Gli US Open 2015 restano ancora i più estenuanti della storia

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 31 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dopo due turni giocati in condizioni di caldo estremo, dodici partite del tabellone maschile degli US Open 2018 sono terminate con un ritiro. Si tratta del numero più alto di sempre di ritiri nei primi turni dei tornei Slam? Che tipo di conseguenze subisce la progressione del tabellone con un alto numero di ritiri iniziali?

È stato il meteo a polarizzare la conversazione durante la prima settimana di gioco degli US Open 2018. Umidità alta e temperature anche oltre i 30 gradi hanno creato condizioni impossibili da sostenere. Le temperature sono state così intense da costringere gli organizzatori ad applicare, per la prima volta nella storia, la regola delle temperature estreme anche alle partite maschili.

Anche beneficiando del ristoro addizionale, molti giocatori non sono riusciti a portare a termine una partita al meglio dei 5 set nel caldo infernale di Flushing Meadows. Escludendo i ritiri pre-partita, in tutto si sono ritirati nove giocatori solo al primo turno, e altri tre al secondo turno.

Ci sono stati altri Slam con un numero di ritiri così elevato nei primi turni?

Le statistiche relative all’era Open mostrano che, prima degli US Open 2018, il più alto numero di ritiri al primo turno si è verificato agli US Open 2015, in cui in un’altra estate incandescente dieci tra giocatori e giocatrici si sono ritirati al primo turno. Immediatamente dopo troviamo gli Australian Open 2014, di cui ancora si ricorda il caldo, con otto ritiri al primo turno. I nove ritiri di quest’anno quindi si inseriscono al secondo posto di sempre.

IMMAGINE 1 – Numero di ritiri al primo turno di uno Slam nell’era Open

Alcuni aspetti colpiscono di questa speciale graduatoria:

  • sei delle prime dieci posizioni arrivano dagli US Open;
  • nove eventi su dieci sono edizioni degli anni 2000 (inserite pure la vostra considerazione preferita sul tema del cambiamento climatico).

Per avere un termine di paragone, si può considerare la media dei ritiri al primo turno negli Slam dal 1990, che è solo di tre ritiri. I nove ritiri degli US Open 2018 rappresentano dunque tre volte la media storica negli Slam.

IMMAGINE 2 – Numero di ritiri al primo turno rispetto alla media Slam nell’era Open

Alcuni commentatori suggeriscono che i giocatori più vulnerabili in queste circostanze sono quelli di bassa classifica, nell’assunto che chi non è favorito possa essere meno motivato a perseverare in condizioni del tutto avverse.

Esiste evidenza al riguardo?

Dal 1990, circa il 70% delle partite di primo turno regolarmente completate è stato vinto dal giocatore con più alta classifica. Nei ritiri invece, la frequenza è solo del 53%, a indicazione di quasi completo equilibrio, a prescindere dalla classifica. È un risultato in contrasto con la teoria della non volontà da parte dello sfavorito di continuare a giocare.

IMMAGINE 3 – Percentuale di vittorie dei giocatori con classifica più alta

Agli US Open 2018, la frequenza (67%) di ritiri di giocatori con classifica inferiore ha rispecchiato la frequenza complessiva di sconfitte dei giocatori di bassa classifica al primo turno degli Slam, anche se con un campione di soli nove ritiri non possiamo davvero sostenere che ci sia diversità rispetto all’andamento storico. Si può dire però che con due o tre giocatori di classifica più alta che hanno beneficiato di un passaggio diretto al secondo turno, il tabellone maschile non si è rimescolato quanto avrebbe potuto.   

2015 US Open Still The Most Brutal in Tennis History

Gestire infortuni e assenze con il sistema Elo

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 15 maggio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Negli ultimi mesi, ogni volta che ho fatto ricorso alle mie classifiche maschili e femminili sulla base del sistema Elo si è resa necessaria qualche precisazione. Sono valutazioni sulle quali l’assenza dal circuito non incide, quindi Serena Williams, Novak Djokovic, Andy Murray, Maria Sharapova e Victoria Azarenka hanno mantenuto la loro posizione di vertice nelle rispettive classifiche Elo.

Essendo tra i migliori al momento dell’infortunio o dell’interruzione, anche una sequenza di risultati scadenti (o, nel caso di Sharapova, quasi un’intera stagione) non è sufficiente a relegarli di posizione.

Fare meglio di così

È un aspetto controintuitivo, e ben differente da come le classifiche ufficiali dell’ATP e della WTA si comportano nei confronti di questi giocatori o giocatrici. Il buon senso fa pensare che probabilmente i o le rientranti non sono forti come lo erano prima di una lunga pausa.

La classifica ufficiale è meno generosa, eliminando completamente il loro nome dopo un intero anno lontano dal circuito. Se Williams quasi sicuramente non è la migliore giocatrice attualmente in circolazione, di certo rappresenta un pericolo maggiore per le colleghe di quanto indichi la sua classifica di numero 454. Dobbiamo riuscire a fare meglio di così.

Prima però di sistemare l’algoritmo Elo, cerchiamo di capire cosa intendere con “meglio di così”. Appassionati e tifosi caricano di significato classifica e teste di serie, come se un numero conferisse valore a un giocatore.

Previsioni future contro orientamento al passato

Per definizione, la classifica ufficiale è orientata al passato, visto che misura il rendimento delle ultime 52 settimane, ponderate per importanza dei singoli tornei (sono poi usate per determinare le teste di serie, quindi con sguardo in avanti, ma non è un sistema disegnato per essere predittivo).

In questo modo la classifica ufficiale ci dice quanto un giocatore o una giocatrice abbiano giocato bene durante l’anno precedente. Quali che siano bravura o potenziale, Williams (e come lei Azarenka, Murray e Djokovic) non ha ottenuto molti risultati favorevoli quest’anno, e la sua classifica lo riflette.

Il sistema Elo invece è strutturato per essere predittivo. Naturalmente, può utilizzare solo risultati del passato, ma lo fa in modo tale da fornire la stima migliore del livello qualitativo espresso dai giocatori in un determinato momento, vale a dire la più accurata approssimazione di come giocheranno domani o la prossima settimana.

Le valutazioni Elo – anche quelle più ingenue che mettono a oggi Williams e Djokovic al numero 1 – sono considerevolmente più precise nel prevedere l’esito di una partita rispetto alla classifica ufficiale. Per l’obiettivo che mi sono prefissato, è questa la definizione di “meglio”, cioè valutazioni che offrano previsioni più puntuali e, per estensione, la migliore approssimazione del livello di gioco nell’ambito temporale preso in considerazione.

Penalizzazioni legate all’assenza

Al rientro sul circuito dopo un periodo molto lungo, i giocatori hanno – almeno in media e almeno temporaneamente – un livello più basso rispetto a quando si sono fermati.

In questo senso, ho identificato ogni assenza della durata minima di otto settimane nella storia dell’ATP di un giocatore con valutazione di almeno 1900 punti Elo (sotto la soglia di 1900 punti, alcuni giocatori alternano la presenza tra circuito maggiore e circuito Challenger. Il mio algoritmo Elo non comprende i risultati dei Challenger. Quindi, per giocatori di classifica inferiore, non è chiaro quali siano i periodi di interruzione e quali invece le settimane dedicate ai Challenger. Inoltre, la soglia delle otto settimane non considera il riposo tra una stagione e la successiva. Otto settimane allora potrebbero essere in realtà 16 settimane tra un torneo giocato e l’altro, includendo nell’interruzione anche il riposo a stagione terminata).

