L’effetto della fortuna nei tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 2 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Più volte nel corso degli anni ho scritto di giocatori che vincono tiebreak in misura maggiore o minore rispetto alle attese. Appassionati e commentatori sono propensi a credere che alcuni di loro siano, in quella fattispecie, particolarmente bravi o particolarmente scarsi, esaltando il valore di un servizio dominante alla fine del set o imputando alla debolezza mentale effetti più dannosi che in qualsiasi altra circostanza di gioco.

Secondo le mie ricerche, per la grande maggioranza dei giocatori l’esito di un tiebreak è indissolubilmente legato alla fortuna. Chiarisco il concetto: il risultato di un tiebreak dipende dalla bravura complessiva di chi lo sta giocando, in modo che giocatori più forti vincono più tiebreak. Non ci sono elementi aggiuntivi da fattorizzare. Per quanto durante il tiebreak i giocatori tendono a vincere punti al servizio con un frequenza di poco inferiore, accade così per tutti.

Non esiste un ingrediente magico per il tiebreak

Tuttavia, la singola stagione è sufficientemente corta da permettere ad alcuni giocatori uno scintillante record nei tiebreak, facendoci pensare che possiedano un talento specifico. Nel 2017, John Isner ha vinto 42 dei 68 tiebreak giocati, cioè il 62%. Sulla base della frequenza di punti vinti al servizio e alla risposta contro gli avversari di quei tiebreak, ci saremmo aspettati che ne avesse vinti solo 34, esattamente la metà. Bravura o fortuna, è comunque andato oltre le attese di 8 tiebreak.

Potremmo dire che, con un servizio mostruoso e un solido controllo emotivo, Isner è il tipo di giocatore a cui il tennis ha svelato il segreto di come si vincono i tiebreak. Pur essendo andato oltre le aspettative diverse volte in carriera, anche lui non è in grado di reggere quel livello. Nel 2018 ha giocato 73 tiebreak. Avrebbe dovuto vincerne 41, ma si è fermato a 39.

Volete altri esempi? Va bene un giocatore qualsiasi. Prendiamo Roger Federer, che ha costruito una carriera su un rendimento al servizio inossidabile. Eppure, le sue prestazioni nei tiebreak sono state più o meno neutrali negli ultimi quattro anni. In altre parole, vince punti al servizio e alla risposta nei tiebreak quasi con la stessa frequenza con cui li vince in altri momenti del set. Negli ultimi quattro anni, Robin Haase, il cui record di 17 tiebreak persi di fila non è certamente un vanto, ha un rendimento parallelo a quello di Federer. Nel 2018 è riuscito a gestire meglio la pressione, vincendone due in più delle attese, e finendo nel primo quartile stagionale dei giocatori del circuito maggiore.

Dare un significato alla casualità

In sintesi, il rendimento stagione per stagione nei tiebreak richiama un foglio di calcolo pieno di numeri messi a caso. Un giocatore potrebbe replicare l’anno successivo il buon record avuto nella stagione precedente, solo se però anche il livello di gioco resta alto. Dovesse esistere una componente miracolosa per il tiebreak (a parte saper giocare bene a tennis), i giocatori non ne sono a conoscenza.

Fortunatamente, nelle statistiche sportive non tutti i risultati negativi vengono per nuocere. Si può essere delusi quando una statistica non è predittiva di risultati futuri ma, proprio la mancanza di predittività lascia spazio a un altro tipo di previsione. Se un giocatore ha avuto un anno fantastico nei tiebreak, superando le attese in quella categoria, si tratta probabilmente di fortuna. Di conseguenza, è altrettanto probabile che non avrà la stessa dose di fortuna anche l’anno seguente, e il record complessivo si riallineerà alla sua media.

Tiebreak Oltre le Attese

Il giocatore da osservare per il 2019 è Taylor Fritz, che nel 2018 ha avuto un record stellare di 20 tiebreak vinti e 8 persi. Sulla base del rendimento per l’intera durata di quelle partite, ci saremmo aspettati che ne vincesse solo 13 su 28. Il suo indice di Tiebreak Oltre le Attese (TOA) di +7 è stato il più alto sul circuito maggiore, anche se molti dei colleghi hanno giocato ben più tiebreak.

Non è da escludere a priori che Fritz possegga la combinazione perfetta di nervi d’acciaio e tattica impeccabile che si traduce in vittorie di tiebreak, ma è molto più probabile che a fine stagione il suo record sarà intorno alla parità (al momento della traduzione, Fritz ha 8 tiebreak vinti e 3 persi, n.d.t.). Nel 2017, il primo giocatore dietro a Isner per indice TOA era Jack Sock, è si può dire tranquillamente che la stagione 2018 non sia continuata sulla stessa riga (chiusa infatti con un record di 3-7, n.d.t.).

Migliori e peggiori del 2018

Avendo a mente quel tipo di regressione verso la media, la tabella elenca i migliori e peggiori per indice TOA per la stagione 2018 del circuito maggiore. La colonna TBA si riferisce al numero di tiebreak che un semplice modello avrebbe predetto, mentre la colonna Frequenza Tiebreak Oltre le Attese (FTOA) è la versione indicizzata di TOA e riflette la percentuale di tiebreak vinti sopra o sotto la media.

Indicizzazioni come FTOA hanno solitamente più valore del conteggio di statistiche come il TOA. In questo caso però, una statistica di conteggio diretto potrebbe dare più informazioni, perché considera quali giocatori giocano più tiebreak. Una produttività inferiore da parte di Sam Querrey non è così grave come quella di Cameron Norrie, ma il numero di tiebreak che gioca è il risultato del suo stile, motivo per cui si trova ultimo nell’elenco.

Giocatore      TB  Vinti  TBA     TOA   FTOA  2019  
Fritz          28  20     13.3    6.7   0.24  8-3
Klahn          22  16     10.6    5.4   0.24  5-3
Klizan         16  13     8.1     4.9   0.31  5-5
Nishikori      22  17     12.5    4.5   0.20  6-3
Tomic          18  14     9.6     4.4   0.24  1-6
A. Zverev      23  17     13.2    3.8   0.17  3-5
Ramos          22  15     11.2    3.8   0.17  7-6
Mannarino      25  16     12.3    3.7   0.15  1-6
Wawrinka       21  13     9.6     3.4   0.16  10-7
Del Potro      32  22     18.7    3.3   0.10  0-1
                                                       
Coric          21  8      10.8   -2.8  -0.13  6-5
Shapovalov     30  12     15.0   -3.0  -0.10  6-6
Khachanov      42  20     23.4   -3.4  -0.08  4-8
Karlovic       47  19     22.6   -3.6  -0.08  13-11
Istomin        31  13     16.7   -3.7  -0.12  3-5
Berankis       22  7      10.9   -3.9  -0.18  4-1
Cuevas         21  7      11.3   -4.3  -0.20  9-4
Rublev         18  5      9.6    -4.6  -0.26  5-4
Verdasco       25  8      12.8   -4.8  -0.19  3-2
Bautista Agut  26  10     14.8   -4.8  -0.19  3-8
Norrie         22  5      9.9    -4.9  -0.22  6-7
Querrey        36  12     18.5   -6.5  -0.18  5-5

Chi è nelle posizioni di vertice può attendersi di vedere il proprio record nei tiebreak rientrare alla normalità nel 2019, mentre i giocatori nella parte bassa hanno ragione di sperare in un miglioramento complessivo (la colonna 2019 mostra il record nei tiebreak di ciascuno al momento della traduzione, n.d.t.).

Conversione dei tiebreak in vittorie

I tiebreak sono importanti, e tutti sono d’accordo su questo, ma qual è l’impatto effettivo delle prestazioni positive e negative di cui sto parlando? In altre parole, dato che Kei Nishikori ha vinto 4.5 tiebreak in più delle attese nel 2018 (cioè che avrebbe “dovuto” vincere), come ha inciso questo aspetto sul suo record complessivo di vinte-perse? E, per estensione, cosa potrebbe voler dire per il record del 2019?

La matematica si complica parecchio [1] ma, in ultimo, due vittorie in più nei tiebreak corrispondono all’incirca a una vittoria extra di partita. Il bonus di 4.5 tiebreak di Nishikori equivale a circa 2.25 partite vinte in più. L’anno scorso il suo record è stato 48 vinte e 22 perse. Con una fortuna neutrale nei tiebreak, sarebbe invece stato di 46-24. Rimangono in ogni caso aperte delle questioni.

