Come il sistema Elo risolverebbe la questione dei punti non assegnati per il torneo olimpico

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 15 agosto 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il torneo olimpico di Rio ha avuto le mega stelle, lo spettacolo, le lacrime, ma non ha avuto i punti validi per la classifica. La sorprendente vincitrice Monica Puig e il finalista Juan Martin Del Potro hanno ottenuto risultati fenomenali per loro stessi e per le loro nazioni, ma continuano a rimanere parcheggiati al 35esimo e 141esimo posto delle rispettive classifiche.

I sistemi di classifica ufficiale adottati dall’ATP e dalla WTA hanno sempre rappresentato un intreccio di compromessi finalizzato a raggiungere due obiettivi fondamentali. Da un lato premiare un certo tipo di decisioni dei giocatori (come ad esempio partecipare ai tornei più importanti), Dall’altro identificare il lotto dei migliori all’avvio di ciascun torneo. Decidere di non assegnare punti per il torneo olimpico è stato un compromesso ancora più inusuale del solito. Quattro anni fa a Londra i punti furono assegnati e quasi tutti i giocatori più forti di entrambi i circuiti vi parteciparono, anche se molti di loro avrebbero potuto guadagnare più punti giocando in altri tornei.   

Per alcuni di quei giocatori la possibilità di vincere l’oro olimpico fu una motivazione più che sufficiente e il livello competitivo si dimostrò piuttosto alto. Sebbene l’ATP e la WTA abbiano deciso di considerare il torneo olimpico di Rio come una mera esibizione, per chi è interessato a valutare le prestazioni dei giocatori e fare pronostici i tornei olimpici devono necessariamente essere conteggiati.   

Neutralità del sistema Elo rispetto al contesto di riferimento

Originariamente concepito per gli scacchi, il sistema di classifica Elo, che ho adottato per il tennis a partire dallo scorso anno, è uno strumento estremamente valido per integrare i risultati di Rio con le vittorie e le sconfitte del resto della stagione. A grandi linee, il sistema Elo assegna punti al vincitore e ne sottrae al perdente. La vittoria contro un giocatore di alta classifica restituisce molti più punti di quella contro un giocatore di classifica più bassa. Non vengono decurtati punti se non si giocano partite (ad esempio la classifica Elo di Stanislas Wawrinka e Simona Halep è rimasta inalterata pur non avendo giocato a Rio). 

A differenza dei sistemi di classifica ATP e WTA, che assegnano punti in funzione dell’importanza del torneo e del turno raggiunto, il sistema Elo è neutrale rispetto al contesto di riferimento. Grazie alla vittoria a sorpresa al primo turno contro Novak Djokovic, la classifica Elo di Del Potro è aumentata notevolmente, nello stesso modo in cui sarebbe aumentata se Del Potro avesse battuto Djokovic, ad esempio, nella finale del Canada Masters.

Ci sono molte obiezioni da parte degli appassionati a un sistema di questo tipo, basate sulla ragionevole considerazione che il contesto ha il suo peso. Sembra piuttosto ovvio che la finale di Wimbledon dovrebbe contare più di un quarto di finale, diciamo, al Monte Carlo Masters, anche se lo stesso giocatore, Andy Murray, ha sconfitto il medesimo avversario, Milos Raonic, in entrambe le partite.

Le due condizioni di un valido sistema di classifica

Tuttavia, anche i risultati hanno il loro peso ai fini della classifica. Un valido sistema di classifica deve soddisfare due condizioni: pronosticare correttamente i vincitori più spesso di quanto facciano altri sistemi e, per quei pronostici, fornire un grado di confidenza più accurato (ad esempio, in un campione di 100 partite per le quali il sistema assegna a un giocatore il 70% di probabilità di vittoria, il favorito dovrebbe vincere 70 volte). Ignorando il contesto di riferimento, il sistema Elo pronostica correttamente più vincitori e fornisce pronostici con un grado di certezza più alto di qualsiasi altro sistema di cui io sia a conoscenza.

Una cosa è comunque certa, il sistema Elo demolisce i sistemi di classifica ufficiale. Se è possibile ipotizzare che, con l’aggiunta di dettagli relativi al contesto, il sistema Elo possa produrre risultati ancora più precisi, il miglioramento sarebbe probabilmente di ordine inferiore rispetto all’enorme differenza di accuratezza tra il sistema Elo e gli algoritmi utilizzati dall’ATP e dalla WTA.   

Un sistema che non fattorizzi il contesto di riferimento è perfetto per il tennis. Invece di modificare il sistema di classifica a ogni cambiamento di formato tra i vari tornei, con il sistema Elo si riesce a valutare i giocatori in maniera costante per le esigenze di classifica, usando solo le loro vittorie, sconfitte e gli avversari affrontati. Non importa quali siano i giocatori che hanno partecipato al torneo olimpico o cosa si possa pensare del livello complessivo di gioco. Se una giocatrice batte tre delle prime giocatrici della classifica mondiale, come ha fatto Puig, la sua valutazione decolla. Niente di più semplice di questo!

Il caso di Puig e Del Potro

Due settimane fa, il sistema Elo classificava Puig al 49esimo posto tra le giocatrici WTA, diverse posizioni più in basso del 37esimo posto di Puig nella classifica WTA. Dopo aver battuto Garbine Muguruza, Petra Kvitova e Angelique Kerber, nella classifica Elo Puig è balzata al 22esimo posto. Se è intuitivamente complicato sapere con esattezza come soppesare un risultato così anomalo, la valutazione Elo di Puig appena fuori dalle prime 20 sembra molto più plausibile della sua classifica WTA, rimasta inalterata dopo la vittoria del torneo.

Del Potro è un altro test interessante, visto che la sua carriera caratterizzata da molteplici infortuni presenta difficoltà per qualsiasi sistema di valutazione. Secondo l’algoritmo usato dall’ATP, Del Potro è ancora fuori dai primi 100 del mondo, un destino comune a quei giocatori un tempo ai vertici che non riescono a tornare immediatamente alla vittoria.

Il sistema Elo ha il problema opposto con i giocatori che rimangono a lungo inattivi a causa di infortuni. Quando un giocatore non partecipa a tornei, il sistema Elo ipotizza che il suo livello non sia cambiato. Questo è palesemente errato e ha generato non pochi dubbi riguardo alla posizione di Del Potro nella classifica di questa stagione. Più partite gioca Del Potro, più la sua valutazione rifletterà il livello di forma attuale, ma la sua posizione al decimo posto nella classifica Elo prima delle Olimpiadi è sembrata subire eccessivamente l’influenza della passata grandezza.    