Nelle prime partite al rientro sul circuito, la valutazione Elo prima dell’interruzione ha stimato la probabilità di vittoria in eccesso del 25%, con variazioni in funzione della quantità di tempo lontano dai campi: il 17% dalle otto alle dieci settimane, quasi il 50% per un periodo dalle 30 alle 52 settimane.

Anche questa regola ha la sua eccezione, come ad esempio Roger Federer agli Australian Open 2017 e Rafael Nadal, che quest’anno ha vinto 14 partite consecutive dopo due mesi di pausa. In generale però, al rientro i giocatori hanno uno stato di forma peggiore.

Tradotto in termini Elo, un’interruzione di otto settimane comporta una perdita di 100 punti mentre una di quasi un anno, come quella in corso di Andy Murray, determina 150 punti in meno. Se si apportano queste modifiche si arriva a un miglioramento immediato nella capacità predittiva di Elo per la prima partita dal rientro e uno più limitato per le prime 20 partite.

Fattorizzare l’incertezza

Elo è impostato per fornire sempre la “stima migliore”, e quando un giocatore fa ingresso nel circuito per la prima volta, riceve una valutazione provvisoria di 1500, aggiornata a seguito di ogni partita e in funzione del risultato, del livello dell’avversario e del numero di partite giocate.

Quella dei 1500 punti è una stima puramente indicativa, quindi il primo aggiornamento diventa un passaggio molto importante. Nel corso del tempo, la grandezza dell’aggiustamento Elo diminuisce, perché si acquisiscono maggiori informazioni sul giocatore.

Se perde la sua prima partita contro Joao Sousa, la sola informazione in nostro possesso è che probabilmente non è bravo quanto Sousa: dobbiamo quindi sottrarre molti punti. Se Alexander Zverev perde da Sousa dopo più di 150 partite giocate in carriera, tra cui decine di vittorie contro giocatori più forti, comunque gli toglieremo dei punti, ma non tanti come in precedenza, perché abbiamo di lui un quadro molto più preciso.

Gestire le assenze

Dopo un’assenza però, abbiamo meno certezza che quello che conoscevamo sul quel giocatore sia ancora attuale. Djokovic è, a questo proposito, un esempio perfetto. Se perdesse sei partite su nove (come ha fatto tra il quarto turno degli Australian Open 2018 e il Madrid Masters) senza arrivare da un periodo di lontananza dal circuito, penseremmo che si trattasse di un passaggio a vuoto, e la maggior parte di noi si aspetterebbe che ne uscisse. Elo ridurrebbe la valutazione, facendolo rimanere comunque nella zona più alta.

Tuttavia, avendo saltato la seconda parte del 2017, siamo più scettici sul suo recupero, nel timore che forse non tornerà al livello di prima. Altri casi sono ancora più limpidi, come quando un giocatore rientra da un infortunio senza aver recuperato completamente la forma.

Ha senso dunque, al rientro da un’assenza, modificare il livello di aggiustamento della valutazione Elo di un giocatore. Non si tratta di una nuova idea, è anzi il concetto alla base di Glicko, un altro sistema di valutazione negli scacchi che prende spunto ed espande Elo.

In questi anni ho armeggiato con Glicko a lungo, alla ricerca di miglioramenti che si applicassero al tennis, senza ottenere grande successo. Cambiare il moltiplicatore che determina gli aggiustamenti nelle valutazioni (conosciuto come il fattore k) non migliora la capacità predittiva di Elo nel tennis ma, associato alle penalizzazioni che ho descritto per le assenze dal circuito, è in parte di aiuto.

Il succo della questione: dopo un’assenza, il moltiplicatore aumenta di un fattore 1.5 per poi gradualmente ridursi a 1 nelle successive venti partite. Un moltiplicatore flessibile apporta un leggero miglioramento all’accuratezza di Elo per quelle venti partite, seppur con una differenza minima rispetto all’effetto della penalizzazione iniziale.

Basta moniti*

(*ho pensato fosse divertente mettere un asterisco dopo “basta moniti”…)

Penalizzazioni legate all’assenza e moltiplicatori flessibili finiscono per far scendere la valutazione Elo attuale dei giocatori che si trovano nel mezzo di un periodo lontano dal circuito o che sono recentemente tornati alle competizioni, restituendo elenchi che più si avvicinano alle nostre attese e che dovrebbero fare meglio nel predire l’esito delle prossime partite.

Questi cambiamenti nell’algoritmo hanno anche un effetto ridotto sulla valutazione degli altri giocatori, perché ciascuna valutazione dipende da quella dell’avversario. È per questo che il salto fatto dalla valutazione Elo di Taro Daniel dopo aver battuto Djokovic all’Indian Wells Master non è altrettanto ampio prima dell’implementazione delle penalizzazioni.

Uomini

Per quanto riguarda gli uomini, con il nuovo algoritmo Djokovic scende di una posizione al terzo posto per Elo complessivo, Murray al sesto, Jo Wilfried Tsonga al 21esimo e Stanislas Wawrinka al 24esimo. Viste le prestazioni della stagione in corso, Djokovic è ancora piuttosto in alto, ma ricordiamo che l’algoritmo Elo tiene conto solo del rendimento in campo, cioè una pausa di sei mesi seguita da diverse sconfitte inaspettate.

L’effetto aggregato si traduce in un calo di circa 200 punti dal livello precedente all’assenza; il problema sta nel fatto che la valutazione Elo di un anno fa rifletteva l’incredibile livello di Djokovic degli ultimi tempi.

Donne

Sul fronte femminile, i risultati confermano la mia intuizione ancor più di quanto sperassi. Williams scende al settimo posto, Sharapova al 18esimo e Azarenka al 23esimo. Grazie al moltiplicatore flessibile, Williams potrà tornare nuovamente in alto in classifica con qualche immediata vittoria al suo rientro.

Come Djokovic, anche Williams ha una valutazione così alta per aver avuto, prima della pausa, una valutazione Elo stratosferica. Dal suo canto Sharapova è più in alto per Elo rispetto alla classifica ufficiale. Pur essendo stata penalizzata per la qualifica di un anno per uso di sostanze illecite, l’algoritmo comunque dà rilevanza ai suoi precedenti successi, anche se sempre meno con il passare delle settimane.

Elo rimane sempre un’approssimazione e, considerando l’insieme di motivazioni che possono “mandare in tribuna” un giocatore e l’ampio spettro di strategie per rientrare nel circuito, qualsiasi sistema previsionale/di valutazione sarà messo sotto maggiore pressione con giocatori in quel tipo di situazione.

Detto questo, sono comunque migliorie che restituiscono valutazioni Elo più accurate nella rappresentazione dello stato di forma dei giocatori che sono stati lontani dal tennis professionistico, e che consentono previsioni più precise su partite e tornei che coinvolgono i giocatori in questione.

Dietro le quinte

Proseguite nella lettura se siete interessati ai dettagli tecnici.

Prima di apportare queste modifiche, l’indice Brier per le previsioni basate sul sistema Elo di tutte le partite maschili dal 1972 era di circa 0.20. Per tutte le partite con almeno un giocatore con una valutazione Elo non inferiore a 1900, era di 0.17 (non solo giocatori con Elo di almeno 1900 sono più forti, ma la loro valutazione tende a essere calcolata su più dati, che spiega in parte il motivo per cui si hanno previsioni più accurate. Minore l’indice Brier, maggiore l’accuratezza).

Prima delle modifiche, l’indice Brier per una popolazione di circa 500 “prime partite” di giocatori al rientro era di 0.192. Dopo aver applicato la penalizzazione, è sceso, e quindi migliorato, a 0.173.

