Dominic Thiem, Tennys Sandgren e l’adattamento al contesto del torneo

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 20 febbraio 2019 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dominic Thiem è uno dei più forti giocatori sulla terra battuta del mondo, con otto titoli e una finale al Roland Garros. Un record che però non è servito a granché nella sua partita inaugurale a Rio de Janeiro, dove ha perso in due set dal numero 90 Laslo Djere. È una sconfitta che richiama altri fallimenti di inizio torneo, come quello contro Martin Klizan ad Amburgo 2018 o l’incredibile vittoria a sorpresa del numero 222 Ramkumar Ramanathan sull’erba di Antalya 2017.

E non è nemmeno la prima volta in stagione che un giocatore non riesce a capitalizzare il vantaggio della testa di serie più alta. Di recente, le teste di serie numero 1 in tre tornei del circuito maggiore hanno perso le loro partite inaugurali. Andando più in profondità, ho trovato che le teste di serie numero 1 ottengono risultati inferiori alle attese in questo tipo di tornei minori. Tecnicamente, Rio è un evento di più alto profilo, ma il risultato è lo stesso: un giocatore di livello in un torneo non obbligatorio che torna a casa anticipatamente.

Naturalmente abbondano le teorie in merito. Ad esempio, che con la garanzia del bye per le teste di serie di vertice, è possibile che poi i più forti siano in pericolo di fronte alla miglior forma degli avversari (che hanno già giocato almeno una partita). In qualsiasi evento non obbligatorio, è possibile che le teste di serie di vertice non siano estremamente motivate, arrivando solamente per collezionare il gettone presenza. Infine, c’è il vecchio adagio che alcuni giocatori necessitano di adattarsi al contesto. In altre parole, devono trovare la loro strada per proseguire nel torneo. È quest’ultima teoria che m’interessa approfondire.

Abile e arruolato

Se a un giocatore serve del tempo per essere a suo agio, ci aspetteremmo che al primo turno giochi peggio del previsto, e che anche al secondo turno, seppur in misura minore, possa non fare bene quanto dovrebbe. Per dare credito a questa interpretazione, dovrebbe poi giocare meglio del previsto nei turni successivi perché, se non lo facesse, il rendimento mediocre nei turni iniziali non sarebbe stato sotto la media, ma semplicemente scadente. Queste prestazioni sopra e sotto la media sono altresì quantificabili.

Iniziamo da Thiem. Ho analizzato i suoi risultati in carriera sul circuito maggiore e suddiviso le partite in molteplici categorie (alcune si sovrappongono), come: prima partita in un torneo, seconda partita, prima partita in un torneo non obbligatorio, seconda partita o successive, finali, e così via. Per ciascuna, ho sommato il rendimento ottenuto e l’ho confrontato con le attese (Vittorie attese o “V att” nella tabella), sulla base delle previsioni Elo di quel momento. La tabella riepiloga i numeri di Thiem.

Categoria      Partite  V att   Vitt.   
Primo 141 94.3 94
Primo (250) 84 52.9 54
Primo/Secondo 238 151.3 151
Secondo 97 59.9 60
Secondo+ 203 117.7 118
Terzo 58 34.9 35
Terzo+ 106 60.7 61
Quarto 32 18.5 19
Finali 17 10.2 10

La sua prevedibilità ha quasi del comico. In 84 tornei non obbligatori fino al 17 febbraio 2019, secondo Elo avrebbe dovuto vincere la prima partita 53 volte. Thiem ne ha vinte 54. Se si considerano tutti i tornei, ha vinto la prima partita che ha giocato 94 volte, perfettamente in linea con le stime di Elo. Nelle nove categorie elencate, il rendimento non è mai migliore o peggiore delle attese di 1.1 partite. Se ha bisogno di adattarsi al contesto del torneo, certamente non lo si evince dai suoi risultati.

Cosa si può dire di Sandgren?

Anche a Thiem è capitata qualche sconfitta nei primi turni ma, nel corso della carriera, di solito ha vinto quel tipo di partite. Faremmo forse meglio a concentrarci su un giocatore da alti e bassi, cioè qualcuno che perde più spesso al primo turno, diventando però pericoloso quando avanza ai turni successivi.

Un perfetto esempio è dato da Tennys Sandgren. L’americano ha raggiunto i quarti di finale degli Australian Open 2018, la finale a Houston nello stesso anno e ha vinto a Auckland a inizio stagione. A parte questo, raramente viene intercettato dal radar tennistico. Recentemente, ha ammesso la mancanza di continuità di gioco nel podcast di Carl Bialik Thirty Love, spiegando secondo la prospettiva di un professionista perché ritiene che i suoi risultati siano così variabili. Come Thiem, ha perso facilmente in una partita di apertura a Delray Beach, racimolando solo quattro game contro Reilly Opelka.

Nessuna rilevanza statistica

I risultati per ciascun turno di Sandgren sono meno prevedibili di quelli di Thiem. Non c’è però molto nei numeri a supporto di una possibile versione iper spinta di giocatore del tipo “arrivo fino in fondo o vado a casa subito”. Visto che Sandgren ha giocato meno tornei di Thiem, ho incluso anche il rendimento dei Challenger prima di raggruppare le partite nelle categorie precedentemente individuate.

Categoria      Partite  V att   Vitt.   
Primo 124 64.7 62
Primo (250) 113 60.2 60
Primo/Secondo 186 96.4 98
Secondo 62 31.7 36
Secondo+ 120 60.3 63
Terzo 35 17.3 15
Quarto 15 7.3 9
Finali 8 4.2 3

Sandgren ha giocato peggio del previsto nelle prime partite e andato oltre le aspettative nei secondi turni, ma è un effetto che scompare dopo due partite del torneo. E in ogni caso, nessuno scostamento positivo o negativo rispetto al rendimento atteso è lontanamente vicino dall’avere una rilevanza statistica. Le sconfitte extra nelle prime partite hanno una probabilità su tre di accadere per caso, mentre le vittorie in più nelle seconde partite una probabilità su sei. Potrebbe esserci una tendenza interessante, ma l’effetto è ridotto ed è molto probabile che sia riconducibile esclusivamente al caso.

C’è qualcuno con risultati positivi?

Fino a questo punto abbiamo analizzato due giocatori che sembrava potessero avere un rendimento superiore o inferiore alle attese in determinati gruppi di partite, non trovandone riscontro. La teoria dell’adattamento al contesto del torneo sopravviverà sicuramente a questo articolo, ma facciamo in modo che non ci siano giocatori che la incarnino, anche se Thiem e Sandgren non sono tra quelli.

Ho replicato la procedura per gli altri 98 giocatori dei primi 100 della classifica attuale, raggruppando le partite in categorie e sommando le vittorie attese secondo la valutazione Elo e le vittorie effettive, calcolando infine la probabilità che i risultati – sopra o sotto le attese – siano dovuti al caso.

Emergono 1043 giocatori-categoria, dalle finali di Novak Djokovic alle prime partite (o le partite di primo turno) di Pedro Sousa (non tutti i giocatori hanno partite in ciascuna categoria, come la sesta partita o le finali, quindi il numero complessivo non è preciso). Di quei 1000 giocatori-categoria, solo 29 rientrano nei parametri tradizionali di significatività statistica, vale a dire che la probabilità che possano essere ricondotti al caso è inferiore al 5%.

Un esempio noto è quello del record di finali di Gael Monfils. Anche dopo la vittoria a Rotterdam, gli 8 titoli sono comunque oscurati dalle 21 sconfitte. Si tratta però di casi assolutamente rari. Visto che meno del 3% dei giocatori-categoria supera il limite del 5%, è sbagliato dire che queste categorie rappresentano delle tendenze concrete (come ad esempio una spiegazione di carattere psicologico per l’incapacità di Monfils di vincere le finali che gioca). In un migliaio di gruppi di partite, dozzine di queste dovrebbero essere degli estremi.

Conclusioni

In altre parole, non esiste supporto statistico all’affermazione che determinati giocatori sono più o meno efficaci in specifici turni del tabellone. È sempre possibile che un numero molto ridotto di giocatori abbia caratteristiche di questa natura, ma tra i 29 giocatori-categoria con risultati particolarmente improbabili, solo il record nelle finali di Monfils è interpretabile da teorie apparse in precedenza. Richard Gasquet ha vinto 120 volte le prime partite di un torneo non obbligatorio, undici in più di quanto ci si attendesse da lui, un extra rendimento poco probabile quanto lo è il crollo di Monfils nelle finali. Dovremmo forse parlare di quanto assiduamente si prepari Gasquet per l’inizio di un torneo, a prescindere dall’importanza dello stesso?

Può sempre succedere che i giocatori più forti, di fatto, si adattino gradualmente al contesto del torneo. Sulla base di quest’analisi però, è così solo se tutti entrano in forma approssimativamente con la stessa frequenza. Forse i primi turni mostrano una qualità inferiore alle semifinali. Ma se siamo interessati a fare previsioni sull’esito delle partite – anche nel caso dei risultati di primo turno di Thiem contro giocatori navigati – faremmo meglio a ignorare le teorie che popolano il tennis. Le partite di apertura non sono così speciali, nemmeno per i giocatori che pensano che lo siano.

