Un rivisitazione della componente mentale nel tennis

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 13 dicembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Sembra esserci un consenso di fondo sulla rilevanza della componente mentale nel tennis. È meno chiaro però cosa significhi esattamente. Opinionisti e tifosi spesso si riferiscono a determinati giocatori come più forti o meno forti mentalmente, aspetto che aiuta a giustificare un eventuale divario tra talento e prestazioni.

Predominio, mano calda, continuità di risultato

Ci sono tre concetti a cui più si fa riferimento in una discussione sul “gioco mentale”: predominio nei momenti chiave, mano calda, continuità di risultato. Spesso ne ho criticato l’eccessivo utilizzo da parte dei commentatori televisivi. Ad esempio, servire un ace sulla palla break è considerato predominante, nel senso che quel giocatore ha imposto il suo gioco in un momento molto delicato.

Questo però non vuol dire che il giocatore possa essere descritto come predominante. Reagire bene alla pressione di specifiche situazioni non determina necessariamente che venga fatto più spesso della media.

Lo stesso vale per la “mano calda”: si tende a generalizzare in modo eccessivo da piccoli campioni di dati, quindi se un giocatore colpisce di fila tre rovesci lungolinea vincenti, si è portati a pensare che abbia la mano calda, anche se a volte può dipendere solo dalla fortuna.

È probabile che ci siano giocatori più predominanti, più con mano calda e più continui dei colleghi – o viceversa – anche oltre quanto è attribuibile al caso.

Contestualmente, nessun professionista è così tanto o poco predominante al punto che il suo gioco nelle fasi di maggiore importanza della partita spieghi in larga misura il suo successo o fallimento sul circuito.

Effetti ridotti

La maggior parte dei giocatori vince tanti tiebreak quanti ci si attende dal record di set che terminano con altro punteggio e trasforma palle break in numero pronosticatile dalle statistiche complessive alla risposta. Non accade nulla di magico nelle circostanze di maggiore pressione comunemente chiamate in causa, e non ci sono giocatori che diventano improvvisamente superman o materiale da discarica.

Se siete regolari fruitori del mio blog, è probabile che vi sia capitato di aver già letto sulla tematica, da me o da molti altri analisti di sport. Non voglio estremizzare dicendo che il predominio nei momenti chiave sia inesistente (o la mando calda o la continuità di risultato), mi preme evidenziare che questi effetti sono ridotti, così ridotti che difficilmente ce ne si accorge guardando le partite. E a volte così piccoli da mettere in difficoltà anche gli analisti nel distinguerli dalla casualità totale.

Eppure, rimaniamo con l’unanime, e invitante (!), convinzione che il tennis sia un gioco mentale. Nel tentativo di introdurre diversi tipi di modelli semplificati, scriverò sempre qualcosa del tipo: “sarebbe così se i giocatori fossero dei robot”. Per quanto alcuni di questi modelli siano decisamente precisi, credo che si sia tutti d’accordo sul fatto che i giocatori non sono dei robot, a eccezione forse di Milos Raonic.

Puramente mentale

C’è una versione estrema della convinzione che il tennis sia un gioco mentale che ho sentito attribuita a James Blake, quella per cui la differenza tra il numero 1 del mondo e il numero 100 è puramente mentale (immagino sia una eccessiva semplificazione del pensiero di Blake, ma sono opinioni diffuse a sufficienza da rendere l’idea di fondo degna di considerazione).

È un po’ dura da mandare giù. Chi infatti pensa che Radu Albot (l’attuale numero 99) abbia talento nella stessa misura di Rafael Nadal? Se ci allontaniamo un po’ dalle posizioni estreme, possiamo scorgerne l’attrazione.

Al momento, sia Bernard Tomic che Ernests Gulbis hanno una classifica tra il numero 80 e il 100. Si può affermare con sicurezza che entrambi non hanno talento quanto due tra i primi 10 come Kevin Anderson e Marin Cilic? Eppure spesso Tomic si mette in luce positiva in situazioni di pressione, mentre è Cilic quello a crollare.

Non è un problema di gestione della pressione

Il problema con Tomic, Gulbis e tanti degli innumerevoli giocatori che nella storia del tennis non hanno raggiunto grandi risultati non è la loro incapacità a gestire la pressione. Ricordiamo tutti partite, o set, o altre lunghe sequenze di gioco in cui un giocatore sembra disinteressato, poco motivato o senza energie per nessuna apparente ragione.

Anche tenendo conto dell’effetto o distorsione di selezione, penso che sia più probabile assistere a rendimenti inspiegabilmente mediocri da parte di giocatori che non hanno ottenuto risultati all’altezza delle aspettative (riuscite a immaginarvi Nadal non motivato? O Maria Sharapova?).

In senso molto ampio, li si può intendere come mano calda e continuità di risultato, ma non credo che siano gli esempi canonici a cui generalmente ci si riferisce. Operano invece su scala più larga, diciamo un intero set di mediocrità rispetto ad esempio a tre doppi falli in un solo game, e offrono una nuova modalità di pensiero sugli aspetti mentali del tennis.

Livello massimo sostenibile

Diamo a questa nuova variabile il nome di concentrazione. Ci sono innumerevoli potenziali distrazioni, interiori ed esterne a un giocatore, che ostacolano il raggiungimento della massima prestazione. Più un giocatore è in grado di ignorarle, metterle in un angolo o superarle, più è concentrato.

Ipotizziamo che ciascun giocatore abbia un personale livello massimo sostenibile di qualità di gioco e che, su una scala da 1 a 10, il massimo sia appunto 10 (sottolineo sostenibile per far capire che non si sta parlando delle volée smorzate dietro alla schiena da contorsionista di Agnieszka Radwanska, ma del miglior livello che un giocatore è effettivamente capace di mantenere. Il livello 10 di Nadal è diverso quindi dal 10 di Albot). Il valore di 1 alla base della scala si verifica raramente tra i professionisti, pensiamo a Guillermo Coria o Elena Dementieva che all’improvviso non riescono più a servire.

Maggiore la concentrazione, più spesso un giocatore si esprime al valore massimo di 10 e, per quanto non possa essere in grado di sostenerlo per tutta la partita, il giocatore più concentrato rimane più a lungo al livello 10.

Concentrazione, non continuità

Questa idea della concentrazione assomiglia molto alla vecchia definizione di continuità, e forse è quello che le persone hanno davvero in mente quando ne attribuiscono i meriti a un giocatore. Ma ci sono diverse ragioni per le quali credo sia necessario discostarsene.

La prima è pedanteria: continuità non è necessariamente un bene. Se si chiede a un giocatore di essere continuo e quel giocatore colpisce solo errori non forzati di dritto, ha seguito le istruzioni continuando a giocare male.

Più seriamente, la continuità è spesso associata al concetto di basso rischio, che però è una strategia, non un tratto positivo o negativo. Una giocatrice come Petra Kvitova non sarà mai continua perché il gioco aggressivo che la contraddistingue comporterà sempre molti errori, a volte decisamente negativi e occasionalmente in momenti sbagliati. Anche una strategia ottimale per una Kvitova al massimo della concentrazione sembrerà mancare di continuità.

Se non pensate altro che al tennis, la mia definizione di continuità vi apparirà molto limitata. Sono d’accordo, è un po’ provocatoria. Mi fosse possibile fare meglio di così nell’individuare in modo conciso di cosa parlano le persone in relazione alla continuità, lo farei.

Ripeto, parte del problema è l’eccessiva connotazione del termine. Anche se per continuità s’intende effettivamente concentrazione, ritengo sia importante trovare un’altra parola con meno peso.

Come negli scacchi

La concentrazione è davvero meglio delle altre caratteristiche di gioco mentale contro cui mi sono scagliato? Possiamo misurare in modo oggettivo il predominio nei momenti chiave, diventa molto più difficile analizzare i dati di una partita o di un’intera stagione e quantificare il livello di concentrazione raggiunto da un giocatore.

Tuttavia, ho il forte sospetto che tra i giocatori di vertice, la concentrazione vari di più, ad esempio, della mano calda in micro passaggi di gioco. Detta altrimenti: la differenza in concentrazione tra i migliori potrebbe essere la principale spiegazione di rendimenti differenti.