Convertire il record di vinte e perse in punti validi per la classifica e titoli è molto più complicato, e non ci proverò nemmeno. La fortuna di Nishikori nel tiebreak può trasformare potenziali sconfitte in vittorie, o fare di partite sfiancanti in tre set vittorie più comode in due set. Come collettore di tutte le possibili combinazioni, il TOA di ciascun giocatore ha un valore concreto che possiamo trasformare in vittorie.

Il numero esatto non è così rilevante, lo è molto di più il concetto di fondo. In presenza di un record estremamente positivo o incredibilmente negativo, non serve armarsi di foglio di calcolo per arrivare al numero preciso di tiebreak che un giocatore avrebbe dovuto vincere.

Il ruolo determinante della fortuna

Data una fortuna neutrale, qualsiasi giocatore stabilmente nel circuito maggiore dovrebbe avere un record di tiebreak vinti tra il 40% e il 60% di quelli giocati, il 40% per i giocatori posizionati al margine inferiore e il 60% per i giocatori di élite (nel 2018, la frequenza attesa di Federer era il 60.1%, quella di Sock il 40.9%). Numeri che escono da quell’intervallo, ad esempio il record di 13 su 16 di Richard Gasquet nel 2016, sono inevitabilmente destinati a ritornare sulla terra, con il botto, anche se poche volte in modo così catastrofico come per Gasquet, con 5 vittorie su 17 tiebreak nel 2017.

In qualsiasi tiebreak, l’esito può essere determinato da un servizio superlativo, da un atteggiamento audace alla risposta o da una resistenza mentale fuori dal comune. Nel lungo periodo, si assiste a un livellamento di questi aspetti tale per cui nessun giocatore è sempre bravo o sempre scarso nei tiebreak. È probabile che vinca il più forte, ma la fortuna riveste un ruolo determinante nel risultato finale. E, alla lunga, solitamente quel tipo di fortuna cancella sé stessa.

Note:

[1] Una rapida sintesi della matematica. In una partita al meglio dei tre set, si può raggiungere il tiebreak in tre distinte volte. Cambiare l’esito del tiebreak potrebbe alterare il risultato del primo set, del secondo set, o del terzo set. In termini di probabilità di vittoria, cambiare l’esito del primo set ha un impatto del 50%: a parità di giocatori, il vincitore ha una probabilità del 75% di vincere la partita e lo sconfitto il 25%. Anche l’impatto in termini di probabilità generato dal cambiare il risultato del secondo set è del 50%. O il vincitore vince definitivamente la partita (100%), invece di mandare la partita al terzo (50%), o il vincitore porta la partita al terzo (50%) invece di perderla (0%). Cambiare il risultato del terzo set significa alterare direttamente l’esito della partita, quindi l’impatto in termini di probabilità di vittoria è del 100%.

Qualsiasi partita che viene completata ha un primo e un secondo set, ma meno del 40% delle partite del circuito maggiore va al terzo. La media ponderata tra i tre valori, 50%, 50% e 100% è circa il 58%, e questa sarebbe la nostra risposta se venissero giocate solo partite al meglio dei tre set. La matematica per quelle al meglio dei cinque set è ancora più complessa. È importante sapere solo che in ognuno dei primi quattro set il margine è più ridotto e, per estensione, lo è anche per i tiebreak dei primi quattro set. La ponderazione di questo effetto con la frequenza delle partite al meglio dei cinque set darebbe una precisa tabella di conversione del TOA in vittorie. Pur di non addentrarmi in quel dedalo, mi accontento di utilizzare il più amichevole e approssimativamente corretto valore del 50%.

The Effect of Tiebreak Luck

Chi subisce di più la pressione del tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 23 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Secondo la saggezza popolare tennistica, in un tiebreak contano solo due cose: i servizi e la tenuta mentale. Nonostante i miei precedenti sforzi in materia, continuo a sentire opinionisti affermare che i giocatori dal servizio dominante hanno un vantaggio sostanziale sull’avversario. Gli esperti ci ricordano inoltre che, aspetto questo più condivisibile, la posta in palio in un tiebreak è alta, e che sarà il giocatore in grado di gestire la pressione a prevalere.

Nel 2012, ho scritto alcuni articoli sul tiebreak facendo uso di un anno di statistiche dai tornei dello Slam del circuito maschile e femminile, da cui è emerso che in realtà i giocatori al servizio non sono avvantaggiati durante il tiebreak. In media, vincono più punti i giocatori alla risposta.

Ho anche scoperto che sono davvero pochi quelli andati oltre le attese nei tiebreak, vale a dire che il rendimento di un giocatore al di fuori del tiebreak è stato un ottimo indicatore previsionale della probabilità dello stesso di vincere il tiebreak.

Da ultimo, ho stabilito che i giocatori dal servizio dominante non avevano probabilità superiori a quelli dal servizio più debole di rientrare nel ristretto gruppo di coloro che nel tiebreak hanno ottenuto risultati migliori delle attese.

Per rivedere la prima di queste conclusioni, ho analizzato un insieme di dati sequenziali punto per punto molto più ampio. Si parla infatti di più di 15.000 tiebreak solo per il circuito maschile, rispetto ai nemmeno 400 dello studio iniziale. Un campione così dettagliato permette di andare oltre affermazioni generiche sui vantaggi al servizio o alla risposta e osservare il rendimento nel tiebreak di specifici giocatori.

Servire sotto pressione

Iniziamo dalle basi. Nei 15.000 tiebreak del circuito maggiore maschile, i giocatori al servizio hanno vinto il 3.4% di punti in meno di quanto fatto nelle situazioni non di tiebreak. Si tratta di una comparazione omogenea: in tutte le partite, per ogni giocatore ho usato la frequenza di punti vinti al servizio in situazioni non di tiebreak e di punti vinti al servizio nel tiebreak. Per avere un dato aggregato, ho calcolato la media di tutte le partite-giocatore ponderata per il numero di tiebreak nella partita.

(Inizialmente, ho ponderato per il numero di punti nel tiebreak pensando che, ad esempio, un tiebreak da 16 punti dovesse pesare di più di uno da 8 punti. Il risultato però è stato un notevole aumento della frequenza di punti vinti al servizio nel tiebreak, proprio a causa dell’effetto di selezione. Quando un tiebreak va oltre i 12 punti, spesso vuol dire che entrambi i giocatori stanno servendo bene. Perciò, se due giocatori sono in striscia positiva al servizio, tendono a giocare più punti, aumentando il loro peso nella formula di calcolo. È sempre possibile che un tiebreak più lungo del solito dipenda da molti punti vinti alla risposta, ma in un gioco come quello maschile in cui il servizio è così incisivo, è lo scenario meno probabile.)

Non serve essere supereroi

Il 3.4% di diminuzione nei punti vinti al servizio significa che, ad esempio, un giocatore che vince il 65% dei punti sul suo servizio nei dodici game che precedono il tiebreak scenderà al 62.8% durante il tiebreak. Fortunatamente per lui, anche l’avversario probabilmente subisce la stessa sorte. I benefici maturano solo per quei giocatori che mantengono o aumentano la percentuale di punti vinti al servizio dopo il dodicesimo game del set.

Ha senso pensare che i giocatori al servizio subiscano gli effetti della pressione. Almeno per le dinamiche del gioco maschile, il giocatore alla risposta ha poco da perdere. Visto che si ritiene che i tiebreak siano dominati dal servizio, qualsiasi punto vinto alla risposta sembra un colpo di fortuna. Forse, se i giocatori alla risposta sapessero di più dei veri numeri del tiebreak, potrebbero spostare a loro favore l’aspetto mentale, evitando di dover arrivare a servire come supereroi che non perdono neanche un game. Gli basterebbe mantenere il livello che li ha portati al tiebreak in prima istanza.

I più e meno prolifici nel tiebreak

Analizzando il campione in funzione dei giocatori, otteniamo convenientemente 50 giocatori con almeno 100 tiebreak (sarebbero stati in realtà 49, ma ho incluso Nicolas Mahut, che veniva subito dopo). Chi ha giocato il maggior numero di tiebreak è bravo, fortunato, o entrambe le cose, perché è riuscito a rimanere a lungo nel circuito e giocare così tante partite. Il giocatore medio dell’elenco, quindi, è un po’ più forte del generico giocatore medio.

La tabella mostra i migliori e peggiori dieci dei 50 giocatori più prolifici in termini di tiebreak. La prima statistica, cioè l’indice PVS (punti vinti al servizio), è il rapporto tra i PVS nel tiebreak e i PVS nei game del set. Un numero più alto significa che il giocatore vince più punti al servizio durante il tiebreak che nei game.

