E se fossimo nel 1988?

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato l’11 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Questo articolo riprende l’eccellente analisi di Jeff Sackmann sul blog HeavyTopspin riguardo all’età media dei primi 50 giocatori negli ultimi 35 anni e all’emergere della Next Gen. Ho pensato che fosse divertente provare a considerare i primi 50 della classifica attuale e vedere come apparirebbero ricostruendoli in modo che abbiano all’incirca la stesso profilo di età dei primi 50 a fine stagione nel 1988.

Iniziamo evidenziando alcune statistiche descrittive di base per la classifica dei primi 50 a fine stagione 1988 e quella attuale.

Non c’è nulla in comune se non l’età del giocatore più vecchio (Jimmy Connors era il numero 7 nel 1988). Per chi non ne avesse familiarità, la deviazione standard è una misura della variabilità di età tra i primi 50: numeri più alti significano una maggiore variabilità. Ha senso quindi osservare che i primi 50 del 2018 siano più variabili, vista la presenza di molti più giocatori sopra i 30 anni insieme a i numerosi giovanissimi e poco più che ventenni.

È chiaro che serve una pesante manomissione per fare in modo che il profilo dei primi 50 di adesso somigli a quello del 1988. Ci sono probabilmente decine di modi, forse è anche possibile creare un algoritmo che li valuti uno per uno, ma trovandoci nel fantastico mondo del divertimento contro la scienza (e non sono sufficientemente abile da creare quell’algoritmo), ho utilizzato due metodi.

La prima revisione

Per la prima revisione, voglio che ci siano almeno tre giocatori di trent’anni o più come nel 1988. Per evitare che i primi 10 fossero troppo vecchi, sono partito eliminando tutti i giocatori con età superiore a 29 anni, tranne uno: siccome Connors nel 1988 era tre deviazioni standard dalla media e si trovava nei primi 10, devo tenere almeno un giocatore “molto vecchio”. E così rimane Roger Federer.

Gli altri due giocatori di almeno 30 anni nel 1988 erano Kevin Curren alla posizione 23 e Johan Kriek alla 39, cioè due sudafricani. Sono di fatto costretto a considerare Kevin Anderson come uno dei giocatori di almeno 30 anni, non trovate (una decisione più razionale sarebbe stata quella di tagliare Anderson a favore di Adrian Mannarino, che ha la stessa età ma una classifica più vicina a quella che aveva Curren nel 1988)?

Per il terzo giocatore con più di 30 anni, ho deciso di tenere il più giovane trentenne tra i primi 30 – così da avvicinarsi alla classifica di Kriek con il numero 39 – vale a dire Sam Querrey. In questa prima revisione, tutti gli altri giocatori sopra i 30 anni scompaiono.

L’ultimo dell’elenco è Yuki Bhambri, al momento il numero 99 del mondo. Riprendiamo la tabella comparativa iniziale, aggiungendo la prima revisione.

Sembra abbastanza valida! C’è però un aspetto che non si evince ma che proprio mi infastidisce. Lo si può vedere nella tabella che segue, dove ho suddiviso la media per ciascun insieme di dieci giocatori (cioè primi 10, 11-20, etc) per il 1988 e per la prima revisione.

L’elemento di disturbo è che i primi 10 nel 1988 erano decisamente più giovani della mia prima revisione, mentre è vero l’opposto per l’insieme 31-40. In entrambi i casi sono quasi due anni di differenza.

La seconda revisione

In cerca di una spiegazione, ho provato a fare una seconda revisione avvicinando l’età media per ogni insieme di dieci. Prima ho eliminato i giocatori più vecchi di ciascun insieme e, in caso di più di un giocatore con la stessa età, ho rimosso prima quelli con la classifica più bassa. La tabella mostra la seconda revisione, cui segue la stessa tabella vista in precedenza a cui però ho aggiunto la seconda revisione.

Sono spariti tutti i veterani più forti, ma le medie per insieme si allineano molto meglio rispetto alla prima revisione, con la media complessiva quasi identica a quella della prima revisione. Questo elenco inoltre non si addentra nella classifica dei primi 100 come accade per la prima revisione (Jaume Munar era 47esimo nella prima revisione e la sua classifica al momento è al numero 90).

Problema risolto, giusto? Non credo. Quello che non appare è che, con la seconda revisione, le deviazioni standard per insieme non si aggiustano bene, quindi la combinazione di giocatori per ogni insieme non è paragonabile al 1988 come lo era per la prima revisione. Inoltre, gli insiemi da dieci sono solo una suddivisione arbitraria, e questo si riflette in alcune delle scelte, anche loro arbitrarie, che ho dovuto fare. Ad esempio, Marin Cilic è entrato nei primi 10 a 29 anni e Mannarino nell’insieme 11-20 a 30 anni, ma ho dovuto tagliare Pierre-Hugues Herbert dagli ultimi dieci così da avere la media in linea, nonostante abbia solo 27 anni. Infine, non ci sono casi estremi nella seconda divisione nel modo in cui si presentavano nel 1988 (Connors) e nella mia prima revisione (Federer).

Conclusioni

Personalmente preferisco la prima revisione alla seconda. Se ignoriamo la decisione di inserire Anderson perché due degli almeno trentenni nel 1988 erano sudafricani e se facciamo salire ogni giocatore di una posizione mettendo Mannarino al numero 18, si riduce di un po’ la distanza dalla media dei primi 10 nella prima revisione, senza che vi siano conseguenze sui numeri complessivi. È probabile che sia il miglior compromesso tra i due metodi adottati.

In chiusura di ragionamento, ripropongo la tabella originale, con il 1988, la classifica attuale e la mia prima e seconda revisione.

What if this were 1988?

Chi è il Giovanissimo Più Forte Di Sempre?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 18 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dopo che al Canada Masters 2018 Stefanos Tsitsipas è diventato il più giovane giocatore a battere quattro tra i primi 10 in un solo torneo, in molti si sono chiesti quale fossero i risultati più incredibili dei giovanissimi nella storia del tennis. In questo articolo i migliori candidati per il titolo di “Giovanissimo Più Forte Di Sempre” vengono messi a confronto tra diverse epoche.

Manca poco all’inizio degli US Open 2018 e, se le prestazioni viste durante i tornei sul cemento nordamericano verranno replicate anche a Flushing Meadows, dovremmo aspettarci un grande bottino per le giovani stelle del circuito maschile.

Nelle ultime settimane, il ventenne fenomeno greco Tsitsipas è diventato il decimo giocatore più giovane a raggiungere la prima finale in Canada di un torneo Masters. A soli 21 anni, Alexander Zverev ha già vinto a Washington il nono titolo del circuito maggiore. E ci sono state 18 partite del tabellone principale tra giocatori sotto i 23 anni.

Il Giovanissimo Più Forte Di Sempre

La recente ascesa dei giovani non è una mera illusione. Sul blog HeavyTopspin, Jeff Sackmann ha evidenziato come la carica dei giovanissimi abbia determinato una diminuzione nella curva di età dei giocatori di vertice. Sembra quindi il momento giusto per chiedersi chi è il Giovanissimo Più Forte Di Sempre nel tennis.