Dominic Thiem, Tennys Sandgren, and Playing Your Way In

Le sospensioni di una partita incidono sull’esito finale?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato l’8 giugno 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

La pioggia intermittente e la scarsa visibilità della sera hanno costretto gli organizzatori del Roland Garros 2018 a rinviare diverse partite, tra cui i quarti di finale della parte bassa del tabellone maschile.

Si ha spesso l’impressione che, in presenza di interruzioni di questo tipo, sia più probabile assistere a inversioni totali o variazioni significative nel punteggio. Possediamo dati a conferma dell’incidenza di una o più sospensioni di gioco?

La pioggia ha creato trambusto in molte edizioni del Roland Garros. Il 2016 è stato uno degli anni più difficili in assoluto, con intere sessioni cancellate. Anche se nel 2018 si è riusciti a giocare con regolarità, alcuni passaggi di forte pioggia hanno comportato la sospensione di molte partite, otto nel tabellone maschile e due in quello femminile.

È difficile avere a disposizione dati storici sulla sospensione o il rinvio delle partite. Il numero di sospensioni del 2018 però è già superiore al numero complessivo di partite interrotte tra il 2014 e il 2017.

Con l’aumentare quest’anno del numero di partite sospese, specialmente per gli uomini, è immediato chiedersi quale impatto possa aver avuto l’interruzione sullo svolgimento e quali giocatori possano averne beneficiato o subìto le conseguenze.

Le partite sospese sono lunghe

Analizzando le statistiche delle dodici partite maschili che sono terminate dopo una sospensione (a esclusione dei ritiri durante la partita) al Roland Garros tra il 2016 e il 2018, il primo aspetto che emerge è la durata.

Rispetto alle partite maschili nello stesso periodo conclusesi regolarmente, la maggior parte di quelle sospese rientra nel 50% superiore di durata (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

IMMAGINE 1 – Numero di punti totali giocati in partite sospese e non sospese al Roland Garros tra il 2016 e il 2018

Una partita non sospesa negli ultimi tre anni è durata in media 200 punti, mentre nelle partite sospese sono stati giocati mediamente 260 punti.

Meno chiaro è se l’interruzione stessa prolunghi il gioco. La spiegazione più probabile è che partite che in ogni caso sarebbero durate a lungo sono proprio quelle con la più alta possibilità di essere interrotte.

Capovolgimenti di fronte

Quando una partita viene interrotta si sente spesso dire che ci si può aspettare una variazione nel vantaggio psicologico associato all’andamento del punteggio.

I commentatori tendono a scoraggiare il giocatore che è in vantaggio dall’interrompere la partita a meno di impedimenti oggettivi, nella convinzione che è più probabile che poi perda il vantaggio se si termina la partita il giorno dopo.

La variazione di punteggio dopo una sospensione della partita è più probabile di una variazione dopo che si è giocato per una durata simile in una partita che si svolge con regolarità? Quanto successo nei quarti di finale tra Rafael Nadal e Diego Schwartzman suggerisce questo, ma forse si sarebbe verificato comunque a prescindere dall’interruzione per pioggia.

Visto che la maggior parte delle sospensioni in una partita maschile accade intorno ai 100 punti, possiamo confrontare le statistiche di una partita regolare prima e dopo il centesimo punto per avere un’idea sulla presenza di variazioni insolite nel caso delle partite che sono state sospese.

L’immagine 2 mostra le situazioni di inversione di punteggio subite dal giocatore al comando, tali da comportare un sconfitta finale.

IMMAGINE 2 – Impatto della sospensione sul giocatore in vantaggio nelle partite di singolare maschile del periodo dal 2016 al 2018

Nelle partite senza sospensioni, questo tipo di inversione si è verificato in media nel 23% delle partite di singolare maschile tra il 2016 e il 2018. Per le partite sospese, la media è del 31%, con un aumento quindi del 30%.

Considerato il numero ridotto di partite sospese, è necessaria estrema cautela nell’attribuire valore alla media, ma siamo comunque in presenza di un incremento minimo sfavorevole nel cambio di punteggio per il giocatore al comando.

Cambio di conduzione

Nelle partite con sospensioni, i giocatori che finiscono per emergere vincitori beneficiano di un aumento medio di cinque punti percentuali nei punti vinti dopo l’interruzione rispetto a quelli vinti prima. Si tratta di una variazione maggiore rispetto al 75% dei vincitori di partite senza interruzioni prima e dopo un numero simile di punti giocati.

IMMAGINE 3 – Variazione del vincitore in termini di punti vinti dopo la sospensione nelle partite di singolare maschile del periodo dal 2016 al 2018

Nadal è Julien Benneteau sono i due giocatori che quest’anno hanno ricevuto il maggior beneficio in termini di punti vinti dopo una sospensione. Jeremy Chardy invece è stato uno dei pochi a subire l’effetto opposto, pur essendosi portato così avanti nel punteggio da ottenere comunque la vittoria.

Sia Nadal che Benneteau erano indietro di un set al momento della sospensione, mentre Chardy era avanti due set a zero.

Sembra esserci dunque evidenza a conferma dell’impressione che le sospensioni di una partita incidano sull’esito finale e sul rendimento dei giocatori. Se così fosse, c’è una ragione in più per aspettare con ansia negli anni a venire l’inaugurazione al Roland Garros del nuovo stadio Chatrier provvisto di tetto.

Does Interrupting a Match Impact the Outcome?

La striscia vincente in uno Slam dà un vantaggio effettivo?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 25 gennaio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Con due giocatori nelle semifinali maschili degli Australian Open 2018 fuori dai primi 49 del mondo, possiamo dare per scontato quali siano i nomi dei finalisti? O il vantaggio derivante da una striscia vincente deve far aumentare le attese per i due semifinalisti, sulla carta, non favoriti?

Uno dei temi più intriganti di questa edizione degli Australian Open è stata la ribalta conquistata da molti giocatori e giocatrici esclusi dal novero dei favoriti per raggiungere i turni finali.

Alcune di queste sorprese, come Tennys Sandgren e Hsieh Su-Wei, hanno poi perso, altri invece sono ancora in corsa per il titolo. Nel tabellone maschile, Hyeon Chung e Kyle Edmund, fuori dalle teste di serie, sono arrivati in semifinale (Marin Cilic ha poi battuto Edmund, numero 50 della classifica, nella prima semifinale, n.d.t.), entrambi per la prima volta in uno Slam.

Nel tabellone femminile, è stata Elise Mertens a giocarsi la semifinale (persa poi contro Caroline Wozniacki, n.d.t.), come unica fuori dalle prime 30.

I non favoriti dal pronostico devono collezionare una striscia vincente incredibile per arrivare in fondo a uno Slam, e la probabilità suggerisce trattarsi di una sequenza più facilmente destinata a interrompersi, invece che proseguire, così da rendere la posizione dei favoriti all’inizio del torneo ancora più solida.

Ascoltando le telecronache però sembrerebbe vero il contrario, visto che ai commentatori piace sostenere la candidatura (o quantomeno aumentare la probabilità di vittoria) del giocatore che possiede il vantaggio psicologico derivante da una striscia vincente.

Qual è dunque la prospettiva corretta? Analizzare vittorie e sconfitte passate di un giocatore è sufficiente a predire il rendimento futuro o dovremmo considerare la mano calda dell’ultimo periodo e far crescere ulteriormente le attese?

Chi ha il vantaggio della striscia vincente

Se confrontiamo l’andamento delle valutazioni Elo tra i semifinalisti uomini, possiamo osservare che se ci sono due giocatori per cui sembra valida la spinta del fattore psicologico sono proprio Chung ed Edmund.

Dall’inizio dell’anno infatti hanno incrementato la loro valutazione Elo di più di 100 punti, la maggior parte dei quali è arrivata dagli exploit a Melbourne.

IMMAGINE 1 – Andamento della valutazione Elo per i semifinalisti degli Australian Open 2018

La situazione è ben diversa per Roger Federer e Cilic, entrambi considerati favoriti (e spesso con largo margine) in tutte le partite giocate fino a questo momento. Pur avendo raccolto punti con ogni vittoria, la variazione Elo è stata più ridotta perché hanno giocato al livello che da loro si attendeva.

Tra le donne, Mertens è la giocatrice che più è arrivata dal nulla, con una striscia simile a quella di Edmund e Chung.

IMMAGINE 2 – Andamento della valutazione Elo per le semifinaliste degli Australian Open 2018

Anche Angelique Kerber (sconfitta poi da Simona Halep, n.d.t.), l’unica semifinalista con uno Slam in bacheca, ha guadagnato molti punti Elo grazie alle sue vittorie, facendo del suo percorso la rinascita dell’inizio del 2018.