Ho incominciato a riflettere sull’importanza della concentrazione – ancora una volta, la capacità di sostenere il livello massimo di gioco o un livello appena inferiore per lunghi periodi – durante il Campionato del Mondo di Scacchi del mese scorso tra Magnus Carlsen e Fabiano Caruana (di cui ho scritto per l’Economist).

Appellativo di gioco mentale

Gli scacchi sono molto diversi dal tennis, è ovvio. Ma visto che non prevedono vigore, velocità o agilità di alcun tipo, hanno il diritto di arrogarsi l’appellativo di gioco mentale molto più di quanto spetti al tennis.

Pur dando spazio a momenti di splendore, le classiche partite di scacchi richiedono un livello di concentrazione così sostenuto che pochi riescono a comprendere. Basta un passaggio a vuoto contro un giocatore di élite che a quel punto è meglio abbandonare e riposarsi per la partita successiva.

Lo stereotipo più diffuso di grande maestro di scacchi è quello di una persona anziana che fa leva su esperienza e arguzia derivante da decenni di conoscenza per tenere a bada i giovani giocatori.

Eppure Carlsen e Caruana, i primi 2 del mondo, non hanno ancora compiuto trent’anni. Tra gli attuali primi 30, solo quattro giocatori sono nati prima del 1980, dodici negli anni ’90 e due dopo il 1998. La distribuzione dell’età dei più forti negli scacchi è incredibilmente simile a quella dei vertici del tennis.

Curve d’invecchiamento simili

La curva d’invecchiamento nel tennis si presta a una facile spiegazione. I giocatori possono iniziare a scalare la classifica al raggiungimento della maturità fisica verso la fine dell’adolescenza. Continuano a migliorare tra i venti e i trent’anni beneficiando di maggiore esperienza e di un fisico allenato per sopportare qualsiasi sollecitazione. Poi subentra il deterioramento fisico, i cui effetti iniziano a sentirsi verso i trent’anni, aumentando con il passare del tempo.

C’è naturalmente un fondo di verità in questo. Non importa quanto sia rilevante l’aspetto mentale, è difficile rimanere competitivi se si è perso in velocità o resistenza. E diventa ancora più dura con dolori cronici alla schiena o alle ginocchia.

Ma l’analogia con gli scacchi rimane valida: se il tennis fosse un gioco mentale, con la concentrazione a giustificare gran parte della variazione tra giocatori di vertice, la curva d’invecchiamento sarebbe quasi identica agli scacchi.

I miglioramenti introdotti dalla scienza moderna nelle tecniche di allenamento, di alimentazione e di recupero dagli infortuni hanno portato – grazie alla riduzione degli effetti di deterioramento fisico – a un appiattimento della curva d’invecchiamento del tennis verso la fine dei venti e l’inizio dei trent’anni.

In altre parole, la mitigazione della componente di rischio fisico determina una traiettoria della carriera dei giocatori d’élite nel tennis ancora più simile a quella degli scacchi.

Uno sguardo in avanti

Al momento, è solo un’ipotesi. Si può essere d’accordo che sia molto intrigante, ma resta non dimostrata, e probabilmente è estremamente complessa da dimostrare.

Se una concentrazione sostenuta è un fattore così rilevante nella prestazione dei vertici del tennis, come riusciamo anche solo a identificarla? Il metodo più diretto sarebbe quello di evitare del tutto il campo e studiare esperimenti di misurazione della concentrazione dei più forti. Dubito però si possa convincere i primi 100 della classifica a passare una divertente giornata di test in laboratorio.

C’è tuttavia del potenziale di lungo termine, perché è quello che le federazioni nazionali potrebbero fare con le loro giovani promesse. Anzi, potrebbe essere che alcune lo stiano già facendo. Ad esempio, alcune squadre professioniste americane di baseball e pallacanestro prevedono test cognitivi per valutare giocatori da mettere sotto contratto.

No cavie da laboratorio

Purtroppo, non possiamo fare dei migliori giocatori del mondo delle cavie. Se considerassimo invece i risultati delle partite, potremmo provare a calcolare la concentrazione con un approccio simile a quello che ho adottato prima in nome della quantificazione della continuità (oops!).

Il precedente algoritmo provava a misurare la prevedibilità dei risultati di un giocatore, vale a dire capire se l’undicesimo migliore del mondo perde dai primi 10 ma batte tutti gli altri o se il suo rendimento è meno pronosticabile. Non è quello a cui siamo interessati ora, perché per definizione la continuità non è necessariamente positiva.

Si può però seguire un percorso simile. Con in mano uno o più anni di risultati, si potrebbe stimare il livello massimo di un giocatore, magari con la media dei suoi cinque migliori risultati (il miglior risultato in assoluto potrebbe dipendere da un infortunio dell’avversario, una sospensione per pioggia nel momento sbagliato o un altro episodio inusuale). Avremmo così definito il livello 10 nella scala da 1 a 10 di quel giocatore.

A questo punto, confrontiamo gli altri risultati con il suo massimo. Se la maggior parte è vicina a quel livello – cioè il giocatore con continuità di gioco che perde dai primi 10 ma batte tutti gli altri – sembra allora essere concentrato, almeno da una partita all’altra. Se invece accumula molte sconfitte nette, non riesce a sostenere il livello di cui lo sappiamo capace.

Conclusioni

Non è un metodo totalmente soddisfacente, come spesso accade quando si opera con statistiche riguardanti un’intera partita. Forse, si potrebbe fare ancora meglio con dati specifici sui colpi o generati da sistemi come Hawk-Eye. Con un approccio come quello descritto – stabilire un massimo come termine di paragone – si potrebbero analizzare la velocità o l’efficacia al servizio, la frequenza delle risposte in gioco, la conversione delle opportunità a rete, e così via.

Sarebbe complicato, in parte perché la bravura dell’avversario e la velocità della superficie hanno sempre la possibilità di incidere su quei numeri, ma credo valga la pena approfondire. Se ho ragione, se cioè il tennis non è solo un gioco mentale, ma è profondamente influenzato da una concentrazione sostenuta, l’impatto di lungo termine è sullo sviluppo dei giocatori. Scuole e allenatori dedicano già molto tempo alle strategie, usando anche idee derivate dalla psicologia. Sarebbe un passo ulteriore in quella direzione.

La componente mentale nel tennis, e nello sport in generale, resta un caotico groviglio di aspetti sconosciuti. E, visto che la nuova generazione di giocatori d’élite è alla ricerca di piccoli miglioramenti tecnico-tattici da cui ricavare un vantaggio, forse la componente mentale è davvero la prossima frontiera, quella che permetterà alle nuove leve di ribaltare l’ordine precostituito.

Rethinking the Mental Game

I match point di Simona Halep

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 21 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nel tiebreak del secondo set della finale del torneo di Cincinnati 2018, Simona Halep ha avuto un match point contro Kiki Bertens. Non è riuscita a vincere il punto, poi Bertens ha fatto suo il tiebreak, aggiudicandosi anche il terzo set e il titolo.

Si è trattato di un déjà vu un po’ doloroso per i tifosi di Halep, memori della sconfitta al terzo turno di Wimbledon contro Su Wei Hsieh, a seguito di un match point sprecato.

Halep non gode di una reputazione favorevole nel chiudere le partite, non solo nei match point ma anche nei set point e, più in generale, nei game al servizio quando si decide il set o la partita. Valutare complessivamente la sua abilità nel vincere le partite va oltre le ambizioni di un solo articolo, ma possiamo iniziare ad analizzare il rendimento in un contesto più ridotto – nello specifico i match point – e confrontarlo con quello del resto del circuito maggiore.

Match point e nuove occasioni di chiusura

Partiamo dalle basi. Per qualsiasi giocatrice, raggiungere il match point è (ovviamente!) un ottimo segno del fatto che vincerà la partita. Su circa 16.000 partite femminili dal 2011 per le quali possiedo dati in sequenza punto per punto, le giocatrici che hanno avuto un match point hanno poi vinto la partita in poco più del 97% dei casi.

Non significa necessariamente che hanno chiuso al primo tentativo, o anche nel game o set della prima opportunità, ma pure in presenza di difficoltà di trasformazione del match point sono riuscite a generare nuove occasioni per terminare la partita.