Un modo per provare ad assegnare un numero al rendimento migliore in assoluto di un giocatore è attraverso la massima valutazione Elo (su qualsiasi superficie) raggiunta da giovanissimo.

L’immagine 1 riepiloga i primi 10 sulla base di questo parametro ed è Rafael Nadal al primo posto, con una valutazione Elo massima su tutte le superfici di 2500, ottenuta dopo aver sconfitto Roger Federer nella finale del Roland Garros 2006.

Al secondo posto troviamo Boris Becker, a poca distanza da Nadal con una valutazione massima Elo di 2424, raggiunta nella finale del Masters 1986, qualche mese dopo aver vinto Wimbledon contro Ivan Lendl.

Novak Djokovic, allenato in passato da Becker, è al terzo posto, con una valutazione massima Elo da giovanissimo di 2387 nel 2007, anno nel quale ha raggiunto tre finali Masters e collezionato quattro vittorie contro i primi 10.

IMMAGINE 1 – Graduatoria dei Giovanissimi Più Forti Di Sempre sulla base delle valutazioni Elo

È interessante notare come l’altro membro dei Fantastici Quattro a comparire tra i primi 10 non sia Federer ma Andy Murray, dettaglio che rende Federer una sorta di ritardatario rispetto agli altri tre pluridecorati, anche se ha certamente poi recuperato a una partenza poco esplosiva.

Next Gen

Tra i giocatori del momento, solo Zverev è riuscito a figurare nei primi 10 Giovanissimi Più Forti di Sempre, garantendosi un settimo posto grazie alla valutazione massima Elo di 2315, dopo la vittoria del torneo di Montpellier nel 2017.

Per avere un termine di paragone della prestazione di Zverev, altri quattro giocatori della così detta Next Gen sono riportati in elenco, a distanza da Zverev di un intervallo tra i 70 punti Elo e i 270.

L’andamento di carriera dei Giovanissimi Più Forti Di Sempre

Un’analisi del percorso effettivo dei primi 10 Giovanissimi Più Forti Di Sempre mostra un andamento verticale nei primi anni di carriera da professionisti: da un iniziale valutazione Elo di 1500, tutti hanno superato i 2200 prima dei ventuno anni. È anche curioso vedere il vuoto nel fenomeno dei giovanissimi tra il 1974 e il 1979 e ancora tra il 2004 e il 2014. La metà degli anni 2000 sembra essere stata un periodo insolitamente ostico per i giovani sul circuito maschile.

IMMAGINE 2 – Andamento di carriera dei Giovanissimi Più Forti Di Sempre

Negli ultimi due anni però la situazione è cambiata drasticamente. Prendendo una manciata di giocatori che sono entrati tra i primi 100 da giovanissimi, si notano accelerazioni nelle valutazioni Elo simili a quelle dei migliori giovanissimi del passato. Tre dei cinque giocatori rappresentati nell’immagine 3 – Zverev, Alex De Minaur e Denis Shapovalov – hanno già ottenuto valutazioni di almeno 2220.

Conclusioni

Capire quanto potranno migliorare questa dinamica renderà gli US Open 2018 particolarmente eccitanti (in realtà, nessuno di loro è riuscito ad arrivare alla seconda settimana di gioco: Titsipas ha perso al secondo turno, Zverev al terzo, Francis Tiafoe al secondo contro De Minaur, che è stato poi sconfitto da Marin Cilic in cinque set al terzo, così come Shapovalov contro Kevin Anderson, n.d.t.).

IMMAGINE 3 – Andamento di carriera di alcuni dei giovanissimi più forti del momento

Who Is the Teen GOAT of Men’s Tennis?

Forse, finalmente, la Next Gen è arrivata

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’11 agosto 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Alexander Zverev vince tornei Masters. Stefanos Tsitsipas batte giocatori tra i primi 10. Denis Shapovalov, Frances Tiafoe e anche Alex De Minaur rendono la vita complicata ai veterani del circuito maschile.

Per la maggior parte degli ultimi dieci anni, il tennis maschile è stato dominato da discussioni sul fenomeno dell’invecchiamento al vertice. Ancora oggi, metà delle posizioni tra i primi 10 del mondo è appannaggio di giocatori che hanno superato i trent’anni.

Ondate dopo ondate di eccitanti promesse non sono riuscite a farsi strada e prendere il controllo, dovendo ripiegare su un’estenuante ascesa alla cima. Juan Martin Del Potro, a suo tempo indicato come l’uomo che avrebbe spodestato i Fantastici Quattro, raggiungerà solo lunedì 13 agosto 2018 la migliore posizione in classifica della carriera, al terzo posto…sei settimane prima di compiere 30 anni.

L’età media è in diminuzione

Sembra però che, finalmente, il tennis maschile stia ringiovanendo. Adolescenti come Shapovalov, Tiafoe, De Minaur emergono in concomitanza dell’uscita di scena di alcuni dei veterani più consolidati: i trentaseienni David Ferrer e Julien Benneteau hanno annunciato il ritiro a fine anno, cedendo nel frattempo in classifica come anche Feliciano Lopez e Ivo Karlovic.

Di conseguenza, l’età media dei primi 50 è in diminuzione, una tendenza che non si verificava da moltissimo tempo. Il grafico mostra l’età media dei primi 50 al termine di ogni stagione dal 1983, oltre all’età media – il valore all’estrema destra della curva – degli attuali primi 50.

IMMAGINE 1 – Età media dei primi 50 al termine della stagione, dal 1983

Alla fine del 2017, l’età media era di 29.0 anni, scendendo da quel momento ai 27.75 anni attuali. Si tratta della più grande variazione (crescente o decrescente) in un singolo anno degli ultimi 35 anni. Verso la fine degli anni ’90 e l’inizio della decade successiva, ci sono stati molti anni “decrescenti”, ma nessuno di questi è mai arrivato a raggiungere nemmeno la metà della portata del calo attuale.

Rimane comunque un divario enorme tra la situazione attuale e il tempo in cui il tennis maschile era giovane. Se allarghiamo l’analisi ai primi 100, la variazione del 2018 è meno drammatica: considerando Ferrer, Benneteau, Lopez e altri giocatori tra la 51esima e la 100esima posizione, la media si attesta sui 28.1 anni, inferiore di circa solo sette mesi al corrispettivo numero alla fine della scorsa stagione. Seppur debole, anche questa evidenza di movimento giovanile punta nella stessa direzione: 28.1 è la più giovane età dei primi 100 dal 2012.

Salvo cambiamenti radicali nelle regole o nell’attrezzatura, è poco probabile che si possa tornare al tipo di gioco dei primi anni ’90 di cui i giovani erano padroni. Ma dopo dieci anni passati ad attendere, guardare e fare ipotesi, si osservano incrinature nella generazione più forte che il tennis maschile abbia espresso. E, finalmente, un gruppo di giovani giocatori è pronto a trarne vantaggio.