Il record nei vantaggi derivanti da strisce vincenti

Le precedenti tabelle mostrano che la valutazione Elo di un giocatore beneficia in modo naturale di un’importante striscia vincente, con la curva che assume un’angolazione più acuta quanto più è sorprendente ogni vittoria rispetto alle attese iniziali. Di fatto è questo il tentativo di riallineare con maggiore precisione le attese pre-partita con l’esito della partita.

In presenza di una striscia vincente, i giocatori maturano un vantaggio tale da portarci a rivedere ulteriormente le loro valutazioni?

Gli studi sul vantaggio psicologico nello sport, chiamato anche mano calda, non hanno mai generato conclusioni definitive. Molto dipende dal fatto che benefici di questo tipo sono difficili da misurare, specialmente in presenza di campioni di piccole dimensioni come quelli degli effetti in gioco in uno Slam.

Anche se non si riesce a trarre una vera conclusione, vale comunque la pena analizzare come si siano comportati, storicamente, giocatori sfavori con strisce vincenti altrettanto sorprendenti nei passati Slam.

La tabella riepiloga i dieci semifinalisti con il percorso più spettacolare negli Slam dal 1990 al 2017 in funzione dell’aumento della valutazione Elo fino alle semifinali. Solo due sono poi riusciti a vincere il torneo, Gustavo Kuerten e Pete Sampras, la prima di diversi titoli Slam per entrambi.

Nel singolare femminile, le dieci strisce più sorprendenti non hanno portato ad alcun titolo, anche se quattro giocatrici sono riuscite a vincere uno Slam a distanza di pochi anni da quella specifica striscia di vittorie.

Ci sono giocatori e giocatrici che, pur non avendo vinto il torneo durante quel periodo di mano calda, hanno avuto a tutti gli effetti una carriera di successo, diventando nomi noti alla maggior parte degli appassionati di tennis.

Raggiungendo il medesimo storico risultato con un analogo rapido aumento della valutazione Elo, Edmund, Chung e Mertens sono già entrati a far parte dell’élite, gettando le fondamenta per una brillante carriera.

Is Slam Momentum a Thing?

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 21 (sugli effetti del sentirsi vincenti)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 30 luglio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 20.

Luglio 2016 è stato un mese stellare per la giocatrice inglese Johanna Konta. Dopo aver battuto Venus Williams, un suo idolo, nella finale del torneo Premier di Stanford, è nei quarti di finale della Rogers Cup di Montreal (dove ha perso inaspettatamente dalla qualificata Kristina Kucova, n.d.t.). Ultimamente sembra che tutto giri a favore di Konta.

Quando i giocatori entrano in una striscia di questo tipo, può a volte sembrare che la vittoria sia l’unico risultato possibile, come se a ogni partita vinta conquistare la successiva diventi ancora più probabile.

Questo effetto in chiave positiva di “piove sempre sul bagnato” assume diversi nomi nello sport: mano calda, striscia vincente, vantaggio psicologico. Klaassen e Magnus, i due statistici del tennis, lo definiscono come il sentirsi vincenti.

Nel Mito 21, Klaassen e Magnus analizzano l’esistenza in una partita del sentirsi vincenti. In altre parole, è possibile ritrovare lo stessa striscia avuta da Konta a luglio per la conquista di punti all’interno di una singola partita?

Mito 21: “Il sentirsi vincenti esiste”

Uno degli aspetti chiave sui cui pongono l’accento Klaassen e Magnus è che il fenomeno del sentirsi vincenti può essere definito in una molteplicità di modi. Non perdere nemmeno un set in una partita è esempio di sentirsi vincenti? E vincere dieci punti di fila?

Considerata la varietà di scelta, in Analyzing Wimbledon Klaassen e Magnus hanno utilizzato due diversi approcci per verificare l’esistenza del sentirsi vincenti nel tennis.

Nel primo, considerano l’ipotesi in cui aver vinto il punto precedente renda più probabile la vittoria del successivo. Nel secondo, si chiedono se la frequenza di vittoria dei precedenti dieci punti al servizio (di fatto due game di servizio) abbia un effetto ulteriore oltre a quello dell’esito del punto precedente.

In entrambe le circostanze, una correlazione positiva con l’esito del punto precedente o con la percentuale di vittoria dei precedenti dieci punti darebbe evidenza della disposizione mentale del sentirsi vincenti.

Visto che la bravura di un giocatore verrebbe ovviamente legata all’esito del punto precedente al servizio e alla frequenza di vittoria dei dieci precedenti punti al servizio, i due autori hanno corretto per la differenza di classifica e per la somma delle posizioni in classifica dei giocatori della partita considerata.

Una volta eseguiti tutti i calcoli, hanno trovato che il sentirsi vincenti è associato all’esito del punto precedente ma non è correlato con la media di vittoria dei dieci punti precedenti.

Una rivisitazione del Mito 21

Nel Mito 16, ho esaminato il concetto del sentirsi vincenti in relazione alla predisposizione al rischio sul servizio. In quel caso, ho usato il differenziale punti per riassumere la disposizione vincente di un giocatore avuta fino al punto preso in esame in un set. Il differenziale punti del set è semplicemente la differenza tra i punti vinti da un giocatore e quelli vinti dal suo avversario.

Prediligo questa interpretazione della disposizione vincente di un giocatore perché evita un arbitrario valore di esclusione pur rimanendo sensibile – attraverso l’azzeramento a inizio di ciascun set – a quanto successo nei game più recenti.

Sappiamo che alcuni punti in un partita possono sembrare estremamente equilibrati, anche se poi il risultato del set è a senso unico. Quanto ci si può attendere quindi che il differenziale punti si allontani dalla parità?

L’immagine 1 raffigura la distribuzione del differenziale punti in 2000 partite Slam maschili e femminili (nella versione originale, è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

I punti sono rappresentati con una scala rapportata al numero di punti complessivi nel campione al momento in cui si è verificato il differenziale punti, così che anche la rarità delle situazioni estreme abbia un senso.

Risulta che non è impensabile osservare differenziali di punti in un’intervallo da -20 a +20. Si trova inoltre che la distribuzione del differenziale punti in campo maschile e femminile è a grandi linee simile, con una frequenza più bassa di differenziali neutri per il circuito femminile.

IMMAGINE 1 – Distribuzione del differenziale punti per ATP e WTA nei tornei Slam, per il periodo 2011-2016

Rendimenti diversi rispetto all’aumento o diminuzione del differenziale?

Dopo aver visto che il differenziale punti può variare in misura sostanziale durante un set, la domanda immediatamente successiva è se i giocatori hanno un rendimento diverso in funzione dell’aumento o della diminuzione del differenziale punti.

L’immagine 2 mostra come la media di punti vinti al servizio cambi in funzione del differenziale punti e rivela una correlazione all’incirca lineare e positiva, che suggerisce che la probabilità di vincere un punto aumenti con un differenziale punti positivo e diminuisca nel momento in cui il giocatore al servizio è indietro nel differenziale.

Bisogna però prestare molta attenzione nell’interpretazione di questo grafico. Visto che si sta solo facendo una media di tutti i punti giocati in ogni istante in cui si misura il differenziale punti, è possibile che la qualità del mix di giocatori in ogni momento vari in modo tale da alterare il risultato.

Ad esempio, solo i migliori giocatori al servizio riescono a salire a dieci punti di vantaggio nel differenziale e solo i peggiori a rimanere dieci punti indietro. È necessario quindi correggere per la bravura dei giocatori per verificare se il sentirsi vincenti esiste davvero.

IMMAGINE 2 – L’effetto del sentirsi vincenti sulla percentuale di punti vinti al servizio

Adottare un modello combinato è la metodologia più normale per tenere conto della bravura dei giocatori e del raggruppamento di punti intorno al giocatore al servizio quando si considerano i singoli punti del campione di dati a disposizione.

In questo modello, il risultato è dato dal punto e si usano effetti casuali per il giocatore al servizio e quello alla risposta per tenere conto della bravura dei giocatori in ciascuna partita.

Il differenziale punti è aggiunto come variabile fissa e casuale (per il giocatore al servizio) per determinare l’impatto del differenziale sullo specifico giocatore una volta considerata la bravura dei giocatori.

Uomini

Per il circuito maschile, ho trovato che l’effetto medio ponderato del differenziale punti è di 2.5 punti percentuali ogni dieci punti guadagnati nel differenziale. Siamo di fronte a una forte evidenza del sentirsi vincenti.

Ricordiamoci però che il differenziale punti è un’arma a doppio taglio, perché sebbene un differenziale positivo incrementi la possibilità di vittoria del punto da parte del giocatore al servizio, rende altrettanto difficile vincere il punto in una situazione di punteggio sfavorevole.

L’immagine 3 mostra il 25% dei giocatori al servizio su cui incide maggiormente il sentirsi vincenti e il 25% di quelli che ne sono meno influenzati.