La finale raggiunta dal Del Potro a Rio lo ha fatto salire di 3 posizioni nella classifica Elo. Per quanto il settimo posto rifletta inevitabilmente i risultati ottenuti prima dell’ultimo infortunio, è la prima volta che la valutazione Elo di Del Potro dopo l’infortunio riesce quasi a superare la prova del nove.

La metodologia Glicko

Uno strumento più sofisticato ma sempre basato sul sistema Elo è la metodologia Glicko, in parte creata per migliorare la valutazione dei tennisti che hanno pochi risultati recenti. Ho lavorato molto con la metodologia Glicko nella speranza di ottenere una valutazione più accurata dell’attuale stato di forma di giocatori tipo Del Potro, ma, ad oggi, è un sistema che, nella sua interezza, non è stato in grado di avvicinarsi alla precisione del sistema Elo affrontando contestualmente il problema di lunghi periodi di inattività. Per quello che vale, prima delle Olimpiadi la metodologia Glicko classificava Del Potro intorno al 16esimo posto.

Ipotesi improvvisate e obiettivi contraddittori delle classifiche ufficiali   

La bontà di qualsivoglia sistema di valutazione è strettamente legata alle ipotesi e ai dati utilizzati per farlo funzionare. Da lungo tempo ormai, i sistemi di classifica ufficiale adottati dall’ATP e dalla WTA soffrono di ipotesi improvvisate e obiettivi contraddittori. Quando un evento importante come il torneo olimpico viene totalmente ignorato, anche i dati risultano poi incompleti. Ora più che mai, il sistema Elo si impone come la metodologia alternativa più brillante. Oltre a essere un algoritmo con maggiori capacità predittive, il sistema Elo assegna ai risultati di Rio il valore che meritano.

How Elo Solves the Olympics Ranking Points Conundrum

L’erba sta diventando più lenta: un altro sguardo alla convergenza tra la velocità delle superfici

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’11 giugno 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Qualche anno fa, in uno dei miei articoli più letti e discussi intitolato “La convergenza tra la velocità delle superfici: un’illusione”, ho utilizzato le statistiche ufficiali dell’ATP sulla frequenza di ace e di break fino al 1991 per dimostrare che la velocità delle diverse superfici non si stesse uniformando, almeno per quanto si potesse dire utilizzando quei due strumenti di valutazione. 

Una delle critiche che più mi sono state rivolte punta il dito sul fatto che abbia utilizzato i dati sbagliati, perché la velocità di una superficie dovrebbe essere misurata tramite la lunghezza degli scambi, la frequenza di rotazione della pallina e altri aspetti di questa natura. Come purtroppo spesso accade per le statistiche di tennis, bisogna fare buon uso di quel poco che si ha a disposizione e così ho cercato di fare in quell’articolo.

Grazie al Match Charting Project, abbiamo ora a disposizione statistiche dettagliate per 223 finali dei tornei del Grande Slam, tra cui più del 75% delle finali fino al 1980. Anche se non sarà mai possibile arrivare a una misurazione degli effetti generati dall’interazione della pallina con le superfici, in particolare con superfici di gioco di 30 anni fa, come quella ottenuta dalla Federazione Internazionale con il Court Pace Rating, l’esistenza di dati puntuali permette un’indagine ancora più precisa e affidabile.    

Uomini

Se si prende in considerazione un semplice dato come la lunghezza degli scambi (comunque fino a poco tempo fa non disponibile), le superfici più importanti hanno una velocità di gioco più simile tra di loro adesso rispetto ai decenni scorsi. Il grafico dell’immagine 1 mostra una media mobile* per un periodo di 5 anni per la lunghezza degli scambi nelle finali maschili di ogni Slam dal 1985 al 2015.

IMMAGINE 1 – Lunghezza degli scambi nelle finali maschili Slam per il periodo 1985-2015, media mobile 

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*poiché alcune partite non sono disponibili, le medie mobili di 5 anni rappresentano ciascuna una media da 2 a 5 finali Slam.

Negli ultimi 15 anni, la lunghezza degli scambi negli Slam sul cemento e sull’erba è costantemente aumentata quasi fino a raggiungere quella del Roland Garros, tradizionalmente il torneo con la superficie più lenta dei quattro Slam. Il fenomeno è più accentuato sull’erba di Wimbledon, che per molti anni ha visto scambi con una lunghezza media di soli due colpi. 

Pur beneficiando dell’utilizzo della lunghezza degli scambi punto per punto come parametro, quest’analisi è fortemente limitata dal fatto che non relativizza l’apporto del singolo giocatore (aspetto che invece l’analisi di qualche anno fa, con dati più limitati ma distribuiti su un numero di partite molto più grande, era in grado di fare). Per intendersi, Pete Sampras ha contribuito a 15 partite, ma nessuna sulla terra. Andres Gomez è presente una volta e solo al Roland Garros. Fino a che non si riesce ad avere dati puntuali su più superfici per più di questi giocatori, non si può fare molto per ovviare a questa forte parzialità nel campione.

Un dilemma da uovo e gallina

Ci si trova quindi di fonte al classico dilemma dell’uovo e della gallina. All’inizio degli anni ’90 le finali al Roland Garros avevano una lunghezza media degli scambi di quasi sei colpi e quelle di Wimbledon raggiungevano a malapena due colpi per punto. Quanta parte della differenza si può attribuire al tipo di superficie e quanta al fatto che determinati giocatori arrivavano a giocarsi quelle finali? Certamente il tipo di superficie non è responsabile per tutto, del resto nella finale degli US Open 1988 Mats Wilander e Ivan Lendl fecero di media sette colpi a punto, e nella finale di Wimbledon 2002 David Nalbandian e Lleyton Hewitt raggiunsero i 5.5 colpi per punto.

Nonostante le anomalie e la parzialità nel campione, la convergenza tra le lunghezze degli scambi nell’immagine 1 riflette un fenomeno reale, per quanto amplificato dalla parzialità. Dopotutto, i giocatori che preferiscono scambi brevi vincono più partite sull’erba perché è una superficie che si presta a scambi brevi, e in passato “scambio breve” aveva un significato più estremo rispetto ad oggi.

Donne

Lo stesso grafico per le finali femminili degli Slam mostra sempre una convergenza, ma non così marcata come per gli uomini.

IMMAGINE 2 – Lunghezza degli scambi nelle finali femminili Slam per il periodo 1985-2015, media mobile 

grass_2

Parte del motivo per il quale la convergenza è meno accentuata è che c’è una minore parzialità nel campione. Questo dipende dal fatto che, per quanto sia una coincidenza di quell’era tennistica, il dominio su tutte le superfici di pochissime giocatrici – Chris Evert, Martina Navratilova e Steffi Graf – ha generato una parzialità più ridotta.