Maybe, Finally, The Next Generation is Here

Sul possibile motivo per il quale l’età dei giocatori è in crescita

di Matt Whitaker // Medium

Pubblicato il 16 settembre 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nella finale di singolare maschile degli US Open 2017, Rafael Nadal, 31 anni, ha battuto Kevin Anderson, anche lui trentunenne. Nel 2017, tre delle quattro finali Slam hanno avuto in campo due giocatori di età superiore ai trent’anni (nel 2018, dei sei finalisti Slam solo Marin Cilic – comunque 29enne – e Dominic Thiem non avevano superato quella soglia, n.d.t.).

È inutile girarci intorno: i giocatori stanno invecchiando – o per essere più precisi – l’età media dei giocatori al vertice dello sport è in aumento, ormai da un po’ di tempo.

Numerosi articoli e blog sono intervenuti sul tema, tra questi l’Economist che ha calcolato che l’età media dei primi 100 giocatori è passata da 24.6 anni nel 1990 a 28.6 nel 2017. Nello stesso periodo, l’età media tra le donne è cresciuta da 22.8 a 25.9.

La rappresentazione grafica della quantità di giocatori tra i primi 100 con età superiore ai trent’anni, come mostrata nell’immagine 1, rende visivamente la drammaticità del cambiamento [1].

IMMAGINE 1 – Percentuale dei giocatori di almeno trent’anni tra i primi 100

La proporzione di giocatori nei primi 100 che hanno più di trent’anni è balzata dal 6% nel 1990 al 40% nel 2017.

Se si tratta di una dinamica ben conosciuta, pochi però sono i tentativi di trovarne giustificazione. L’articolo dell’Economist accenna in modo vago a “miglioramenti nella medicina dello sport e nella tecnologia dei materiali, specialmente delle racchette”. L’evoluzione continua di queste tecnologie non è sicuramente sufficiente a spiegare un cambiamento così radicale. Ci sono quindi altri fattori o non è stato detto tutto sulla tematica?

Non tutti i giocatori stanno invecchiando

Ampliamo la prospettiva e diamo uno sguardo all’età media per i primi 1000 [2], a confronto con quella dei primi 100.

IMMAGINE 2 – Età media dei primi 100 giocatori rispetto all’età media dei primi 1000 giocatori

Il risultato è impressionante. Di fronte a un’età media dei primi 100 cresciuta considerevolmente negli ultimi trent’anni, l’età media dei primi 1000 giocatori si è mossa a malapena, oscillando tra i 23 e i 24 anni. La tendenza all’invecchiamento sembra quindi riguardare solo i giocatori più forti in classifica.

La disparità tra i due gruppi risulta ancora più marcata aggiungendo l’età media solo dei primi 10 giocatori.

IMMAGINE 3 – Età media dei giocatori nei primi 10, 100 e 1000 della classifica

Si assiste a dinamiche sorprendentemente analoghe anche in campo femminile, con una minima variazione nell’età media delle prime 1000, un aumento stabile nell’età media delle prime 100 negli ultimi trent’anni e un ripido incremento nell’età media delle prime 10 negli ultimi dieci anni.

IMMAGINE 4 – Età media delle giocatrici nelle prime 10, 100 e 1000 della classifica

Non è la tecnologia o il dominio di pochi

Siamo quindi pronti a sbarazzarci della teoria che miglioramenti nella tecnologia delle racchette o delle corde sia alla base di quanto osservato. Non esiste una racchetta magica che Nadal o Serena Williams possono usare che non sia anche a disposizione del o della numero 300 del mondo.

Allo stesso modo, si può escludere un’altra teoria, quella per cui siamo testimoni di una generazione d’oro di un manipolo di giocatori eccezionali che hanno dominato il tennis e sono ora a fine carriera, spostando in modo sostanziale l’età media verso l’alto.

I Fantastici Quattro possono aver alterato le dinamiche tra gli uomini, ma l’andamento generale è chiaro e continuo in entrambi i circuiti e, con l’eccezione di Williams, il tennis femminile dell’ultima decade è stato caratterizzato dall’estrema varietà, invece che dal predominio di alcune specifiche giocatrici.

Serve trovare un’altra spiegazione. Perché negli ultimi dieci anni i massimi livelli dello sport sono stati sempre più oggetto di giocatori più vecchi, mentre l’età media nelle fasce inferiori di classifica è rimasta stabile?

Ho una teoria.

Soldi

O, per essere ancora una volta più specifici, la disparità di ricchezza. Nei dieci o venti anni passati, l’ammontare di denaro elargito al vertice, sia in termini di montepremi che di sponsorizzazioni, è cresciuto su scala logaritmica.

A Wimbledon, il montepremi complessivo è aumentato da 1.5 milioni di sterline del 1984 a 31.6 milioni di sterline del 2017 (valori al 2017). Nel solo 2016, Roger Federer ha ricevuto 60 milioni di dollari dagli sponsor, arrivando al quarto posto tra gli atleti più pagati al mondo.

L’esplosione economica per i giocatori di vertice non ha però comportato sostanziali benefici a favore chi si muove nelle retrovie. In un articolo di un paio di anni fa su FiveThirtyEight si faceva notare che i montepremi dei tornei del circuito Challenger erano in diminuzione anno su anno, stimando inoltre che solo i primi 336 e le prime 253 del mondo riuscivano a guadagnarsi da vivere giocando a tennis.

Viaggiare con l’allenatore al seguito – un dettaglio che lo spettatore casuale può pensare sia d’obbligo per i professionisti – è in realtà un lusso esclusivo dei primi 100. In un articolo apparso su Forbes relativo alla disparità di ricchezza nel tennis, il 92esimo giocatore della classifica racconta che per sbarcare il lunario serve fare affidamento su alloggi a basso costo e su un approccio da zaino in spalla.

Professionalizzazione

Federer invece è accompagnato da due allenatori, un fisioterapista, un preparatore atletico e da personale di supporto che include una tata e delle insegnanti per i suoi bambini. Novak Djokovic dorme in camere iperbariche, Andy Murray segue una dieta su misura elaborata da un nutrizionista personale comprensiva di 50 pezzi di sushi al giorno.

Sono aspetti afferenti la professionalizzazione del tennis avvenuta negli ultimi trent’anni. Agli inizi degli anni ’80, John McEnroe dominava pur non avendo un allenatore, e solo verso la fine della carriera ha accettato, seppur con riluttanza, che la sua probabilità di vittoria avrebbe potuto aumentare grazie a un allenamento fisico mirato. E a quei tempi il suo titolo a Wimbledon 1984 valeva “solo” 100 mila sterline (circa 265 mila sterline oggi).

Con la crescita dei montepremi, si è alzato anche il livello di gioco, e la ricerca di un vantaggio competitivo è diventata ancora più estensiva, con ogni guadagno marginale più difficile, e più costoso, del precedente.