Per le partite dalla seconda alla ventesima dopo il rientro, l’indice Brier per l’algoritmo originale era di 0.195. Dopo la penalizzazione, era di 0.191 e, dopo aver reso flessibile il moltiplicatore, è sceso ancora a 0.190 (incrementi del moltiplicatore successivo al rientro hanno avuto risultati negativi, spingendo l’indice Brier di nuovo intorno a 0.195 con il moltiplicatore della seconda partita a 2).

Comprendo essere un cambiamento marginale, ed è molto probabile che in futuro non possa reggere. Ma nell’analisi di diversi giocatori importanti nel corso del loro rientro, è la supposizione che ha generato i risultati che intuitivamente sembravano più precisi. E visto che la mia intuizione ha reso come il valore migliore dell’indice Brier (pur con differenze minuscole), mi è sembrato l’opzione migliore.

Assenze multiple

Per concludere, un’indicazione sui giocatori con più di un’assenza. Se un giocatore si ferma per sei mesi, torna e gioca alcune partite e interrompe di nuovo per altri due mesi, non sembra corretto applicare due volte la penalizzazione. Non ci sono molte occorrenze utilizzabili per un’analisi, ma il campione limitato a disposizione lo conferma.

La mia soluzione: se la seconda assenza arriva entro due anni dal precedente ritorno, si somma la durata delle due interruzioni (otto mesi nell’esempio), si trova la penalizzazione corrispondente e si applica la differenza tra quella penalizzazione e la precedente. Di solito si ottengono penalizzazioni tra i 10 e i 50 punti per secondi periodi di assenza.

Handling Injuries and Absences With Tennis Elo

A Djokovic servono solo più partite?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 25 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Di fronte alla sconfitta di Novak Djokovic al primo turno del torneo di Barcellona 2018, in molti si sono chiesti cosa possa fare per tornare al massimo livello di forma. Dopo un 2017 tortuoso e pesantemente condizionato dagli infortuni, Djokovic ha dato pochi segnali che suggeriscano per la stagione in corso un andamento opposto.

Dall’inizio dell’anno, ha perso al primo turno in tre dei soli cinque tornei giocati. Il suo record di vittorie e sconfitte è esattamente del 50% e serve tornare fino al 2006 per trovare numeri di questa natura. Senza dubbio uno shock per un giocatore che solamente tre anni fa sembrava intoccabile.

Se però consideriamo i giocatori di rientro da un infortunio, quanto dobbiamo rimanere veramente sorpresi da un periodo così lungo di risultati negativi?

Dal 1990, ci sono stati 82 esempi di giocatori del livello di Djokovic (cioè giocatori con una valutazione Elo di almeno 2000 punti) attivi sul circuito per otto settimane dopo aver giocato solo sei settimane nei precedenti sei mesi, un’indicazione abbastanza affidabile di rientro da infortunio.

Cosa emerge dal confronto tra la percentuale di vittoria nel periodo di rientro di quei giocatori e quella di Djokovic?

L’immagine 1 mostra la percentuale di vittoria di ciascun giocatore del campione nei sei mesi di rientro sul circuito. Solo otto su 82 (il 10%) ha una percentuale non superiore a quella di Djokovic, tra cui gli alti e bassi di Patrick Rafter nel 2000, Lleyton Hewitt nel 2009 e Marin Cilic nel 2015 (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

IMMAGINE 1 – Percentuale di vittoria dei giocatori del campione nei sei mesi di rientro sul circuito

Anche se le difficoltà incontrate da Djokovic non sono del tutto nuove per un giocatore del suo talento, lo pongono comunque, negli ultimi trent’anni, nel 10% inferiore di quei giocatori in rientro da un infortunio.

Quale speranza esiste che Djokovic possa riuscire a invertire la situazione in cui si trova?

Se osserviamo gli 82 giocatori considerati sei mesi dopo dalle prime sei settimane di gioco a partire dal loro rientro (il caso cioè di Djokovic, al momento), troviamo che il 58% ha migliorato la percentuale di vittoria rispetto a quella delle sei settimane.

Sono però i giocatori che hanno giocato più settimane in quei sei mesi a essersi migliorati in misura ben maggiore. Di quelli che hanno giocato dalle 15 alle 19 settimane, il 76% ha migliorato rispetto al record di sei settimane. Di quelli che invece hanno giocato almeno 20 settimane, la percentuale è stata dell’86%.

IMMAGINE 2 – Variazione della percentuale di vittoria dai primi sei mesi ai successivi sei mesi dopo il rientro sul circuito

Giocare più settimane non è sempre necessariamente motivo di una prestazione migliore, perché sono gli stessi giocatori più in forma e più vincenti quelli a giocare più tornei.

L’accostamento suggerisce comunque che Djokovic abbia fatto bene ad accettare la wild card a Barcellona, pur avendo perso immediatamente.

Più scelte di questo tipo nei mesi a venire potranno servire a Djokovic per ribaltare a suo favore il pronostico di un ritorno ai massimi livelli.

Does Novak Just Need More Match Play?

È improbabile rientrare rapidamente ad alto livello dopo un infortunio

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 22 gennaio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Al rientro dopo sei mesi di pausa per infortunio al gomito, Novak Djokovic è negli ottavi di finale degli Australian Open 2018 (sconfitto da Hyeon Chung in tre set, n.d.t.). Si tratta di una prestazione soddisfacente, ma quanto è probabile un rapido ritorno ad alti livelli dopo aver subito un infortunio? Quali sono gli ostacoli che un giocatore di vertice deve aspettarsi nel ritrovare la forma dopo essere stato fuori dalle competizioni così a lungo?

Prospettive incerte

Per quanto eccitante possa essere stata la prima settimana degli Australian Open, diversi tra i giocatori più forti sono sembrati arrugginiti e sette tra i primi 30 non sono andati oltre il primo turno, tra cui l’ottava e l’undicesima testa di serie, rispettivamente Jack Sock e Kevin Anderson.

Al terzo turno, solo cinque dei primi 10 erano rimasti in tabellone, con cinque posti andati inaspettatamente a giocatori fuori dai primi 30. Si è creata così un’importante occasione per quei giocatori che non sono mai venuti alla ribalta in uno Slam, tra cui Chung e altri come Tennys Sandgren (che deve giocare i quarti di finale contro lo stesso Chung, n.d.t.) e Marton Fucsovics (sconfitto agli ottavi di finale da Roger Federer, n.d.t.). Non possiamo ignorare però che queste opportunità siano strettamente associate alla sequela d’infortuni che hanno martoriato il vertice del tennis nel 2017.

Sia Djokovic che Rafael Nadal sono arrivati a Melbourne in una condizione avvolta dall’incertezza. Nadal ha sciolto qualsiasi riserva sul suo stato di forma con vittorie convincenti nei primi turni.

Djokovic invece ha mostrato chiari segni di adattamento del suo gioco agli strascichi dell’infortunio, avendo dovuto modificare in modo evidente il movimento del servizio.

Altri giocatori tra i più forti hanno avuto meno fortuna nel loro rientro, tra cui Stanislas Wawrinka, visibilmente limitato negli spostamenti nella sconfitta al secondo turno contro Sandgren. Ancora più difficile è stata la preparazione di Kei Nishikori e Andy Murray, entrambi costretti a rinunciare agli Australian Open.

In questo campione ridotto di giocatori, le prospettive di un rientro convincente sono di fatto alterne, rendendo molto incerta la possibile evoluzione del circuito maschile per il 2018.

Ritorni storici

Che indicazioni può dare il passato sulla capacità di un giocatore di vertice di recuperare con successo dopo l’interruzione per un lungo infortunio?

Dal 1990, ci sono stati 28 giocatori tra i primi 10 che per almeno 90 giorni non hanno potuto giocare. È il gruppo migliore per analizzare il tipo di rendimento ottenuto al ritorno da una significativa assenza dalle competizioni.