Siccome il valore si concentra in modo strano sullo 0.966 (uguale cioè alla diminuzione del 3.4% osservata in precedenza), ho inserito un’altra statistica che ho chiamato “Indice+”, in cui i numeri sono normalizzati in modo che la media sia 1.0. Anche in questo caso, un numero più alto significa più punti al servizio vinti nel tiebreak. L’1.09 di John Isner in cima alla lista gli consente di vincere il 9% di tiebreak in più di quanto atteso, dove per atteso s’intende la diminuzione del 3.4% a livello di circuito.

Giocatore   Tiebreak  Indice PVS  Indice+  
Murray      141       1.05        1.09  
Isner       368       1.05        1.09  
Kyrgios     109       1.05        1.08  
Ferrer      132       1.01        1.05  
Dolgopolov  116       1.01        1.05  
Rosol       100       1.01        1.05  
Tsonga      188       1.01        1.04  
Federer     175       1.01        1.04  
Mahut       94        1.01        1.04  
Paire       139       1.00        1.04  
…                                            
Istomin     120       0.94        0.98  
Troicki     104       0.94        0.97  
Berdych     181       0.93        0.96  
Almagro     118       0.93        0.96  
Verdasco    156       0.93        0.96  
Haase       123       0.93        0.96  
Mannarino   101       0.91        0.95  
Vesely      105       0.90        0.93  
Harrison    100       0.89        0.92  
Cuevas      100       0.87        0.90

La maggior parte dei grandi nomi che non compaiono nell’elenco (Rafael NadalNovak Djokovic, Juan Martin Del Potro, Milos Raonic) sono leggermente meglio della media, con un Indice+ di circa 1.02. Non mi sorprende che Isner o Roger Federer siano tra i migliori, visto che tradizionalmente hanno vinto più tiebreak delle attese. Più inaspettato è il primo posto di Andy Murray, che a quanto sembra riesce ad alzare il livello del servizio nei tiebreak meglio di chiunque altro.

Avvertimento: risultati negativi in arrivo

Negli ultimi sette anni – l’intervallo temporale dei dati a disposizione – Murray, Isner, e Federer hanno servito nel tiebreak con un rendimento costantemente positivo. Ci sono state stagioni però in cui anche loro hanno a malapena superato la media del circuito. Murray ha fatto meglio dei colleghi del 9% nel 2013 e del 10% nel 2016, servendo meglio nei tiebreak che nei game di un margine rispettivamente del 5% e del 6%. Negli altri anni invece si è limitato alla media.

Isner, che ha fatto meglio del circuito di almeno il 10% in tutte le stagioni dal 2012 al 2015, ha servito leggermente peggio nei tiebreak dei game nel 2016 ed appena sopra la media nei primi 50 tiebreak del 2018.

Si tratta di differenze ridotte, e la maggior parte dei giocatori non mantiene tendenze positive o negative da una stagione all’altra. In un altro esempio, dal 2014 al 2017 Raonic ha ottenuto Indici+ di 1.11, 0.92, 1.00 e 0.98. Non suggerirei di scommettere sul resto della stagione 2018 di Raonic o, se è per questo, anche sul 2019.

Nonostante la suggestiva presenza di Isner, Federer e Murray tra i migliori e di alcuni giocatori considerati mentalmente meno solidi in fondo all’elenco, non c’è prova che siamo di fronte a un’abilità, cioè un talento la cui applicazione è prevedibile, rispetto alla mera fortuna. Come per un passato articolo sui match point, ho suddiviso casualmente i tiebreak di ciascun giocatore in due gruppi. Se dominare al servizio nel tiebreak fosse un’abilità, l’indice PVS di un giocatore in un gruppo creato in modo casuale dovrebbe essere ragionevolmente predittivo del suo equivalente numero nell’altro gruppo. Così non è: non importa quale sia il limite inferiore di tiebreak per essere inclusi nell’analisi, non esiste correlazione tra i due gruppi.

Conclusioni

Se avete avuto modo di leggere i miei articoli, queste considerazioni appariranno familiari. Gestire la pressione e servire bene sembrano essere due qualità che alcuni giocatori mostreranno durante il tiebreak, mentre per altri resteranno inavvicinabili. Non ho trovato prove sufficienti ad affermare che nessun giocatore è incline a un rendimento superiore o inferiore alle attese perché, semplicemente, un professionista non gioca tiebreak a sufficienza in carriera da averne assoluta certezza. Ma con la possibile eccezione di Isner, Murray, Federer e lo sfortunato Pablo Cuevas, i giocatori si posizionano intorno alla media del circuito, vale a dire che il loro gioco al servizio diventa un po’ meno efficace nei tiebreak.

Se s’incontra un valore dell’indice SPV decisamente alto, o uno particolarmente basso, è probabile che la fortuna abbia pesantemente influenzato i risultati di quel giocatore. Se decidete di basare le vostre scommesse su questi numeri, ricordate che quasi sicuramente la maggior parte dei giocatori regredirà verso la media.

The Victims of Tiebreak Pressure

L’impatto del nuovo super-tiebreak agli Australian Open 2019

di Stephanie Kovalchik // StatsOnTheT

Pubblicato il 18 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Uno dei vari cambiamenti introdotti agli Australian Open 2019 è stato il super-tiebreak nel set decisivo delle partite di singolare. Dopo due turni, tre partite maschili e due femminili hanno già messo alla prova la regola. Cosa può svelare l’esito di quelle partite sul possibile impatto del nuovo format?

Un format specifico per ciascuno Slam

Nel 2019, ciascun torneo dello Slam avrà uno specifico format. Gli US Open – i primi ad adottare il tiebreak classico nel set decisivo – continueranno a mantenere la loro configurazione, la più breve tra tutte. A Wimbledon si giocherà per la prima volta un tiebreak classico sul punteggio di 12-12 nel set decisivo. Il Roland Garros è rimasto di fatto l’unico Slam con il set decisivo ai vantaggi.

Gli Australian Open si sono lanciati nella mischia adottando il super-tiebreak nel set decisivo. E dopo due turni giocati, già 5 partite sono terminate con il super-tiebreak, compreso il primo turno vinto da Katie Boulter, che ha poi ammesso di essersi dimenticata della nuova regola (nei turni successivi, solo una partita è finita al super-tiebreak, la vittoria di Kei Nishikori al quarto turno contro Pablo Carreno Busta, n.d.t).

Tra gli Slam, gli Australian Open sono stati scenario di due delle dieci più lunghe partite di singolare maschile (escludendo la Coppa Davis): la finale del 2012 tra Rafael Nadal e Novak Djokovic, durata 5 ore e 53 minuti e il primo turno tra Ivo Karlovic e Horacio Zeballos nel 2017, terminato dopo 5 ore e 22 minuti.

Alla luce di questi record, giocatori e appassionati possono chiedersi come il nuovo format contribuirà a eliminare le partite di durata infinita. Riflettiamo sulla domanda pensando alle partite su cui già sono ricaduti i cambiamenti introdotti.

Nel primo turno del tabellone maschile una sola partita è arrivata al super-tiebreak, la battaglia francese tra Jeremy Chardy e Ugo Humbert terminata 10-6 dopo 4 ore e 9 minuti. Al secondo turno, due partite hanno avuto lo stesso destino. In una, l’attira tiebreak Reilly Opelka ha perso 10-5 da Thomas Fabbiano in appena 3 ore e 32 minuti. Nell’altra, Nishikori l’ha scampata dopo 3 ore e 52 minuti contro Ivo Karlovic, vincendo 10-7.

Sono partite che sarebbero durate più a lungo in una situazione di set decisivo ai vantaggi?

Ci aspettiamo che sia così, ma di quanto?

Come giocatori tipo Karlovic e Opelka dimostrano, è più probabile rimanere invischiati in un’interminabile sequenza di servizi in presenza di due giocatori nella stessa partita che vincono una percentuale simile di punti al servizio. Così è stato per Chardy e Humbert, che hanno vinto rispettivamente il 68% e 70% in media, o Fabbiano e Opelka con il 70% e 73%, o Nishikori e Karlovic con il 74% e 78%. Tutti hanno superato la media del 67% del circuito, aspetto che dà garanzia quasi certa di prolungare il quinto set ad oltranza.

Utilizzando un simulatore di risultati con queste statistiche al servizio otteniamo una stima ragionevole della durata addizionale che quelle partite avrebbero avuto se il set decisivo fosse andato ai vantaggi.