La mia idea è che una combinazione nel tennis di iper-professionalizzazione e distribuzione di ricchezza incredibilmente a senso unico ha portato a circostanze di disparità consolidata, che ha manifestazione concreta nelle dinamiche di invecchiamento dei giocatori più forti.

Invecchiamento, guadagni e classifica

Nel grafico che segue, la crescita del montepremi complessivo a Wimbledon dal 1984 è messa a confronto con l’età media dei primi 10 (i premi partita formano di fatto una piccola parte dei guadagni dei giocatori, ma li considero una valida approssimazione).

IMMAGINE 5 – Età media dei primi 10 giocatori in rapporto al montepremi complessivo a Wimbledon

Il crescente predominio dei giocatori più vecchi è in stretta correlazione con l’aumento dei montepremi in palio per i giocatori ai massimi vertici.

Guardiamo ora i dati relativi al numero di nuovi giocatori e giocatrici che entrano nei primi 100 per la prima volta anno per anno.

IMMAGINE 6 – Giocatori che entrano tra i primi 100 per la prima volta

IMMAGINE 7 – Giocatrici che entrano tra le prime 100 per la prima volta

In entrambi i circuiti si nota una chiara tendenza ribassista, che mostra esserci meno movimento in ingresso e uscita dai primi 100.

La frase “i giocatori di vertice stanno invecchiando” non risolve quindi la tematica in modo esaustivo. Sarebbe infatti più preciso affermare che una volta che i giocatori hanno raggiunto il vertice, aumenta la probabilità che vi rimangano e rimangano più a lungo. O, senza mezzi termini, sembra che i giocatori che riescono ad arrivare al vertice facciano poi terra bruciata intorno a sé.

Velocità di fuga

I dati inducono a ritenere che vi sia nel tennis una barriera – o una serie di barriere – all’ingresso di natura economica. Quando un giocatore inizia a guadagnare oltre un certo ammontare, raggiunge una sorta di velocità di fuga che gli permette di proiettarsi nell’aria rarefatta della vetta, lasciandosi alle spalle la massa degli altri giocatori.

Una volta arrivato in alto, può consolidare la posizione pagando profumatamente per quella serie di servizi che i giocatori di bassa classifica sognano di avere – come allenatori a tempo pieno, preparatori atletici, nutrizionisti, assistenza medica personale, biglietti di prima classe, hotel a sei stelle, e così via – prolungando la permanenza al vertice per molto più tempo di quanto accadesse prima della iper-professionalizzazione del gioco e dell’esplosione dei montepremi per le élite.

Ovviamente non si tratta solo di benessere materiale immediatamente fruibile. La disponibilità incide anche sugli aspetti psicologici – quanto diventa più complicato servire per chiudere una partita sapendo che la tua sussistenza dipende anche da quella specifica vittoria? – e sul modo di affrontare una competizione.

Federer può permettersi di smettere di giocare per sei mesi per garantire completa guarigione al ginocchio operato, avendo come sola preoccupazione l’impatto sul numero di titoli collezionati a fine carriera.

Se però i premi partita sono la fonte di sostentamento per rimanere nel circuito, è molto più probabile che un giocatore ignorerà il fastidio al ginocchio, si esporrà a un infortunio cronico e terminerà la carriera prematuramente.

Ha importanza? Può essere fatto qualcosa al riguardo?

Se l’idea è quella di desiderare una competizione equilibrata e vedere un qualsiasi sport giocato da tutti ai massimi livelli, allora la situazione descritta è fonte di preoccupazione. La conseguenza inevitabile è quella per cui potrebbero esserci giocatori fuori dai primi 100 con talento e potenziale simile a quello dei primi 10, ma che non avranno mai l’opportunità di arrivare a scalare la classifica a causa della modalità con cui i montepremi sono distribuiti.

È difficile pensare a una cura immediata, e l’interesse a trovarne una è tenue, se non altro perché la malattia non manifesta sintomi evidenti. Sul circuito maschile si è assistito a un decennio di qualità assoluta del gioco e di intense rivalità tra grandi di sempre. Gli introiti dalla vendita dei biglietti e dai diritti televisivi si sono rafforzati di torneo in torneo. Il movimento tennistico mostra uno stato di salute invidiabile e il costo associato al mancato sviluppo di potenziale talento appare sommerso.

Fortunatamente però, la problematica non sembra essere passata inosservata ai dirigenti dell’ATP, che l’anno scorso hanno avviato un’indagine della durata di 24 mesi sulla distribuzione dei montepremi.

Uno degli elementi guida potrebbe essere l’incertezza sull’evoluzione del circuito maschile dopo il ritiro dei Fantastici Quattro, anche se la speranza è che sia semplicemente un fattore scaturente che costringe a un profondo ripensamento degli aspetti economici e finanziari del tennis professionistico, affiancato da proposte innovative che permettano al talento una realizzazione completa.

Note:

[1] I dati utilizzati per quest’analisi arrivano dal database di Jeff Sackmann, a cui va un ringraziamento enorme per il prezioso lavoro di raccolta di statistiche e le brillanti analisi pubblicate su TennisAbstract.

[2] Non sempre si tratta di dati completi. Per alcuni giocatori non è disponibile la data di nascita, e per il periodo all’inizio degli anni ’80 la classifica non va oltre il numero 300 o 400 invece delle 1000 posizioni normalmente previste. In ogni caso, non ci sono ricadute significative su nessuno dei grafici o delle conclusioni raggiunte.

Why are tennis players getting older?

Un nuovo livello di efficienza per Nadal

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 25 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nel suo primo torneo sulla terra battuta del 2018, Rafael Nadal ha creato le condizioni per una delle stagioni più efficienti su questa superficie.

Dopo più di dieci settimane lontano dal ritmo serrato del calendario, vincendo per l’undicesima volta il Monte Carlo Masters Nadal è certamente rientrato con il botto.

I risultati ottenuti nelle cinque partite a Monte Carlo hanno demolito qualsiasi perplessità si fosse nutrita nei confronti dello stato di forma di Nadal all’avvio del torneo. Non ha mai perso un set, nemmeno contro Dominic Thiem, l’unico ad averlo battuto sulla terra rossa nel 2017.

Dal trionfo al Roland Garros 2017, Nadal è ora in striscia vincente di 31 set sulla terra (37 se si considerano anche le due vittorie in Coppa Davis del 2018). È di per sé una statistica impressionante, ma se analizza il suo predominio nel vincere singoli game, la questione si fa ancora più interessante.

Sulla terra, nei tornei al meglio dei tre set Nadal ha storicamente giocato una media di 9 game per set. Nell’unico giocato sinora, ha abbassato quel valore a 8 game per set, mostrando un livello di efficienza nella partita e nel singolo set mai visto prima.

IMMAGINE 1 – Andamento nei game giocati per set da Nadal nelle partite al meglio dei tre set sulla terra battuta

In termini di minuti effettivi, Nadal è in linea con il ritmo per game mostrato lo scorso anno, impiegando poco più di cinque minuti a completarne uno.