Se vogliamo trovare le prove della debolezza di Halep in questo ambito di gioco, dobbiamo guardare altrove. Tra la fine del 2011 e la Rogers Cup a Montreal in agosto, Halep ha vinto 250 delle 251 partite in cui ha avuto un match point tra quelle di cui possiedo dati in sequenza punto per punto (ne ho per la maggior parte delle partite di Halep, e me ne mancano in modo casuale. Lo stesso vale praticamente per tutte le altre giocatrici. Alcuni dati sono disponibili qui, spero di aggiornali presto con il 2017 e 2018). Vale ha dire che, con l’eccezione di Wimbledon contro Hsieh, non ha mai perso una partita in cui ha avuto almeno un match point.

Non è un risultato che si distingue se lo si confronta con quello delle giocatrici più forti. Tra le cinquanta donne con almeno cento partite con un match point a favore, cinque – Serena WilliamsVictoria AzarenkaAndrea PetkovicEkaterina Makarova e  Elena Vesnina – hanno sempre trasformato un match point, se non proprio al primo tentativo (anche qui mancano alcune partite, ciò non toglie che in un campione casuale di 259 partite, Williams non ha mai perso).

Prima della finale di Cincinnati, Halep era in compagnia di otto giocatrici – tra le altre Petra KvitovaMaria SharapovaAna Ivanovic – ad aver perso una sola partita dopo un match point a favore.

Rendimenti in situazioni di gioco

Non è un caso vedere i nomi più dominanti del tennis femminile nelle zone alte della lista. È vero, le migliori sono quelle che più probabilmente convertiranno il match point ma, altrettanto importante, sono anche quelle con più probabilità di ottenere diverse occasioni per chiudere la partita.

A tiebreak avanzato un errore può rappresentare la sentenza definitiva, ma la maggior parte delle volte in cui Halep, Williams o giocatrici di quel livello mancano di cogliere un’opportunità, sono avanti nel punteggio magari di un set e un break, e quindi in posizione ideale per generarne di successive.

Questo porta a un’altra domanda: che rendimento hanno sul match point le giocatrici? La pressione del momento determina meno punti vinti rispetto a quelli al servizio o alla risposta in cui non si è sul match point? O fattori di natura diversa, come il vantaggio psicologico o il tifo del pubblico, spingono le giocatrici a fare ancora meglio?

A quanto pare non esiste una sola spiegazione; i risultati divergono, seppur di poco, a seconda che il match point a favore sia al servizio o alla risposta. È leggermente meno probabile per una giocatrice vincere il punto quando è al servizio per chiudere la partita, rispetto al suo rendimento al servizio fino a quel punto.

Non è una differenza sostanziale – quasi un 3% in meno nella frequenza di punti vinti al servizio – ma si mantiene costante in molti anni di risultati del circuito femminile. A un punto dalla partita ma sul game alla risposta, l’effetto match point non si verifica. La frequenza dei punti vinti alla risposta rimane invariata a prescindere da una possibile imminente stretta di mano.

Quasi tutte le giocatrici sono vicine alla neutralità

I match point sono quasi parimenti distribuiti tra servizio e risposta: sul circuito femminile circa il 55% arrivano al servizio, con il rimanente 45% alla risposta. Considerando quindi una diminuzione del 3% nel rendimento al servizio ma una situazione immutata alla risposta, le giocatrici vincono all’incirca l’1.5% di punti in meno sul match point che in altri momenti della partita.

Una giocatrice che replica quasi alla perfezione questa tendenza è Caroline Wozniacki, che in 271 partite con almeno un match point e 474 match point effettivi, ha vinto quei match point con una frequenza inferiore dell’1.7% rispetto agli altri punti.

Se analizziamo punti singoli, alcune delle giocatrici che quasi sempre vincono partite con match point a favore non fanno molto meglio della media. Ad esempio, Sharapova vince match point con una frequenza inferiore dell’1.2% rispetto agli altri punti, mentre per Azarenka scende all’1.4%. Dominika Cibulkova ha vinto 198 delle 201 partite con match point nel mio campione di dati, nonostante la frequenza di conversione sia scesa di un incredibile 7%.

Halep però non rientra nella categoria. Nelle 251 partite con match point a favore ha avuto 420 match point singoli, che ha vinto con una frequenza del 4.4% più alta degli altri punti nello stesso insieme di partite.

In poche riescono meglio, anche se alcune con ampio margine, come Kvitova con il +9.0% e Vesnina con il +13.9%. La grande maggioranza delle giocatrici è a qualche punto percentuale dalla neutralità, vincendo cioè match point – al servizio o alla risposta – circa nella stessa misura degli altri punti.

Risultati casuali

Questi numeri comunicano solo una cosa, e cioè quello che è successo in passato. Si è tentati di usarli per fare previsioni, o magari scommettere cifre importanti la prossima volta che a Vesnina manca un punto per la vittoria. Ma quando la maggior parte delle giocatrici è così vicina alla neutralità, serve tenere in mente che molte delle risultanze potrebbero essere del tutto casuali.

Se esistono dinamiche ricorrenti in situazioni di match point, dovremmo essere in grado di identificarle dai dati a disposizione. Ad esempio, potremmo accorgerci che Kvitova trasforma match point con una frequenza alta in ogni singola stagione.

Per ovviare al problema generato dai totali della singola stagione che a volte costituiscono un campione eccessivamente ridotto, ho adottato un metodo differente.

Ho suddiviso in modo casuale in due gruppi distinti le partite di quelle giocatrici che hanno avuto almeno 60 partite con match point, e confrontato il rendimento sui match point con la frequenza di successo negli altri punti.

Se si trattasse di un effettivo talento, ci dovremmo attendere una distribuzione quasi identica in ciascuno dei due gruppi casuali, vale dire meglio o peggio della media nei match point in entrambi i gruppi.

Purtroppo, per questa popolazione di 80 giocatrici con abbastanza match point, non c’è alcun tipo di correlazione. Se le giocatrici manifestano tendenze durevoli e prevedibili di prestazioni superiori o inferiori nelle opportunità di chiusura della partita, o si tratta di variazioni impercettibili o non reggono il passare del tempo.

Previsioni intelligenti

È il classico riscontro associato a specifiche situazioni nel tennis. Il nostro iperattivo cervello in cerca di modelli interpretativi trova più semplice identificare percorsi validi solo all’apparenza. In generale però, le giocatrici vincono punti con la stessa frequenza a prescindere dal contesto.

Nel medio periodo, come i cinque anni rappresentati dai dati punto per punto del mio campione, emergono alcune giocatrici, come Kvitova, Vesnina e, in misura minore, Halep. Ma i risultati passati difficilmente sono garanzia di un determinato comportamento di fronte a match point di partite future.

La previsione più intelligente dell’esito di futuri match point per qualsiasi giocatrice è che si comporterà esattamente allo stesso modo che sugli altri punti. È una conclusione decisamente noiosa. Per fortuna, le circostanze in cui viene giocato un match point sono di solito già per loro natura sufficientemente eccitanti.

Simona Halep’s Match Points

I giocatori di vertice non sempre hanno la frequenza di ace più alta

di John McCool // sportsbrain

Pubblicato il 17 giugno 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Quest’analisi prende spunto dall’articolo di David Robinson sulla stima empirica di Bayes, un metodo statistico utilizzato per stimare un grande numero di percentuali. Qui l’idea è di prevedere il numero di ace sulla base del numero di game al servizio giocati in una determinata partita.

Entrando nel dettaglio, si definisce la frequenza di ace di un giocatore come il numero di ace diviso per il numero di game al servizio in una partita. Per la stima della frequenza di ace, si può usare uno stimatore empirico di Bayes mediante una distribuzione Beta. Per chiarezza, la distribuzione Beta è una famiglia delle distribuzioni di probabilità continua definita da due parametri positivi alfa e beta nell’intervallo unitario [0,1].

Definizione dello stimatore e dei parametri

Il primo passo in una stima empirica di Bayes è la definizione dello stimatore Beta a priori rispetto ai dati delle partite a disposizione (dall’inizio della stagione 2016 fino al 28 maggio 2018). L’immagine 1 mostra la densità della frequenza di ace dei vincitori in partite terminate in tre set.