Altri dati

Servono ancora più dati prima di poter trarre conclusioni sulla velocità delle superfici nel tennis del 20esimo secolo. Più ampia la disponibilità di informazioni però, con maggiore precisione si è in grado di mostrare come le superfici si stiano uniformando nel corso degli anni.

The Grass is Slowing: Another Look at Surface Speed Convergence

Le palle break sono più decisive nel tennis femminile

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 24 ottobre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

In un precedente articolo ho cercato di indagare il ruolo delle palle break ai fini della vittoria di una partita di tennis. Uno degli aspetti emersi è l’importanza di questa tipologia di punti nell’essere decisivi, importanza che definisco come la percentuale delle partite in cui il vincitore della partita ha convertito più palle break dell’avversario. Per il circuito maschile, l’importanza delle palle break varia tra l’87 e il 91%, in funzione della superficie di gioco e del format della partita (al meglio dei 3 o dei 5 set). In questa sede, voglio verificare se per il circuito femminile le palle break hanno un legame con le vittorie simile a quanto accade per l’ATP.    

Come mostra l’immagine 1, dal 2011 la frequenza con cui la vincitrice di una partita ha contestualmente convertito più palle break varia tra il 91 e il 93% (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). L’importanza delle palle break è stata più alta nei tornei dello Slam. Va detto però che le frequenze per livello di torneo sono tutte all’interno del loro intervallo di errore, quindi non c’è una forte evidenza del fatto che l’importanza delle palle break vari in funzione del livello del torneo in questione.

IMMAGINE 1 – Percentuale di partite WTA in cui la vincitrice ha convertito un maggior numero di palle break, 2011-2015

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Ci sono differenze in funzione della superficie?

La frequenza con cui la vincitrice della partita converte anche più palle break è sempre tra il 91 e 92% per tutte le superfici. Questo risultato è diverso da quanto osservato per gli uomini dove le palle break convertite sono più decisive sulle superfici più lente.

IMMAGINE 2 – Differenza tra superfici per la percentuale delle partite WTA in cui la vincitrice ha convertito un maggior numero di palle break, 2011-2015

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Ci sono altre differenze fra l’ATP e la WTA. In particolare – a prescindere dalla superficie – l’importanza delle palle break è 3-4 punti percentuali più alta per la WTA rispetto all’ATP, come mostrato dall’immagine 3. Questo significa che, rispetto a un giocatore, è più raro per una giocatrice vincere una partita giocando meglio nei tiebreak o vincere una partita recuperando lo svantaggio di un set nel quale l’avversaria ha avuto una percentuale di conversione di palle break superiore a quella che ha avuto la vincitrice nei set che ha poi vinto. 

IMMAGINE 3 – Differenza tra superfici per le palle break decisive nelle partite della WTA e dell’ATP 

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Prime e ultime 20

Relativamente alle ultime 20 e alle prime 20 giocatrici di questa particolare classifica, si trovano diverse sorprese. Ad esempio, sebbene nel gruppo di giocatrici per le quali la conversione delle palle break è più decisiva vi siano le prime giocatrici del mondo, nel gruppo delle ultime 20 c’è una campionessa Slam (Francesca Schiavone) e due finaliste (Dominika Cibulkova e Vera Zvonareva). Inoltre, la classifica delle prime 20 non è la stessa delle prime 20 della classifica WTA. Degne di maggior nota a questo riguardo sono Caroline Wozniaki al primo posto, che ha vinto il 93.5% delle partite in cui ha convertito più palle break, e l’arrotina Monica Niculescu al quinto, con una frequenza del 94.1%.   

IMMAGINE 4 – Prime 20 giocatrici per cui le palle break sono più decisive e meno decisive

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Costanza di gioco

Considerando che Wozniaki è generalmente ritenuta una delle giocatrici più costanti del circuito, la classifica nell’immagine 4 suggerisce che l’importanza delle palle break potrebbe fornire indicazioni in merito alla costanza di gioco nelle partite che una giocatrice ha vinto, mentre un’importanza più alta della media suggerirebbe un predominio nelle situazioni di gioco che non siano i tiebreak. Se fosse possibile ottenere –  cosa non facile – la suddivisione per set del predominio nelle palle break per entrambi i circuiti, si potrebbe dare una migliore interpretazione all’importanza delle palle break e di quanto ci può dire sulla costanza di gioco di una specifica giocatrice/giocatore.

Break Points are More Decisive for WTA

Quanto sono decisive le palle break?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 17 ottobre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Tutti gli appassionati di tennis sanno che le palle break sono importanti. Se un giocatore non supera il suo avversario nella conversione di palle break in un set, il set (e in definitiva la partita) verrà deciso al tiebreak. Nel caso dei 3 Slam in cui il tiebreak non è previsto per l’ultimo set (o negli scontri di Coppa Davis), una partita continuerebbe senza fine, come quella tra John Isner e Nicolas Mahut al primo turno di Wimbledon 2010 avrebbe potuto far pensare. 

Quanto sono decisive le palle break per vincere nel tennis moderno?

Temo che in molti non conoscano la risposta (così è stato per me quando mi sono posta la domanda). Sembra proprio strano avere poca dimestichezza con un aspetto così fondamentale del gioco. Forse dipende dalle statistiche a disposizione nel tennis che non sono al passo con i tempi. Fortunatamente si può rimediare analizzando qualche numero.

Esaminare la frequenza con cui il giocatore che ha vinto la partita è anche quello che ha vinto più palle break è uno dei possibili modi per determinare quanto siano decisive le palle break. Va detto però che questa è una modalità non perfetta perché il vincitore non deve vincere ogni set e quindi superare sempre il suo avversario nelle palle break convertite. Ma è comunque una valida approssimazione preliminare.

IMMAGINE 1 – Percentuale delle partite ATP in cui il vincitore ha convertito un maggior numero di palle break, 2011-2015

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L’immagine 1 mostra come la conversione delle palle break sia responsabile per l’87-88% delle vittorie nelle partite al meglio dei 3 set (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). Negli Slam, dove si gioca al meglio dei 5 set e come detto non c’è il tiebreak all’ultimo set se non agli US Open, la conversione delle palle break risulta decisiva per una percentuale che sale a circa il 91%. Questo ci dice anche che le partite difficilmente vengono decise dai tiebreak e che eventi come la sconfitta di Rafael Nadal subita da Jo Wilfried Tsonga nella semifinale dello Shanghai Masters 2015 – in cui Tsonga ha vinto pur avendo sfruttato meno palle break – sono rari. 

Le palle break assumono maggiore importanza in funzione della superficie?