È interessante trovare Gael Monfils al quinto posto, con un effetto di +3.2 punti percentuali su un differenziale positivo di dieci punti. Un altro risultato degno di nota è la presenza di alcuni dei giocatori di maggiore successo nel gruppo di quelli meno soggetti al sentirsi vincenti, come Lleyton Hewitt, Roger Federer e Novak Djokovic, che si trovano nelle ultime dieci posizioni dell’elenco.

Sembra quindi che una sensibilità eccessiva agli effetti del vantaggio psicologico legato al sentirsi vincenti non sia una caratteristica di un campione del circuito maschile.

IMMAGINE 3 – L’effetto del sentirsi vincenti specifico per giocatore

Donne

Nel tennis femminile si manifestano effetti di vantaggio psicologico di maggiore portata, come mostrato dall’immagine 4. Inoltre, a differenza di quanto visto per gli uomini, ci sono più giocatrici tra le più forti a essere influenzate dal sentirsi vincenti. Giocatrici come Simona Halep, Serena Williams e Petra Kvitova hanno un effetto superiore a +4 punti percentuali associato al differenziale punti.

Tra le donne, sembra che farsi trasportare dal vantaggio psicologico durante la partita sia più un aspetto positivo che uno sfavorevole.

IMMAGINE 4 – L’effetto del sentirsi vincenti specifico per giocatrice

Riepilogo

Anche dopo aver ponderato per la possibile difformità generata dalla bravura dei giocatori, rimane comunque forte traccia del sentirsi vincenti nel tennis, una disposizione che può trascinare un giocatore quando è avanti nel punteggio ma allo stesso tempo rendere più dura la risalita nel caso opposto, quando cioè un giocatore è indietro nel punteggio. Non solo questo risultato spinge a considerare l’aspetto mentale come un fattore significativo, ma mette a dura prova l’assunto che i punti siano indipendenti e identicamente distribuiti.

Un altro valido spunto di questa analisi è la variazione da giocatore a giocatore degli effetti e delle differenze tra i due circuiti, quello maschile e quello femminile.

In particolare, si è trovato che i migliori giocatori degli ultimi anni sono stati anche quelli meno soggetti agli effetti del sentirsi vincenti, mentre sembra essere accaduto il contrario per le giocatrici migliori.

Il sentirsi vincenti sembra davvero esistere nel tennis, oltre a candidarsi come miniera d’oro per futuri approfondimenti sugli effetti del vantaggio psicologico nello sport ai massimi livelli.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 21

Una valutazione degli effetti generati dalle situazioni di punteggio

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 6 ottobre 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Una particolare situazione di punteggio che appare sul tabellone può incidere sulla prestazione di un giocatore? Questo articolo analizza come misurare gli effetti delle situazioni di punteggio e identifica alcuni giocatori tra quelli di vertice che più ne sembrano soggetti e altri che invece paiono impassibili.

Qualunque appassionato di tennis si è trovato almeno una volta a pensare che un giocatore abbia avuto il così detto “braccino”, o non sia stato in grado di gestire la tensione del momento. Diverse definizioni di pressione psicologica utilizzate nello sport condividono l’idea di fondo che la prestazione di un giocatore possa essere influenzata dal punteggio.

Un esempio evidente di questo concetto si è verificato nel primo turno del torneo di Pechino 2017 tra Lucas Pouille e Rafael Nadal. Dopo aver vinto il primo set 6-4, Pouille era in corsa per ottenere la sua sesta vittoria in carriera contro un giocatore dei primi 10, portando Nadal al tiebreak del secondo set. Dopo aver sprecato due match point, indietro 6-7 nel punteggio ha servito la seconda in rete, per il suo unico doppio fallo in tutto il set, regalando così il tiebreak a Nadal. È difficile non essere tentati dal pensiero che Pouille abbia subito la pressione imposta dal punteggio.

Qualsiasi momento di una partita è passibile di interpretazioni varie e, per molti, questo è il lato affascinante del tennis. Per giungere a conclusioni su comportamenti sistematici di rottura sotto pressione o di innalzamento del livello di gioco in circostanze di punteggio sfavorevole, serve un’analisi attenta che ne dia dimostrazione numerica.

Come si possono misurare quindi gli effetti generati dalle situazioni di punteggio?

Esistono diversi modi. Alcuni studiosi hanno verificato l’effetto delle palle break, altri hanno considerato come sulla prestazione di un giocatore incida l’importanza del punto. In una relazione per la Sloan Sports Conference 2016, anche io ho analizzato queste e altre specifiche situazioni partita.

Più recentemente, ho cercato di comprendere quali dinamiche di rendimento si possano verificare quando siano state considerate tutte le combinazioni emergenti da un game normale (ad esempio 0-0, 30-0, 30-30, etc). Si può intuire che l’incontro tra gli aspetti psicologici che un giocatore deve affrontare sotto pressione e le variazioni tattiche legate all’alternanza di parità e vantaggi restituisca risultati degni di nota.

Effetto di selezione del punteggio

Se un giocatore affrontasse ciascun punto a prescindere dal suo contesto, si potrebbe semplicemente pensare di confrontare i punti vinti per qualsiasi punteggio considerato (ad esempio 30-30) con la media complessiva di punti vinti. Se dovesse emergere una significativa differenza statistica, saremmo probabilmente di fronte a un effetto dettato dalla situazione di punteggio.

C’è però un’insidia nell’utilizzare questa metodologia su numerose partite, quella cioè rappresentata dal fatto che gli avversari cambiano. Ipotizzare che un giocatore giochi come mediamente faccia in tutte le circostanze di 30-30 è valido solo se quel giocatore gioca esattamente contro quello stesso avversario in situazioni di punteggio di 30-30 con la stessa frequenza con cui ha giocato le altre situazioni di punteggio.

Ma quanto è probabile che sia così? Non è più facile vedere il problema chiedendosi se qualsiasi avversario di Nadal abbia la stessa possibilità di portarlo sul 30-30 quando Nadal è al servizio? Se la risposta è ‘no, ovviamente’, si dovrebbe allora apprezzare l’effetto di selezione dell’avversario introdotto dalla scelta di specifiche circostanze di punteggio.

Quanto può incidere?

Se a questo punto vi steste chiedendo quanto possa incidere l’effetto, date uno sguardo all’immagine 1, che mostra i punti giocati al servizio da Nadal contro molteplici avversari per le partite del circuito maggiore dal 2011 a oggi. I pallini blu rappresentano i punti giocati sullo 0-0, i pallini arancioni i punti giocati sul 40-40 o sulle altre parità.

Non solo si osserva come pochi giocatori giochino contro Nadal lo stesso numero di primi punti del game e di punti sulla parità, ma anche come gli avversari più forti, Novak Djokovic o Stanislas Wawrinka ad esempio, abbiano giocato più punti sulla parità contro Nadal della maggior parte degli altri avversari.

IMMAGINE 1 – Frequenza di primi punti e di situazioni di parità di Nadal

Se quindi confrontiamo semplicemente la media punti vinti da Nadal al servizio su situazione di parità contro la sua media complessiva, la differenza ottenuta dipenderà da un misto di effetto dovuto all’avversario e, probabile, effetto dovuto al punteggio, da cui sarà difficile derivare un senso.

Gestire l’effetto di selezione del punteggio

Per ridurre questo effetto di selezione, possiamo prendere spunto dalle tecniche di campionamento utilizzate nei sondaggi. L’obiettivo di qualunque buon sondaggio è ottenere un campione rappresentativo della popolazione di interesse. Per riuscire nell’intento mantenendo il sondaggio rivolto a un numero di partecipanti facilmente gestibile, chi effettua il sondaggio deve spesso sovra-dimensionare i gruppi più sparuti, così che la struttura demografica del campione non riflette più le proporzioni effettive della popolazione. Si ovvia poi alla problematica ponderando i risultati del sondaggio in modo che il responso di ciascun partecipante ottenga un peso uguale alla sua rappresentazione all’interno della popolazione.

Possiamo usare un’idea simile per assegnare a ogni avversario identica ponderazione per tutte le combinazioni di punteggio di un game. Se prendiamo nuovamente l’esempio della parità, questo vuol dire chiedersi che prestazione avrebbe un giocatore se giocasse lo stesso numero di parità contro gli stessi giocatori con cui ha giocato in passato. Chiamerò questa statistica con il nome di punti vinti ponderati.

Punti vinti ponderati

L’immagine 2 mostra un esempio dei punti vinti al servizio sopra la media da parte di Nadal, effettivi (non ponderati) e ponderati. I punti vinti dall’avversario variano per riga nei riquadri dall’alto verso il basso. I “punti di vantaggio” lungo l’asse delle ascisse sono la differenza nei punti vinti da Nadal rispetto a quelli dell’avversario. Quindi +2 punti di vantaggio quando l’avversario è a zero significa un punteggio di 30-0.

Un aspetto estremamente interessante del grafico è dato dall’intensità nel cambiamento della prestazione di Nadal a +0 punti di vantaggio una volta introdotta la ponderazione. In assenza di ponderazione, sembra che Nadal giochi tendenzialmente sotto la media. Tuttavia, effettuata la ponderazione, sembra che questa dinamica negativa in situazioni di parità si ribalti completamente per via della variazione nella tipologia di avversari in queste combinazioni di punteggio più equilibrate. Una volta considerato questo aspetto, Nadal sembra essere molto più efficace in situazioni di parità o sulle palle break da salvare.