IMMAGINE 1 – Distribuzione della frequenza di ace dei vincitori in partite di tre set.

Serve anche selezionare gli “iper-parametri” alfa e beta per il modello Beta che, in questo caso, hanno un valore rispettivamente di 1.76 e 10.83. Si può poi aggiornare la distribuzione Beta con i dati delle singole partite, vale a dire la frequenza degli ace per ciascun giocatore.

Applichiamo ora i parametri alfa e beta per provare a stimare la frequenza di ace nel caso un giocatore avesse servito cinque ace in dodici game al servizio. La modifica ai parametri alfa e beta cambia il modo in cui il modello si adatta ai dati a disposizione. Noti i valori di alfa e beta e la distribuzione Beta possiamo ottenere una stima della frequenza di ace di un giocatore come segue:

5 + alfa / 12 + alfa + beta = (5+1.76/12+1.76+10.83) = 0.274

Vale a dire, la stima della frequenza di ace per questo giocatore sarebbe del 27.4%. Il grafico di immagine 2 suggerisce che il modello Beta creato ha stimato con accuratezza la frequenza di ace sulla base dei dati dalle partite.

IMMAGINE 2 – Stima della frequenza di ace (asse delle X) di ciascun giocatore rispetto alla frequenza effettiva (asse delle Y)

Più ace non portano per forza a una classifica di vertice

La tabella elenca le prime 20 stime di frequenza di ace e la relativa frequenza effettiva usando la distribuzione Beta a priori per la stima della frequenza di ace della singola partita.

Troviamo una combinazione di giocatori noti e meno noti. Non sorprende la presenza di John Isner (1.49 di frequenza ace effettiva) e Ivo Karlovic (0.74 di frequenza stimata) tra i più alti valori stimati dal modello, considerando la loro efficacia al servizio.

Questi nomi però dimostrano che un’alta frequenza di ace non necessariamente si traduce in una classifica di vertice. Rafael Nadal e Roger Federer non collezionano ace a profusione, ma si può dire che siano stati probabilmente i due giocatori di massimo vertice negli ultimi dieci anni.

Complessivamente, il modello Bayesiano tende a una leggera sottostima della frequenza effettiva di ace di ciascun giocatore, ma è un buon metodo di stima, a cui sarà utile rivolgersi nella previsione di altre statistiche di tennis in futuro.

Il codice per quest’analisi è disponibile qui.

Elite Tennis Players Don’t Always Have the Highest Ace Rates

Cose di tennis che non sapevo su Luca Vanni

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 20 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il nome di Luca Vanni compare frequentemente tra i giocatori di Challenger e nei tabelloni di qualificazione, e si ha l’impressione che sia sul circuito da sempre. Compiuti ormai i 33 anni, fa parte della classifica ufficiale dal 2006, avendo raggiunto la massima posizione al numero 100 nel 2015. L’immagine 1 mostra l’andamento della sua classifica (su scala logaritmica).

IMMAGINE 1 – Andamento della classifica ufficiale di Vanni dal 2006

Pur essendo ben noto agli appassionati più accaniti, ha collezionato solo 22 partite sul circuito maggiore (l’ultima al torneo di San Pietroburgo, sconfitto al primo turno da Roberto Bautista Agut). Ha vinto solo cinque volte, di cui tre a San Paolo, quando è arrivato in finale nel 2015.

Il sogno brasiliano

Per un giocatore di questo tipo, la finale a San Paolo è stato un vero e proprio sogno. Dopo essersi qualificato per il tabellone principale ma prima dell’assegnazione dei turni, Feliciano Lopez, testa di serie numero 1, si è ritirato. I qualificati e i lucky loser sono quindi stati sorteggiati insieme per il tabellone principale e a Vanni è capitato il posto di Lopez, che ha voluto dire un bye al primo turno.

Al secondo turno ha giocato contro Thiemo De Bakker, anche lui qualificato e vincitore a sorpresa contro Juan Monaco nella partita precedente. Vanni ha sconfitto De Bakker in quasi due ore di gioco, servendo 14 ace. Nei quarti di finale ha evitato una testa di serie, vincendo due tiebreak contro Dusan Lajovic (e sempre con ace in doppia cifra).

Anche in semifinale ha evitato una testa di serie, perché Joao Souza aveva battuto in precedenza Leonardo Mayer. Questa volta in tre ore, Vanni ha battuto Souza per raggiungere la finale, di nuovo con ace in doppia cifra.

In finale però la strada si è fatta più dura. Ha infatti trovato Pablo Cuevas, che in quel periodo era il numero 30 del mondo, perdendo al tiebreak del terzo set. Quattro partite, 47 ace, sulla terra battuta. Non male e non il profilo che mi sarei aspettato di un giocatore italiano con una sola vittoria sul cemento, anche se ha sempre detto che il suo idolo era Marat Safin. Ho già ricordato che Vanni è alto 198 cm?

Nel tennis serve anche rispondere

Se escludiamo il torneo di San Paolo, il record di Vanni sul circuito maggiore è 2-16, sorprendete se si pensa alle sue statistiche al servizio. In carriera, ha vinto il 79% dei game alla risposta, una percentuale da primi 50 del mondo. Pensate a Gael Monfils o Jack Sock. Sfortunatamente, a Vanni è richiesto di competere anche nei game alla risposta, che vince solo l’11% delle volte. Siamo in zona Ivo Karlovic, John Isner e Gilles Muller, i quali però vincono l’85-95% dei game al servizio.

In dodici anni, Vanni ha guadagnato quasi 700 mila dollari di premi partita, poco più di 58.000 dollari a stagione, al lordo di spese per spostamenti, pernottamenti e altre voci. Come ci riesce? Per prima cosa, non fa molti viaggi lunghi. Ha la residenza a Foiano della Chiana, tra Firenze e Roma. Nei 16 Challenger a cui ha preso parte nel 2018, tredici erano in Italia, Francia, Spagna e Slovenia, cioè a distanza ravvicinata. Un altro è stato a Glasgow, che è comunque facilmente raggiungibile (gli altri due erano decisamente lontani, in Uzbekistan e Tailandia).

Nei Challenger, il suo record è di 23 vittorie e 15 sconfitte, e 4-1 nelle partite di qualificazione, con un torneo conquistato e una finale (aggiornati a fine stagione 2018, n.d.t.). Ma è arrivato solo sette volte in finale di Challenger (con 5 vittorie e 2 sconfitte), non è quindi un Rendy Lu o un Ricardas Berankis. Un po’ una sorpresa per Vanni, visti i 16 titoli di Future vinti.

Tennis Stuff I Didn’t Know (about) Luca Vanni

La giusta quantità di servizio e volée

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’8 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nel tennis moderno, i giocatori si avventurano a rete a loro rischio e pericolo, specialmente seguendo il servizio. Lo sviluppo tecnologico di corde e telai ha permesso di aumentare forza e precisione del passante, dando al giocatore alla risposta un margine aggiuntivo. È difficile pensare a un cambiamento del gioco che porti nuovamente a usare il servizio e volée come tattica dominante.

Spesso però opinionisti e telecronisti sottolineano come i giocatori dovrebbero andare a rete più frequentemente, esortando a un maggiore ricorso al servizio e volée. In un recente articolo su FiveThirtyEight, Amy Lundy ha contribuito alla conversazione con un po’ di numeri, evidenziando come agli US Open 2018 le donne abbiano vinto il 76% dei punti con servizio e volée e gli uomini il 66%. Mostra inoltre come nell’ultimo decennio abbondante a Wimbledon, nel tabellone femminile anno per anno la percentuale di successo si è aggirata intorno al 65%.

Un buon risultato, no? Beh…non corriamo. Fino alle semifinali agli US Open 2018, gli uomini hanno vinto circa il 72% dei punti sulla prima di servizio. La maggior parte dei tentativi di servizio e volée arrivano sulla prima, quindi una frequenza di successo del 66% nelle discese a rete non è la migliore delle raccomandazioni. Le donne sono al 76%, ed è più incoraggiante perché la frequenza complessiva di punti vinti sulla prima di servizio nel tabellone femminile è del 64%. Ma, come vedremo, le giocatrici solitamente non raccolgono così tanta gloria a rete.