Si può trovare una risposta analizzando le differenze nella frequenza di partite vinte dal giocatore che ha anche convertito un maggior numero di palle break. Come evidenziato dall’immagine 2, si tratta di scostamenti minori, ma c’è una tendenza statisticamente significativa che suggerisce che le palle break sono più importanti sulle superfici più lente (il 90% sulla terra, l’88% sul cemento e l’87.5% sull’erba).

IMMAGINE 2 – Differenza tra superfici per la percentuale delle partite ATP in cui il vincitore ha convertito un maggior numero di palle break, 2011-2015

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Le differenze di gioco tra i singoli giocatori sono più determinanti per spiegare una maggiore variazione dell’importanza delle palle break rispetto a quanto accade per variabili come il prestigio del torneo o il tipo di superficie. L’immagine 3 mostra i 20 giocatori ATP con 50 o più partite giocate negli ultimi 5 anni per i quali le palle break sono state più decisive o meno decisive per la vittoria finale. Come ipotizzabile, le palle break sono meno decisive per la vittoria per giocatori dal grande servizio come Isner e Ivo Karlovic, che sono rispettivamente secondo e terzo con il minor vantaggio da palle break convertite nelle partite poi vinte. Ci sono però sorprese in questo gruppo come Gilles Muller e Ryan Harrison.

Una correlazione tra classifica e conversione

Tra tutti i giocatori del circuito, Novak Djokovic è quello per il quale la conversione delle palle break è la più decisiva per la vittoria della partita. Sembra comunque esserci una certa correlazione con la classifica, perché molti tra i primi 20 del mondo fanno parte di questo gruppo. Ci sono però alcune deviazioni degne di nota, come la posizione piuttosto bassa di Roger Federer o Kei Nishikori. Queste eccezioni potrebbero derivare da una combinazione tra qualità di gioco più alta nei momenti chiave e predominio su una specifica superficie (vale a dire, un predominio sulla terra potrebbe favorire il fatto che le palle break siano più decisive; il contrario sull’erba).    

IMMAGINE 3 – Primi 20 giocatori per cui le palle break sono più decisive e meno decisive

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How Decisive are Break Points?

Il temuto svantaggio al cambio di campo nel tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 16 ottobre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Alcune espressioni di saggezza popolare tennistica riescono a essere allo stesso tempo assolutamente ovvie e chiaramente sbagliate. Agli opinionisti è sufficiente un dato di fatto (è meglio vincere più punti) e una piccola aggiunta di vantaggio psicologico percepito per generare un risultato che può sembrare nefasto.    

Un esempio pertinente è il cambio di campo durante il tiebreak. Nello scenario tipico, succede una cosa simile: sotto 2-3 nel tiebreak, chi serve concede un minibreak e si ritrova sul 2-4 al cambio di campo, momento nel quale il telecronista si esprime con: “Non c’è di peggio che andare al cambio di campo sotto di uno o più minibreak”.

Anche se raramente viene data una spiegazione completa del pensiero, l’implicazione è che perdere esattamente quel punto – andare quindi da 2-3 a 2-4 – è in qualche modo un risultato peggiore del solito in presenza dell’imminente cambio di campo. Come la convinzione che il settimo game del set sia particolarmente significativo, anche questa è entrata nei canoni informativi senza essere stata messa alla prova.

Accanimento sull’ovvietà

Iniziamo dalla parte dell’affermazione assolutamente ovvia. Certo, è meglio cambiare campo sul 3-3 che sul 2-4. Nel tiebreak ogni punto è cruciale. Queste sono le percentuali di vincita di un tiebreak in vari scenari di punteggio al cambio campo, basate su un modello teorico e utilizzando un campione di giocatori con il 65% di punti vinti al servizio.

Punteggio  p(Vittoria)  
1*-5       5.4%  
2*-4       21.5%  
3*-3       50.0%  
4*-2       78.5%  
5*-1       94.6%

La conclusione è facile: un giocatore vuole vincere quel sesto punto a tutti i costi (o, almeno, molti dei punti che precedono il sesto punto). Se rimane qualche dubbio, mettiamo gli scenari precedenti a confronto con quelli dopo 8 punti.

Punteggio  p(Vittoria)  
2*-6       2.6%  
3*-5       17.6%  
4*-4       50.0%  
5*-3       82.4%  
6*-2       97.4%

Con il rischio di accanirsi sull’ovvietà, quando il punteggio è molto equilibrato, a tiebreak inoltrato i punti diventano più importanti. Il punto sul 4-4 ha più significato del punto sul 3-3, che ha più significato del punto sul 2-2 e così via. Se i giocatori cambiassero campo dopo 8 punti invece che dopo 6 punti, probabilmente attribuiremmo un potere magico anche a quella situazione di punteggio. 

Risultati pratici

Fin qui, ho solamente illustrato le risultanze del modello riguardo le probabilità di vittoria in diversi punteggi del tiebreak. Se gli opinionisti hanno ragione, dovremmo osservare una differenza tra le probabilità teoriche di vincere il tiebreak da 2-4 e il numero di volte in cui i giocatori effettivamente vincono il tiebreak da quel punteggio. Il modello prevede che un giocatore dovrebbe vincere il 21.5% dei tiebreak dal 2*-4. Stando alla saggezza popolare tennistica, dovremmo trovare che un giocatore vince ancor meno tiebreak quando cerca di recuperare da quel tipo di svantaggio.   

Analizzando i più di 20.000 tiebreak del campione a disposizione, è vero esattamente l’opposto. Arrivare al cambio di campo sul 2-4 è decisamente peggio che arrivarci sul 3-3, ma non è peggio di quanto il modello preveda, in realtà è leggermente meglio.

Per quantificare l’effetto, ho calcolato la probabilità di vittoria del tiebreak da parte del giocatore che serve immediatamente dopo il cambio di campo, in funzione dei punti al servizio vinti da ciascun giocatore durante la partita e al modello che ho citato precedentemente. Aggregando previsioni e risultati osservati in ogni tiebreak, possiamo mettere a confronto teoria e pratica. 

Se esiste un vantaggio psicologico, è il giocatore che insegue a poterne approfittare

In questo sottoinsieme di tiebreak, un giocatore che serve sul 2-4 dovrebbe poi vincere il tiebreak il 20.9% delle volte. Nella realtà, i giocatori vincono il tiebreak il 22% delle volte, una differenza piccola ma importante. Per il giocatore in risposta, la differenza è ancora più ampia. Il modello prevede infatti che i giocatori vincano dal 2-4 il 19.9% delle volte, mentre nella realtà vincono il 22.1% di quei tiebreak. 