Al minimo storico nel tempo trascorso in campo

Sebbene non sia la sua velocità più alta (raggiunta invece nel 2013 con una media di 4.7 minuti a game), con meno set e game giocati si posiziona sul suo minimo storico per tempo trascorso in campo. A Nadal servono infatti in media 84 minuti a partita, la quantità inferiore dal 2005 (primo anno in cui è entrato nel tabellone principale del Roland Garros).

IMMAGINE 2 – Andamento nei minuti giocati da Nadal nelle partite al meglio dei tre set sulla terra battuta

Questi segnali di nuova efficienza per Nadal sono rilevanti non solo perché è notoriamente uno dei giocatori più lenti sul circuito, ma soprattutto per i possibili benefici in termini di longevità.

Per tre anni consecutivi, infortuni di varia natura hanno tenuto a lungo Nadal lontano dal circuito. Raggiunta quest’anzianità di carriera, la capacità di rimanere competitivo dipende fondamentalmente da quanto è in grado di ridurre il tempo trascorso in campo. E se modificare il gioco da fondo non è contemplato (come indica il numero di minuti per game), può riuscirci solo perdendo meno game possibili.

Per il momento sembra che abbia raggiunto lo scopo, ma quanto potrà andare avanti dipende dai motivi alla base del suo attuale predominio. Ha cambiato in qualche modo strategia di gioco per annientare gli avversari con ancora più ferocia del passato? O, più semplicemente, gli avversari sono meno forti?

Cercare una risposta a queste domande e osservare come l’efficienza di Nadal evolverà nelle settimane a venire potrebbero rendere la stagione 2018 sulla terra davvero intrigante.

In His Return, Nadal is Making Every Minute Count

L’invecchiamento nel circuito maschile non sembra arrestarsi

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 5 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

L’età media dei giocatori che hanno raggiunto gli ottavi di finale agli US Open 2015 (vinti poi da Novak Djokovic, 28 anni, in finale contro Roger Federer, n.d.t.) è stata di 29.3 anni: cinque di quei sedici – Feliciano Lopez (34.0), Jo-Wilfried Tsonga (30.4), Stanislas Wawrinka (30.4), John Isner (30.4) e Federer (34.1) – avevano superato i trent’anni.

Il predominio dei veterani

Come mostra l’immagine 1 (nella versione originale, è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.), il predominio dei giocatori considerati veterani è cresciuto stabilmente dalla metà degli anni ’80. Nel trentennio dal 1984 al 2014, l’età media dei giocatori che hanno raggiunto il terzo turno di uno Slam è aumentata di tre anni, passando da 23.7 a 26.7.

IMMAGINE 1 – Andamento in termini di età dei giocatori che avanzano al terzo turno di uno Slam nel periodo dal 1984 al 2015

Nella finale degli US Open 2005 Federer, a quell’epoca ventiquattrenne, sconfisse Andre Agassi, 35 anni, in 4 set. In un’intervista con la televisione americana ESPN durante gli US Open 2015, ripensando a quella finale Federer ha ricordato di essersi prefisso l’obiettivo di arrivare a giocare allo stesso livello di Agassi una volta raggiunta la metà della sua quarta decade.

Federer ha poi ampiamente superato quel traguardo ma, sul momento, sarebbe risultato piuttosto ambizioso. Negli anni di attività di Agassi, trovare veterani in grado di ambire alla vittoria di uno Slam era un evento raro, come mostra l’immagine 2. Prima del 2000, raggiungevano il secondo turno di uno Slam meno di dieci giocatori di almeno trent’anni. Durante gli anni ’00, quel numero si era avvicinato a venti superando, negli ultimi quattro anni, i venticinque a stagione.

IMMAGINE 2 – Miglior risultato ottenuto da giocatori di almeno trent’anni in uno Slam nel periodo dal 1984 al 2014

L’invecchiamento nel circuito è legato alla trasformazione nel modo di giocare

Con il predominio del tennis da parte dei veterani, è diventato sempre più difficile per i giovanissimi farsi strada verso la conquista di uno Slam. A partire dalla metà degli anni ’90, nella maggior parte delle stagioni ne sono approdati al secondo turno meno di cinque, come mostra l’immagine 3.

Le dinamiche d’invecchiamento del circuito maschile si allineano quasi perfettamente a quanto riscontrato per le donne, con l’età media di giocatori (e giocatrici) che raggiungono le fasi finali di uno Slam cresciuta di tre anni nell’ultimo trentennio.

Il generalizzato invecchiamento nel tennis suggerisce che i cambiamenti verificatisi siano stati dettati da una trasformazione fondamentale nel modo di giocare – vale a dire il declino della tattica servizio e volée a favore della diffusione di un tennis maratona – trasformazione che è iniziata verso la fine degli anni ’90 ed è concisa con l’ascesa dei giocatori veterani.

IMMAGINE 3 – Miglior risultato ottenuto da giocatori non ancora ventenni in uno Slam nel periodo dal 1984 al 2014

Con l’introduzione di nuove tattiche come la risposta iper-aggressiva muovendosi rapidamente all’interno del campo sulla seconda di servizio e la generale volontà di velocizzare gli scambi con maggiori discese a rete, Federer ha cercato di reintrodurre schemi di gioco che richiamano l’era del servizio e volée, ma non ci sono ancora segnali diffusi che questa possa essere una tendenza del tennis prossimo venturo.

An Aging ATP – No End in Sight

La WTA sta invecchiando bene

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 5 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Negli ultimi anni (grazie anche alle vittorie a Wimbledon 2016 e agli Australian Open 2017, che le hanno permesso di superare Steffi Graf nel numero di Slam vinti in singolare, n.d.t.) Serena Williams si è assicurata il titolo di atleta ultratrentenne più decorata.

Serena e le altre trentenni al vertice

Dieci anni fa, in pochi avrebbero creduto che una giocatrice – superata la soglia dei trent’anni – avrebbe raggiunto il suo massimo rendimento. Non ci sono dubbi che i risultati di Williams e il suo ritorno a livelli di vertice in questa fase della carriera siano eccezionali (almeno prima della pausa per la gravidanza, n.d.t.). Quello che forse è meno considerato è che Williams guida un gruppo di giocatrici con trenta o più anni all’apice del loro tennis.

Dal 1984 (il primo anno con dati affidabili sull’età delle giocatrici), l’età media delle giocatrici arrivate al terzo turno (R32) di uno Slam è aumentata da 22.3 a 25.9 anni, cioè di quasi 4 anni, come mostrato dall’immagine 1 (nella versione originale, è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

IMMAGINE 1 – Andamento in termini di età delle giocatrici che avanzano al terzo turno di uno Slam nel periodo dal 1984 al 2015

Si tratta di una dinamica d’invecchiamento profondamente influenzata dal dominio di Williams? Agli US Open 2015, sette giocatrici di almeno trent’anni, tra cui le sorelle Williams e un’ispirata Petra Cetkovska, hanno raggiunto il terzo turno, il numero più alto di accessi a questa fase del torneo negli ultimi 30 anni.