Utilizzando le valutazioni Elo nelle 30 partite precedenti e nelle 30 successive all’interruzione, si può verificare la bontà della prestazione in entrambi i periodi. La valutazione Elo di ciascun giocatore è messa a confronto con quella posseduta all’inizio dell’interruzione, così che un valore 0 significa che il livello di gioco è il medesimo raggiunto prima dell’infortunio.

IMMAGINE 1 – Difficoltà del rientro dopo una lunga interruzione per infortunio

La tendenza generale è di un rendimento altalenante nel primo anno, nel quale la maggior parte dei giocatori perde più di 50 punti Elo nei primi 6 mesi dal rientro.

È un declino che, approssimativamente, si traduce in una riduzione delle attese di vittoria di cinque punti percentuali. Si nota anche un diffuso andamento negativo appena prima dell’interruzione, a indicazione di un calo di rendimento già prima di un lungo stop.

Non tutti i rientri sono uguali

La nuvola di punti prima e dopo un infortunio dell’immagine 1 suggerisce un impatto negativo alla ripresa, ma per avere maggiore certezza di questa dinamica dobbiamo raccordare le traiettorie pre e post interruzione di ciascun giocatore.

L’immagine 2 mostra il percorso di Murray, per il quale il 2017 e l’inizio del 2018 non è stato l’unico periodo di pausa dovuta a infortunio. Anche alla fine del 2013 infatti si è dovuto fermare per risolvere un problema alla schiena e al rientro la sua valutazione Elo ha subito, nei mesi iniziali, una netta diminuzione.

IMMAGINE 2 – Valutazione Elo di Murray pre e post infortunio nel 2013

Applicando un modello gerarchico a questi dati, ci troviamo di fronte a un percorso che si rivela essere canonico, vale a dire che anche i giocatori di vertice difficilmente riescono a riprendere il loro livello subito dopo essere tornati a giocare a seguito di un infortunio.

Pur essendo il declino la dinamica più probabile dopo un infortunio, non è il destino che attende ogni giocatore. Ci sono stati casi, seppur rari, in cui giocatori hanno ritrovato una forma eccellente già al rientro dall’infortunio, come ad esempio Nadal e Federer all’inizio del 2017.

E nel campione storico di dati si distingue Andre Agassi, attuale coach di Djokovic, con una ripresa impressionante nel 2001, frapposta a due altre lunghe interruzioni dopo le quali invece il pieno recupero è stato per lui più complicato.

IMMAGINE 3 – Valutazione Elo di Agassi pre e post infortunio nel 2001

Conclusioni

Quest’analisi mette in dubbio l’eventualità di una ritrovata rivalità tra Djokovic e Murray nel 2018. Ci sono però alcune significative limitazioni associate ai dati attualmente a disposizione che rendono difficile fare previsioni più puntuali.

In primo luogo, non si riesce ad assegnare un valore preciso al tipo o severità di infortunio che vada oltre la durata dell’interruzione. Secondo, non possediamo informazioni precise su quanto il regime di allenamento e recupero dei giocatori incida positivamente sulle tempistiche di rientro o le allunghi.

Fino a che non saremo in grado di quantificare il peso della tipologia di infortunio e delle variabili legate al recupero, dobbiamo mantenere cautela nell’ipotizzare – per qualsiasi giocatore – percorsi di rientro analoghi a quanto accaduto in passato.

The Odds Are Against Quick Comebacks

Il numero dei ritiri negli Slam non è preoccupante

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’1 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Ritirandosi sotto 0-6 0-2 nel punteggio e avendo vinto solo 5 dei 37 punti giocati, Vitalia Diatchenko si è dimostrata essere un primo turno degli US Open 2015 ancor meno difficoltoso delle attese per Serena Williams. Naturalmente, il suo ritiro ha alimentato il solito effluvio di domande su come i premi partita dei tornei dello Slam – 39.500 dollari per la giocatrice o giocatore che esce al primo turno – siano un incentivo a presentarsi e incassare l’assegno anche quando non si è nella condizione fisica ideale per giocare.

Diatchenko non è stata l’unica a perdere al primo turno senza aver concluso la partita. Di 32 partite maschili, sei sono finite con un ritiro. Nessuna però è stata così a senso unico, tutti e sei i giocatori infortunati sono stati in campo almeno due set e cinque di loro ne hanno vinto uno.

Per il fatto che fosse un primo turno con la numero 1 del mondo, e visto l’alto numero di ritiri complessivi della giornata, i commentatori di tennis saranno certamente impegnati per qualche giorno a proporre un cambiamento nella regola. Come vedremo però, c’è scarsa evidenza di alcuna tendenza e nessun bisogno di modificare le regole.

Le circostanze dei ritiri negli Slam maschili

Prima dell’ecatombe degli US Open 2015, ci sono stati solo cinque ritiri al primo turno nei tabelloni Slam di quest’anno. Il momentaneo totale di 11 ritiri è perfettamente in linea con la media annuale del periodo 1997-2004 e lo stesso numero dei ritiri al primo turno negli Slam del 1994.

Si è assistito a un lieve incremento nei ritiri al primo turno degli Slam negli ultimi 20 anni. Dal 1995 al 2004, in media dieci giocatori hanno abbandonato il primo turno ogni anno. Dal 2005 al 2014, la media è stata di 12.2, in larga parte a causa dei 19 ritiri al primo turno della precedente stagione.

Si tratta di un aumento degli infortuni e dei ritiri in generale, non un incremento nel numero di giocatori che arrivano agli Slam non in perfette condizioni fisiche. Dal 1995 al 2004, in media 8.5 giocatori si sono ritirati prima o durante la partita dopo il primo turno negli Slam, mentre nel decennio successivo, il numero è salito a 10.8.

I ritiri nei tornei non Slam del circuito hanno avuto identico andamento. Nel periodo 1995-2004, la frequenza dei ritiri è stata di circa l’1.3% e nel decennio successivo è salita a circa l’1.8% (non c’è molta differenza tra i ritiri al primo turno e nei turni successivi per i tornei non Slam).

È la tendenza ad avere infortuni a essere aumentata – esattamente quello che ci si aspetta in uno sport diventato sempre più fisico. Sulla base dei recenti risultati, non dovremmo sorprenderci nel vedere un aumento dei ritiri nelle partite al meglio dei cinque set, visto che molte delle fatalità del primo turno degli US Open 2015 sarebbero sopravvissute a una partita al meglio dei tre set.

I ritiri negli Slam femminili

Nella maggior parte delle stagioni, la frequenza di ritiri al primo turno degli Slam femminili è a malapena la metà di quella in tornei non Slam del circuito.

Negli ultimi dieci anni, poco più dell’1.2% delle giocatrici nel tabellone principale di uno Slam ha abbandonato prematuramente una partita di primo turno. La stessa frequenza per i turni successivi è dell’1.1%, mentre quella nei primi turni di tornei non Slam del circuito è del 2.26%. Diatchenko è stata la quinta giocatrice a ritirarsi in un primo turno Slam quest’anno, per un totale quasi identico alla media di 1.2% data da sei ritiri (non ci sono stati altri ritiri al primo turno dopo quello di Diatchenko nel 2015, n.d.t.)

Un aneddoto, seppur fastidioso, non rappresenta una tendenza e il fatto che sia avvenuto in una partita di cartello non dovrebbe fargli assumere più importanza del valore associato al singolo elemento di un campione di dati. Anche di fronte al lauto compenso di una sconfitta al primo turno di uno Slam, i giocatori non si presentano al meglio della condizione più spesso di quanto non facciano durante il resto della stagione.