Teoria dei giochi a rete

Nel valutare una strategia, occorre prima di tutto ricordarsi che giocatori e allenatori generalmente sanno quello che fanno. Certo, anche loro commettono errori e possono cadere in sequenze di gioco sub-ottimali. Sarebbe però molto sorprendente scoprire che hanno rinunciato a centinaia di punti ignorando una tattica alquanto nota. Se scendere a rete dopo il servizio fosse così remunerativo, i giocatori lo starebbero già facendo.

Ho interpellato i dati del Match Charting Project per avere un’idea più precisa di quanto i giocatori facciano ricorso al servizio e volée, di quanto sia una strategia efficace e, altrettanto importante, quanti punti vincano quando evitano di usarlo. L’esito è molto più incerto rispetto all’entusiasmo dei sostenitori del servizio e volée.

Cosa succede tra le donne

Iniziamo con le donne. Dal 2010 a oggi, in quasi 2000 partite con dati punto per punto a disposizione, ho trovato 429 partite-giocatrice con almeno un tentativo di servizio e volée. Dopo aver eliminato gli ace, a prescindere dalla volontà della giocatrice al servizio di scendere a rete le 429 giocatrici del campione hanno totalizzato 1191 tentativi di servizio e volée – il 95% con la prima di servizio – vincendo 747 punti.

Se invece di scendere a rete su quei 1191 punti avessero vinto il punto con la stessa frequenza con cui, in quelle partite, vincevano i punti sulla prima e sulla seconda rimanendo a fondo campo, avrebbero vinto 725 punti. In alte parole, il servizio e volée ha portato a una frequenza di vittoria del punto del 62.7%, mentre rimanere a fondo è valso il 60.9% dei punti vinti.

Per essere chiari, si tratta di un confronto diretto di frequenze di successo per le stesse giocatrici contro le stesse avversarie, controllando per le differenze tra prima e seconda di servizio. Una divario di circa due punti percentuali non passa inosservato, ma è ben lontano da più del 10% visto tra le donne agli US Open 2018. E per molte giocatrici potrebbe non rappresentare incentivo sufficiente a mettere da parte la scarsa familiarità con il gioco a rete o con quel tipo di tattica.

Cosa succede tra gli uomini

Con ancora più dati a disposizione, la stessa analisi per gli uomini restituisce esiti sconcertanti. In quasi 1500 partite del Match Charting Project dal 2010 a oggi, più della metà dei possibili giocatori-partita (1631) ha provato almeno una volta a seguire il servizio a rete. Escludendo sempre gli ace, circa quattro su cinque sono state prime di servizio. La percentuale di successo a livello di circuito è stata simile a quanto osservato agli US Open 2018, pari al 66.8%.

Controllando per prima e seconda di servizio, gli stessi giocatori al servizio negli stessi tornei contro gli stessi avversari hanno vinto punti con una frequenza del 72.2% decidendo di non andare a rete dopo il servizio. È una differenza* di cinque punti percentuali che evidenzia come, in media, i giocatori usano troppo il servizio e volée.

(*Nota tecnica: queste frequenze complessive sommano semplicemente tutti i tentativi di servizio e volée riusciti e non riusciti. Potrebbero quindi dare peso eccessivo ai giocatori che vanno a rete più spesso. Ho fatto gli stessi calcoli in altri due modi: ponderando equamente ciascun giocatore-partita e ponderando ciascun giocatore-partita per una funzione ln(a+1), dove a è il numero di tentativi di servizio e volée. In entrambi i casi la differenza si è ridotta a quattro punti percentuali, lasciando valide le conclusioni.)

Conclusioni

Sono rimasto molto sorpreso di fronte a questi risultati e non so bene come interpretarli. Il vantaggio è all’incirca il medesimo se un giocatore decide di presentarsi a rete sul servizio o di rimanere a fondo campo. Quindi non è un risultato artificioso dovuto, ad esempio, a uno strano punto in cui Ivo Karlovic o Dustin Brown giocano da fondo, o a quei punti occasionali a basso impatto in cui un giocatore di fondo sceglie il servizio e volée.

Non avendo una spiegazione soddisfacente, mi accontento di una più debole ma che posso fare con più sicurezza: non ci sono prove a supporto del fatto che gli uomini, in generale, debbano andare a rete più spesso dopo il servizio.

Per gli appassionati del servizio e volée, i dati dal circuito femminile sono più incoraggianti, ma comunque di modesto rilievo. Di certo, il 76% di successo agli US Open 2018 è un segnale fuorviante degli effetti positivi che una giocatrice può attendersi dall’applicare una strategia di quel tipo con maggiore costanza. Il riscontro complessivo da circa 2000 partite suggerisce che rimanere a fondo è una decisione altrettanto valida, se non migliore.

The Right Amount of Serve-and-Volley

Chi ha giocato i set a maggiore e minore pressione del 2018?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 17 novembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dopo aver introdotto un indice di Pressione per valutare la competitività di una partita, vediamo come con un metodo simile si possa sviluppare una valutazione della competitività dei set giocati. L’indice di Competitività Set definisce la pressione nei set di uno specifico giocatore in modo da permettere un confronto diretto con la pressione tipicamente fronteggiata dagli altri giocatori.

Nel precedente articolo, ho illustrato un indice di valutazione della pressione di una partita che mette insieme la pressione al servizio totale e media all’interno di una partita.

L’indice di Pressione si costruisce assegnando un punteggio per ogni punto della partita equivalente alla variazione negativa nella probabilità di vittoria del giocatore al servizio in caso di perdita di quel punto. Si può incontrare un concetto simile in termini di pressione in altri sport sotto il nome di leva.

Ci sono altre modalità esemplificative della pressione oltre a quella relativa alla partita, come la pressione totale e media per ogni set che un giocatore si è trovato a gestire in tutte le partite di una stagione, così da stabilire la competitività tipica dei set di un giocatore.

L’elaborazione statistica

Come per l’Indice di Pressione, faccio convergere la pressione totale e media di un set in un punteggio da 0 a 100 di facile interpretazione. Per arrivarci, calcolo un effetto standardizzato per il totale e la media a mostrare di quante deviazioni standard siano distanti dalla media le caratteristiche di pressione di un giocatore, controllando per il numero di set e il formato della partita.

Nel calcolo delle stime dell’effetto mi avvalgo della tecnica statistica del restringimento, visto che alcuni giocatori hanno giocato molti meno set sul circuito maggiore rispetto ad altri (ad esempio, Miriam Bulgaru ha solo 2 set sul circuito maggiore nel 2018, a differenza di Karolina Pliskova con più di 150).

Il valore da 0 a 100 rappresenta il percentile a cui corrisponde l’indice-z della pressione totale e media in una distribuzione t di Student con due gradi di libertà. In presenza di una distribuzione con code così pronunciate e quindi tendente a produrre valori distanti dalla media, un giocatore ottiene un punteggio di 99 di fronte a un livello di pressione più alto di ‘sei sigma’ (o sei deviazioni standard) dalla media.

Esaurite le spiegazioni metodologiche, cosa possiamo aspettarci che riveli l’indice di Competitività Set?

Per arrivare a un punteggio alto un giocatore deve avere più set equilibrati del giocatore tipico. Visto il contributo dato da game al servizio e alla risposta in termini di pressione complessiva in un set, ci si attende che sia una combinazione di tipologie di giocatori a determinare set più tirati.

Da un lato, grandi servitori che vanno spesso al tiebreak, dall’altro giocatori forti negli scambi, che magari perdono qualche game in più al servizio ma creano molta pressione alla risposta.

L’indice Competitività Set per il circuito maschile

Il campione di analisi di Competitività Set per gli Slam e le altre partite del circuito maggiore nel 2018 include la valutazione di circa 300 giocatori. L’immagine 1 mostra i 30 giocatori di questo gruppo con il più alto e il più basso indice di Competitività Set.

Karlovic

Al primo posto si posiziona Ivo Karlovic con un valore di 97.1, seguito da John Isner con 96.9. In virtù di un servizio quasi inattaccabile e di un gioco alla risposta inconsistente, entrambi si ritrovano in più tiebreak di tutti gli altri.