In altre parole, dopo sei punti, il giocatore che ne ha vinti di più è nettamente favorito, ma se esiste una forma di vantaggio psicologico, cioè se uno o l’altro giocatore ha più che un vantaggio rispetto a quanto il semplice punteggio suggerisca, è il giocatore che insegue ad approfittarne.    

Naturalmente, lo stesso effetto si presenta dopo otto punti. Al servizio sul 3-5 i giocatori del campione hanno il 16.3% di probabilità (teoriche) di vincere il tiebreak, ma lo vincono il 19% delle volte. In risposta sul 3-5 la probabilità sulla carta è il 17.2%, ma vincono il tiebreak il 19.5% delle volte.

Non c’è nulla di speciale

Non c’è nulla di speciale sul primo cambio di campo nel tiebreak, e probabilmente non ci sono altri punti nel tiebreak più cruciali di quanto il modello teorico evidenzi. Invece, la scoperta sta nel fatto che i giocatori sfavoriti hanno una probabilità di recuperare leggermente migliore di quanto preveda il modello.

Il mio sospetto è che si assiste a un contestuale irrigidimento nei colpi del giocatore che è al comando e una maggiore facilità di palla da parte di chi insegue, un aspetto della saggezza popolare tennistica meritevole di ricevere molta più attenzione dell’idea di un punteggio magico dopo i primi sei punti del tiebreak.

The Dreaded Deficit at the Tiebreak Change of Ends

Chi serve per primo nel tiebreak è avvantaggiato?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 14 ottobre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Con la loro alternanza di servizi e di cambi di campo, i tiebreak sono così equilibrati da dare l’impressione di essere la modalità più giusta per concludere un set. Per quanto ne sappia, non c’è un orientamento di saggezza popolare tennistica diffuso che assegni una qualsiasi forma di vantaggio al giocatore che serve per primo (o per secondo) nel tiebreak.

Una verifica su più di 5200 partite

Facciamo una verifica. In un campione di più di 5200 tiebreak nel circuito maggiore dell’ATP, chi serve per primo ha poi vinto il tiebreak il 50.8% delle volte. Utilizzando il numero dei punti al servizio vinti da ciascun giocatore in una partita per determinare la probabilità che chi serve per primo nel tiebreak vinca poi il set, si ottiene che quel giocatore avrebbe dovuto vincere solo il 48.8% delle volte.

Due punti percentuali sono una differenza minima, ma in questo caso di grande importanza. E si mantiene tale in tutto il triennio (2013-15) maggiormente rappresentato nel campione, non subendo variazioni in funzione del set. Anche se possono esserci parzialità nei risultati dei tiebreak nel primo set, visto che i giocatori con un servizio migliore spesso scelgono di servire per primi e viceversa i giocatori con un servizio meno efficace di iniziare in risposta, in ogni set chi serve per primo è favorito, e servire per primo ha un impatto maggiore nel terzo set che nel set iniziale.   

Però questo effetto, almeno nella sua portata, è confinato ai risultati del circuito maggiore maschile. Un’analisi di 2500 recenti tiebreak nelle partite WTA evidenzia che la giocatrice che serve per prima ha vinto il 49.7% dei tiebreak, rispetto al 49.4% delle attese. Le partite del circuito minore femminile ITF e dei Future maschili restituiscono risultati simili. Lo stesso algoritmo su 6200 tiebreak dei tornei Challenger aggiunge confusione al tema: in questo caso, il giocatore che serve per primo ha vinto il 48.1% dei tiebreak, mentre avrebbe dovuto vincerne il 48.7%.

Scoperte fortuite

Un scoperta fortuita di quest’analisi arriva dal fatto che, per entrambi i generi e a diversi livelli, chi serve per primo nel tiebreak è, in media, il giocatore più debole. A prima vista, questo può sembrare irrealistico, perché si considera il tiebreak come game decisivo quando i due giocatori stanno esprimendo la stessa efficacia di gioco. E siccome l’effetto persiste per il secondo e il terzo set come nel primo, questo risultato non è influenzato da quale giocatore sceglie di servire per primo.

Questo risultato può essere però in parte spiegato da un’altra scoperta accidentale di una mia recente ricerca. Nel tentativo di stabilire se sia particolarmente difficile chiudere il set al servizio, ho calcolato le probabilità di tenere il servizio in ogni turno del set, rispetto alla frequenza con cui i giocatori avrebbero dovuto tenere il servizio. In molti game in cui il giocatore ha tenuto il servizio, compresi quelli con in gioco il set, non ci sono grandi differenze tra la frequenza con cui il servizio è stato effettivamente tenuto e la frequenza attesa per la medesima occorrenza.

Ho trovato invece alcuni effetti che sono in questo caso rilevanti. In generale, è più difficile tenere il servizio servendo per secondi, in punteggi come 3-4, 4-5 e 5-6, che servendo per primi, in punteggi come 3-3, 4-4 e 5-5. Ad esempio, nelle partite ATP analizzate, un giocatore tiene il servizio sul 4-4 esattamente con la stessa frequenza cui ci si attende che lo faccia in funzione dei punti vinti al servizio durante la partita. Ma sul 4-5, le prestazioni scendono all’1.4% sotto le attese. Nelle partite WTA analizzate, mentre le giocatrici hanno prestazioni peggiori sul 5-5 dell’1.4%, fanno molto peggio sul 5-6, vincendo il 5.2% in meno di quanto dovrebbero.

La ricerca però non è finita!

In altre parole, a parità di livello di gioco, se due giocatori tengono il servizio per diversi dei primi game del set, chi serve per secondo è anche quello che più probabilmente subisce il break e perde il set. Ma, se nessun giocatore perde il servizio (o se il numero di break per parte è uguale), chi serve per secondo è probabile che sia leggermente più bravo.

Questo spiega perché, almeno in parte, il secondo a servire è sulla carta favorito all’inizio del tiebreak. Quello che non tiene in considerazione però è che, per le partite del circuito ATP, i giocatori che servono per primi neutralizzano questo svantaggio vincendo più della metà dei tiebreak. Su questo, non ho ancora trovato una valida risposta.

Does Serving First in a Tiebreak Give You an Edge?

Le probabilità di chiudere il set al servizio

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 28 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Servire per il set è difficile…almeno così dicono. Come altre note supposizioni nel tennis, anche questa è soggetta al fenomeno cognitivo umano del bias di conferma. Ogni volta che vediamo un giocatore faticare per chiudere il set al servizio, siamo propensi a enfatizzare le insidie che ha dovuto affrontare nel game. Se chiude con facilità, ignoriamo la cosa o, peggio, sottolineiamo come sia riuscito in una tale prodezza.