The Unalarming Rate of Grand Slam Retirements

Lo Slam che nessun giocatore salta – Gemme degli US Open

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 23 agosto 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il quinto articolo della serie Gemme degli US Open.

Rafael Nadal salta gli US Open 2012 e ormai non è più una notizia. Non è nemmeno una sorpresa, visto che Nadal non ha giocato più da Wimbledon 2012 e, in passato, il ginocchio l’ha tenuto a lungo lontano dal circuito.

L’aspetto che più colpisce è la rarità – per un giocatore di vertice – nel saltare gli US Open. Nonostante sia un torneo che si presenta verso la fine della stagione, dopo otto spossanti mesi in cui tutti i giocatori in qualche modo sono colpiti da infortuni, New York riceve più presenze tra i primi 10 del mondo degli altri tre Slam.

Anzi, dal 1991 Nadal è solo il terzo giocatore tra i primi 3 della classifica a saltare gli US Open. Nel 1999, Pete Sampras, numero 1, non potè giocare e, nel 2004, fu il numero 3 Guillermo Coria a rimanere a casa. Solo 10 delle ultime 21 edizioni hanno visto l’assenza di uno dei primi 10 giocatori.

Perché i più forti giocano gli US Open più di altri Slam

È interessante chiedersi perché i più forti vadano a giocare gli US Open come non fanno con gli altri Slam. Wimbledon ha certamente più prestigio. Di sicuro, i diversi cambi di superficie tra tornei primaverili ed estivi mettono alla prova la resistenza fisica e mentale di qualsiasi giocatore. Forse la sospensione leggermente più lunga tra Wimbledon e New York permette ai giocatori di riposarsi, dovessero averne bisogno. La maggior parte dei giocatori gioca i Master in Canada e a Cincinnati ma, come successo quest’anno, in molti sono disposti a saltare uno dei due tornei, a significare che solo un infortunio serio tiene un giocatore fuori dal tabellone degli US Open.

In ulteriore contrasto con la saggezza popolare tennistica, lo Slam con la seconda migliore presenza di giocatori di vertice è il Roland Garros, non Wimbledon. Dal 1991, solo tredici dei primi 10 hanno saltato il Roland Garros, tre dei quali erano in realtà un solo giocatore, Boris Becker.

Wimbledon al terzo posto

Pur venendo considerato sinonimo di tennis, Wimbledon è al terzo posto e ben dietro, con 25 dei primi 10 assenti nelle ultime 22 edizioni. In questo caso i nomi hanno più senso: Alex Corretja tre volte, Marcelo Rios due, Sergi Bruguera quattro volte. Semplicemente, verso la fine degli anni ’90 alcuni giocatori non consideravano Wimbledon un torneo a cui dover partecipare a ogni costo.

Gli Australian Open sono poco più indietro al quarto posto, con 29 giocatori tra i primi 10 che non hanno giocato. Melbourne sembra essere il torneo con meno presa dei quattro Slam, ma negli ultimi anni c’è stata un’inversione di tendenza. Dal 2006 infatti solo un giocatore tra i primi 10, Nikolay Davydenko nel 2009, non ha giocato.

Si può essere quindi indotti a pensare che le assenze dai tornei Slam siano casuali, determinate da infortuni che capitano in qualsiasi momento. Ogni assenza di un singolo giocatore certamente sembra essere motivata da questo. Ci sono però anche forze di ordine superiore – come il valore associato a certi tornei, la maggiore pressione a cui il fisico è sottoposto in alcuni momenti della stagione rispetto ad altri – che sono anch’esse casuali. In un certo e ulteriore modo, Nadal sta facendo vedere di essere un giocatore unico, saltando lo Slam del calendario che nessuno salta.

Aggiornamento

La tabella riepiloga le assenze tra i primi 10 giocatori del mondo nei cinque anni successivi al 2012, quando è stato scritto l’articolo originale. Si nota immediatamente come non solo gli US Open abbiano perso il primato di Slam con più presenze tra i primi 10, ma siano scesi all’ultimo posto, principalmente a causa dei quattro ritiri dell’edizione 2017 (n.d.t.).

                2013  2014  2015  2016  2017  TOT
Australian Open    1     0     1     1     0    3
Roland Garros      2     1     1     1     1    6
Wimbledon          0     1     1     1     1    3
US Open            1     1     0     2     4    8

The Slam No One Misses

Le conseguenze di un ritiro pre partita – Gemme degli US Open

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 3 settembre 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

In occasione dello svolgimento degli US Open 2017, vengono riproposte delle gemme analitiche dallo scrigno di TennisAbstract, su alcune tematiche comuni all’edizione in corso.

Mardy Fish si è ritirato prima dell’inizio dell’ottavo di finale contro Roger Federer agli US Open 2012. Come discusso in un altro articolo, Federer potrebbe beneficiare di un riposo addizionale, ma con la programmazione a giorni alterni di uno Slam rischia anche di passare troppo tempo fuori dal campo.

Quale conseguenza quindi ha più peso? Il riposo aggiuntivo renderà Federer ancora più favorito nel quarto di finale contro Tomas Berdych? O la ruggine da un’interruzione così lunga bloccherà gli ingranaggi del suo tennis?

Riposo aggiuntivo o ruggine da interruzione?

Virtualmente, non ci sono effetti degni di nota. I giocatori che beneficiano di un ritiro pre partita vincono il turno successivo quasi esattamente la metà delle volte, e uno sguardo ravvicinato a quelle partite rivela che il 50% è quello che ci saremmo attesi, a prescindere dal ritiro.

Alla ricerca di un possibile nesso, dal 2001 ho trovato 139 ritiri pre partita del tabellone principale di tornei del circuito maggiore, il cui beneficiario ha poi giocato almeno un’altra partita nello stesso torneo – in altre parole – finali escluse. Per quanto possa sembrare che i ritiri avvengano quando un giocatore ha poche speranze di vincere una partita (come nel caso di Fish o degli altri due che si sono ritirati prima di giocare con Federer quest’anno), non ci sono prove a sostegno nemmeno di questa teoria. In media, le probabilità di vittoria del giocatore che poi si ritira prima della partita sono di circa il 51%.

Possiamo quindi procedere nell’assunto che ci sia parzialità marginale nel campione di 139 giocatori che hanno beneficiato di un libero accesso al turno successivo. Per ogni Federer esiste un Donald Young che avanza per ritiro pre partita di Richard Gasquet (secondo turno degli US Open 2007, n.d.t.). A bilanciare il ritiro di giocatori senza possibilità di vittoria potrebbero esserci giocatori di vertice che decidono rapidamente di ritirarsi perché sono nella condizione di farlo, derivante dal loro successo, e hanno un orizzonte temporale più lungo.

Nelle 139 partite successive a un ritiro pre partita, il record è stato 67-72, vale a dire che i beneficiari hanno vinto il 48.2% delle volte. Previsioni pre partita (con il mio sistema Jrank) davano una percentuale di vittoria del 48.9%.

Nessun effetto sul beneficiario

Se restringiamo la ricerca agli Slam, rimaniamo con un campione di 12 partite praticamente privo di importanza. I giocatori con accesso al turno successivo grazie a un ritiro pre partita hanno siglato un record di sei vittorie e sei sconfitte, a fronte di una previsione pre partita rispettivamente di 7 e 5. Forse la ruggine influisce, seppur in modo limitato; molto più probabilmente invece il ritiro pre partita non ha alcun effetto sul beneficiario.

Per i tifosi di Federer, in ogni caso, c’è scarso motivo di preoccupazione. È la nona volta in carriera che ha beneficiato di un ritiro pre partita perdendo la partita successiva solo due volte, la prima nel 2002, l’ultima all’Indian Wells Masters 2008. Il giocatore che lo ha battuto in quell’occasione? Fish, ovviamente (Berdych in realtà ha poi eliminato Federer nei quarti di finale in quattro set, n.d.t.).