È il segnale di una tendenza più diffusa del dominio negli Slam delle giocatrici che hanno superato i trent’anni. L’immagine 2 mostra i risultati migliori ottenuti da giocatrici di almeno trent’anni tra il 1984 e il 2014. Prima del 2004, raggiungevano il secondo turno non più di 5 giocatrici di almeno trent’anni. Negli ultimi dieci anni, ci si è avvicinati a 10 giocatrici, con una tendenza che sembra essere rialzista.

IMMAGINE 2 – Miglior risultato ottenuto da giocatrici di almeno trent’anni in uno Slam nel periodo dal 1984 al 2014

Un cambiamento generalizzato del gioco

L’invecchiamento per gli uomini si è manifestato con simili modalità. Trovare un nutrito gruppo di giocatori “vecchi” in entrambi i circuiti che sopravvive ad alti livelli dai primi anni 2000 è segnale dell’essere in presenza di un cambiamento generalizzato nella tipologia di tennis giocato.

La diffusione del gioco da fondo ha reso durata e resistenza fattori critici di successo come non era mai accaduto, e una giocatrice raggiunge la maggiore efficacia in queste caratteristiche nell’età compresa tra venticinque e trentacinque anni.

Le giocatrici più giovani, specialmente al di sotto dei vent’anni, stanno subendo gli effetti di un’evoluzione che favorisce le giocatrici più mature. Considerando i risultati migliori raggiunti dalle giovanissime negli Slam degli ultimi 30 anni, come mostrato nell’immagine 3, si osserva una considerevole diminuzione della loro presenza.

Anzi, negli ultimi 5 anni, nessuna giocatrice con meno di vent’anni è andata oltre i quarti di finale di uno Slam (con l’eccezione di Jelena Ostapenko, Sloane Stephens, Eugenie Bouchard e Madison Keys, che hanno raggiunto almeno la semifinale, n.d.t.), e l’ultima vittoria risale al 2006 quando la diciannovenne Maria Sharapova ha vinto gli US Open (impresa poi replicata da Ostapenko, vincitrice al Roland Garros 2017, due giorni dopo aver compiuto vent’anni, n.d.t.).

IMMAGINE 3 – Miglior risultato ottenuto da giocatrici non ancora ventenni in uno Slam nel periodo dal 1984 al 2014

WTA – Aging with Greatness

Le serie conseguenze che subiscono i giocatori più forti di fronte a troppo tennis

di Stephanie Kovalchik // OnTheT (su TheConversation)

Pubblicato il 19 gennaio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

In molti guardavano agli Australian Open 2018 come il torneo dei rientri dagli infortuni. Alcuni giocatori sono effettivamente tornati al tennis proprio nel primo Slam dell’anno, altri non ci sono riusciti, tra cui il cinque volte finalista degli Australian Open Andy Murray, il nome più importante tra gli assenti all’inizio del torneo.

Anziché essere una stagione di rientri, il 2018 sta assumendo le sembianze di una fase di rinvii nel ritorno al tennis giocato e di prolungata agonia al vertice.

Si tratta di una tendenza che evidenzia un problema di fondo nel circuito maschile, non semplicemente imputabile – e in quel modo giustificabile – alla sfortuna che ha colpito qualche giocatore.

Gli US Open 2017 sono stati martoriati da un’epidemia di infortuni per cui si è stabilito il record negativo di giocatori tra i primi 10 in tabellone, tra cui le assenze dell’allora numero 1 Murray e del numero 4 Novak Djokovic.

Gli infortuni nello sport sono governati dalla complessità e non attribuibili a una sola causa. Il recente aumento degli infortuni tra i migliori giocatori però ci costringe a ricercare i fattori che più diffusamente hanno contributo a creare questa situazione.

Infortuni ed età di gioco

A tal proposito, uno sguardo ravvicinato alla quantità di gioco che è ormai diventata prassi tra i giocatori di vertice è rivelatore. Una partita maschile di Slam ha un minimo di 18 game, ma può arrivare anche a 183, come nel caso della maratona a Wimbledon 2010 tra John Isner e Nicolas Mahut.

Concentriamo l’attenzione quindi sull’età di gioco – cioè il numero di game giocati a livello professionistico a una determinata età – come strumento per misurare con più precisione l’età competitiva di un giocatore.

Calcolando l’età di gioco di dieci giocatori attivi negli anni ’70 possiamo vedere come i giocatori di oggi abbiano giocato di più a un’età inferiore rispetto a quanto sia mai stato fatto.

Ai tempi di Bjorn Borg e John McEnroe ad esempio, era abitudine per i giocatori di vertice aver compiuto almeno 25 anni prima di accumulare 10.000 game giocati. Nell’era di Murray e Djokovic, lo stesso traguardo viene raggiunto a 23 anni.

IMMAGINE 1 – Età mediana tra i primi 10 giocatori al raggiungimento dei 10.000 game giocati

Quando si tiene conto anche della superficie, la tendenza si accentua ulteriormente. Il cemento, la superficie che è considerata più dannosa in termini di sollecitazioni sul corpo, rappresenta il 60% dei tornei più importanti della stagione maschile, e la disparità di game accumulati sui campi in cemento tra generazioni di giocatori è ancora più grande di tutte le altre superfici messe insieme.

I giocatori attuali raggiungono i 10.000 game giocati sul cemento quasi cinque anni prima dei giocatori di qualche decade fa

IMMAGINE 2 – Confronto tra età di gioco di giocatori che sono entrati nei primi 10 e la cui carriera si è avviata all’inizio degli anni 2000

Sebbene l’età di gioco di Murray su tutte le superfici non sia troppo diversa da quella di altri giocatori di vertice della sua generazione, è tra i più vecchi per quanto riguarda l’età di gioco sul cemento.

Sia Murray che Djokovic si sono dovuti fermare per infortunio subito dopo Wimbledon 2017. Non stupisce che entrambi abbiano un’età di gioco su cemento tra le più alte di qualsiasi giocatore di vertice nella loro età di riferimento.

Aumento dell’intensità fisica di gioco

Su un’orizzonte temporale di lungo periodo, l’età di gioco è l’indice più dettagliato a disposizione per valutare la competitività di gioco. Ma anche a parità di età di gioco, possono esserci differenze tra quella dei giocatori di oggi e quella dei giocatori del passato.

Il motivo principale risiede nel fatto che, nel corso degli anni, i giocatori non solo sono cresciuti in corporatura e muscolatura, ma hanno adottato uno stile più sfiancante, con lunghi scambi da fondo che sono ormai la tipologia più comune di svolgimento del punto.

Con l’ausilio di dati che registrano il comportamento in campo di un giocatore, nella mia analisi per il Game Insight Group di Tennis Australia, la Federazione australiana, si evidenzia che Murray, tra quelli che più scambiano da fondo, ha registrato – nelle ultime cinque edizioni degli Australian Open – il livello di impegno per singolo punto più alto di qualsiasi giocatore entrato nei primi 30.