Questo aspetto rende l’esito set dipendente da pochi punti, facendo aumentare la pressione. Se in media un punto porta con sé solo il 2% di pressione per la maggior parte dei giocatori, per Karlovic e Isner si sale a quasi il 3%.

Rublev

Un risultato più sorprendete è vedere Andrey Rublev al terzo posto. Pur non avendo un servizio incisivo come Karlovic o Isner, Rublev ha dovuto affrontare livelli simili di pressione nel set. Quali sono stati alcuni di questi set ad alta pressione? Il terzo set nella vittoria contro Guido Pella a Doha, il primo set contro Robin Haase a Monte Carlo e il terzo set nella sconfitta contro Alex De Minaur a Washington.

IMMAGINE 1 – Indice di Competitività Set per l’ATP

Al lato opposto dell’intervallo troviamo molti giocatori con un solido record di vittorie-sconfitte in stagione. L’indice però non è perfettamente correlato al numero di vittorie. Ad esempio, Alexander Zverev ha il valore più basso, superando anche il numero uno Novak Djokovic.

Zverev

Zverev è un caso interessante di giocatore estremamente dominante al di fuori degli Slam, vincendo molti set con relativa tranquillità. Ha poi un rendimento inferiore negli Slam, in cui non è riuscito a raggiungere le fasi finali del torneo a sufficienza per accumulare molte partite dure che avrebbero aumentato il suo indice di Competitività Set [1].

Non è stato così però nelle Finali di stagione, dove Zverev ha prima battuto in semifinale in due set molto equilibrati Roger Federer e poi in finale Djokovic, sempre in due set. Dovremo aspettare gennaio per capire quanto possa aver beneficiato dal formato al meglio dei tre set del torneo di Londra.

Kyrgios

Un altro giocatore degno di attenzione tra quelli con un basso indice di Competitività Set è Nick Kyrgios, a undici lunghezze di distacco dal valore più basso della stagione. La predisposizione di Kyrgios a un tipo di gioco con sbalzi repentini da incandescente a gelido può rendere difficile prevedere come si svolgerà un set.

Quando è in palla può sbarazzarsi degli avversari in un baleno. Quando si disinteressa, i set possono terminare altrettanto velocemente per semplice mancanza di impegno. Quale sia la versione di Kyrgios in campo, ci si può attendere dei set a rapida conclusione.

L’indice Competitività Set per il circuito femminile

In assenza di giocatrici con un contrasto così accentuato tra bravura al servizio e debolezza alla risposta come per Karlovic e Isner, è più difficile pronosticare le posizioni di vertice in termini di pressione.

Pavlyuchenckova

Con un valore di 98.6, Anastasia Pavlyuchenkova è al primo posto, avendo vinto il 50% delle partite in stagione e con una media del 3% di pressione per singolo punto. Alcuni dei momenti più combattuti per lei sono stati il terzo set della finale vinta a Strasburgo contro Dominika Cibulkova, il terzo set nella sconfitta contro Caroline Garcia a Tokyo e l’epico primo set contro Sloane Stephens a Pechino.

Interessante è anche la presenza nelle zone alte dell’indice di giocatrici di livello come Garcia, Darya Kasatkina e Karolina Pliskova, raggruppate raggruppate su valori di 87-88. Due delle giocatrici più offensive del circuito – Aryna Sabalenka e Jelena Ostapenko – chiudono la parte inferiore dell’elenco.

IMMAGINE 2 – Indice di Competitività Set per la WTA

Altre delle giocatrici più forti, specialmente quelle con uno stile più difensivo, ottengono valori di Competitività Set tra i più bassi. Se trovarsi di fronte una giocatrice dal valore dell’indice tra i più alti significa quasi certamente una sfacchinata, giocare contro una di questo gruppo, di cui fanno parte Simona Halep, Caroline Wozniacki e Angelique Kerber, potrebbe rivelarsi una partita a senso unico.

I due valori più bassi vanno a giocatrici con una stagione in tono minore, durante la quale non sono riuscite a mettere sotto pressione la maggior parte delle loro avversarie in partite del circuito maggiore.

Svitolina

È abbastanza sorprendente il nome di Elina Svitolina al terzultimo posto. Nonostante una vittoria risoluta alle Finali di stagione, Svitolina ha avuto un anno di alti e bassi, dominando a lungo a inizio stagione, faticando per quasi tutta la parte centrale e per riprendersi nell’ultimo periodo.

Quest’analisi preliminare di un indice per la valutazione della competitività mostra che non esiste uno stile di gioco univoco a determinarne il livello, e questo è vero sia per le donne che per gli uomini. Figurare in cima o in fondo alle valutazioni di Competitività Set può dipendere tanto dalla solidità di gioco quanto dalla qualità complessiva delle vittorie.

Note:

[1] Zverev è anche un esempio eclatante della differenza tra la pressione percepita da un giocatore e la pressione lasciata intendere il punteggio

Who Has Experienced the Most and Least Set Pressure this Season?

Jurgen Melzer e i singolaristi che s’interessano anche del doppio

di Peter Wetz // TennisAbstract

Pubblicato il 13 novembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Qualche settimana fa, Jurgen Melzer ha giocato l’ultimo torneo di singolare della carriera tra le mura amiche dell’Erste Bank Open di Vienna. Per via di una bassa classifica a cui hanno contribuito infortuni e risultati mediocri dal rientro, ha dovuto usufruire di una wild card. Il sorteggio lo ha messo subito al primo turno contro Milos Raonic. Allibratori e tifosi davano quasi per certa la sconfitta di Melzer.

Al vertice in singolo e in doppio

Di fronte a uno stadio gremito (almeno per gli standard di un lunedì di competizioni), le cose sono andate diversamente. Melzer ha vinto in due set e si è garantito un secondo turno contro Kevin Anderson. Quella partita però non ha mai avuto luogo, visto che un’improvvisa gastrite ha costretto Melzer al ritiro. Per quanto strano a dirsi, significa che Melzer ha abbandonato il tennis professionistico senza aver perso l’ultima partita di singolare, un’impresa di cui pochi giocatori possono vantarsi.

Un altro aspetto eccezionale della carriera di Melzer è che è uno degli ultimi giocatori ad aver raggiunto un livello di vertice sia in singolo che in doppio. Per darne evidenza, analizziamo la classifica massima mai ottenuta in singolo (MaxCS) e in doppio (MaxCD) di giocatori tra i primi 10 in singolo che si sono recentemente ritirati [1].

La tabella elenca la classifica massima di ciascun giocatore in entrambe le categorie, in ordine cronologico rispetto alla data della massima classifica in singolo.

Giocatore	MaxCS   Data	   MaxCD   Data 
Srichaphan	9	05.2003	   79	   09.2003
Ferrero	        1	09.2003	   198	   02.2003
Roddick		1	11.2003	   50	   01.2010
Schuettler	5	04.2004	   40	   07.2005
Coria		3	05.2004	   183	   03.2004
Massu		9	09.2004	   31	   07.2005
Johansson	9	02.2005	   108	   09.2005
Gaudio		5	04.2005	   78	   06.2004
Canas		8	06.2005	   47	   07.2002
Puerta		9	08.2005	   68	   08.1999
Nalbandian	3	03.2006	   105	   10.2009
Ljubicic	3	05.2006	   70	   05.2005
Ancic		7	07.2006	   47	   06.2004
Stepanek	8       07.2006	   4	   11.2012
Davydenko	3	11.2006	   31	   06.2005
Blake		4	11.2006	   31	   03.2003
Gonzalez	5	01.2007	   25	   07.2005
Soderling	4	11.2010	   109	   05.2009
J. Melzer       8       01.2011    6       10.2010
Almagro		9	05.2011	   48	   13.2011
Fish		7	08.2011	   14	   07.2009
Tipsarevic	8	04.2012	   46	   04.2011
Monaco		10	07.2012	   41	   01.2009

I giocatori che entrano tra i primi 10 in singolo raramente arrivano al vertice della classifica di doppio. Ci sono ovviamente molteplici ragioni, tra le altre il calendario (un’intera stagione di singolo può essere estenuante) o la bravura (se si è forti in singolo non necessariamente lo si è in doppio).