Withdrawal Effects

I ritiri non significano necessariamente manipolare il sistema

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 5 luglio 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Ci sono stati sette ritiri nelle partite di primo turno del tabellone di singolare maschile di Wimbledon 2017, di fronte ai quali è stata invocata l’introduzione di regole per negare ai giocatori – in queste situazioni – il premio partita. Parte della motivazione è di carattere punitivo, parte cerca di evitare la delusione degli appassionati che sono accorsi per vedere i migliori del mondo, e parte è compassione per i giocatori esclusi che avrebbero potuto essere al posto dei ritirati.

Chi fa appello alle regole però non sembra in grado di proporre valide soluzioni. Presumibilmente è una sede in cui non si sta prendendo in considerazione un approccio del tipo “se il giocatore si ritira, deve rinunciare al premio partita”.

Una linea argomentativa come questa può essere utile a coloro che sostengono che i giocatori delle retrovie stiano fingendo infortuni solo per accumulare premi e punti del primo turno di uno Slam. Analizziamo uno per uno i sette ritiri del primo turno di Wimbledon.

I sette ritiri al primo turno di Wimbledon 2017

Martin Klizan vs Novak Djokovic

Martin Klizan si ritira contro Novak Djokovic sul punteggio di 3-6 0-2. Klizan non è un giocatore da frequenti ritiri, questa è solo l’undicesima volta che abbandona una partita del tabellone principale in tutta la sua carriera (al momento, 237 partite sul circuito maggiore, n.d.t.). Klizan però si è ritirato anche la scorsa settimana nel primo turno del torneo di Antalya, sul 6-6 del primo set contro Marsel Ilhan, un giocatore con 250 posizioni in meno in classifica. Klizan è il numero 47 del mondo e ha guadagnato 4.2 milioni di dollari in premi partita a 27 anni.

Cosa penso: non sta fingendo (certamente non è andato ad Antalya per premi e punti del primo turno), ma è probabile che non fosse fisicamente in ordine per giocare a Wimbledon. Era consapevole di non esserlo o comunque pensava di avere una possibilità di superare il turno?

Alexander Dolgopolov vs Roger Federer

Alexandr Dolgopolov si ritira contro Roger Federer sul punteggio di 3-6 0-3. Pur non avendo un fisico imponente, Dolgopolov non è particolarmente fragile: si tratta anche per lui dell’undicesimo ritiro di una lunga carriera (al momento, 384 partite sul circuito maggiore, n.d.t.), in questo caso per un problema alla caviglia, la stessa che si era infortunato due settimane fa in una partita molto equilibrata con Vasek Pospisil a ’s-Hertogenbosch. Il ritiro era stato immediato, quindi era sicuramente un infortunio importante allora. Dolgopolov è il numero 84 del mondo, ben al di sotto delle sue abitudini di classifica. Ha guadagnato 6.3 milioni di dollari in premi partita a 28 anni.

Cosa penso: non sta fingendo. A due settimane dal primo infortunio, è ragionevole pensare di poter giocare a Wimbledon, anche se poi il sorteggio lo ha messo contro Federer, con cui non aveva possibilità se non al 100% della condizione. Si sarebbe dovuto ritirare quando è uscito il tabellone o avrebbe dovuto rimanere con un avversario diverso al primo turno?

Feliciano Lopez vs Adrian Mannarino

Feliciano Lopez si ritira contro Adrian Mannarino sul punteggio di 7-5 1-6 1-6 3-4. Lopez è un giocatore di ferro negli Slam e ha solo 11 ritiri nella sua lunga carriera (al momento, 845 partite, di cui 153 negli Slam, n.d.t.). Ma ha anche 35 anni e ha giocato dieci partite sull’erba nelle ultime due settimane, raggiungendo due finali e vincendone una. È il numero 25 del mondo e ha vinto 14 milioni di dollari in premi partita (e, con quella bella presenza, immagino anche molte sponsorizzazioni, almeno in Spagna).

Cosa penso: non sta fingendo. Semplicemente, è esausto per una preparazione sull’erba molto intensa. L’ironia è che se avesse dovuto giocare un ATP 250, quasi sicuramente si sarebbe ritirato prima dell’inizio del torneo. Sarebbe stato normale per un giocatore che ha appena vinto un torneo, ancora di più per uno che ha fatto due finali consecutive. D’altro canto però non era irragionevole per lui pensare di avere una possibilità di andare avanti, visto che fondamentalmente è stato il giocatore con i risultati migliori sull’erba nel 2017.

Janko Tipsarevic vs Jared Donaldson

Janko Tipsarevic si ritira contro Jared Donaldson sul punteggio di 0-5 dopo essersi stirato un muscolo della gamba. Tipsarevic è stato anche tra i primi 10 del mondo, ma il suo fisico lo espone a infortuni e questo si riflette in una lista relativamente lunga di ritiri, oltre al fatto che per quasi due anni è dovuto stare lontano dal tennis. Ora è tornato al numero 63 e ha vinto 8 milioni di dollari in premi partita a 33 anni.

Cosa penso: pur non avendo molte informazioni al riguardo, dubito seriamente che un giocatore come Tipsarevic abbia risalito così faticosamente la china per tornare a una classifica che gli dia accesso diretto agli Slam e poi finga un infortunio per uscire al primo turno, con relativi punti e premi partita.

Viktor Troicki vs Florian Mayer

Viktor Troicki si ritira contro Florian Mayer sul punteggio di 1-6. Potrebbe sorprendere, ma Troicki ha solo 11 ritiri in carriera (al momento, su 510 partite del circuito maggiore, n.d.t.) e nessuno (si, nessuno!) dal 2013 (va detto che ha subito anche una squalifica per parte di quel periodo). Come Tipsarevic, anche Troicki ha lavorato molto per tornare a essere un giocatore rilevante, anche la sua ascesa è stata più veloce di quella del connazionale. È il numero 40 del mondo e ha vinto 7.5 milioni di dollari in premi partita a 31 anni.

Cosa penso: il comportamento in campo di Troicki in qualche occasione può diventare avvilito, e questo induce a ritenere che stia rinunciando alla partita. Non trovo però questo aspetto nel numero di volte in cui si è ritirato. Non aveva molti punti da difendere, ma uno del calibro di Troicki che è soddisfatto dei punti e premi di un primo turno di uno Slam? Non è il giocatore delle retrovie che cerca un guadagno facile, come espresso da qualche giornale.

Denis Istomin vs Donal Young

Denis Istomin si ritira contro Donald Young sul punteggio di 7-5 4-6 4-6 2-4. Ognuno è libero di esprimersi al riguardo, ma questa partita è stata interrotta per pioggia ed è proseguita nell’oscurità. Non conosco i dettagli dell’infortunio di Istomin. Si ritira un po’ più della media, tra cui due volte al primo turno di Wimbledon e una volta al primo turno degli US Open. È il numero 72 del mondo e ha guadagnato 5 milioni di dollari in premi partita a 30 anni.

Cosa penso: non ci sono stati ritiri nelle ultime partite, quindi non c’è nemmeno indicazione che Troicki non fosse in condizione. Probabilmente è il candidato numero uno per coloro che sostengono la teoria dei ritiri finalizzati ai premi partita e probabilmente rientra anche nella definizione di giocatore delle retrovie, ma davvero continuerebbe a giocare fino al quarto set – dopo aver vinto il primo e con interruzione per pioggia – solo per portare a casa i soldi del primo turno?

