I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 12 (sulla competitività del tennis maschile rispetto a quello femminile)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 21 maggio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 11.

Molti sostengono che il tennis maschile sia più competitivo di quello femminile. È ancora valida questa assunzione di fronte all’alternanza di risultati tra le donne nella prima metà della stagione 2016? Soprattutto, qual è il punto di partenza per stabilire cosa voglia dire per un circuito professionistico essere “competitivo”? Questo è l’esatto interrogativo al centro del Mito 12 dei 22 miti del tennis di Klaassen e Magnus.

Mito 12: “Il tennis maschile è più competitivo di quello femminile”

Nel loro classico Analyzing Wimbledon, i due autori affrontano l’eterna questione della competitività relativa del circuito maschile e di quello femminile, concludendo che il tennis maschile è più competitivo per due ordini di motivi. Il primo fa riferimento alla frequenza con cui le prime 16 teste di serie nei tornei dello Slam raggiungono il turno atteso (cioè gli ottavi di finale). In altre parole, è un criterio che si lega essenzialmente alle sconfitte a sorpresa negli Slam, per il quale, secondo la logica, maggiori sono le sconfitte a sorpresa, più alto è il livello competitivo dei partecipanti.

Analizzando la frequenza delle sconfitte a sorpresa per le prime 16 teste di serie nel periodo tra il 1990 e il 2012, Klaassen e Magnus hanno trovato che nella maggior parte degli anni un numero più alto tra le 16 teste di serie femminili è arrivato agli ottavi di finale, un risultato che depone a favore di una più alta competitività in campo maschile. Tuttavia, se si osservano gli ultimi cinque anni come mostra l’immagine 1, si nota come il rapporto si è invertito. In questo periodo infatti circa il 60% delle prime 16 teste di serie maschili ha raggiunto gli ottavi di finale, mentre l’equivalente valore tra le donne è stato vicino al 50%.

IMMAGINE 1 – Prime 16 teste di serie nei tornei Slam a raggiungere il turno atteso

Modalità di confronto strana

Si potrebbe dire quindi che la conclusione di Klaassen e Magnus era corretta ma che per l’attuale generazione di giocatori le dinamiche sono cambiate. È anche vero che utilizzare le sconfitte a sorpresa delle prime 16 teste di serie per stabilire la competitività di un circuito è una modalità alquanto strana.

Le teste di serie sono un modello rappresentativo imperfetto della bravura di un giocatore o una giocatrice, e mettere a confronto sconfitte a sorpresa tra uomini e donne è inadeguato vista l’importante differenza di format della partita, al meglio dei cinque set per gli uomini e al meglio dei tre per le donne. Ho mostrato, come altri autori, che il numero di set da giocare per vincere una partita ha un ruolo primario e rende discutibile fare confronti tra generi considerando solo gli Slam.

Come prova è sufficiente utilizzare la stessa analisi per i tornei appena inferiori agli Slam per importanza (i Master 1000 per gli uomini e i Premier per le donne), nei quali il format è al meglio dei tre set. L’immagine 2 mostra che la differenza tra i due circuiti è molto inferiore e che la “competitività” si è alternata nel tempo apparentemente in modo del tutto casuale.

IMMAGINE 2 – Prime 16 teste di serie nei tornei Master / Premier a raggiungere il turno atteso

Una misura più accurata della bravura di un giocatore

La competitività è un tema di previsioni: se il livello di giocatori di un circuito è alto, prevedere il risultato di una partita dovrebbe essere molto più difficile. Quindi, maggiore il numero di partite di cui è incerto prevedere l’esito, maggiore la competitività del circuito.

Per fare previsioni accurate, è necessario conoscere l’attuale livello di bravura di ciascun giocatore e come la bravura si raffronti a quella altrui. Né le teste di serie né la classifica forniscono indicazioni valide al riguardo. Qualsiasi ragionamento sulla competitività di un circuito che si basi sulla classifica dei giocatori è fallato in partenza, perché ipotizza che la classifica sia “buona abbastanza” per valutare la bravura di un giocatore.