Il fatto che la miglior classifica in doppio dei Fantastici Quattro è quella di Roger Federer al 24esimo posto nel 2003 sottolinea ulteriormente che i migliori preferiscono occuparsi di altro che rifinire la loro tecnica nel gioco di volo.

Come si può evincere, Melzer è uno degli ultimi rappresentanti di quella stirpe di giocatori che, da un punto di vista della classifica, hanno raggiunto la cima sia in singolo che in doppio. La tabella che segue elenca i giocatori che sono entrati nei primi 10 in entrambe le classifiche, in ordine cronologico rispetto alla data della massima classifica in doppio a partire dal 1990.

Giocatore    CS   Data	    CD   Data
Korda	     2	  02.1998   10	 06.1990
Stich	     2	  11.1993   9	 03.1991
Rosset	     9	  09.1995   8	 11.1992
Kafelnikov   1	  05.1999   4	 03.1998
Rafter	     1	  07.1999   6	 02.1999
Ferreira     6	  05.1995   9	 03.2001
Novak	     5	  10.2002   6	 07.2001
Bjorkman     4	  11.1997   1	 07.2001
Clement	     10	  04.2001   8	 01.2008
J. Melzer    8	  04.2011   6	 10.2010
Stepanek     8	  07.2006   4	 11.2012
Verdasco*    7	  04.2009   8	 11.2013
Sock*	     8	  11.2017   2	 09.2018

*Strisce in corso di giocatori in attività

Una specie in via d’estinzione

Dal 1990, sono solo 13 i giocatori nei primi 10 di entrambe le classifiche. L’ultimo numero 1 con una classifica di doppio tra i primi 10 è stato Patrick Rafter. Al momento, ci sono solamente due giocatori in attività parte di questo gruppo. Come più volte rimarcato su HeavyTopspin, l’abilità di Jack Sock in doppio rimane un’eccezione, non importa da quale angolazione la si consideri.

E l’intervallo trascorso dal massimo in classifica di singolo e doppio per Fernando Verdasco lascia chiaramente intendere che si è di fronte a due fasi ben distinte della sua carriera. Da cui scaturisce la domanda finale: quali giocatori sono riusciti a conservare un posto nei primi 10 delle due classifiche contemporaneamente?

La tabella mostra per ciascun giocatore le settimane trascorse nei primi 10 in singolo (settS), le settimane trascorse nei primi 10 in doppio (settD) e le settimane trascorse in entrambe le classifiche nello stesso momento (settS+D), in ordine cronologico rispetto alla data della massima classifica in doppio.

Giocatore    settS   settD   settS+D   Data CD
J. Mcenroe   208     96	     74	       01.1983
Cash	     89	     14	     5	       08.1984
Jarryd	     82	     379     78	       08.1985
Wilander     227     72	     72	       10.1985
Edberg	     452     122     117       06.1986
Forget	     79      119     5	       08.1986
Noah	     157     87	     84	       08.1986
Gomez	     143     62	     31	       09.1986
Becker	     530     21	     21	       09.1986
Nystrom	     72	     57	     33	       11.1986
Mecir	     109     19	     19	       03.1988
Sanchez	     57	     138     44	       04.1989
Hlasek	     37	     132     10	       11.1989
Kafelnikov   388     157     148       03.1998
Rafter	     156     33	     26	       02.1999
Bjorkman     43	     462     29	       07.2001
J. Melzer    14	     50	     14	       09.2010

Con il ritiro di Melzer, non ci sono più giocatori in attività a essere contestualmente classificati nei primi 10 in singolo e in doppio. In altre parole, Melzer è l’ultimo giocatore ad comparire tra i primi 10 in singolo e in doppio nella stessa settimana.

Negli ultimi 18 anni ci è riuscito solamente Jonas Bjorkman, così come negli anni ’90 solo Rafter e Yevgeny Kafelnikov. Bisogna tornare indietro di quattro decadi per trovare più nomi.

Pur non traendo grandi conclusioni analitiche, possiamo osservare che giocatori capaci di eccellere sul campo da soli e con accanto un compagno stanno diventando una specie in via di estinzione. Il tempo in cui questo è successo simultaneamente appartiene ormai alla storia.

Note:

[1] Sono stati considerati i giocatori non più in attività perché la loro classifica massima non è soggetta a cambiamenti.

Jürgen Melzer and Singles Players Who Care About Doubles

Finali di stagione Gruppo Hewitt, le probabilità delle semifinali

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 15 novembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Le probabilità delle semifinali del Gruppo Kuerten.

Ho calcolato 21 scenari di semifinale per il Gruppo Hewitt, con quattro differenti combinazioni di giocatori che possono arrivare in semifinale. Esattamente…21! Non posso affermare con certezza di aver inserito anche la strana circostanza in cui un giocatore vince sette game in un set, ma penso di averle prese tutte o la maggior parte.

Più della metà degli scenari riguardano Kevin Anderson e Dominic Thiem che vincono in due set, con Anderson che finisce al primo posto del Gruppo Hewitt e gli altri a pari merito con una vittoria e due sconfitte e 2-4 nei set. Se così fosse, il numero di game vinti da Roger Federer, Thiem e Kei Nishikori assume importanza. E il Gruppo Hewitt è il primo tra quelli analizzati – comprese le Finali Next Gen – in cui le probabilità di vittoria del game fanno la differenza. In sostanza, significa quanto è probabile che un giocatore vincerà un set con un determinato punteggio.

La tabella elenca le probabilità di vittoria della partita, del game e del set e le probabilità di vittoria in 2 set o 3 set.

IMMAGINE 1 – Probabilità di vittoria partita / game / set per il Gruppo Hewitt

La tabella che segue mostra la probabilità che ciascuno scenario si verifichi e, nel caso, quali sono i due giocatori che ci si attende si qualifichino come numero 1 e numero 2. Potete vedere che Anderson ha già raggiunto le semifinali, ma esiste ancora una possibilità che si qualifichi da secondo.

Potete anche vedere che tutte le probabilità Anderson-Thiem sono riportate come 0,0%, anche se in realtà sono appena positive, solo un tema di arrotondamento dei decimali. Nella tabella successiva si osserva come non contino più di tanto.

IMMAGINE 2 – Scenari Gruppo Hewitt

Si possono sommare queste probabilità per vedere chi può arrivare arrivare in semifinale, oltre alla probabilità che si verifichi una delle quattro combinazioni. La tabella riepiloga i risultati.

IMMAGINE 3 – Probabilità di giocatori in semifinale dal Gruppo Hewitt

Un piccolo errore di arrotondamento determina il 99,9% che si legge in tabella. Probabile che si trovi seppellito in una delle probabilità Anderson-Thiem e non ho il coraggio di andare a scovarlo.

Mettendo insieme le informazioni dei due Gruppi, si ottengono 14 possibili combinazioni per le semifinali. Le più probabili sono Novak Djokovic (#1 Gruppo Kuerten) e Nishikori (#2 Gruppo Hewitt) da un lato e Anderson (#1 Gruppo Hewitt) e Alexander Zverev (#2 Gruppo Kuerten) dall’altro.

Aggiornamento: gli scenari possibili sono in realtà 23 (nell’articolo originario ne ho saltati due) ma la loro infinitesimale probabilità di accadimento e la vittoria di Thiem su Nishikori li rendono ininfluenti.

IMMAGINE 4 – Combinazioni semifinali Gruppo A e Gruppo B

Tour Finals Group Hewitt – The Gory Probabilities…and I Mean Gory!

Finali di stagione Gruppo Kuerten, le probabilità delle semifinali

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 15 novembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

A differenza delle Finali Next Gen a Milano, non ho ancora visto sul sito dell’ATP l’elenco dei possibili scenari per le semifinali delle Finali di stagione. Ci provo io.

Dei due, è il Gruppo Kuerten il più semplice, ho trovato infatti solo 5 scenari per 3 combinazioni massime. Come per le Finali Next Gen, ho utilizzato la stessa tecnica di Markov, prendendo in questo caso una probabilità di vittoria del punto al servizio in partita più vicina alle probabilità effettive di singoli giocatori, invece della media del circuito. Ma il risultato è praticamente identico.