Nick Kyrgios vs Pierre Hugues Herbert

Nick Kyrgios si ritira contro Pierre Hugues Herbert sul punteggio di 3-6 4-6. È da un po’ che soffre all’anca e al Roland Garros si sono viste le sue espressioni di dolore a ogni cambio di campo. Prima di Wimbledon ha anche dichiarato di essere al 60-65%, quindi nessuno è rimasto sorpreso dal suo ritiro. Kyrgios è il numero 20 del mondo e ha già guadagnato 4.5 milioni di dollari in premi partita a 22 anni, oltre a essere ormai una celebrità del tennis.

Cosa penso: ovviamente non sta fingendo, ma era anche non in condizione di giocare, per sua stessa ammissione. Sapeva che non avrebbe fatto troppa strada con un anca malconcia. Aveva però molti punti da difendere con gli ottavi di finale a Wimbledon 2016, è comprensibile quindi che volesse cercare di superare qualche turno per limitare il differenziale. Kyrgios è in grado di vincere partite contro giocatori delle retrovie pur essendo limitato negli spostamenti.

Buoni e cattivi?

A questo punto, come si può riuscire a suddividere i giocatori in bravi e cattivi e stabilire una regola che punisca quelli cattivi senza accidentalmente generare conseguenze anche per quelli bravi? Rifacendosi all’elenco, ipotizzo che nessuno metta Lopez tra i cattivi. Supponiamo di avere solo Kyrgios tra i cattivi: davvero deve esserci una regola secondo la quale se un giocatore ammette di non essere al massimo della condizione viene punito? E quale percentuale rappresenta il massimo? Non fa molta differenza perché qualsiasi la soglia, si ottiene l’effetto indesiderato di far parlare ancor meno i giocatori della loro condizione rispetto a quanto già non facciano.

O forse Klizan e Dolgolopov sono tra i cattivi? Davvero deve esserci una regola secondo la quale se un giocatore si è ritirato recentemente, non può giocare nel primo turno di uno Slam? Come si distinguerebbe tra chi ha recuperato e chi non ci è riuscito? Magari una regola così comporta che Klizan e Dolgolopov non si ritirino da Antalya e ’s-Hertogenbosch ma, per evitare di infortunarsi ulteriormente, perdano quelle partite di proposito. Credo che una situazione del genere sarebbe ancora più dannosa per tifosi e spettatori di quanto non lo sia un ritiro.

O ancora, forse ci sono Tipsarevic, Istomin e Troicki tra i cattivi. Ma si è in grado di spiegarne esattamente il motivo? Non ci si può basare su delle sensazioni. Su cosa farebbe leva la regola come cartina di tornasole della loro violazione?

I ritiri ci saranno sempre

Sono state completate altre 57 partite di primo turno del singolare maschile, cioè più del doppio di quante ce ne siano in una ordinaria settimana di tennis. Tra un po’ di giorni, la maggior parte di noi si sarà dimenticata dei giocatori che si sono ritirati al primo turno a Wimbledon 2017 e dei motivi.

Gli appassionati dovrebbero imparare a sopravvivere e andare avanti, come fanno i giocatori di ogni torneo di tennis.

Just Because A Player Retires, Doesn’t Mean He is Gaming the System

L’impatto negativo del tempo trascorso in campo

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 2 giugno 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

C’è stata solo una partita tra le 96 giocate fino a questo momento al Roland Garros 2017 andata oltre il limite estremo del 6-6 al quinto set. Abbiamo comunque avuto diverse partite terminate al set decisivo molto lunghe ed estremamente intense, tra cui tre al primo turno che hanno superato le quattro ore di gioco. I relativi vincitori, Victor Estrella, David Ferrer e Rogerio Dutra Silva hanno poi perso al secondo turno.

Qualche anno fa ho identificato un effetto “postumi” per le partite maratona negli Slam, definite tali quando raggiungono il punteggio di 6-6 al quinto set. I giocatori che emergono vincitori da battaglie così estenuanti sarebbero comunque spesso considerati sfavoriti nelle partite successive. Dopotutto, giocatori di vertice raramente faticano così tanto per andare avanti, ma i maratoneti ottengono dei rendimenti inferiori anche una volta tenuto conto del loro status da sfavoriti (in un precedente articolo di qualche giorno fa, ho mostrato come nel circuito femminile l’effetto postumi da maratona al terzo set è marginale o addirittura inesistente).

Mi è stato suggerito di ampliare il campo di analisi sugli effetti della durata di una partita. In fondo, ci sono molte battaglie che finiscono appena prima di rientrare nella definizione di maratona, e alcune di queste, come la sconfitta di Ferrer contro Feliciano Lopez per 6-4 al quinto, richiedono maggiore sforzo fisico di alcune di quelle che raggiungono il 6-6. Va detto che la durata di una partita non è un indicatore perfetto dell’eventuale fattore fatica – una partita di quattro ore contro Ferrer è qualitativamente diversa da quattro ore contro Ivo Karlovic – ma rimane la variabile migliore in presenza di un campione di partite molto ampio.

Cosa succede dopo?

Ho preso più di 7200 partite Slam di singolare maschile completate dal 2001 e le ho divise in gruppi a seconda della loro durata in ore: da 1:00 a 1:29, da 1:30 a 2:00 e così via, fino all’ultima categoria di almeno 4:30. Ho poi verificato il risultato delle partite giocate dai vincitori nel turno successivo.

Durata precedente  Partite  Vittorie  % Vitt.  
1:00 -- 1:29       448      275       61.4%  
1:30 -- 1:59       1918     1107      57.7%  
2:00 -- 2:29       1734     875       50.5%  
2:30 -- 2:59       1384     632       45.7%  
3:00 -- 3:29       976      430       44.1%  
3:30 -- 3:59       539      232       43.0%  
4:00 -- 4:29       188      64        34.0%  
Almeno 4:30        72       23        31.9%

Non potrebbero esserci meno dubbi sulla tendenza. Se l’unica informazione che si conosce di una partita Slam è quanto sono rimasti in campo i due avversari nelle loro rispettive precedenti partite, si vuole scommettere sul giocatore che ha vinto nella minore quantità di tempo.

Naturalmente, il tempo trascorso in campo non è l’unica informazione a disposizione sui giocatori. Andy Murray ha giocato per 3:34 contro Martin Klizan, ma nonostante faccia fatica sulla terra in questa stagione, lo consideriamo favorito al terzo turno contro molti degli altri giocatori del tabellone.

Vale anche tenendo conto della qualità dei giocatori

Come nelle precedenti analisi, fattorizziamo la bravura complessiva dei giocatori attraverso la stima della probabilità di ciascun giocatore di vincere ognuna delle più di 7200 partite del campione. La tabella riepiloga gli stessi gruppi di durata, con indicazione delle “vittorie attese” (basate sul sistema di valutazione Elo specifico per superficie o sElo).

Durata precedente  Vitt. V. attese  % V. attese Indice  
1:00 -- 1:29       275   258        57.5%       1.07  
1:30 -- 1:59       1107  1058       55.2%       1.05  
2:00 -- 2:29       875   881        50.8%       0.99  
2:30 -- 2:59       632   657        47.5%       0.96  
3:00 -- 3:29       430   445        45.6%       0.97  
3:30 -- 3:59       232   244        45.3%       0.95  
4:00 -- 4:29       64    77         41.2%       0.83  
Almeno 4:30        23    30         42.1%       0.76

Anche in questo caso la tendenza non si presta a un’interpretazione ambigua. I giocatori migliori trascorrono meno tempo in campo, quindi se sapete di un giocatore che ha battuto il suo precedente avversario in 1:14, potete dedurre che sia molto bravo. Si tratta spesso di un assunto sbagliato ma, in aggregato, risulta essere vero.