Murray è agli estremi da questo punto di vista, ma il suo esempio è indicativo di una tendenza più generica nell’aumento dell’intensità di gioco del tennis maschile.

Ridurre la richiesta di sforzo fisico

L’eliminazione diretta nei tornei rappresenta per i migliori un’arma a doppio taglio. Più si vince più si deve giocare, maggiore però la quantità di gioco, più alto potenzialmente il rischio di incorrere in un infortunio.

Di fronte alla conseguenze subite dai più forti per il troppo gioco, i giocatori che stanno iniziando a imporsi sul circuito sono senza dubbio preoccupati di come arrivare a simili risultati senza soccombere agli stessi problemi fisici.

Da molti considerato il favorito per vincere gli Australian Open 2018 (come poi effettivamente è stato, n.d.t.) Roger Federer, uno dei giocatori più vincenti della storia, a 36 anni (un’età da pensione per gli standard del tennis) sta emergendo come esempio unico di longevità e successo a massimi livelli dello sport.

È lui ad aver avuto la carriera più lunga tra i Fantastici Quattro ed è anche quello che ha più limitato il numero di infortuni. Probabilmente non è una coincidenza che il suo stile di gioco, votato a un tennis più di attacco, sia quello meno fisicamente dispendioso dei quattro.

Federer è diventato nel tempo anche molto più attento alla composizione del suo calendario. Nel 2017, ha giocato molti meno tornei di minore importanza, saltando interamente la stagione sulla terra e preservando la sua età di gioco per i tornei più importanti che riteneva di poter vincere.

Nel 2008, dopo una partita persa con Murray, Federer si espresse con parole di monito sul futuro dell’avversario, dicendo che, continuando a giocare in quel modo, si sarebbe trovato a dover impegnarsi duramente per vincere tornei. E non avrebbe potuto immaginare quanto fosse profetico, o quanto le sue parole sarebbero diventate un monito per tutti i giocatori di vertice.

Conclusioni

Modificare lo stile di gioco e ridurre il numero di tornei per limitare l’impegno non sono sempre delle soluzioni immediate nel tennis moderno, ma se i giocatori hanno intenzione di inseguire lunghe carriere libere da infortuni è da li che dovranno partire.

The terrible toll tennis can take on top players who play too much

L’estenuante calendario maschile sta mietendo vittime al vertice del tennis?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 6 gennaio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il ritiro di Andy Murray agli Australian Open 2018 è l’ultimo, e forse il più significativo, episodio di una serie di sfortunate assenze all’inizio della stagione maschile. Lo sforzo fisico richiesto dall’incedere del calendario sta causando un logorio eccessivo tra i giocatori di vertice?

Dopo che diversi dei grandi nomi del tennis – Novak Djokovic, Stanislas Wawrinka, Kei Nishikori e Murray – sono stati costretti a chiudere prematuramente il 2017 causa infortunio, molti guardavano al 2018 come al momento del rientro. Trascorsa una settimana e già sembra che l’assottigliamento tra i più forti sia diventata la normalità.

Se Rafael Nadal, Djokovic e Wawrinka hanno confermato la loro presenza agli Australian Open, il ritiro di Murray e Nishikori, che non giocano una partita in contesto competitivo rispettivamente da cinque e sei mesi, è una svolta preoccupante. Nel gioco moderno, un infortunio serio non è più attribuibile alla sfortuna di alcuni giocatori, ma è diventato, tra i più forti, un fatto epidemico.

Se i giocatori di vertice sono soggetti a un rischio infortuni molto più alto, quale potrebbe esserne il motivo?

Pensare di trovare una sola giustificazione per un tema così complesso come gli infortuni nello sport è alquanto improbabile, ma, volendo almeno individuare uno dei maggiori fattori contributivi, possiamo esaminare una delle lamentele più diffuse tra i giocatori di vertice negli ultimi anni, cioè i ritmi di gioco estenuanti.

È da diverso tempo infatti che i nomi di spicco del tennis maschile sottolineano come giocare in un solo anno quattro tornei Slam, nove Master e (tipicamente) dieci o più eventi minori (senza parlare poi della Coppa Davis e delle Olimpiadi quando se ne presenta l’opportunità) non lasci praticamente spazio alla pausa tra una stagione e l’altra.

È un’amara ironia il fatto che sia proprio Murray tra quelli che più si sono espressi con franchezza sulle fatiche di un calendario così incalzante.

L’età di gioco

La preoccupazione di Murray è supportata dalla differenza nel confronto tra la sua età di gioco e quella delle generazioni precedenti. Con ‘età di gioco’ si definisce il numero di partite a livello professionistico giocate nell’arco di un determinato periodo di età.

L’immagine 1 mette a confronto l’età di gioco di Murray (in arancione) dai 18 ai 30 anni con quella di altri cinque giocatori di vertice delle generazioni passate, a partire dal 1970 (in questo caso l’inizio di una generazione si considera dal primo anno di professionismo dello specifico giocatore).

IMMAGINE 1 – Confronto tra età di gioco per diverse generazioni

Analizziamo il confronto tra l’età di gioco di Murray e quella di giocatori di vertice della generazione del 1970 (riquadro superiore a sinistra). La sua età di gioco è molto avanti a quella del gruppo, e ripercorre le orme di Jimmy Connors, noto per essere stato a suo tempo un caso eccezionale per lo sproporzionato numero di partite giocate.

Il caso di Borg

Solo un giocatore del gruppo del 1970 eccede in modo evidente l’età di gioco di Murray, e cioè Bjorn Borg, arrivato sul circuito da adolescente, vincendo poi il primo Slam a 18 anni. I successi raggiunti nei seguenti otto anni hanno innalzato vertiginosamente la sua età di gioco. Borg ha superato i 18 mila game giocati, duemila in più di quanto fatto da Connors. Se si dice che Borg si sia ritirato giovane a 26 anni: in realtà, in termini di età di gioco, è stato assolutamente nella norma.

Il logorio da competizione subito da Murray rispetto a quello delle generazioni che lo hanno preceduto non si limita al gruppo del 1970. Se consideriamo anche gli altri anni, osserviamo che la sua età di gioco è avanti rispetto a quella della maggior parte dei giocatori del passato. Bisogna arrivare fino al 1995 per trovare un andamento più tipico della sua età di gioco.

Come mostrato dall’immagine 2, nel confronto con la sua generazione notiamo che Murray rientra nella media dei giocatori più forti. E questo conferma l’assunto per cui la “spossatezza” imposta dal circuito è un fenomeno dalle conseguenze diffuse e non semplicemente l’anatema di pochi selezionati giocatori.