Se l’effetto esiste è marginale

Le mie analisi sull’argomento, che raccolgono punto per punto i dati di decine di migliaia di partite delle ultime stagioni, mostrano in questo senso una continuità di risultato: se un effetto esiste, è marginale. Per molti giocatori, e per alcuni sostanziali sottoinsiemi di partite, i break in situazioni di punteggio come 5-4, 5-3 e simili sembrano essere meno probabili, nonostante si tratti di game in cui apparentemente si serve sotto maggiore pressione.   

Uomini

Nelle partite del circuito maggiore maschile, un giocatore tiene il servizio quando sta servendo per il set quasi esattamente spesso come negli altri momenti della partita. Per ogni partita del campione, ho calcolato la percentuale con cui un giocatore tiene il servizio durante la partita. Se servire per il set fosse più difficile che servire in altre situazioni, troveremmo che le percentuali “medie” con cui un giocatore tiene il servizio nelle altre situazioni sarebbero più alte della frequenza con cui lo stesso tiene il servizio quando sta servendo per il set.    

Ma non è così. Su più di 20.000 game di battuta per chiudere il set, il giocatore al servizio ha tenuto il servizio solo lo 0.7% delle volte in meno di quanto atteso, una differenza che si manifesta solo una volta su 143 game di servizio. Il risultato è lo stesso anche limitando il campione sulle situazioni di punteggio molto equilibrate come quelle in cui il giocatore al servizio ha un solo break di vantaggio.   

Pochi giocatori si sono distinti in positivo (o in negativo). Andy Murray chiude il set al servizio circa il 6% più spesso di quanto tenga il servizio in media durante la partita, abilità che lo rende uno di quattro giocatori (tra i 99 che ho analizzato con almeno 1000 game di servizio) a fare meglio della sua stessa media di più del 5%.

Donne

Sul circuito WTA, servire per il set sembra essere un po’ più difficile. In media, una giocatrice chiude il set al servizio il 3.4% meno spesso della sua media di servizi tenuti durante la partita, una differenza che si manifesta circa una volta su 30 game di servizio. Sette di 85 giocatrici analizzate con 1000 game di servizio hanno chiuso il set al servizio almeno il 10% delle volte in meno rispetto al loro standard realizzativo al servizio.

Tra le giocatrici si mette in mostra Maria Sharapova, che chiude il set al servizio il 3% più spesso di quanto tenga il servizio in media durante la partita e chiude il set al servizio quando ha un solo break di vantaggio il 7% più spesso della sua media realizzativa durante la partita. Sharapova è una di 30 giocatrici tra quelle analizzate con a disposizione almeno 100 opportunità per chiudere il set al servizio con un break di vantaggio e l’unica tra queste a eccedere il rendimento atteso al servizio di più del 5%.

Considerata la dimensione del campione – circa 20.000 tentativi di chiudere il set al servizio, di cui quasi 12.000 con un vantaggio di un solo break – questo sembra essere un effetto reale, per quanto ridotto. Sorprendentemente, è nei circuiti minori del tennis femminile che si ottengono risultati diversi. 

ITF femminile

Per le partite di tabellone principale nel circuito ITF, ho analizzato altre 30.000 opportunità di chiudere il set con il servizio, nelle quali le giocatrici hanno tenuto il servizio il 2.4% in più delle volte rispetto alla loro media durante la partita. Nei set a punteggio ravvicinato, quelli con un solo break, la differenza è stata ancora superiore: le giocatrici al servizio per il set hanno tenuto il servizio il 3.5% in più degli altri game di servizio.

Se non altro, mi sarei aspettato che giocatrici di tornei del circuito minore subissero maggiormente le conseguenze declamate dalla saggezza popolare tennistica. Se è difficile servire in situazioni di forte pressione ad alti livelli, dovrebbe esserlo ancora di più per giocatori o giocatrici di caratura inferiore (i quali, presumibilmente, hanno meno esperienza o sono meno abituati a trovarsi in queste circostanze). E invece sembra vero il contrario. 

Challenger

Anche le medie nei circuiti minori del tennis maschile non sistemano definitivamente la questione. Nelle partite del tabellone principale dei Challenger, quando un giocatore serve per il set tiene la battuta l’1.4% in meno rispetto agli altri game di servizio e l’1.8% in meno quando ha il vantaggio aggiuntivo di un break.

Future

Nel tabellone principale dei tornei Future, un giocatore ha le stesse percentuali di successo quando serve per il set degli altri turni in battuta, a prescindere dal vantaggio a disposizione. In tutti i campioni analizzati, ci sono solo una manciata di giocatori il cui record è migliore o peggiore del 10% quando servono per il set, e ancor meno che eccedono, in positivo o in negativo, il rendimento atteso anche solo del 5%. 

Conclusioni

Maggiore è il dettaglio derivante dalle analisi, più l’evidenza dimostra che game e punti sono, per larga parte, indipendenti, vale a dire che i giocatori hanno all’incirca le stesse prestazioni in qualsiasi situazione di punteggio, non importa più di tanto quale tipo di sequenza di punti o di game l’abbia determinata. Per quanto ci siano ancora molte dinamiche di punteggio da analizzare, se quelle di cui più si discute non generano gli effetti sostanziali che a loro si attribuiscono è ipotizzabile che anche altrove questo non accada.      

Se c’è un fondo di verità in affermazioni che sottolineano la difficoltà di chiudere un set al servizio, forse deriva dal fatto che la pressione è sentita allo stesso modo da entrambi i giocatori. Dopotutto, se un giocatore deve tenere il servizio sul 5-4 per chiudere il set, per chi è in risposta il game rappresenta l’ultima opportunità per salvare il set. È possibile che cali il livello di gioco di entrambi i giocatori, ma servono maggiori analisi per capire come questi punti vengano gestiti.

Per il momento, possiamo concludere che i giocatori, a prescindere dal genere o dal livello, chiudono il set al servizio quasi spesso quanto tengono il servizio sull’1-2 o sul 3-3 in qualsiasi altra situazione di punteggio.

The Odds of Successfully Serving Out the Set

Quanto è importante il settimo game del set?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 24 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Poche espressioni di saggezza popolare tennistica sono più scontate dell’idea che il settimo game di ogni set sia particolarmente importante. Anche se è spesso difficile comprenderne la natura, una supposizione ormai così diffusa sembra mettere insieme due diverse convinzioni. 

La prima è che se il punteggio di un set è arrivato sul 3-3, la pressione inizia a farsi sentire ed è meno probabile che il giocatore al servizio tenga la battuta.