La stima con un simulatore di risultati

L’immagine 1 presenta gli esiti per le partite in cinque set con le statistiche al servizio di Chardy e Humbert. Le linee mostrano la mediana, l’80esimo e il 90esimo percentile, mentre la linea rossa identifica l’effettiva durata della partita. Emerge che anche per un format più corto, la partita tra Chardy e Humbert è stata comunque insolitamente lunga, rientrando quasi tra il 20% di quelle che ci si attende abbiano durata più lunga quando c’è il set decisivo ai vantaggi. Con la durata attesa di 1 partita su 20 al quinto set di almeno 5 ore, c’era una buona probabilità che sarebbe potuta andare peggio di così.

IMMAGINE 1 – Durata attesa della partita tra Chardy e Humbert con il set decisivo ai vantaggi

Il nuovo format ha probabilmente avuto conseguenze più importanti sulla partita tra Fabbiano e Opelka, la cui durata effettiva ricade quasi esattamente nella mediana della durata attesa per una partita di cinque set nel format con il set decisivo ai vantaggi. Questo si traduce in una probabilità del 50% che avrebbe potuto durare più di quanto non abbia fatto.

IMMAGINE 2 – Durata attesa della partita tra Fabbiano e Opelka con il set decisivo ai vantaggi

L’impatto maggiore fino a questo momento è stato per la partita tra Nishikori e Karlovic. Osservando la distribuzione delle durate sulla base delle loro caratteristiche di servizio, possiamo notare come Nishikori possa ritenersi fortunato per l’introduzione della nuova regola. Senza, si sarebbe infatti trovato di fronte al 70% di probabilità di una guerra di nervi di più di 4 ore una volta raggiunto il quinto set contro Karlovic.

IMMAGINE 3 – Durata attesa della partita tra Nishikori e Karlovic con il set decisivo ai vantaggi

L’impatto è già evidente

Sono bastate tre partite per vedere che il nuovo format ha già lasciato il segno nel torneo, ed ha ancora più importanza per quei giocatori con percentuali di punti vinti al servizio superiori al 70%. Può sembrare di poca consolazione per un giocatore che arriva al terzo turno avendo già giocato 9 set, ma meno minuti in campo potrebbero avere un peso per la probabilità di raggiungere la seconda settimana.

Impact of the New Super Tiebreak at the Australian Open

Uno sguardo ravvicinato alle strategie nel tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 17 gennaio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

In teoria, i tiebreak sono il proscenio per grandi doti al servizio, una circostanza del gioco in cui il talento limita le occasioni per un break e spinge il punteggio sul 6-6. Non importa come ci si arrivi, durante il tiebreak le cose non vanno sempre nella direzione del servizio.

Bastano due esempi dal secondo turno degli Australian Open 2019. La partita di Roger Federer contro Daniel Evans è iniziata con dodici servizi tenuti di fila, e la minaccia di una sola palla break. Poi però ne tiebreak, vinto da Federer 7-5, il giocatore alla risposta ha fatto 9 punti su 12.

In un campo defilato e di fronte a molti meno spettatori, Thomas Fabbiano e Reilly Opelka sono andati al super-tiebreak del quinto set. In 52 game e 319 punti, Opelka ha servito 67 ace. Gli scambi non sono andati oltre i 2.9 colpi di media. Nel tiebreak decisivo, Opelka non ha fatto ace, Fabbiano ha risposto a tutti i servizi tranne uno e la media è salita a 5.5 colpi.

Nelle mie analisi sul tiebreak di ormai diversi anni fa, ho trovato che il vantaggio posseduto sul servizio svanisce. I giocatori alla risposta vincono più punti nel tiebreak che in altri momenti del set. Non è un effetto marcato, quasi una diminuzione del 6% nella percentuale di punti vinti al servizio, probabilmente dovuto al fatto che viene dato sempre il massimo nel tiebreak, a differenza dei giocatori deboli alla risposta su un punteggio come 40-0 a metà del set.

Senza dubbio le due partite rappresentano degli estremi. L’eventuale sofferenza di un giocatore al servizio in un tiebreak tipico non sconvolge il tennis in quanto sport. L’effetto però merita analisi approfondita.

Isner non è l’unico conservatore

Iniziamo da qualche tendenza generale. Nelle partite maschili dal 2010 al 2019 del Match Charting Project, ho trovato 831 tiebreak con dati punto per punto. Per ogni set terminato al tiebreak, ho conteggiato diverse statistiche per i punti nel tiebreak e quelli nel resto de set. Per ogni statistica, ho calcolato l’indice nel singolo set, e poi ho aggregato gli 831 tiebreak per ottenere dei numeri a livello di circuito.

Ecco cosa accade per le statistiche nei tiebreak:

  • Punti vinti al servizio: -6.5%
  • Ace: -6.1%
  • Prime di servizio valide: +1.3%
  • Risposte in gioco: +8.5%
  • Lunghezza degli scambi: +18.9%

(Nota tecnica: nell’aggregazione degli indici, ho ponderato per il numero di punti in ciascun tiebreak, ma fino a un massimo di 11. Tiebreak più lunghi tendono a essere quelli in cui il giocatore al servizio è più forte, come quello maratona terminato 17-15 nel primo set tra Fabbiano e Opelka. Se fossero ponderati per l’effettiva durata, i risultati verrebbero distorti a favore delle prestazioni al servizio migliori.)

A giudicare dall’aumento delle prime di servizio in campo, sembra che i giocatori al servizio siano più conservativi nei tiebreak. La significativa diminuzione degli ace e l’ancora maggiore incremento delle risposte in gioco forniscono ulteriore prova.

Un’alta concentrazione alla risposta può evitare qualche ace, ma non molti, e non si riesce a trasformarne poi così tanti in risposte in gioco. Un aumento di quasi il 20% nella lunghezza degli scambi può essere spiegato in parte dalla diminuzione degli ace (gli scambi da un colpo vengono rimpiazzati da scambi a più colpi). Ma la grandezza dell’effetto suggerisce un atteggiamento più conservativo sia al servizio che alla risposta.

Qualche altra riflessione

Non tutti gestiscono il tiebreak allo stesso modo. Molti, tra cui Federer, servono con la stessa efficacia anche in quelle situazioni ad alta pressione. Altri, come Rafael Nadal, sembrano risultare più conservativi, ma compensano facendo incetta di servizi meno incisivi degli avversari. Un terzo gruppo, come Ivo Karlovic che non si può non citare quando si parla di tiebreak, ha un rendimento inferiore in entrambe le situazioni di gioco.

La tabella elenca i venti giocatori con il maggior numero di tiebreak nelle partite del Match Charting Project dal 2010. Per ciascuno di essi, è mostrato il confronto tra frequenza di punti vinti al servizio (PVS) e punti vinti alla risposta (PVR) nel tiebreak e negli altri game.

Ad esempio Jo Wilfried Tsonga vince il 5.4% di punti al servizio in più durante il tiebreak che nei game regolari, rispetto alla variazione media del 6.5% nella direzione opposta. Ma la sua frequenza di punti vinti alla risposta scende del 3.4%, mentre il giocatore tipico la aumenta del 6.5%.

Giocatore           PVS     PVR   
Tsonga 5.4% -3.4%
Federer 0.4% 3.2%
Wawrinka -0.1% 4.2%
Isner -0.6% 6.4%
Djokovic -0.8% 11.8%
Murray -2.2% 8.7%
A. Zverev -2.7% 18.7%
Del Potro -3.3% 5.3%
Kyrgios -4.1% 10.5%
Thiem -4.6% 12.1%
---MEDIA ATP--- -6.5% 6.5%
Anderson -7.1% 8.9%
Simon -8.0% 16.3%
Berdych -8.4% 6.8%
Raonic -9.2% 9.1%
Nadal -9.4% 13.6%
Cilic -10.2% 5.8%
Tomic -11.3% 4.5%
Karlovic -12.6% -0.9%
Dimitrov -13.8% 5.1%
Khachanov -25.1% -5.4%

Per la maggior parte dei giocatori, l’obiettivo sembra quello di vincere un numero sufficiente di punti aggiuntivi alla risposta in modo da controbilanciare la perdita di quelli al servizio. Nadal è l’esempio più estremo, vincendo quasi il 10% di punti al servizio in meno del solito, infliggendo però un danno superiore agli avversari.

Alexander Zverev è il più impressionante del gruppo. Il suo servizio scende di poco, ma si trasforma alla risposta in un giocatore tipo Nadal. Non è un caso quindi che il suo record nei tiebreak sia stellare, con una percentuale di vittorie molto superiore alle attese. È da vedere se riuscirà a mantenere numeri così sbalorditivi.

Una strategia vincente

Un articolo come questo terminerebbe idealmente con una raccomandazione da parte mia. Qualcosa come: “analizzando varie metodologie, sulla base di questi numeri, possiamo dire con sicurezza che i giocatori dovrebbero…”.