IMMAGINE 2 – Confronto tra età di gioco di Murray e di giocatori della sua generazione

Lunghezza e intensità dei game

Queste dinamiche fanno di Roger Federer un caso anomalo, almeno all’apparenza. All’età di 26 anni, Federer (come Borg, curiosamente) aveva giocato più di 18 mila game. Murray, in confronto, era appena sopra i 15 mila. Come è riuscito Federer, con un logorio – a parità di condizioni – enormemente maggiore, a sottrarsi al tipo di infortuni che a più riprese hanno martoriato Murray o Nadal?

Non si può soprassedere al fatto che il logorio da competizione non è rappresentato solamente dai game giocati. Anche la lunghezza e intensità di quei game hanno un ruolo chiave per definire lo sforzo fisico profuso da un giocatore.

Questo a dire che un game giocato oggigiorno da Murray potrebbe richiedere un dispendio energetico ben superiore a un game giocato da Connors nel 1975 o a un game giocato dallo stesso Federer. Anzi, le mie analisi per il Game Insight Group di Tennis Australia mostrano che il consumo di Murray per singolo punto è superiore a quello della maggior parte dei giocatori di vertice.

Se la stagione 2018 seguirà lo stesso percorso del 2017, come sembra che così possa accadere, la tematica dell’innalzamento dell’età di gioco diventerà un problema che il circuito maschile non può più permettersi di ignorare.

Il codice e i dati dell’analisi sono disponibili qui.

Have Gruelling Schedules Caught Up With the Top of Men’s Tennis?

I giocatori più giovani hanno un rendimento migliore nelle partite più lunghe

di John McCool // sportsbrain (via CMUSportsAnalytics)

Pubblicato il 9 giugno 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il tennis è uno sport da giovani, in cui è richiesta una combinazione di resistenza fisica e rilascio esplosivo di energia da mantenere anche per diverse ore.

Punto dopo punto, i giocatori si trovano di fronte all’arduo sforzo di coprire il campo sulla linea di fondo e a rete, dovendo rispondere a servizi che spesso superano i 200 km/h e nell’obbligo di giocare colpi perfettamente indirizzati.

Sport come il baseball e il golf sottopongono il fisico a un logoramento meno intenso. Un prima base che colpisce una fastball o una palla curva lenta, o un golfista che possiede la forza di spedire abitualmente una pallina in fairway a più di 250 metri di distanza, riescono probabilmente a giocare a quei livelli ben oltre i trent’anni più di quanto sia possibile a un giocatore di tennis con una simile carriera.

Nel tennis, la tendenza è a raggiungere il proprio massimo di rendimento intorno ai 24 o 25 anni. La leggenda Boris Becker ad esempio ha vinto il suo ultimo Slam a 28 anni. Allo stesso modo, sia John McEnroe che Bjorn Borg hanno conquistato l’ultimo Slam nella quasi età pensionabile di venticinquenni, aspetto che rende la recente vittoria di Roger Federer a 35 anni agli Australian Open 2017 ancora più incredibile.

L’ipotesi

Ritenere che i giocatori più giovani tendano a rendere meglio dei loro avversari di età superiore in partite molto lunghe può avere fondamento.

Per mettere alla prova questa ipotesi, ho analizzato 12.032 partite nel periodo tra il 2012 e il 2016. Sono state escluse quelle con durata inferiore a 30 minuti perché, nella maggior parte dei casi, sono terminate con un ritiro.

IMMAGINE 1 – La differenza media tra l’età dei vincitori e quella degli sconfitti (asse delle ordinate) rapportata alla durata della partite (asse delle ascisse), tra il 2012 e il 2016

Nel campione considerato, le partite durate meno di 77 minuti (al di sotto del primo quartile) in media hanno leggermente favorito i giocatori più vecchi.

In queste partite più brevi, la differenza media di età tra vincitori e sconfitti è stata di 0.37, a indicazione del fatto che i giocatori più vecchi tendono effettivamente a fare meglio dei più giovani.

Differenza massima intorno al centesimo minuto

La differenza media di età (tra il giocatore che ha vinto e quello che ha perso la partita) raggiunge il suo massimo intorno al centesimo minuto della partita, per poi iniziare a prendere stabilmente la direzione del giocatore più giovane fino al minuto 215 della partita.

Per avere un termine di paragone, in 1313 partite tra il minuto 150 e il minuto 215, l’età media dei vincitori è stata di 27.4 rispetto all’età media degli sconfitti di 27.5. In questi 75 minuti di partita, i giocatori più giovani hanno mediamente battuto i rivali più anziani in ogni stagione tranne il 2012.

Superato il minuto 215, i giocatori più vecchi hanno vinto più spesso dei loro corrispettivi più giovani. Però, solo 255 partite sono andate oltre questa soglia, e un campione di dimensioni maggiori consentirebbe un’analisi più precisa del rendimento dei giocatori più giovani quando la partita diventa molto lunga (appunto oltre i 215 minuti).

IMMAGINE 2 – Istogrammi per l’età media dei vincitori (in arancione) e degli sconfitti (in blu), tra il 2012 e il 2016

Lo scontro tra facce d’angelo e veterani brizzolati

Se da un lato è vero che i giocatori che si avvicinano ai trent’anni o che li hanno da poco superati hanno meno probabilità di vincere un torneo dello Slam, dall’altro l’età media dei vincitori (27.7) ha eclissato l’età media degli sconfitti (27.5), vale a dire che – tra il 2012 e il 2016 – i giocatori più vecchi hanno fatto meglio dei giocatori più giovani. In parte, l’età media dei vincitori è aumentata leggermente perché Roger Federer, Stanislas Wawrinka e Rafael Nadal, tutti almeno trentenni, sono tra i giocatori di vertice nel circuito maschile.

Complessivamente però, l’età media dei vincitori per i giocatori tra i primi 50 della classifica è di 27.3 anni rispetto ai 27.5 per i giocatori fuori dai primi 50.

Se dal campione si eliminano i giocatori più piccoli di venticinque anni, l’età media dei vincitori scende sotto all’età media degli sconfitti di -0.1 punti, segnalando un leggero vantaggio per i giocatori più giovani.

È un risultato che ha senso, considerando che i giocatori che si avvicinano ai vent’anni o che li hanno da poco superati hanno mediamente meno esperienza e probabilmente non hanno ancora raggiunto il loro livello massimo.

Si è trovato anche che i veterani, giocatori con almeno trent’anni, hanno mediamente la meglio sui giocatori al di sotto di venticinque anni. Negli scontri diretti, i primi hanno vinto con una frequenza del 53% su 1621 partite.

Conclusioni

Nel tempo, alcuni tra i giocatori più giovani avranno la possibilità di vincere future edizioni degli US Open o di Wimbledon. Il tennis è uno sport costruito per gambe giovani e ricompensa chi è in grado di mantenere un alto livello di gioco alto anche a partita.

Con Nadal e Federer destinati a ritirarsi dal professionismo, un nuovo gruppo di giovani prodigio tra cui Alexander Zverev (diciannovenne) e Thanasi Kokkinakis (ventenne) non aspettano altro che sovvertire l’élite mondiale che sta invecchiando.

Younger Tennis Players Fair Better In Longer Matches