La colonna “Indice” mostra il rapporto tra la percentuale di vittorie effettive (dalla tabella precedente) e la percentuale di vittorie attese. Se la durata della partita precedente non ha avuto alcun effetto, ci aspetteremmo di vedere gli indici assumere valori casuali intorno a 1. Invece, osserviamo un declino continuo dal più alto 1.07 – vale a dire che i vincitori di partite brevi vincono il 7% più spesso rispetto a quanto potremmo pronosticare dal loro livello di bravura – al più basso 0.76, che indica che i giocatori tendono ad avere rendimenti inferiori a seguito di battaglie lunghe almeno 4:30.

Tempo di gioco o stato di forma?

È difficile stabilire se siamo di fronte a un effetto diretto del tempo trascorso in campo o di una rappresentazione dello stato di forma. Per quanto affidabili siano le valutazioni Elo specifiche per superficie, non sono in grado di esprimere tutte le variabili che intervengono nella previsione del risultato di una partita, specialmente le considerazioni di estremo dettaglio come l’adattabilità di un giocatore a un certo tipo di superficie o di torneo.

Inoltre, sElo ha bisogno di un po’ di tempo per riflettere il livello di gioco di giocatori che migliorano velocemente, specialmente quando sono molto giovani. Tutto questo per dire che il nostro aggiustamento per il livello di bravura complessivo non potrà mai essere perfetto.

Quindi, una vittoria in 75 minuti potrebbe dare a un giocatore più possibilità per il turno successivo in virtù di una maggiore freschezza…o potrebbe dirci che – qualsiasi sia la ragione – quel giocatore è in realtà più forte di quanto il modello gli riconosca.

Una considerazione a favore di quest’ultimo aspetto è che, nel caso più estremo, meno tempo speso in campo non è di aiuto: non sembra che i giocatori traggano beneficio dal passaggio del turno per il ritiro pre-partita dell’avversario. Non è un’argomentazione scolpita nella roccia – alcuni commentatori ritengono che i ritiri pre-partita potrebbero in realtà generare l’effetto opposto visti i diversi giorni di pausa per un giocatore tra un turno e il successivo – mostra però che meno tempo in campo non è necessariamente un fattore positivo.

Può essere un indicatore anche per partite brevi

A prescindere dalla motivazione sottostante, possiamo aggiustare le previsioni di conseguenza. Murray potrebbe essere leggermente meno solido nella suo prossimo turno dopo la lunga battaglia con Martin Klizan (Murray ha poi vinto al terzo turno contro Juan Martin Del Potro in tre set e 2:53 ore di gioco, n.d.t.)

Albert Ramos, l’unico giocatore ad aver terminato il secondo turno in meno di 90 minuti, potrebbe giocare lievemente meglio di quanto la sua valutazione del momento suggerisca. È evidente che il tempo trascorso in campo rappresenti un indicatore anche quando non sta per iniziare il set decisivo in una maratona al quinto set.

The Negative Impact of Time of Court

I ritiri non dipendono solo dal caldo

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 4 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nella quarta giornata dell’edizione 2015 degli US Open, il caldo è stato il tema più dibattuto. Gli effetti brutali di temperature soffocanti e di un’umidità insopportabile si sono fatti sentire soprattutto nel pomeriggio, quando Jack Sock è svenuto nel terzo set della sua partita contro Ruben Bemelmans. Sock – che durante l’intervento dei paramedici si è ripreso a fatica – è stato costretto al ritiro, vittima di un colpo di calore.

Una prognosi positiva deve essere di minima consolazione per Sock, che era avanti di due set è ha dovuto abbandonare la possibilità di superare il turno perché è stato sfortunato a scendere in campo alle 12.30 della mattina. Se la fortuna ha un ruolo così importante, le competizioni sportive smettono di essere un confronto – tra le altre cose – di preparazione fisica.

Aumento dei ritiri pre e durante la partita

Gli organizzatori dei tornei potrebbero dichiarare innocenza invocando l’inclemenza del meteo, ma le condizioni atmosferiche non sono l’unica problematica. Sono aumentati infatti sia i ritiri prima che durante la partita, che costituiscono la forma di approssimazione per valutare l’affaticamento e gli infortuni dei giocatori più facilmente disponibile per la maggior parte delle partite.

Nel periodo dal 1991 (l’anno di nascita dell’ATP World Tour) al 2014, il numero atteso di ritiri prima e durante la partita è aumentato dal 4.4% al 6.9%, corrispondente a un 5% di probabilità di ritiro prima e durante la partita nei tornei dello Slam dei nostri giorni, come mostrato dall’immagine 1 (nella versione originale, è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

IMMAGINE 1 – Ritiri prima e durante la partita per gli US Open maschili, 1990-2014

Si tratta naturalmente di medie. I dati sui ritiri nell’immagine 1 sono abbastanza soggetti a rumore statistico e, così come la media complessiva, mostrano segnali di aumento della rumorosità nel corso del tempo. Quindi, sebbene comunque in presenza di un incremento sistematico costante, i ritiri attesi prima e durante la partita in una qualsiasi stagione potrebbero essere molto più in alto o in basso rispetto alla linea nel grafico che definisce la tendenza evolutiva della media. Dal 2000, tre edizioni degli US Open (2002, 2011, 2014) hanno avuto almeno 10 ritiri prima e durante la partita. La crescente volatilità unita all’aumento atteso di ritiri rendono questa dinamica ancora più preoccupante.

Quale potrebbe essere la causa?

Certamente le condizioni meteo e la preparazione fisica dei giocatori rivestono un ruolo importante ma – a meno che il riscaldamento globale non si sia accanito proprio a settembre durante gli US Open – un miglioramento nella condizione atletica dei giocatori dovrebbe indurre a pensare a una riduzione nel numero di ritiri durante l’era moderna. Il fatto che si osservi il contrario suggerisce che ci sia dell’altro.

IMMAGINE 2 – Variazione nella durata media delle partite e numero di ritiri prima e durante la partita per gli US Open maschili, 1994-2014

Parallelamente all’aumento dei ritiri, un aspetto che indubbiamente colpisce è il considerevole incremento della durata delle partite nel circuito maschile. L’immagine 2 mette a confronto la durata media delle partite concluse agli US Open rispetto alla media del 1999, anno in cui si è iniziato a raccogliere dati pubblicamente disponibili sulla durata delle partite. Nel corso di quindici anni, la durata media di una partita è aumentata di 15 minuti. Per i giocatori che arrivano in finale, significa circa quasi due ore aggiuntive di gioco complessivo nel torneo. Non stupisce che una forma fisica perfetta come quella di Novak Djokovic sia ormai fondamentale per rimanere al vertice del tennis moderno.

Partite più lunghe portano all’aumento della frequenza dei ritiri

La somiglianza dell’andamento di crescita tra durata delle partite e frequenza di ritiri indica che i ritiri prima e durante la partita non sono del tutto casuali. Più semplicemente, il gioco da fondo in voga in questi anni esercita un impatto sul fisico molto più profondo rispetto al ritmo rapido con cui si giocava quindici o venti anni fa, e le conseguenze in termini di affaticamento e infortuni sono un’evidenza.

Eppure gli organizzatori hanno cambiato ben poco per far pensare di aver riconosciuto l’esistenza di queste dinamiche. Gli US Open sono probabilmente il torneo più attivo da questo punto di vista, avendo introdotto il tiebreak al quinto set e spostato la finale al lunedì. Tuttavia, il drammatico ritiro di Sock e gli altri 12 in totale ancor prima degli ottavi di finale sono un frustante richiamo alla necessità di dover fare molto di più.

Retirements Aren’t Only About Standing the Heat