IMMAGINE 2 – Punti vinti al servizio sopra la media da Nadal

Curiosamente, anche dopo aver ponderato per tipologia di avversario, Nadal sembra giocare sotto la media nelle situazioni di 0-30. Questo potrebbe indicare una particolare forma di ansia per questa circostanza o uno svantaggio a essere indietro nel punteggio e servire sul lato delle parità, o una combinazione di questi due elementi.

Una classifica legata agli effetti delle situazioni di punteggio

Il precedente esempio evidenzia che i giocatori con le maggiori deviazioni dalle loro medie ponderate per avversario sono più soggetti all’effetto avversario. Ho calcolato i valori assoluti delle deviazioni di alcuni tra i più forti giocatori per vedere cosa rivelasse la classifica.

L’immagine 3 mostra che nel campione storico di partite considerato, sono Nadal e Robin Haase a emergere come i due giocatori più soggetti al punteggio. Giocatori come Roger Federer e Gilles Simon si trovano invece dal lato opposto dello spettro e mostrano un cambiamento relativamente minore nella prestazione in funzione delle situazioni di punteggio. Nel mezzo si trova un folto gruppo di giocatori che subiscono gli effetti delle situazioni di punteggio più o meno in misura simile.

IMMAGINE 3 – Classifica degli effetti delle situazioni di punteggio

Quello che è più interessante è verificare nello specifico dettaglio le dinamiche degli effetti delle situazioni di punteggio per i singoli giocatori, utilizzando una personale versione della rappresentazione ad albero Game Tree. Nell’immagine 4, mi sono concentrata su due dei giocatori con i più alti valori di effetti delle situazioni di punteggio. Haase, in arancione, dimostra di essere più efficace quando è avanti di un punto o ha gli stessi punti dell’avversario. Trovandosi invece molto indietro o molto avanti, il suo rendimento tende a calare.

IMMAGINE 4 – Effetti delle situazioni di punteggio sulla prestazione di Haase e Nishikori

Kei Nishikori si comporta in modo simile, mostrando però minore variazione rispetto a Haase quanto il suo avversario si trova a 30, a prescindere dalla distanza nel punteggio.

Non necessariamente un segno di debolezza

Analizzando gli effetti delle situazioni di punteggio attraverso queste tabelle è sempre importante ricordare che, da un lato, altri fattori oltre a quelli psicologici possono determinare differenze comportamentali (come ad esempio tattiche specifiche su situazioni di parità o di vantaggi, o di fronte a palle break). Dall’altro – valida la precedente considerazione – deviazioni dalla media non sono necessariamente un segno di debolezza. Ridurre il ritmo in determinate situazioni di punteggio, aumentarlo in altre o utilizzare tattiche che possono variare all’interno dello stesso game sono tutti aspetti in grado di produrre esiti di rendimento diversi in funzione del punteggio e rappresentare comunque un vantaggio ai fini del risultato finale.

Anche nell’impossibilità di far risalire questi effetti a una causa specifica, grazie al metodo di ponderazione illustrato, possiamo almeno avere maggiore fiducia sul fatto che gli effetti eventualmente osservati siano reali.

Il codice e i dati dell’analisi sono disponibili qui.

Assessing Scoreboard Effects

Servire per primi nei set maratona

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’1 agosto 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Quando Jo Wilfried Tsonga ha finalmente battuto Milos Raonic nel secondo turno del torneo olimpico di Londra 2012 con il punteggio di 6-3 3-6 25-23, lo ha fatto con un break che ha concluso la partita. La saggezza popolare tennistica suggerisce che accade spesso così. Chiunque serva per primo in un set molto lungo sembra avere un vantaggio. C’è meno pressione a tenere il servizio sul 7-7 (o sul 47-47) rispetto a doverlo fare sul 7-8.

Tsonga ha vinto sfruttando una palla break che ha chiuso la partita; John Isner ha vinto il suo set del 70-68 strappando il servizio a Nicolas Mahut; e quando Roger Federer e Andy Roddick sono andati sul 14-14 nella finale di Wimbledon 2009, Federer ha tenuto il servizio portandosi sul 15-14 per poi fare il break e vincere la partita. Siamo di fronte a una tendenza?

Vantaggio ridotto o nullo

Sembra proprio però che queste tre illustri partite traggano in inganno. Sulla base dei dati disponibili, seppur limitati, il giocatore che serve per primo nelle maratone al quinto set ha un vantaggio ridotto o addirittura nullo (le maratone al terzo set sono un evento così raro da poter essere tranquillamente ignorate: le Olimpiadi sono l’unico torneo in cui il format è al meglio dei tre set senza tiebreak nel set decisivo).

Non sappiamo chi abbia servito per primo in ogni maratona al quinto set della storia del tennis, ma è un’informazione a cui possiamo risalire per alcune partite. Nelle poche statistiche che l’ATP possiede per la maggior parte delle partite fino al 1991 è indicato il numero di game al servizio. Quando è un numero identico per entrambi i giocatori, siamo bloccati al punto di partenza. Quando un giocatore ha più game al servizio del suo avversario, deve aver servito nel primo game della partita e nell’ultimo. Considerando che i set maratona devono contenere un numero pari di game, possiamo sapere chi ha servito per primo nell’ultimo set.

Partite terminate almeno 8-6 al quinto set

Otteniamo così un insieme di 138 partite nelle quali il quinto set è terminato con il punteggio di almeno 8-6 e delle quali conosciamo i giocatori che hanno servito per primi nell’ultimo set. Di questi, il giocatore che ha servito per primo sullo 0-0 e poi sull’1-1, 6-6 e così via, ha vinto la partita 67 volte (il 48.6%): in termini di probabilità siamo in presenza del classico lancio della moneta.

Se escludiamo il fattore pressione, è un risultato che ha perfettamente senso. Se due giocatori sono arrivati sul 6-6 al quinto set, significa che stanno giocando su un identico livello qualitativo. Solo nel momento in cui consideriamo la pressione associata a servire per rimanere nella partita, iniziamo a sospettare che uno dei due, ma non l’altro, non sarà prima o poi in grado di tenere il proprio servizio.

I quinti set che si sono conclusi per 7-5..

Possiamo ricercare situazioni simili su un insieme più grande di partite. Consideriamo quelle al quinto set che si sono concluse per 7-5. Non possiedono lo stesso prestigio delle partite andate avanti ad oltranza, ma, pur nel loro “piccolo”, sono altrettanto epiche. Sappiamo chi ha servito per primo in 86 di queste partite delle quali il primo a servire ne ha vinte solo 38 (il 44.2%). Non rappresenta esattamente prova che il giocatore che serve per primo abbia uno svantaggio, ma fa dubitare della saggezza popolare.

..e i terzi set

Se vogliamo avere almeno 200 partite, dobbiamo allargare la definizione di “epico”. In questo caso i tiebreak non rilevano, visto che stiamo analizzando circostanze in cui un giocatore ha subito il break sotto pressione. Possiamo però usare le partite al meglio dei tre set terminate 7-5 nel set decisivo.

Con molte più partite di questo tipo, il nostro insieme è ora decisamente più grande: conosciamo infatti chi ha servito per primo in 753 partite del circuito maggiore che sono terminate 7-5 al terzo. Di queste, il giocatore che ha servito per primo ha ottenuto un record di 412 vittorie e 341 sconfitte, vincendo cioè circa il 55% delle volte.

Se si desidera prova del fatto che la saggezza convenzionale abbia ragione, eccola trovata. Se una partita raggiunge il 5-5 nel set decisivo e termina poi con un break, esiste una probabilità cumulata del 53% che vinca il primo giocatore al servizio.

Ma con un insieme di dati ridotto, è impossibile arrivare alla stessa conclusione relativamente alle partite al meglio dei cinque set nel momento in cui entrano nell’appena noto territorio che si estende dal 6-6 in avanti.

Serving First in Marathon Sets

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 16 (sul sentirsi vincenti e prendere più rischi)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 25 giugno 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 15.

In attesa dell’edizione 2016 di Wimbledon, in cui due settimane di condizioni meteorologiche generalmente poco collaborative fanno da sfondo al grande tennis, una delle giocatrici su cui sono puntati i riflettori è Coco Vandeweghe, dopo la sua vittoria al Rosmalen Grass Court Championships a ’s-Hertogenbosch e la semifinale al WTA Aegon Classic di Birmingham.

Può la sua impressionante sequenza di risultati sull’erba continuare anche sul palcoscenico di uno Slam? La prestazione di Vandeweghe nel terzo set della partita contro la numero 3 Agnieszka Radwanska al primo turno di Birmingham ha lasciato il segno. Dal secondo punto del quarto game, Vandeweghe ha vinto sette punti di fila per arrivare a tre opportunità di break che poi ha sfruttato, collezionando altri due break prima di chiudere il set 6-3.