Dalla probabilità di vittoria del punto al servizio, si può calcolare la probabilità di vittoria dell’intero game e, a seguire, la probabilità di vincere un set. Con queste informazioni, si può ottenere la probabilità che un giocatore vinca la partita finale del girone in due o tre set.

Rispetto al torneo di Milano, la probabilità di vittoria del game ha qui importanza, perché nel Gruppo Hewitt c’è la seria possibilità che la percentuale di game vinti sia la discriminante per il passaggio alle semifinali. Non è così per il Gruppo Kuerten, ma l’ho inserita comunque nella tabella, che elenca le probabilità secondo i miei calcoli.

IMMAGINE 1 – Probabilità di vittoria partita / game / set per il Gruppo Kuerten

Partendo da questi numeri, è possibile stimare la probabilità di ciascuno dei 5 scenari a cui sono arrivato. La tabella che segue mostra la probabilità che ciascuno scenario si verifichi e, nel caso, quali sono i due giocatori che ci si attende si qualifichino come numero 1 e numero 2.

Potete vedere che Novak Djokovic ha già raggiunto le semifinali, ma esiste ancora una possibilità che si qualifichi da secondo, se Marin Cilic e John Isner vincono entrambi le loro partite (Djokovic avrebbe lo stesso record di Cilic di 2-1, ma Cilic sarebbe davanti per aver vinto lo scontro diretto).

IMMAGINE 2 – Scenari Gruppo Kuerten

Si possono sommare queste probabilità per vedere chi può arrivare arrivare in semifinale, oltre alla probabilità che si verifichi una delle tre combinazioni. La tabella riepiloga i risultati.

IMMAGINE 3 – Probabilità di giocatori in semifinale dal Gruppo Kuerten

È interessante notare che Cilic ha la possibilità di arrivare al primo posto ma non al secondo. Per Isner è valido il contrario. Segue la stessa analisi per il Gruppo Hewitt, un vero e proprio incubo…

Tour Finals Group Kuerten – The Gory Probabilities

Le partite più competitive del 2018 valutate in termini di pressione

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 2 novembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

In molti si sono domandati se la semifinale tra Novak Djokovic e Roger Federer al Master di Parigi Bercy 2018 – più di tre ore di gioco e 252 punti – sia stata la partita migliore delle 47 da cui è composta la lunga rivalità tra i due. In questo articolo introduco una valutazione della pressione di gioco che possa aiutare a determinare la competitività relativa di un set o di una partita.

Con le Finali di stagione al via a Londra, entriamo in quel periodo dell’anno in cui hanno inizio riflessioni e sintesi sulla stagione. A breve arriveranno in massa i canonici elenchi di “migliore dell’anno” o altre classifiche a conclusione del calendario. Inevitabilmente, si tratta di valutazioni che considerano diversi aspetti del gioco, tra cui le sorprese più grandi, i rientri da infortunio più vincenti, i miglioramenti più marcati.

Nello sport, giudizi di questo tipo si basano di solito su opinioni personali che, come nelle discussioni su Twitter, possono essere divertenti in partenza, per poi però sfociare in commenti di parte o da tifosi, diventando quindi fastidiose.

Valutazioni basate su statistiche sono un antidoto efficace a valutazioni basate su opinioni, con un avvertimento: qualsiasi valutazione basata su statistiche ha utilità equivalente alla qualità dei dati e all’appropriatezza delle ipotesi sottostanti.

Una valutazione statistica quindi non rappresenta necessariamente un miglioramento, ma fa leva su virtù di obiettività e correttezza. Un algoritmo non si schiera o non preferisce alcuni dati (che siano relativi ai giocatori, alle partite, etc) rispetto ad altri.

Indice di Pressione

Prevedendo che la partita tra Djokovic e Federer entrerà probabilmente tra le migliori dell’anno nell’elenco di qualche appassionato, mi sono chiesta se esiste un modo per valutare quella partita, o una qualsiasi altra, in termini di competitività. Il maggior numero di dati più granulari in nostro possesso sulle partite giocate sono relativi all’esito dei punti. Questo suggerisce di osservare l’andamento del punteggio durante la partita per misurarne l’equilibrio.

È la linea di pensiero che mi ha portata a elaborare un indice di Pressione. Il primo passo è assegnare un valore di pressione a ogni punto sulla base di quanto potrebbe alterare il risultato della partita.

Un modo per approssimare questa misurazione è pensare a come cambierebbe la sensazione di fiducia sul giocatore che si è scelto come vincitore se perdesse il punto in corso. Se si tratta del primo punto della partita, si resterebbe probabilmente indifferenti. Se invece è un punto al servizio nel tiebreak, ci sarebbe una reazione ben diversa.

Per stabilire la competitività di una partita potremmo semplicemente verificare la pressione totale, ma verrebbero così favorite quelle partite in cui il servizio di un giocatore raramente è in pericolo (pensate alla grande maggioranza delle partite di John Isner).

Per ridurre il peso di partite lunghe ma meno entusiasmanti, si utilizza sia la media che la pressione totale per ottenere un indice complessivo. La valutazione di pressione effettiva rientra in una scala da 0 a 100 che può essere interpretata come un percentile di possibili indici di pressione.

Le partite a maggiore pressione

Vediamo che indicazioni emergono calcolando l’indice di Pressione per le partite più competitive della stagione. Poiché la pressione evolve con dinamiche differenti per le partite al meglio dei tre set e al meglio dei cinque, metterò a confronto partite omogenee.

Uomini

La tabella elenca le prime 5 partite di singolare maschile dei tornei Slam per indice di Pressione. La semifinale eterna a Wimbledon 2018 tra Isner e Kevin Anderson è in cima alla lista, con una valutazione di 96.6, legata fondamentalmente al quinto set terminato 26-24. È stata anche la partita più lunga negli Slam del 2018 come numero di punti giocati, ma le altre dell’elenco si differenziano per numero di punti giocati e di pressione.

Anche la seconda semifinale a Wimbledon tra Novak Djokovic e Rafael Nadal entra in classifica, aiutando con forza la candidatura delle semifinali in Inghilterra come le più entusiasmanti dell’anno. Chi non segue il tennis regolarmente potrebbe non riconoscere le altre tre epiche sfide, sebbene il loro indice di Pressione è testimonianza del fatto che anche giocatori meno famosi sono in grado di dare vita ad alternanza di punteggio ad alta eccitazione.

IMMAGINE 1 – Indice di Pressione per le prime 5 partite di singolare maschile al meglio dei cinque set

Indice di Pressione per la competitività delle partite 2018_1 - settesei.it

Le partite a maggior pressione di singolare maschile al meglio dei tre set si sono distribuite nell’arco dell’intera stagione.Vale la pena, per chi lo avesse perso, recuperare il primo turno all’Indian Wells Masters tra Marius Copil e Peter Polansky, che si classifica al primo posto di questo gruppo, e anche l’unica partita in cui ogni set si è concluso al tiebreak.

IMMAGINE 2 – Indice di Pressione per le prime 5 partite di singolare maschile al meglio dei tre set

Indice di Pressione per la competitività delle partite 2018_2 - settesei.it

Donne

In campo femminile, la battaglia di 48 game al primo turno degli Australian Open 2018 tra Simona Halep e Lauren Davis è al primo posto. È anche l’unica partita Slam tra le prime 5 per pressione, in in virtù di un terzo set così lungo ai vantaggi.

IMMAGINE 3 – Indice di Pressione per le prime 5 partite di singolare femminile

Indice di Pressione per la competitività delle partite 2018_3 - settesei.it

Conclusioni

Credo che queste partite siano esempi di come l’indice di Pressione possa aiutare a definire la competitività con un metodo che tenga conto sia della durata che dell’eccitazione punto per punto. Lo scopo dell’indice non è quello di misurare l’effettiva qualità di gioco, per la quale servirebbero dati ancora più specifici. Quello per cui può essere utile invece è la possibilità di confrontare l’equilibrio di partite tra loro differenti guardando esclusivamente la variazione di punteggio.

L’indice di Pressione non deve essere limitato alle sole partite. Lo stesso concetto può essere applicato per valutare singoli set o anche giocatori. Approfondirò queste tematiche nei prossimi articoli.

Using Pressure Ratings to Rank Most Competitive Matches in 2018