Non è così semplice. Già è difficile identificare i giocatori più virtuosi nel tiebreak, ancora più complicato capire le ragioni. Come ho già scritto molte volte in passato, i risultati nel tiebreak sono strettamente correlati alla bravura complessiva e non a prodezze al servizio o alla capacità di predominio nei momenti chiave.

In qualsiasi stagione, alcuni giocatori sono in grado di accumulare un record incredibile nei tiebreak, ma raramente al successo in un anno ne corrisponde uno nell’anno successivo. In più riprese in passato ho fatto vedere come Federer, Isner, Nadal e Andy Murray sono giocatori costantemente abili nel fare meglio delle previsioni e superare le aspettative nei tiebreak. Ma anche loro non sempre ci riescono. Isner ad esempio, l’uomo copertina dei trionfi al tiebreak, ne ha vinti pochi di più di quanto ci si attendesse sia nel 2016 che nel 2018.

Vediamo comunque i risultati di questi quattro giocatori in relazione ai dati punto per punto che ho condiviso in precedenza. Federer, Isner e Murray sono parte di quella minoranza che serve più ace nel tiebreak che negli altri game del set.

Non significa però che sono necessariamente più offensivi. Dei tre, solo Federer serve meno prime del solito. Isner riesce a ridurre il numero delle risposte in gioco del 10% rispetto a situazioni di non tiebreak, Federer e Murray non ci riescono. Nadal si comporta in modo completamente diverso, servendo il 6% di prime in più ma facendo a malapena la metà degli ace che nel resto dei game.

In altre parole, non esiste una sola combinazione per il successo. Federer e Isner mantengono il loro livello superlativo di servizio e si avvantaggiano della tensione degli avversari o di tattiche conservative (in precedenza ho suggerito che la differenza nella percentuale di punti vinti al servizio arriva da giocatori come Isner che sono in grado di alzare il rendimento alla risposta in momenti di maggiore pressione. Lui ci riesce, ma non più del giocatore medio). Nadal fa leva sul suo punto di forza, imponendo all’avversario più scambi al servizio e alla risposta.

Potrebbe esistere una qualità che accomuna questi quattro giocatori (come la concentrazione), ma qui non ne troveremo traccia.

A Closer Look at Tiebreak Tactics

Due macchine da servizi, zero tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 3 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

I molti risultati contro pronostico agli US Open 2018 (non da ultima la sconfitta di Roger Federer al quarto turno per mano di John Millman, n.d.t.) non reggono il confronto con il sorprendente andamento della partita tra John Isner e Milos Raonic, valida per un posto nei quarti di finale. Inser ha vinto con il punteggio di 3-6 6-3 6-4 3-6 6-2, perdendo il servizio due volte e conquistando quello di Raonic quattro volte. In poche altre occasioni il tiebreak era cosa certa, eppure i due giocatori dalla statura fuori scala non lo hanno nemmeno sfiorato.

Nei cinque precedenti incontri, è stato più probabile per Isner e Ranoic arrivare a due tiebreak che a uno solo, e si è trattato per la maggior parte di partite al meglio dei tre set, non il format al meglio dei cinque set degli Slam. Nei 13 set giocati, 9 sono andati al tiebreak.

Nel 2017, il 45% dei set giocati da Isner sono stati dei tiebreak, mentre per Raonic quasi il 25%. Tra tutti e due, hanno giocato la partita più lunga della storia del tennis, la semifinale più lunga di uno Slam e la partita più lunga alle Olimpiadi. Sono davvero insuperabili nel tenere il servizio e davvero deboli a fare il break.

Grandi speranze

La probabilità che Isner e Raonic giochino un tiebreak dipende da alcune ipotesi di base. Se Raonic servisse come ha fatto nelle 52 settimane precedenti, la sua percentuale di punti vinti al servizio (PVS) sarebbe del 72.8%, che equivale a tenere il servizio il 93% delle volte. Se usiamo la PVS di Isner effettiva della partita di 74.3%, siamo di fronte al servizio tenuto il 94.4% delle volte. Se usiamo invece l’incredibile PVS di Isner di 76.5% derivante dalle altre partite contro Raonic, abbiamo un corrispondente servizio tenuto del 96%. Sembrano tutti valori molto alti ma, come vedremo, le differenze esistenti finiscono per incidere non poco sulla probabilità.

Ipotesi

Farò i calcoli in funzione di tre categorie di ipotesi:

  1. gli scontri diretti. In cinque partite (quattro su cemento e la quinta a Wimbledon 2018), Isner ha vinto il 76.5% dei punti al servizio, contro il 71.4% di Raonic. Significa tenere il servizio rispettivamente il 96.0% e il 91.7% delle volte.
  2. le ultime 52 settimane (corrette). Su tutte le superfici e dagli US Open 2017, Isner ha vinto il 73.6% dei punti al servizio, contro il 72.8% di Raonic. Sono numeri però ottenuti in presenza di un avversario medio. Entrambi, e specialmente Isner, hanno un gioco alla risposta inferiore alla media. Se correggiamo la PVS di ciascuno per la frequenza di punti vinti alla risposta (PVR) si ottiene il 75.5% per Isner e il 78.5% per Raonic. In termini di partita giocata, corrispondono a servizi tenuti rispettivamente per il 95.3% e il 97.1%.
  3. il quarto turno a Flushing Meadow. Isner ha vinto il 74.3% dei punti al servizio e Raonic il 68.8%. Con questi numeri non arriviamo a un pronostico reale, visto che naturalmente non avremmo potuto conoscerli prima del loro accadimento. Ma forse, componendo ogni singolo granello di informazione a disposizione in modo molto arguto, ci saremmo potuti avvicinare a un numero realistico. Sono percentuali che si traducono nel 94.4% di servizi tenuti per Isner e nell’88.5% per Raonic.

Non abbastanza tiebreak

A quanto pare, le agenzie di scommessa davano la probabilità di almeno un tiebreak al 95%. Questo è in linea con le mie previsioni, anche se le specifiche ipotesi influenzano il risultato in modo rilevante.

Ho calcolato qualche probabilità per ogni categoria di ipotesi. La prima, “p(No brk),” è la probabilità che i due giocatori tengano il servizio per 12 game. Non è l’unico modo per arrivare al tiebreak, ma ricomprende la maggior parte delle possibilità. La seconda, “p(TB)” è il risultato di una simulazione Monte Carlo per far vedere la probabilità che un set qualsiasi finisca al tiebreak. La terza, “eTB”, rappresenta il numero atteso di tiebreak sapendo che Isner e Raonic giocheranno cinque set. L’ultima, “p(1+ TB)” è la probabilità che la partita abbia almeno un tiebreak in cinque set.

Visto il tennis espresso dai due giganti durante la partita, non è impensabile che non siano mai andati sul 6-6. Considerato che il gioco alla risposta di Isner ha in larga parte determinato un calo della PVS di Raonic al di sotto del 70%, ogni set aveva “solo” una probabilità del 41.2% di un tiebreak, e c’era un 7% di probabilità che un punteggio al quinto set non ne contenesse neanche uno. Le altre due categorie di ipotesi, però, indicano quel tipo di certezza nel tiebreak che si riscontra anche nelle quote degli allibratori…e di chiunque altro abbia mai visto giocare Isner e Raonic.

Conclusioni

Forse l’aspetto più strano della vicenda è che, in sei precedenti partite agli US Open 2018, Isner e Raonic hanno giocato complessivamente sette tiebreak, almeno uno in cinque delle sei partite, prima di spegnere gli entusiasmi nello scontro diretto. Conoscendo Isner, si tratta di una distrazione, e sicuramente ci regalerà uno o due tiebreak nel quarto di finale contro Juan Martin Del Potro (Isner ha poi perso 7-6 (5) 3-6 6-7 (4) 2-6, con un tiebreak vinto e uno perso, n.d.t.).

Al termine del torneo, le sue partite molto probabilmente avranno almeno uno o due tiebreak nel punteggio…tranne che contro l’altra macchina da servizi a nome Raonic. Deve essere questo il motivo per cui continuiamo a seguire il tennis: ogni partita ha il potenziale per sorprenderci, anche se in fondo è una che non ci interessava guardare.

Two Servebots and Zero Tiebreaks

Strisce degne di nota dalla stagione ATP 2017

di Peter Wetz // TennisAbstract

Pubblicato il 3 marzo 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Grazie al recente aggiornamento dei database relativi al circuito maschile e femminile alla pagina GitHub di Jeff Sackmann, possiamo dare uno sguardo alla strisce più significative della stagione ATP 2017, in particolare quelle relative alle partite e ai tiebreak vinti e persi.