Il secondo motivo di Klaassen e Magnus a sostegno della maggiore competitività del circuito maschile è viziato da questo errore, perché i due autori utilizzano la combinazione data dalla differenza di classifica con la probabilità di vincere un punto al servizio per stabilire quale dei due circuiti abbia il livello più alto di bravura. Sono convinta che il sistema Elo sia uno strumento molto più affidabile per misurare la bravura di un giocatore.

Dato che la differenza nella valutazione Elo tra due giocatori esprime il probabile esito di una partita, tracciare la grandezza relativa delle valutazioni Elo nel tempo fornisce un quadro del livello di competitività di un circuito. Maggiore la compattezza tra le valutazioni Elo nei giocatori di vertice, più alto il livello di competitività, perché ogni partita sarà estremamente equilibrata. Maggiore invece la distanza tra valutazioni Elo, più alta la prevedibilità del circuito.

La competitività è in realtà un concetto dinamico

Uno sguardo a diversi decenni di valutazioni Elo per i 30 giocatori che hanno ottenuto la valutazione più alta in ogni anno considerato fornisce delle interessanti dinamiche per entrambi i circuiti. Prima degli anni 2000, il circuito maschile era fortemente denso di qualità, specialmente nel periodo di transizione tra l’era di Andre Agassi e Pete Sampras e quella dei Fantastici Quattro (Roger Federer, Novak Djokovic, Rafael Nadal, Andy Murray). Durante lo stesso periodo, il circuito femminile era invece caratterizzato da una maggiore debolezza tra le giocatrici di rincalzo, con quelle di vertice in grado di distanziarsene in modo evidente. Nell’ultima decade però il circuito femminile è arrivato, in termini di distanza tra valutazioni Elo, ad assomigliare a quello maschile. E da quanto visto negli ultimi anni, sembra che entrambi i circuiti siano ugualmente competitivi tra giocatori e giocatrici di vertice.

IMMAGINE 3 – Tendenze dei primi 30 giocatori e giocatrici secondo il sistema Elo nei rispettivi circuiti

Il messaggio chiave di questa rivisitazione del Mito 12 arriva dal rendersi conto che la competitività di un circuito è un concetto molto dinamico. Rileggendo il capitolo scritto da Klaassen e Magnus, si ha la percezione che per i due autori la competitività sia una connotazione intrinseca e prefissata di un circuito. In realtà, la domanda non è quale dei due circuiti sia il più competitivo, ma quali caratteristiche possiede al momento la competitività di un circuito.

Competitività contro Regolarità

C’è un’ironia di fondo in questa discussione tra competitività del circuito maschile e femminile: se la competitività è una questione di imprevedibilità di un circuito, allora dovrebbe essere l’opposto della regolarità, perché maggiore la regolarità di risultati dei giocatori di vertice, più facile è fare previsioni sull’esito di una partita.

Nonostante questo, tutto l’ambiente tennistico (e a quanto pare anche Klaassen e Magnus sono purtroppo caduti in questa trappola) sembra intenzionato a far credere che il circuito maschile non solo sia più competitivo di quello femminile, ma sia anche il circuito con maggiore regolarità. Come è possibile che abbia il meglio dei due mondi? O durante le telecronache delle partite deve essere fatta chiarezza sulla terminologia o i commentatori stessi devono riconoscere che, a questo riguardo, stanno mancando di rispetto nei confronti del tennis femminile.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 12

Tempo di reazione – Australian Open Series

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 19 novembre 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il quarto articolo dell’Australian Open Series.

Nel precedente approfondimento di questa serie, ho introdotto il concetto di pressione alla risposta e ne ho ipotizzato il calcolo considerando la quantità di tempo che il giocatore alla risposta concede al giocatore al servizio per colpire il suo secondo colpo.

Ci si aspetta che i giocatori in grado di esercitare più pressione con la risposta al servizio aggrediscano più velocemente la pallina e imprimano più forza al loro colpo, con i piedi all’interno del campo.