 La seconda è che l’esito del settimo game ha conseguenze maggiori rispetto all’immediata variazione di punteggio, forse perché il giocatore che lo vince acquisisce un vantaggio psicologico (comunemente chiamato anche “momentum” o “inerzia”, n.d.t.) derivante dall’aver vinto un game così cruciale.

Mettiamole entrambe alla prova.

Tenere il servizio sul 3-3

Cercando nel mio database di più di 11.000 partite degli ultimi anni di circuito maggiore maschile, ho trovato 11.421 set che hanno raggiunto il punteggio di 3-3. Per ciascuno, ho calcolato la probabilità teorica che il giocatore al servizio tenesse la battuta (in funzione della frequenza di punti ottenuti al servizio durante tutta la partita) e la sua percentuale di game al servizio vinti nella partita. Se la saggezza popolare tennistica ha ragione, la percentuale di game vinti dal giocatore al servizio sul 3-3 dovrebbe essere inferiore di un ampio margine.

Non lo è. Utilizzando il modello teorico, il giocatore al servizio avrebbe dovuto tenere la battuta l’80.5% delle volte. In funzione della capacità di tenere il servizio durante tutta la partita, avrebbe dovuto tenerlo l’80.2% delle volte. Sul 3-3 ha tenuto il servizio il 79.5% delle volte. Questo è sì un valore più basso, ma non a sufficienza per essere minimamente notato dall’occhio umano. La differenza tra l’80.2% e il 79.5% corrisponde all’incirca a un break in più sul 3-3 non di una singola partita di un torneo del Grande Slam, ma di tutto il torneo!

Quasi spesso come negli altri momenti

In nessun modo la differenza dello 0.7% può essere attribuita al fatto che le palline, dopo sei game, siano ormai consumate [1]. Siccome il primo cambio di palline avviene dopo i primi sette game del set, il giocatore al servizio sul 3-3 nel primo set starà sempre utilizzando palline vecchie, aspetto che, secondo un’altra pillola di saggezza popolare tennistica, dovrebbe andare a suo sfavore. In ogni caso, la differenza sul 3-3 tra servizi effettivamente tenuti e servizi che è previsto vengano tenuti è leggermente maggiore dopo il primo set: 78.9% effettivo contro il 79.8% previsto. Anche questa differenza non è grande abbastanza da attribuire al settimo game il peso che gli viene dato. 

La parte semplice del lavoro è stata svolta: i giocatori al servizio tengono la battuta sul 3-3 quasi spesso come negli altri momenti della partita. 

Il vantaggio psicologico dell’aver vinto il settimo game

Sul punteggio di 3-3, il set è combattuto e ogni game conta. Questo è ancor più vero nel tennis maschile, dove i break sono difficili da ottenere. Contro molti giocatori, perdere il servizio così avanti nel set è quasi sinonimo di perdere il set stesso. Però, l’attenzione sul settimo game è un po’ strana. È un game importante in cui servire, ma non tanto quanto servire sul 3-4, sul 4-4, sul 4-5 o…ho reso l’idea. Più il game è vicino alla conclusione del set, più diventa importante, almeno sul piano teorico. Se il game sul 3-3 vale davvero tutto questo clamore, deve conferire a chi lo vince un vantaggio psicologico addizionale.

Per misurare l’effetto del settimo game, ho analizzato nuovamente l’insieme di più di 11.000 set che hanno raggiunto il punteggio di 3-3. Per ogni set, ho calcolato – in funzione dei punti vinti al servizio da entrambi i giocatori – due tipi di probabilità che il giocatore al servizio vinca il set.

La prima, la probabilità del giocatore al servizio sul 3-3 di vincere il set prima del settimo game.

La seconda, la probabilità del giocatore al servizio sul 3-3 di vincere il set dopo aver vinto o perso il settimo game

In questo campione di partite, il giocatore medio al servizio sul 3-3 aveva una probabilità del 48.1% di vincere il set prima del settimo game. Il giocatore al servizio ha poi effettivamente vinto il 49.4% dei set [2].

Non c’è riscontro di un vantaggio psicologico

In più di 9000 set, il giocatore al servizio ha tenuto la battuta nel settimo game. In media, aveva una probabilità del 51.3% di vincere il set prima di servire sul 3-3, che è salita a una media del 57.3% di probabilità dopo aver tenuto il servizio. In realtà, ha poi vinto il set il 58.6% delle volte.

Negli altri 2300 set, il giocatore al servizio ha subito il break. Prima di servire sul 3-3, aveva il 35.9% di probabilità di vincere il set, che è scesa al 12.6% dopo aver perso il servizio. Ha poi vinto il set il 13.7% delle volte. In tutti questi casi, il modello sottostima leggermente la probabilità che il giocatore al servizio sul 3-3 finisca per vincere il set.    

Non c’è riscontro qui di un vantaggio psicologico. I giocatori che tengono il servizio sul 3-3 hanno una lieve probabilità in più di vincere il set rispetto alle previsioni del modello, ma la differenza non è maggiore di quella tra il modello e quanto succede sul campo prima del settimo game. In ogni caso, la differenza è minima e riguarda appena un set su cento.

Quando un giocatore perde il servizio sul 3-3, l’evidenza contraddice direttamente l’ipotesi del vantaggio psicologico. Certamente, il giocatore al servizio ha molte meno probabilità di vincere il set, ma è perché ha appena subito il break! Otterremmo lo stesso risultato se analizzassimo il giocatore al servizio sul 3-4, 4-4, 4-5, o 5-5. Una volta considerate le implicazioni matematiche di un break subito nel settimo game, il giocatore al servizio ha una probabilità di vincere il set leggermente superiore a quella del modello. In questo senso il break non comporta un vantaggio psicologico decisivo nella direzione del giocatore che lo ha ottenuto in risposta.    

Conclusioni

Siamo arrivati alla conclusione.Un giocatore tiene il servizio sul 3-3 quasi spesso come negli altri turni di servizio (a prescindere dal fatto che stia usando palline nuove) e vincere o perdere il settimo game non ha un vantaggio psicologico degno di nota sul resto del set [3]. Tenetelo a mente nelle vostre discussioni con il vicino di casa opinionista di tennis.

Note:

[1] Utilizzando un insieme di partite più ridotto, Klaassen e Magnus hanno visto che servire con palline nuove non si traduce in un maggior numero di servizi tenuti. 

[2] Non è esattamente chiaro il motivo per cui questi numeri non sono il 50%. Mi sono fatto l’idea che gli sfavoriti riescono a non rimanere indietro nel punteggio arrivando sul 3-3 un po’ più spesso di quanto il modello preveda.