Strisce vincenti

Iniziamo con le partite vinte.

Giocatore   Partite   Inizio   Fine     
Nadal       17        17 apr   15 mag   
Nadal       16        28 ago   09 ott   
Federer     16        19 giu   07 ago   
Federer     13        09 ott   13 nov   
Federer     12        06 mar   20 mar   
A. Zverev   10        31 lug   07 ago   
Nadal       10        29 mag   03 lug   
Wawrinka    10        22 mag   29 mag   
Dimitrov    10        02 gen   16 gen

Si osserva come, in termini di strisce vincenti, la stagione sia stata dominata da Roger Federer e Rafael Nadal. La striscia di 17 vittorie di Nadal, interrotta dalla sconfitta contro Dominic Thiem nei quarti di finale degli Internazionali d’Italia, è l’unica che comprende tre tornei di fila vinti. Oltre a Nadal e Federer, solo Alexander Zverev ha vinto due tornei in successione.

Strisce perdenti

Se si guarda invece alla meno onorevole categoria di strisce perdenti, si pensa immediatamente a due nomi, quelli di Vincent Spadea e Donald Young. Il primo detiene il record di 21 partite perse consecutivamente sul circuito maggiore (non è conteggiata la sconfitta contro Rainer Schüttler alla World Team Cup di Dusseldorf nel 1999), mentre Young ha una delle strisce perdenti più lunghe, 17 partite, degli ultimi anni.

Nel 2017, nessun giocatore si è avvicinato a questi traguardi negativi, ma ci sono stati alcuni momenti in cui sembrava che si fosse dimenticato come vincere una partita. La tabella elenca tutti i giocatori con almeno 8 partite perse consecutivamente.

Giocatore   Partite   Inizio   Fine     
Cuevas      10        29 mag   23 ott
Marterer    10        06 feb   28 ago
Lorenzi     8         28 ago   30 ott
Jaziri      8         20 mar   03 lug
Medvedev    8         31 lug   09 ott
Tsitsipas   8         13 feb   02 ott

In merito alla striscia di 10 sconfitte di Maximilian Marterer, va sottolineata la sua stagione molto buona sul circuito Challenger, nel quale – tra una sconfitta e l’altra sul circuito maggiore – ha ottenuto risultati di rilievo in vari tornei.

Deve comunque essere frustrante perdere a ogni primo turno del tabellone principale dopo aver superato le qualificazioni, come è successo nel suo caso per sette delle dieci sconfitte in tornei del circuito maggiore (le altre tre sono arrivate dopo che Marterer aveva ricevuto una wild card). Per Pablo Cuevas invece, l’altro giocatore ad aver perso dieci partite di fila nel 2017, la striscia di sconfitte proviene da soli tornei del circuito maggiore.

Tiebreak

Si è parlato altre volte delle vittorie nei tiebreak, e una delle conclusioni è stata che in passato tre giocatori – Federer, Nadal e John Isner – sono andati stabilmente oltre le aspettative. L’elenco dei tiebreak vinti consecutivamente nel 2017 lo conferma, come si osserva nella tabella.

Giocatore   Tiebreak   Inizio   Fine     
Isner       11         15 mag   29 mag
Federer     8          19 giu   07 ago
Federer     8          06 mar   20 mar 
(Molti)     7

La striscia di Isner comprende due circostanze in cui ha vinto il tiebreak ma ha poi perso la partita, mentre in quella di Federer il tiebreak ha sempre contribuito alla vittoria finale. La lista di tiebreak consecutivi persi invece vede Lucas Pouille al primo posto con 12, appena uno in meno dei 13 persi di fila da Robin Haase, un record degli ultimi anni (a un solo tiebreak dai 14 di Graham Stilwell e Colin Dibley, striscia negativa collezionata negli anni ’70, n.d.t.).

Giocatore   Tiebreak   Inizio   Fine     
Pouille     12         03 mar   09 ott
Mayer       11         02 gen   03 lug 
Lajovic     8          06 mar   24 lug

Ritiri

Da ultimo, anche Nick Kyrgios si è fatto notare nel 2017 diventando il primo giocatore ad aver perso tre partite di fila per ritiro.

Data     Torneo         Avversario   Risultato
31 lug   Washington     Sandgren     3-6 0-3 Rit
03 lug   Wimbledon      Herbert      3-6 4-6 Rit
19 giu   Queen's Club   Young        6-7(3) 0-0 Rit

Doppio

Ci sono spunti interessanti anche nelle strisce della stagione 2018. I compagni di doppio Oliver Marach e Mate Pavic hanno iniziato con 17 vittorie consecutive, tra cui tre titoli, perdendo poi la finale di Rotterdam da Pierre-Hugues Herbert e Nicolas Mahut.

Se si considera anche la Coppa Davis, la striscia di Marach sale a 18 partite, grazie alla vittoria per l’Austria a febbraio in coppia con Philipp Oswald. Pur nella difficoltà di reperire dati relativi alle partite di doppio, si può affermare con un certo grado di sicurezza che Marach e Pavic avranno un posto di prim’ordine nell’annuario delle strisce vincenti del circuito maschile per il 2018.

ATP Streaks of 2017

Nick Kyrgios, il giovane Jedi del tiebreak – Verso Wimbledon

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’1 luglio 2014 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il terzo articolo della serie Verso Wimbledon.

A Wimbledon 2014, la giovane promessa emergente Nick Kyrgios ha mostrato di essere impermeabile alla pressione. Nella vittoria a sorpresa al secondo turno contro Richard Gasquet, ha pareggiato il record di nove match point salvati in una partita di un torneo Slam. Contro Rafael Nadal, ha tenuto testa al giocatore forse più mentalmente solido nei momenti chiave di tutto il circuito. Nonostante Nadal sia considerato uno dei più forti nei tiebreak, Kyrgios ha vinto entrambi i tiebreak della loro partita.

Vincere più tiebreak delle attese

Come ho scritto in precedenza, per la maggior parte dei giocatori il tiebreak equivale a un lancio della moneta. Tipicamente, i giocatori migliori vincono più del 50% dei tiebreak che giocano, semplicemente perché sono giocatori più bravi, non perché possiedano un talento specifico per il tiebreak. Solo un gruppo molto ristretto – Nadal, Roger Federer e John Isner sono virtualmente gli unici tra i giocatori in attività – vincono più tiebreak di quanti il loro rendimento in situazione diverse dal tiebreak lascia intendere.

Kyrgios sta sottoponendo con decisione la sua candidatura per essere aggiunto a questo prestigioso elenco. Sul circuito maggiore, nelle qualificazioni e nei Challenger, ha vinto 23 tiebreak su 31, equivalente a un incredibile 74% (attualmente il suo record è di 84 tiebreak vinti e 56 persi, cioè il 60% di vittorie, n.d.t.). Isner non ha mai avuto una singola stagione con una percentuale così alta e Federer ci è riuscito solo due volte.

Kyrgios ha affrontato avversari forti in queste partite, con un punteggio nei set che non finiscono al tiebreak non di quelli a senso unico (troppe situazioni del tipo 7-6 6-1 potrebbero indicare che, per il suo livello di gioco, avrebbe dovuto evitare in prima battuta di trovarsi sul 6-6). Sulla base dei punti vinti al servizio e alla risposta su tutte le partite, un robot che sapesse giocare a tennis avrebbe il 52% di possibilità di vincere ogni tiebreak.

Kyrgios è all’estremo della curva di distribuzione delle vittorie di tiebreak

Considerando questi numeri, è quasi sicuro che Kyrgios si posizioni all’estremo della curva di distribuzione, vale a dire che sia uno di quei giocatori che vincono molti più tiebreak di quelli che ci si attende. La probabilità che la sua eccellente percentuale di vittoria sia attribuibile alla fortuna è solo dell’1%. Possiamo avere un grado di certezza del 95% che una percentuale di vittoria nei tiebreak di almeno il 58% sia da ricondurre alla tecnica e un grado di certezza del 90% che il talento di Kyrgios meriti una percentuale di vittoria nei tiebreak di almeno il 62%.

Anche una sola di queste più modeste statistiche (il 58% o 62% rispetto al 74%) sarebbe comunque un indicatore di eccellenza. Milos Raonic, l’avversario di Kyrgios nei quarti di finale e un giocatore con un percorso di carriera idealmente simile a quanto potrebbe realizzare Kyrgios nei prossimi anni, ha il 58% di vittorie nei tiebreak sul circuito maggiore.