Qui, voglio portare l’attenzione su una parte di quel meccanismo, l’aggressione sulla pallina, analizzando i tempi di reazione alla risposta al servizio.

In questa analisi, il tempo di reazione rappresenta i secondi attesi necessari al giocatore alla risposta per colpire il servizio dell’avversario, che viaggia a una velocità media, dal momento in cui la pallina supera la rete.

La velocità media del servizio è la stessa per ciascun giocatore/giocatrice di entrambi i circuiti, quindi i tempi di reazione sono tutti calcolati rispetto al medesimo standard, attraverso il metodo della regressione ridge.

Non sarebbe infatti corretto affermare che il giocatore alla risposta ha tempi di reazione lunghi solo perché ha dovuto rispondere a un numero maggiore di servizi lenti rispetto ad altri giocatori. Questo metodo cerca appunto di evitarlo.

Uomini

Il grafico dell’immagine 1 mostra il tempo di reazione dei giocatori, dal più breve al più lungo, basato sui dati raccolti agli Australian Open dal 2014 al 2016 (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

Sono stati considerati solo i giocatori con 150 o più risposte al servizio nel periodo di riferimento, in modo da assicurare una misurazione sufficientemente precisa per ciascun giocatore.

La dimensione delle bolle riflette il numero di risposte al servizio del giocatore disponibili nel campione, e a dimensione maggiore corrisponde una stima con un livello di confidenza più alto.

In cima alla classifica troviamo l’australiano Nick Kyrgios con un tempo di reazione atteso di 0.61 secondi, subito davanti a Roger Federer con 0.62 secondi, a supporto di tutti coloro che sostengono che Federer è in grado di leggere il servizio più velocemente della maggior parte dei giocatori. Anche molti dei partecipanti alle Finali di stagione 2016 hanno un tempo di reazione breve: Gael Monfils e Novak Djokovic sono nella parte alta con 0.64 secondi.

Andy Murray, che ha sconfitto Stanislas Wawrinka a Londra, lo batte anche nel tempo di reazione, con 0.64 secondi, in media, rispetto agli 0.65 secondi di Wawrinka. Con i suoi 0.70 secondi in media, Milos Raonic è da considerarsi invece in qualche modo un’eccezione rispetto ai giocatori di vertice.

IMMAGINE 1 – Tempi di reazione per il tennis maschile, Australian Open 2014-16

Donne

Nel tennis femminile, troviamo dei tempi di reazione superiori agli 0.70 secondi per più giocatrici di vertice, aspetto che si può attribuire a servizi generalmente più lenti. Tuttavia, alcune giocatrici hanno tempi di reazione così brevi da essere competitivi rispetto a quelli maschili. In cima alla classifica troviamo Venus Williams, con un tempo di reazione lampo di 0.67 secondi. Serena Williams non è tanto più indietro, con 0.69 secondi, appena sotto a giocatrici come Ana Ivanovic, Eugenie Bouchard e Garbine Muguruza.

Nella zona dei tempi di reazione più lunghi troviamo giocatrici dallo stile più difensivo come Caroline Wozniaki, con un tempo di 0.76 secondi, e Sara Errani, con 0.8 secondi. Sono rimasta sorpresa nel vedere in questo gruppo anche Madison Keys e Simona Halep, con 0.78 secondi o sopra nel tempo di reazione, perché il loro gioco mi sembra più aggressivo alla risposta di quanto questi numeri indichino.

Una possibile spiegazione sta nel fatto che, sebbene alcune giocatrici con tempi più lunghi colpiscano la pallina con maggiore violenza, perdono più tempo in quanto sono posizionate lontano dalla riga di fondo. Sono necessari però ulteriori approfondimenti per vedere se questa è una valida conclusione.

IMMAGINE 2 – Tempi di reazione per il tennis femminile, Australian Open 2014-16

AO Leaderboard— Reaction Time