nulla.

Questo è, in poche parole, il motivo per cui persone come me trascorrono buona parte del loro tempo libero a sfogarsi in merito alle wild card. Il problema non è nell’accesso al tabellone del singolo torneo, ma nella pletora di opportunità che ne consegue. Certo, ci sono volte in cui quelle opportunità non si trasformano in altro – la carriera di Ryan Harrison sembra avviata su quella strada – ma anche in quei casi non si sentono nominare i giocatori che non hanno ricevuto la wild card o quelli che non hanno mai avuto la possibilità di approfittare dei vantaggi cumulativi derivanti dall’aver salito il gradino superiore.    

Perché la fortuna ha tutta questa importanza

A chi segue il tennis con avidità, niente di questo giunge nuovo. È risaputo che ogni giocatore attraversa momenti positivi e negativi, si trova in tabelloni favorevoli e sfavorevoli e ha dovuto affrontare sfide in carriera diverse da quelle degli altri giocatori.

Ma esaminando tutti i differenti tipi di fortuna nel medesimo contesto, spero di riuscire a enfatizzare l’importanza del fattore fortuna nella valutazione di un qualsiasi giocatore in un qualsiasi momento. Non è un caso che i giocatori di media classifica si scambino di posizione così frequentemente. Alcuni sono davvero bravi a mettere insieme strisce vincenti di partite, e gli infortuni hanno il loro ruolo, ma molta della varianza può essere ricondotta alle molteplici manifestazioni della fortuna. Il numero 30 del mondo probabilmente è più forte del numero 50, ma non è scontato che sia così. Non serve essere travolti dalla sfortuna per crollare in classifica, specialmente quando la sfortuna apre le porte a ulteriori circostanze sfortunate.

Anche se molte delle forme di fortuna di cui ho parlato sono in realtà influenzate dal talento e, a titolo di esempio, chi sta giocando meglio in un determinato giorno riesce a fare la differenza nella conversione delle palle break, l’evidenza empirica mostra che significative fluttuazioni in indicatori come la percentuale di tiebreak vinti e la frequenza di palle break convertite sono momentanee, non persistono di anno in anno. Forse non si può propriamente categorizzarla come fortuna ma, proiettando la classifica da qui a un anno, potrebbe dipendere solo da quello.

Se i risultati delle partite, le vittorie dei tornei e le classifiche settimanali sono scolpite nella pietra, il modo in cui i giocatori arrivano a quel successo non è altrettanto chiaro. Faremmo meglio ad accettare quest’incertezza.

The Pervasive Role of Luck in Tennis

Nel tennis, cosa significa avere la “mano calda”?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’1 dicembre 2011 – Traduzione di Edoardo Salvati

C’è un argomento molto dibattuto nell’analisi statistica sportiva, quello della “mano calda”, cioè l’abilità di mettere insieme una striscia vincente di risultati. Sono praticamente tutti convinti che esista, che i giocatori (o anche le squadre) siano in grado di accendersi e spegnersi temporaneamente arrivando a giocare ben al di sopra o ben al di sotto del loro vero livello.

Per certi versi, le strisce vincenti sono inevitabili; se si lancia una moneta 100 volte, si avranno delle sequenze di 5 o 10 lanci in cui la maggior parte delle volte esce testa, e non perché all’improvviso la moneta è “migliorata”, ma perché su un orizzonte temporale sufficientemente lungo è naturale che questo accada. Se si guarda un’intera partita di tennis, ci saranno per forza di cose game in cui sembra che un giocatore stia giocando meglio del solito, magari servendo un ace dietro l’altro o mettendo a segno dei vincenti incredibili.

Più spesso del puro caso

La domanda, quindi, è se un giocatore abbia la mano calda più spesso di quanto non accadrebbe per puro caso. Per fare solo un esempio, ipotizziamo che un giocatore serva degli ace solo nel 10% dei punti al servizio. Se occasionalmente servisse meglio del solito, dovremmo notare che dopo aver servito un ace abbia più probabilità (diciamo 15% o 20%) di servirne un altro. Una prima o una seconda di servizio fuori dovrebbero rendere più probabile un errore nel servizio successivo.

In un paio di articoli recenti – le differenze tra destri e mancini a seconda del lato di campo e la mano calda al contrario sul 30-40 – ho accennato all’idea che il tennis possa essere strutturato in modo da impedire ai giocatori di arrivare ad avere la mano calda.

Una delle tematiche più indagate negli studi sulla mano calda è il tiro libero nel basket, apprezzata per essere il contesto che più si avvicina a replicare perfette condizioni da laboratorio: ogni tiro libero è preso dalla stessa distanza e in assenza di marcatura da parte di un difensore e, ancora meglio, di solito è seguito immediatamente da un secondo tiro libero.

Il tennis non è come il basket

Nel tennis non esiste nulla del genere. La situazione di gioco che sembra somigliare ai tiri liberi del basket è il servizio, specialmente per i giocatori che ne fanno uno strumento predominante. John Isner, Roger Federer e Milos Raonic danno l’impressione di accumulare strisce vincenti al servizio. Certamente possono giocare game dopo game e controllare il gioco con servizi vincenti. Ma ad un’analisi ravvicinata, anche il loro esempio diventa più sfumato. Come abbiamo visto, i giocatori rendono meglio al servizio in funzione del lato di campo. Sarebbe come se nel basket un giocatore, dopo un tiro libero, facesse due passi a sinistra e uno in avanti prima di tentare il tiro successivo.

E, ovviamente, c’è un altro giocatore in campo. Se Federer decide per una traiettoria a uscire più lenta del solito nel lato delle parità come servizio vincente sul 15-15, è molto probabile che non userà la stessa tattica sul 30-30 o sul 40-15. Anche se fosse capace di servire 50 servizi di quel tipo perfettamente identici, non lo farebbe mai in una partita. Per avere qualche rilevanza nel tennis professionistico, la mano calda deve possedere un significato ben più ampio che il talento nel giocare un singolo colpo.

Maggiore alternanza

A livello più generale, le regole del tennis prevedono l’alternanza in misura maggiore che in molti altri sport. È vero che in altri sport la palla viene data alla squadra che ha subito la segnatura, ma la lunghezza del possesso – o nel baseball la lunghezza di una ripresa – può variare di molto. Nel tennis, si può aggiungere solo un game al proprio punteggio prima di dover lasciare il gioco all’avversario. E anche all’interno di quel game, il giocatore si sposta continuamente dal lato di campo in cui è più forte a quello in cui è meno forte; e lo stesso potrebbe essere per l’avversario.

Quale elemento è più determinante nella valutazione della mano calda?

La mia domanda, aperta a tutti, è questa: se esiste una mano calda nel tennis, dove vi aspettereste di trovarla? Ace consecutivi? Ace solo nel lato delle parità? Servizi vincenti? Scambi corti dopo il servizio? Punti vinti? Punti vinti alla risposta? Game vinti? Prime di servizio in campo? Vincenti a chiusura dello scambio? Minimo numero di errori non forzati? È possibile che nessuno di questi elementi, o invece tutti, possano verificarsi in sequenza ravvicinata, ma quale tra questi verrebbe scelto per farci pensare che un giocatore stia avendo la mano calda?

What Does the “Hot Hand” Mean in Tennis?