Sentirsi vincente

Il predominio di Vandeweghe nel terzo set è un classico esempio di una giocatrice che sembra “sentirsi vincente”. Questo è il termine (winning mood in inglese, n.d.t.) che Klaassen e Magnus preferiscono per indicare quella che altrove viene definita la “mano calda”. In entrambi i casi, ci si riferisce alla situazione in cui un giocatore ha prestazioni migliori quando si trova in una striscia vincente di punteggio.

Con il Mito 16 di Analyzing Wimbledon, Klaassen e Magnus cercano di verificare l’esistenza di una correlazione tra il sentirsi vincenti e la predisposizione al rischio da parte di un giocatore al servizio.

Mito 16: “Quando si sentono vincenti, i giocatori rischiano di più”

I due autori hanno analizzato la predisposizione al rischio da parte di un giocatore al servizio quando si sente vincente mettendo in relazione la frequenza di prime di servizio e poi di doppi falli dopo che il giocatore ha vinto il punto precedente. In entrambe le analisi, sono giunti alla conclusione che, dopo aver ottenuto il punto precedente, è più probabile una maggiore predisposizione al rischio (meno prime in campo).

Si tratta di un risultato interessante ma, se si vuole davvero comprendere l’effetto del sentirsi vincenti sulla prestazione, bisogna considerare l’andamento di tutta la partita, e non semplicemente del punto precedente. Una fotografia più completa di un giocatore in “modalità sentirsi vincente” è data dal suo differenziale punti del set.

Differenziale punti del set

In qualsiasi momento di un set, il differenziale punti del set è la differenza tra i punti vinti da un giocatore e i punti vinti dal suo avversario. Ho inserito la locuzione modalità sentirsi vincente tra virgolette perché un differenziale molto positivo non significa che il giocatore abbia dovuto vincere quei punti in successione, uno dopo l’altro. Tuttavia, vista la natura gerarchica dei punti nel tennis e l’implicito vantaggio del giocatore al servizio, ritengo che quello dei punti vinti consecutivamente sia un metro di valutazione troppo stringente e che invece il differenziale punti rappresenti un’indicazione più fedele del sentirsi vincente da parte di un giocatore.

Una rivisitazione del Mito 16

L’immagine 1 mostra come un differenziale punti positivo e negativo influisca sulle probabilità di vincere un punto del giocatore al servizio (nella versione originale, è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

I dati si riferiscono a tutte le partite del circuito maschile nei tornei Slam tra il 2011 e il 2015. L’asse delle coordinate riporta l’effetto in termini di variazione nella media della percentuale di punti vinti al servizio. Lo zero (in rosso) equivale all’assenza di variazione.

Uomini

Il grafico mostra come gli effetti di un’attitudine positiva e di una negativa siano più o meno lineari. Vale a dire, all’aumentare del differenziale punti del giocatore al servizio, corrisponde un aumento nella prestazione sui punti futuri. Tuttavia, accade esattamente il contrario quando si è dietro nel punteggio. La grandezza dell’effetto implica un aumento (diminuzione) di un punto percentuale per ogni guadagno (perdita) di 4 punti nel differenziale punti.

IMMAGINE 1 – Punti vinti contro il differenziale punti nel circuito maschile

L’immagine 1 si concentra sul ruolo del sentirsi vincenti sull’opportunità complessiva di vincere un punto. Il Mito 16 però riguarda la predisposizione al rischio sul servizio in presenza di un’attitudine positiva. Per affrontare la questione, analizziamo la relazione tra il differenziale punti e la frequenza di ace.

L’immagine 2 rivela dei risultati simili a quanto trovato per i parametri precedenti. La frequenza negli ace aumenta quando un giocatore è davanti nel differenziale punti (1 punto percentuale ogni 5 punti guadagnati nel differenziale).

Una delle differenze con quanto trovato nel caso dei punti vinti arriva dal fatto che gli ace sembrano subire l’incidenza di un differenziale punti negativo in misura minore, anche se potrebbe dipendere in parte dai giocatori al servizio che hanno un marcato incremento nella stretta prossimità del limite basso di zero.

IMMAGINE 2 – Frequenza degli ace contro il differenziale punti nel circuito maschile

Doppi falli

Come mostrato dall’immagine 3, analizzando i doppi falli non c’è traccia di un effetto generato dal sentirsi vincenti. I giocatori al servizio sembrano avventurarsi in prime più potenti quando conducono nel punteggio e in prime più conservative quando devono inseguire, ma potrebbero mantenere una strategia prefissata sulla predisposizione al rischio con la seconda, a prescindere dal punteggio.

IMMAGINE 3 – Doppi falli contro il differenziale punti nel circuito maschile

Donne

Le immagini 4, 5 e 6 mostrano i corrispondenti effetti del sentirsi vincenti per il circuito femminile sulla base dello stesso periodo di riferimento e degli stessi tornei Slam.

IMMAGINE 4 – Punti vinti contro il differenziale punti nel circuito femminile

Le relazioni sono identiche a quelle che operano in campo maschile.

IMMAGINE 5 – Frequenza degli ace contro il differenziale punti nel circuito femminile

Il differenziale punti è positivamente correlato con la percentuale di punti vinti al servizio e con la frequenza degli ace, ma non è correlata alla frequenza dei doppi falli.

IMMAGINE 6 – Doppi falli contro il differenziale punti nel circuito femminile

Riepilogo

Il differenziale punti è una statistica poco citata nel tennis, ed è un peccato perché sembra essere un indicatore importante di quei momenti in cui un giocatore potrebbe trovarsi ad avere la mano calda o a dover giocare contro un avversario dalla mano calda.

Tutte le analisi sul differenziale punti confermano la conclusione di Klaassen e Magnus, cioè che i giocatori, quando si sentono vincenti, prendono più rischi con la prima di servizio. La causa che genera questo effetto è ancora dibattuta.

Il numero degli ace aumenta perché il giocatore al servizio, fiducioso dall’essere avanti nel punteggio, azzarda delle prime a tutto braccio? O è il giocatore alla risposta indietro nel punteggio a sentirsi meno propenso a ribattere le prime più difficili da prendere? Wimbledon può offrire molte partite per provare a trovare risposte a queste domande.

Sicuramente, presterò particolare attenzione alle scelte sulla prima dei giocatori che si apprestano a servire dopo aver ottenuto il break (un guadagno nel differenziale punti), in modo da vedere se il sentirsi vincenti fa la sua apparizione.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 16

Gli effetti (e, forse, anche il vantaggio psicologico) di uno scambio lungo

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 10 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Uno dei punti più spettacolari del quarto di finale tra Simona Halep e Victoria Azarenka agli US Open 2015 (vinto da Halep con il punteggio di 6-3 4-6 6-4, n.d.t.) è stato uno scambio da 25 colpi all’inizio del terzo set, concluso da Azarenka con un dritto vincente. Si è trattato dello scambio più lungo della partita, che l’ha portata al punto del game per tenere il servizio in apertura di set.

Anche quel punto, come spesso accade per gli scambi molto lunghi, sembrava poter rappresentare una svolta nel vantaggio psicologico sulla partita. Invece, Halep ha rimesso il punteggio in parità con uno scambio da 10 colpi al punto successivo. Se un qualsiasi indizio di vantaggio psicologico fosse stato associato all’esito di questi due punti, era scomparso con la stessa velocità con cui si era manifestato. Sono serviti infatti poi altri otto punti prima che Azarenka chiudesse finalmente il game a proprio favore.

L’1% dei punti lunghi

Uno scambio lungo fornisce effettivamente delle indicazioni? Possiede cioè valore predittivo per il punto successivo, o anche per l’intero game? O diventa solo un punto da circoletto rosso che passa in second’ordine nel momento in cui lo scambio è terminato e si riprende a giocare?

Per trovare una risposta, ho consultato gli scambi punto per punto delle circa 1100 partite presenti al momento nel database del Match Charting Project, identificando l’1% dei punti più lunghi – vale a dire 17 o più colpi per le donne, 18 o più colpi per gli uomini – e analizzando cosa succede successivamente, sia in termini di affaticamento che di vantaggio psicologico.

Il punto successivo

Esiste un chiaro effetto causato da uno scambio lungo: il punto successivo, in media, sarà più corto. Lo scambio da 10 colpi della partita tra Halep e Azarenka si è rivelato un’eccezione: in media, nel circuito femminile il punto successivo a uno scambio lungo è di 4.45 colpi, mentre la media complessiva è di 4.85 (in funzione della giocatrice al servizio e se si tratta della prima o seconda di servizio). Per gli uomini la media è 4.03 colpi nel punto successivo, rispetto a una media complessiva di 4.64.

Nel caso delle donne, l’affaticamento diventa un fattore per la giocatrice al servizio. A seguito di uno scambio lungo, le donne mettono la prima di servizio solo il 61.3% delle volte, rispetto a una media del 64.6%. Negli uomini il fattore fatica non si manifesta allo stesso modo: le analoghe percentuali sono 62.3% e 62.2%.