La loro partita non basterà a dimostrare quale giocatore abbia una prestazione migliore in questi momenti ad alta pressione ma, giudicando dallo stile di gioco di entrambi, è praticamente certo che vedremo Kyrgios messo alla prova in qualche altro tiebreak (Kyrgios perderà poi con il punteggio di 7-6 2-6 4-6 6-7, n.d.t.)

Nick Kyrgios, Young Jedi of the Tiebreak

L’incidenza del primo set al tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 6 novembre 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

In 12 delle partite dei primi due turni del Master di Parigi Bercy 2012 il primo set è arrivato al tiebreak. Di queste, 9 si sono poi concluse in due set, con il secondo set che si è chiuso con un punteggio più agevole. Il qualificato Jerzy Janowicz ha vinto le prime due partite del tabellone principale esattamente in questo modo.

Siamo di fronte a circostanze anomale. Un tiebreak non è un’occorrenza del tutto casuale, ma ci va vicino. E se due giocatori arrivano al tiebreak, i dati a disposizione suggeriscono che il loro livello di gioco in quel momento è abbastanza simile. Di conseguenza, il vincitore del primo set ha più probabilità di vincere la partita e forse ancora più probabilità di vincere il secondo set, ma certamente non è più probabile che abbia un percorso molto più semplice nel set successivo.

Da un punto di vista narrativo, sembra in realtà una dinamica familiare: dopo un primo set molto combattuto al tiebreak, il vincitore poi gestisce facilmente il secondo, forse grazie al vantaggio psicologico di aver vinto il primo in quel modo o perché la resistenza dell’avversario cede.

Ed è anche abbastanza frequente. Dal 2000, circa il 9% delle partite del circuito maggiore al meglio dei tre set sono vittorie in due set in cui il primo set conclusosi al tiebreak è seguito da un set dal punteggio più largo. Quando il primo set termina al tiebreak, l’esito di gran lunga più comune (quasi la metà di queste partite) è una vittoria in due set in cui il secondo set ha un punteggio più comodo del primo.

Fatti o previsioni?

Ma è davvero così? Vincere il primo set al tiebreak diventa una spinta aggiuntiva che permette al giocatore in vantaggio di chiudere con agilità il secondo set e la partita? O i tiebreak al primo set sono invece evidenza del fatto che il loro vincitore era comunque il giocatore migliore durante tutta la partita, e che quindi si sarebbe potuto prevedere, già prima dell’inizio, un punteggio del tipo 6-3 o 6-4 nel set successivo?

Non esiste una risposta definitiva a queste domande, ma possiamo tentare di dare un’interpretazione con l’aiuto dei numeri.

Interpretazioni

Per definire il contesto, iniziamo con il raffronto tra le partite con il tiebreak al primo set e tutte le partite al meglio dei tre set, a partire dal 2000:

  • nelle partite al meglio dei tre set, il vincitore del primo set vince poi il secondo e la partita il 66.1% delle volte. Se il primo set viene deciso dal tiebreak, il vincitore del primo set vince la partita in due set il 60.5% delle volte;
  • in tutte le partite al meglio dei tre set, il vincitore del primo set vince il secondo di almeno un break (quindi senza dover giocare il tiebreak) il 57.1% delle volte. Se il primo set si conclude al tiebreak, il vincitore del primo set vince anche il secondo con almeno un break il 50% delle volte;
  • il vincitore del primo set perde una partita al meglio dei tre set il 18% delle volte. Se il primo set viene deciso dal tiebreak, il vincitore del primo set perde la partita il 22.3% delle volte.

Naturalmente, il tiebreak al primo set è, in media, evidenza di partite più equilibrate (e probabilmente non servivano tutte queste percentuali per scoprirlo). Non è ancora chiaro però se il tiebreak al primo set dia al vincitore una spinta aggiuntiva, o rifletta semplicemente l’equilibrio tra i due giocatori.

Lo status di favorito

Per isolare l’effetto associato alla bravura di un giocatore, analizziamo le partite con il tiebreak al primo set, suddividendole in quattro categorie determinate da quanto il vincitore del primo set fosse considerato favorito:

                In 2 set  Facile set 2  Sconfitta  
Non favorito    48.5%     39.3%         33.8%  
(Circa) Pari    61.2%     51.4%         19.2%  
Favorito        69.4%     57.3%         14.1%  
Super favorito  74.1%     62.0%         9.2%

Non troviamo sorprese. Più il vincitore del tiebreak al primo set è considerato favorito, maggiore è la probabilità che vinca in due set, che vinca il secondo set con almeno un break e minore è la probabilità che perda la partita.

Ancora più significativo è il fatto che un’ulteriore analisi rivela come quasi tutte – almeno l’80% – le variazioni di queste percentuali siano determinate dalla bravura, in termini relativi, dei due giocatori. È possibile che, del rimanente 20%, una parte possa essere giustificata dal vantaggio psicologico dell’aver vinto un primo set molto equilibrato, ma è solo una possibilità e solo in minima parte.

Un resoconto per ogni sequenza di punteggio

In precedenza ho affermato che una dinamica del tipo 7-6 6-x sembra essere piuttosto frequente. È ovvio che lo sia, visto che le combinazioni di punteggio in una partita al meglio dei tre set sono in numero finito e limitato.

È facile caratterizzare una partita di questo tipo con una descrizione che possa poi essere applicata universalmente: “Roger Federer ha vinto gli ultimi 3 punti del tiebreak, facendo sembrare John Isner in balia dei suoi colpi. Non è stata quindi una sorpresa vedere Isner perdere il servizio per la prima volta nel game successivo”.

Un resoconto come questo riflette con accuratezza almeno una sezione di partita, ne spiega il punteggio e spinge a teorizzare che: a) il break subito da Isner è stato dovuto al fatto di aver perso il primo set al tiebreak e b) i giocatori generalmente perdono il servizio a inizio di secondo set dopo aver perso il primo al tiebreak.

Corretto. Spesso (ma quanto spesso?) però, abbiamo ragione di utilizzare un altro tipo di resoconto: “Andy Murray ha vinto gli ultimi 3 punti del tiebreak, facendo sembrare Jo Wilfried Tsonga in balia dei suoi colpi. Tuttavia, non è stata una sorpresa vedere Murray iniziare il secondo set in sordina e perdere il servizio per la prima volta nel game successivo”.

Alcuni di questi resoconti riflettono dinamiche effettivamente concrete, ed è il motivo per cui molti degli articoli su TennisAbstract indagano la logica di quelli più diffusi. Però è più probabile di quanto non sembri che molte di queste storie siano state elaborate per cercare di dare un significato alla casualità sottostante.

The Influence of a First-Set Tiebreak

Il temuto svantaggio al cambio di campo nel tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 16 ottobre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Alcune espressioni di saggezza popolare tennistica riescono a essere allo stesso tempo assolutamente ovvie e chiaramente sbagliate. Agli opinionisti è sufficiente un dato di fatto (è meglio vincere più punti) e una piccola aggiunta di vantaggio psicologico percepito per generare un risultato che può sembrare nefasto.    

Un esempio pertinente è il cambio di campo durante il tiebreak. Nello scenario tipico, succede una cosa simile: sotto 2-3 nel tiebreak, chi serve concede un minibreak e si ritrova sul 2-4 al cambio di campo, momento nel quale il telecronista si esprime con: “Non c’è di peggio che andare al cambio di campo sotto di uno o più minibreak”.

Anche se raramente viene data una spiegazione completa del pensiero, l’implicazione è che perdere esattamente quel punto – andare quindi da 2-3 a 2-4 – è in qualche modo un risultato peggiore del solito in presenza dell’imminente cambio di campo. Come la convinzione che il settimo game del set sia particolarmente significativo, anche questa è entrata nei canoni informativi senza essere stata messa alla prova.

Accanimento sull’ovvietà

Iniziamo dalla parte dell’affermazione assolutamente ovvia. Certo, è meglio cambiare campo sul 3-3 che sul 2-4. Nel tiebreak ogni punto è cruciale. Queste sono le percentuali di vincita di un tiebreak in vari scenari di punteggio al cambio campo, basate su un modello teorico e utilizzando un campione di giocatori con il 65% di punti vinti al servizio.

Punteggio  p(Vittoria)  
1*-5       5.4%  
2*-4       21.5%  
3*-3       50.0%  
4*-2       78.5%  
5*-1       94.6%

La conclusione è facile: un giocatore vuole vincere quel sesto punto a tutti i costi (o, almeno, molti dei punti che precedono il sesto punto). Se rimane qualche dubbio, mettiamo gli scenari precedenti a confronto con quelli dopo 8 punti.