Effetto fatica immediato per le giocatrici

E, per le donne, c’è anche maggiore evidenza di un effetto fatica immediato. Le giocatrici che vincono questi scambi lunghi sono lievemente più forti delle avversarie, vincendo, in media, il 50.7% dei punti. Subito dopo uno scambio lungo però, le stesse giocatrici vincono solo il 49% dei punti. Non ho chiari i motivi. Forse la giocatrice che ha vinto uno scambio lungo ha dovuto profondere più sforzo dell’avversaria, magari mettendo tutte le sue rimanenti energie in un vincente a rimbalzo, o terminando il punto con un paio di colpi atletici a rete.

A ogni modo, non esiste un effetto analogo nel circuito maschili. Dopo aver vinto uno scambio lungo, i giocatori vincono il 51.1% dei punti successivi, rispetto a un 50.8% atteso. O esiste un vantaggio psicologico, seppur molto ridotto, oppure, più probabilmente, è solo un’imprecisione statistica.

Più doppi falli e più per le giocatrici

Giocatori e giocatrici servono più doppi falli a seguito di uno scambio lungo, anche se l’effetto è molto più marcato per le donne. Subito dopo uno scambio lungo infatti, le donne servono un doppio fallo il 4.7% delle volte, rispetto a una media del 3.3%. Gli uomini invece servono un doppio fallo il 4.5% delle volte rispetto a una frequenza attesa del 4.2%.

Vantaggio psicologico duraturo

Al di là di un lieve effetto sulle modalità del punto successivo, uno scambio lungo è in grado di influenzare l’esito di un game? L’evidenza è a favore di una risposta negativa.

Per ogni scambio lungo, ho verificato se il vincitore del punto è poi riuscito a vincere anche il game, come è stato per Azarenka contro Halep. Inoltre, ho messo insieme il punteggio successivo allo scambio lungo con la frequenza media di punti vinti al servizio dal giocatore in questione per calcolare le probabilità che, a partire dal quel punteggio, colui che avesse vinto il punto finisse per vincere anche il game. Sempre in riferimento alla partita citata, le probabilità di Azarenka di chiudere il game sul vantaggio interno, quindi in una situazione di punteggio AD-40, erano del 77.6%.

No effetti significativi

Per entrambi i circuiti, non ho riscontrato effetti significativi. Le giocatrici che vincono scambi lunghi hanno poi vinto il 66.2% di quei game, di fronte a una percentuale attesa del 65.7%. I giocatori hanno vinto il 64.4% di quei game, rispetto a una frequenza attesa del 64.1%.

In presenza di un campione molto più dettagliato, questi risultati potrebbero segnalare un vantaggio psicologico, seppur molto ridotto. Ma su poco meno di 1000 scambi lunghi per ciascun circuito, le differenze rappresentano solo pochi game che sono stati vinti dal giocatore o giocatrice che ha vinto lo scambio lungo.

Per il momento, dobbiamo concludere che le conseguenze di uno scambio lungo hanno una durata molto ridotta: a malapena un punto per le donne e forse nemmeno quello per gli uomini. Sono punti che sembrano avere più effetto sugli appassionati che non sui giocatori stessi.

The Effects (and Maybe Even Momentum) of a Long Rally

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 2 (sul servire per primi)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 24 febbraio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 1.

Il secondo mito affrontato da Franc Klaassen e Jan Magnus nel loro classico della letteratura statistica sul tennis Analyzing Wimbledon è quello del servire per primi in una partita. 

Mito 2: “Esiste un vantaggio derivante dal servire per primi in un set?”

Il lancio della moneta prima dell’inizio di una partita è un rituale a cui molti prestano poca attenzione. Ma se qualche circostanza è rimasta impressa nella memoria è molto probabile che si sia visto il giocatore che ha vinto il sorteggio scegliere di servire.

Nella maggior parte dei casi, i giocatori preferiscono servire per primi perché la convinzione generale è che servire per primi dia un vantaggio. Perché esiste questa convinzione?

Ci sono diverse spiegazioni, tutte di natura psicologica. Alcuni sostengono che quando si è freschi a inizio partita tenere il servizio sia, ancora di più, una certezza, altri che giocare su una situazione di punteggio pulito aumenta l’efficacia al servizio. Una volta poi che un giocatore è avanti nei game (con qualsiasi successione di punteggio), la sua confidenza di chiudere il set aumenta. E così discorrendo. 

Esiste prova che i giocatori traggano vantaggio dal servire per primi in un set?

Le conclusioni di Klaassen e Magnus

I due giganti delle analisi statistiche di tennis hanno valutato il Mito 2 (il loro preferito) con dati relativi al torneo di Wimbledon, trovando che è più probabile che un giocatore vinca il primo set se inizia a servire per primo, mentre è più probabile che perda gli altri set se inizia a servire per primo. Davvero?

La spiegazione a questo paradosso sta nel fatto che servire per primi a inizio partita è un evento casuale determinato dal lancio della moneta, mentre servire per primi negli altri set è direttamente legato al giocatore che ha vinto il set precedente e al modo in cui è stato vinto. Dopo il primo set, il giocatore che ha perso il set precedente servirà per primo se il vincitore del set lo ha chiuso al servizio (che è il modo solito con cui un giocatore vince il set). Questo rende servire per primi negli altri set che non siano il primo altamente correlato con la bravura del giocatore al servizio.

Il vantaggio scompare tenendo conto della qualità del giocatore

Quando si tiene conto della qualità del giocatore, Klaassen e Magnus mostrano che il vantaggio di servire per primi scompare, un risultato confermato da un’analisi di IBM.

Resta però il primo set, nel quale servire per primi non è correlato con la bravura del giocatore. In questo caso, Klaassen e Magnus affermano che servire per primi offre un leggero vantaggio. Il motivo? Hanno trovato che i giocatori vincono punti con maggiore efficacia nel primo game, in misura del 3 o 4%.

Sono rimasta perplessa nel notare l’assenza della frase di Klaassen e Magnus “Ma quando abbiamo guardato a..” che spesso appare come formula di chiarimento di fronte a risultati che generano perplessità. Per questo ho ripetuto l’analisi per vedere se fosse veramente così: nel caso lo fosse, quale potrebbe essere la causa?

Rivisitare il Mito 2 rispetto al tennis moderno

Utilizzando 2000 partite ATP e altrettante partite WTA arbitrariamente selezionale negli ultimi cinque anni, ho confrontato la probabilità di vincere un punto nel primo game per il giocatore al servizio con la stessa probabilità in tutti gli altri game. Rispetto all’incremento del 3 o 4% di punti vinti al servizio nel primo game segnalato da Klaassen e Magnus, nella mia analisi non ho trovato un vantaggio significativo per il giocatore al servizio nel primo game, in nessuno dei due circuiti. 

Per cercare di capire la differenza di risultato, ho creato un grafico dei punti medi vinti al servizio in funzione del numero di game giocati. L’immagine 1 mostra l’andamento per le partite ATP, l’immagine 2 per le partite WTA (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

Uomini

Emergono alcune interessanti tendenze. Le percentuali di vittoria diventano molto più incostanti quando la partita raggiunge le sue fasi finali e la dimensione del campione si riduce. Ancora più interessante, si notano alcuni massimi nei game in cui il giocatore serve con le palline nuove, cioè dopo i primi 7 game di gioco e poi ogni 9 game (game 1, game 8, game 17, ecc.). Complessivamente, servire con le palline nuove si traduce in un aumento dell’1% in media nei punti vinti al servizio.   

IMMAGINE 1 – Vantaggio sui punti al servizio in funzione del numero di game giocati, ATP

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Donne

Sul circuito femminile, l’effetto è più pronunciato. Complessivamente, le palline nuove comportano un aumento dell’1.5% nei punti vinti al servizio.

IMMAGINE 2 – Vantaggio sui punti al servizio in funzione del numero di game giocati, WTA

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È possibile che l’effetto nel primo game osservato da Klaassen e Magnus con i dati del torneo di Wimbledon nelle edizioni degli anni ’90, che in questa analisi non si presenta, sia da attribuire all’utilizzo di palline nuove sulla superficie molto veloce di quel periodo.

Sfruttare il vantaggio delle palline nuove?

Se davvero esiste un vantaggio nel servire con le palline nuove, ci si chiede quali scelte possa fare un giocatore per capitalizzarlo. Servire con le palline nuove nell’ottavo game (che segue il primo cambio di palline dall’inizio della partita) potrebbe avere maggiore rilevanza strategica che farlo nel primo game, perché è una situazione che si presenta a partita avanzata. Tuttavia, visto che un giocatore ha meno potere decisionale sul servire nell’ottavo game piuttosto che nel primo, scegliere di servire nel primo game e sperare di fare un break prima dell’ottavo game è sicuramente la modalità più conservativa.

I risultati di questa nuova analisi suggeriscono che un giocatore debba attendersi un vantaggio molto modesto scegliendo di servire per primo, che non deriva da un elemento psicologico, ma dal fatto che le palline nuove abbiano un rimbalzo migliore, rendendo il servizio più efficace.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 2

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 1 (sull’indipendenza dei punti)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 14 febbraio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

I libri di statistiche sul tennis sono talmente rari che si nota immediatamente quando ne appare uno.

Klaassen, Magnus, Wimbledon

Tra le più recenti di queste misteriose creature vi è Analyzing Wimbledon di Franc Klaassen e Jan Magnus. Pur ricoprendo primari incarichi in dipartimenti di studi economici, Klaassen e Magnus hanno scritto alcune delle più erudite analisi matematiche sul tennis. Analyzing Wimbledon è una raccolta dei risultati prodotti dalla loro lunga collaborazione, riassunta in un elenco di 22 miti legati al tennis. Lo stile è molto più leggero di un testo accademico (per quanto, nella sua essenza, sempre abbastanza tecnico) ed è una lettura obbligata per qualsiasi appassionato di tennis mosso da curiosità investigativa.

Come suggerisce il titolo, Analyzing Wimbledon utilizza dati relativi solo al più prestigioso dei tornei dello Slam e in larga parte dei primi anni novanta. Credo che sia una scelta dettata dalla convenienza, o forse i due autori hanno un debole per il gioco sull’erba (e potrebbero dover ringraziare il connazionale Richard Krajicek per questo). Quale la ragione, ci si chiede in che modo i risultati ottenuti con i dati di Wimbledon negli anni ’90 possano essere applicati all’attuale era del gioco da fondo sviluppato principalmente su campi in cemento e in terra.

L’obiettivo è quello di dedicare a ognuno dei 22 miti di Klaassen e Magnus uno (o più) articoli che ne rivisitino il contenuto e provare a vedere, nel caso i dati pubblicamente disponibili lo consentano, se i risultati degli anni ’90 possano andare bene anche per il gioco di oggi. Iniziamo con il Mito 1.

Mito 1: “Vincere un punto al servizio è un processo di tipo iid”

Il primo mito è probabilmente uno dei più impegnativi da affrontare, ma anche quello che ha senso analizzare da subito perché ha ripercussioni su molti dei successivi. La sigla “iid” fa parte del gergo statistico ed è l’abbreviazione di indipendente e identicamente distribuito. In riferimento a vincere un punto al servizio, dire che il risultato del punto è “iid” significa effettivamente affermare che ogni servizio è come il lancio di una moneta con probabilità associate a un certo giocatore o a una specifica partita. Perché un lancio di moneta? L’ipotesi è che il risultato di un punto non influenzi quello di un altro e la probabilità di vincerlo o di perderlo resti sempre la medesima.

Se il mito 1 è vero, vorrebbe dire che i giocatori giocano ogni punto praticamente allo stesso modo. Quindi non ci sarebbe un vantaggio psicologico (violazione dell’indipendenza) o il subire la pressione (violazione della probabilità di vittoria costante). In altre parole, per giocare in modalità iid un giocatore dovrebbe mostrare un livello assoluto di imperturbabilità che anche Bjorn Borg avrebbe trovato difficile da raggiungere.

Tre modi di violazione della veridicità del mito

Credo che molti appassionati di tennis sospettino che il Mito 1 sia sbagliato. Ci sono tre modi per i quali potrebbe esserlo: i punti potrebbero essere dipendenti, i punti potrebbero essere distribuiti differentemente, o entrambe le caratteristiche. Cosa hanno concluso quindi Klaassen e Magnus e come lo hanno fatto? Per testare l’indipendenza dei punti, i due autori hanno verificato se vincere il punto precedente influenzasse le probabilità di vincere il successivo. Utilizzando una regressione con i dati delle edizioni di Wimbledon degli anni ’90, hanno trovato che la vittoria del punto precedente era associata a un aumento della probabilità che il giocatore al servizio vincesse il punto successivo. E questo è il primo colpo inferto al modello iid.

Per testare la distribuzione costante dei punti, Klaassen e Magnus hanno fatto un simile test di associazione, questa volta utilizzando i punti più importanti (secondo la misurazione dell’importanza di un punto formulata da Carl Morris). Nuovamente, hanno trovato che i giocatori subivano i punti più importanti giocando con minore efficacia all’aumentare della pressione. Questo risultato ci porta a concludere che la modalità di gioco iid probabilmente non è stata una rappresentazione veritiera del tennis giocato in passato. Strike numero 2!

Le deviazioni da iid però sono sufficientemente significative?

Klaassen e Magnus pensano che non lo siano perché in passato, quando hanno ipotizzato che i giocatori o le giocatrici giocassero secondo la modalità iid, il modello iid ha restituito una buona approssimazione della frequenza di vincita di un punto al servizio.

Questo sembra sorprendente, considerando quanto spesso si parli di aspetto mentale nel tennis. Se il modello iid è un’ottima approssimazione della realtà, esso suggerirebbe che l’aspetto mentale non è un fattore così rilevante ai fini del risultato di una partita. Le conclusioni di Klaassen e Magnus possono essere corrette? E si applicano al tennis moderno?

Rivisitare il Mito 1 rispetto al tennis moderno

Non è difficile affrontare il Mito 1. Con un campione sufficientemente grande di punti e un numero di situazioni tennistiche altrettanto ampio (ad esempio tiebreak, punti sul 30-30, primi punti di un game, etc.) è sempre possibile trovare circostanze di una partita nelle quali la probabilità di vincita sul servizio subisce un cambiamento statisticamente significativo. Più importante e interessante però diventa la rilevanza pratica di questo cambiamento, che ci dice se qualsiasi differenza riscontrata sia in effetti sufficientemente importante da suggerire un possibile diverso risultato per un game, un set o per la partita, rispetto a ipotizzare di base che l’andamento seguirà il modello iid.

Per una semplice analisi dei due aspetti del Mito 1 (indipendenza da un lato e identica distribuzione dall’altro) si può considerare:

  • come i giocatori moderni siano influenzati dal risultato del punto precedente
  • come i giocatori gestiscano la pressione sui punti più importanti.

L’immagine 1 mostra l’influenza che il risultato del punto precedente ha avuto sui giocatori nei tornei Slam 2015, per 150.000 punti giocati (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). Si nota come per i giocatori ATP e per le giocatrici WTA esista evidenza di un leggero vantaggio psicologico derivante dall’aver vinto il punto precedente: un po’ di mano calda, se così si può dire.

Le differenze per uomini e donne

In entrambi i circuiti, questa spinta equivale a una differenza di 1 punto percentuale, quindi la probabilità di vincere il punto al servizio dopo aver vinto il punto precedente è l’1% maggiore che se il punto precedente fosse stato perso. Nel tennis moderno, i punti non sembrano comportarsi indipendentemente.

IMMAGINE 1 – Influenza del risultato del punto precedente nei tornei Slam 2015

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Per il test successivo, quello dei punti più importanti, utilizziamo le palle break per definire gli scenari in cui la pressione è maggiore. L’immagine 2 mostra come i giocatori siano meno efficaci nel momento in cui devono fronteggiare una palla break rispetto ad altri punti. La differenza osservata è stata del 2.5% per i giocatori ATP e dell’1% per le giocatrici WTA. Queste suggerisce che, nel tennis moderno, i punti non sono nemmeno identicamente distribuiti.

IMMAGINE 2 – Gestione della pressione sui punti più importanti nei tornei Slam 2015

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Rimane aperto l’interrogativo sulla significatività di queste differenze.

Quanto è rilevante lo scostamento di uno o due punti percentuali nella capacita di vincere al servizio?

Nel caso di un singolo punto, probabilmente poco o nulla, ma quando si considerano tutti i punti che vengono giocati in una partita, la deviazione cumulativa potrebbe diventare rilevante. Se si è davvero interessati a comprendere le differenze che influenzano il risultato finale di una partita, un valido campo d’indagine è l’analisi del differenziale nelle prestazioni al servizio tra vincitori e sconfitti delle partite degli Slam.

L’immagine 3 mostra questo confronto ed evidenzia come la separazione tra le due categorie sia stata in media di 10 punti percentuali per entrambi i circuiti. Questo assegna alle deviazioni iid considerate (ma in nessun modo esaustive) circa il 20% dell’importanza della differenza che determina il vincitore e lo sconfitto in una partita: non una differenza imponente, ma neanche una su cui soprassedere.

IMMAGINE 3 – Differenza nei punti vinti tra vincitore e sconfitto di una partita

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Questa è una semplice rivisitazione del Mito 1 del libro di Klaassen e Magnus. Non ho tenuto conto di altri effetti dinamici o di come il cambiamento nella difficoltà dei colpi potrebbe spiegare alcune delle variazioni osservate nelle prestazioni al servizio.

Almeno a un primo sguardo, sembra che le deviazioni dal modello iid potrebbero essere più significative per il tennis attuale che per quello di vent’anni fa. Ma questo non toglie certamente validità al modello stesso.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 1