Punteggio  p(Vittoria)  
2*-6       2.6%  
3*-5       17.6%  
4*-4       50.0%  
5*-3       82.4%  
6*-2       97.4%

Con il rischio di accanirsi sull’ovvietà, quando il punteggio è molto equilibrato, a tiebreak inoltrato i punti diventano più importanti. Il punto sul 4-4 ha più significato del punto sul 3-3, che ha più significato del punto sul 2-2 e così via. Se i giocatori cambiassero campo dopo 8 punti invece che dopo 6 punti, probabilmente attribuiremmo un potere magico anche a quella situazione di punteggio. 

Risultati pratici

Fin qui, ho solamente illustrato le risultanze del modello riguardo le probabilità di vittoria in diversi punteggi del tiebreak. Se gli opinionisti hanno ragione, dovremmo osservare una differenza tra le probabilità teoriche di vincere il tiebreak da 2-4 e il numero di volte in cui i giocatori effettivamente vincono il tiebreak da quel punteggio. Il modello prevede che un giocatore dovrebbe vincere il 21.5% dei tiebreak dal 2*-4. Stando alla saggezza popolare tennistica, dovremmo trovare che un giocatore vince ancor meno tiebreak quando cerca di recuperare da quel tipo di svantaggio.   

Analizzando i più di 20.000 tiebreak del campione a disposizione, è vero esattamente l’opposto. Arrivare al cambio di campo sul 2-4 è decisamente peggio che arrivarci sul 3-3, ma non è peggio di quanto il modello preveda, in realtà è leggermente meglio.

Per quantificare l’effetto, ho calcolato la probabilità di vittoria del tiebreak da parte del giocatore che serve immediatamente dopo il cambio di campo, in funzione dei punti al servizio vinti da ciascun giocatore durante la partita e al modello che ho citato precedentemente. Aggregando previsioni e risultati osservati in ogni tiebreak, possiamo mettere a confronto teoria e pratica. 

Se esiste un vantaggio psicologico, è il giocatore che insegue a poterne approfittare

In questo sottoinsieme di tiebreak, un giocatore che serve sul 2-4 dovrebbe poi vincere il tiebreak il 20.9% delle volte. Nella realtà, i giocatori vincono il tiebreak il 22% delle volte, una differenza piccola ma importante. Per il giocatore in risposta, la differenza è ancora più ampia. Il modello prevede infatti che i giocatori vincano dal 2-4 il 19.9% delle volte, mentre nella realtà vincono il 22.1% di quei tiebreak. 

In altre parole, dopo sei punti, il giocatore che ne ha vinti di più è nettamente favorito, ma se esiste una forma di vantaggio psicologico, cioè se uno o l’altro giocatore ha più che un vantaggio rispetto a quanto il semplice punteggio suggerisca, è il giocatore che insegue ad approfittarne.    

Naturalmente, lo stesso effetto si presenta dopo otto punti. Al servizio sul 3-5 i giocatori del campione hanno il 16.3% di probabilità (teoriche) di vincere il tiebreak, ma lo vincono il 19% delle volte. In risposta sul 3-5 la probabilità sulla carta è il 17.2%, ma vincono il tiebreak il 19.5% delle volte.

Non c’è nulla di speciale

Non c’è nulla di speciale sul primo cambio di campo nel tiebreak, e probabilmente non ci sono altri punti nel tiebreak più cruciali di quanto il modello teorico evidenzi. Invece, la scoperta sta nel fatto che i giocatori sfavoriti hanno una probabilità di recuperare leggermente migliore di quanto preveda il modello.

Il mio sospetto è che si assiste a un contestuale irrigidimento nei colpi del giocatore che è al comando e una maggiore facilità di palla da parte di chi insegue, un aspetto della saggezza popolare tennistica meritevole di ricevere molta più attenzione dell’idea di un punteggio magico dopo i primi sei punti del tiebreak.

The Dreaded Deficit at the Tiebreak Change of Ends

Chi serve per primo nel tiebreak è avvantaggiato?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 14 ottobre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Con la loro alternanza di servizi e di cambi di campo, i tiebreak sono così equilibrati da dare l’impressione di essere la modalità più giusta per concludere un set. Per quanto ne sappia, non c’è un orientamento di saggezza popolare tennistica diffuso che assegni una qualsiasi forma di vantaggio al giocatore che serve per primo (o per secondo) nel tiebreak.

Una verifica su più di 5200 partite

Facciamo una verifica. In un campione di più di 5200 tiebreak nel circuito maggiore dell’ATP, chi serve per primo ha poi vinto il tiebreak il 50.8% delle volte. Utilizzando il numero dei punti al servizio vinti da ciascun giocatore in una partita per determinare la probabilità che chi serve per primo nel tiebreak vinca poi il set, si ottiene che quel giocatore avrebbe dovuto vincere solo il 48.8% delle volte.

Due punti percentuali sono una differenza minima, ma in questo caso di grande importanza. E si mantiene tale in tutto il triennio (2013-15) maggiormente rappresentato nel campione, non subendo variazioni in funzione del set. Anche se possono esserci parzialità nei risultati dei tiebreak nel primo set, visto che i giocatori con un servizio migliore spesso scelgono di servire per primi e viceversa i giocatori con un servizio meno efficace di iniziare in risposta, in ogni set chi serve per primo è favorito, e servire per primo ha un impatto maggiore nel terzo set che nel set iniziale.   

Però questo effetto, almeno nella sua portata, è confinato ai risultati del circuito maggiore maschile. Un’analisi di 2500 recenti tiebreak nelle partite WTA evidenzia che la giocatrice che serve per prima ha vinto il 49.7% dei tiebreak, rispetto al 49.4% delle attese. Le partite del circuito minore femminile ITF e dei Future maschili restituiscono risultati simili. Lo stesso algoritmo su 6200 tiebreak dei tornei Challenger aggiunge confusione al tema: in questo caso, il giocatore che serve per primo ha vinto il 48.1% dei tiebreak, mentre avrebbe dovuto vincerne il 48.7%.

Scoperte fortuite

Un scoperta fortuita di quest’analisi arriva dal fatto che, per entrambi i generi e a diversi livelli, chi serve per primo nel tiebreak è, in media, il giocatore più debole. A prima vista, questo può sembrare irrealistico, perché si considera il tiebreak come game decisivo quando i due giocatori stanno esprimendo la stessa efficacia di gioco. E siccome l’effetto persiste per il secondo e il terzo set come nel primo, questo risultato non è influenzato da quale giocatore sceglie di servire per primo.

Questo risultato può essere però in parte spiegato da un’altra scoperta accidentale di una mia recente ricerca. Nel tentativo di stabilire se sia particolarmente difficile chiudere il set al servizio, ho calcolato le probabilità di tenere il servizio in ogni turno del set, rispetto alla frequenza con cui i giocatori avrebbero dovuto tenere il servizio. In molti game in cui il giocatore ha tenuto il servizio, compresi quelli con in gioco il set, non ci sono grandi differenze tra la frequenza con cui il servizio è stato effettivamente tenuto e la frequenza attesa per la medesima occorrenza.

Ho trovato invece alcuni effetti che sono in questo caso rilevanti. In generale, è più difficile tenere il servizio servendo per secondi, in punteggi come 3-4, 4-5 e 5-6, che servendo per primi, in punteggi come 3-3, 4-4 e 5-5. Ad esempio, nelle partite ATP analizzate, un giocatore tiene il servizio sul 4-4 esattamente con la stessa frequenza cui ci si attende che lo faccia in funzione dei punti vinti al servizio durante la partita. Ma sul 4-5, le prestazioni scendono all’1.4% sotto le attese. Nelle partite WTA analizzate, mentre le giocatrici hanno prestazioni peggiori sul 5-5 dell’1.4%, fanno molto peggio sul 5-6, vincendo il 5.2% in meno di quanto dovrebbero.

La ricerca però non è finita!

In altre parole, a parità di livello di gioco, se due giocatori tengono il servizio per diversi dei primi game del set, chi serve per secondo è anche quello che più probabilmente subisce il break e perde il set. Ma, se nessun giocatore perde il servizio (o se il numero di break per parte è uguale), chi serve per secondo è probabile che sia leggermente più bravo.

Questo spiega perché, almeno in parte, il secondo a servire è sulla carta favorito all’inizio del tiebreak. Quello che non tiene in considerazione però è che, per le partite del circuito ATP, i giocatori che servono per primi neutralizzano questo svantaggio vincendo più della metà dei tiebreak. Su questo, non ho ancora trovato una valida risposta.

Does Serving First in a Tiebreak Give You an Edge?