[3] Ho fatto lo stesso test su partite WTA, sul circuito ITF femminile, sui Challenger e Future per vedere se dessero risultati diversi per livello o genere. I numeri del circuito ITF sono invertiti rispetto a molti degli altri gruppi ma, complessivamente, nessuno di questi sottoinsiemi è in contraddizione con le conclusioni ottenute sulle partite ATP.

Circuito                           WTA    ITF  CHALL    FUT  
Partite                          11203  17143  18717  14052  
                                                  
% serv. tenuti                   64.3%  54.9%  75.8%  69.9%  
Serv. tenuto sul 3-3             63.4%  57.1%  74.6%  69.4%  
% Serv. tenuto (no primo set)    63.9%  54.4%  75.4%  69.6%  
Serv. tenuto sul 3-3 (no primo)  64.0%  56.4%  73.6%  68.4%  
                                                  
Prob. sul 3-3                    49.2%  49.1%  47.8%  48.2%  
Server set%                      50.0%  49.4%  48.0%  48.7%  

VINCERE game sul 3-3:                                       
Prob. sul 3-3                    54.6%  56.6%  51.8%  53.2%  
Prob. sul 4-3                    65.0%  69.2%  58.8%  61.5%  
% set vinto                      65.8%  68.7%  58.9%  61.2%  

PERDERE game sul 3-3:                                      
Prob. sul 3-3                    40.0%  39.1%  36.1%  36.8%  
Prob. sul 3-4                    21.5%  24.2%  14.9%  17.8%  
% set vinto                      22.8%  23.8%  16.1%  20.3%

How Important is the Seventh Game of the Set?

Il punto critico sul 15-30

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 17 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Quasi tutti i commentatori tv di tennis concordano nel dire che sul 15-30 ci si trova in una situazione di punteggio critica, specialmente nel tennis maschile nel quale strappare il servizio all’avversario è un evento piuttosto raro. Una ragionevole spiegazione di questo è che, da 15-30, se il giocatore al servizio perde uno dei due punti successivi, dovrà fronteggiare una situazione di palla break, in particolare due palle break nel caso in cui perda il primo punto (15-40), una palla break se perde il secondo (30-40). 

Un altro modo per affrontare la questione è quello di utilizzare un modello teorico. Un giocatore che vince il 65% dei punti al servizio (più o meno la media ATP) ha il 62% di probabilità di vincere il game da un punteggio di 15-30. Se vince il punto successivo, andando 30-30, la probabilità di tenere il servizio sale al 78%. Se invece perde il punto successivo, andando 15-40, avrà solo il 33% di probabilità di salvare il game. 

Quale sia la sequenza successiva, le situazioni di punteggio sul 15-30 aprono diversi importanti scenari di valutazione. Così come in precedenza ho analizzato il valore del primo punto di ogni game, esploriamo ora più in dettaglio le situazioni di punteggio sul 15-30, in termini di probabilità di raggiungerlo, di esito del punto successivo e di probabilità di riuscire a tenere il servizio, oltre a vedere quali giocatori sono particolarmente forti, o deboli, in queste circostanze.

Arrivare sul punteggio di 15-30

Solitamente, situazioni di punteggio sul 15-30 si presentano circa una volta ogni quattro game, e non lo fanno di più o di meno delle attese. In altre parole, non è particolarmente probabile e non è particolarmente improbabile che un game raggiunga il punteggio di 15-30.

D’altro canto, per alcuni giocatori può essere più probabile o meno probabile ritrovarsi sul 15-30. Stranamente, i giocatori dotati di un grande servizio compaiono a entrambi gli estremi. John Isner è il giocatore che – rispetto alle attese – si trova più spesso a servire sul 15-30, precisamente il 13% delle volte in più di quanto dovrebbe. Considerata l’alta frequenza con cui vince i punti sul proprio servizio, dovrebbe arrivare sul 15-30 solo nel 17% dei game di servizio, contro il 19% delle volte in cui questo effettivamente succede.

L’elenco di giocatori che servono sul 15-30 più spesso di quanto dovrebbero è decisamente eterogeneo. Ho considerato i primi 13 in modo da includere anche un altro giocatore della categoria di Isner, cioè Ivo Karlovic.

Giocatore      Game  GameVA  GameEV  Indice
Isner          3166  537     608     1.13
Sousa          1390  384     432     1.12
Tipsarevic     1984  444     486     1.09
Haas           1645  368     401     1.09
Hewitt         1442  391     425     1.09
Berdych        3947  824     894     1.08
Pospisil       1541  361     390     1.08
Nadal          3209  661     713     1.08
Andujar        1922  563     605     1.08
Kohlschreiber  2948  652     698     1.07
Monfils        2319  547     585     1.07
Kubot          1360  381     405     1.06
Karlovic       1941  299     318     1.06

In questa tabella e nelle successive, “Game” si riferisce al numero di game al servizio nel campione dati di ogni giocatore, con almeno 1000 game al servizio giocati, “Game VA” è il numero atteso di game vinti come predetto dal modello, “Game EV” è il numero di game effettivamente vinti, e “Indice” è il rapporto game vinti/game attesi.

Arrivarci spesso è in parte uno svantaggio

Molti di questi giocatori sono in grado di recuperare da situazioni di punteggio come sul 15-30, anche se arrivarci così spesso è in parte uno svantaggio. Isner ad esempio non solo resta comunque il favorito sul 15-30 – la sua frequenza media del 72% di punti vinti al servizio significa che vincerà il 75% dei game in cui si trova sul 15-30 – ma vince anche l’11% delle volte in più di quanto dovrebbe.     

A vari livelli, questo è vero anche per tutti gli altri giocatori dell’elenco. Joao Sousa non riesce a recuperare da 15-30 con la stessa frequenza con cui ci arriva, ma tiene comunque il game il 4% delle volte in più di quanto dovrebbe. Rafael Nadal, Tomas Berdych e Gael Monfils vincono il servizio dal 15-30 tra il 6 e l’8% delle volte in più di quanto il modello teorico suggerisca. Nel caso di Nadal, è quasi sicuramente collegato alla sua bravura sul lato di campo dei vantaggi, in modo particolare quando si trova a dover salvare palle break.

I forti partenti

All’estremo opposto, ci sono giocatori che potremmo definire “forti partenti” in grado di evitare di trovarsi sul 15-30 più spesso delle attese. Anche in questo caso, la rappresentanza è eterogenea.

Giocatore  Game  Game VA  Game Ev  Indice
Brown      1013  249      216      0.87
Hanescu    1181  308      274      0.89
Raonic     3050  514      462      0.90
Sela       1066  297      270      0.91
Gasquet    2897  641      593      0.93
Del Potro  2259  469      438      0.93
Gulbis     2308  534      500      0.94
Anderson   2946  610      571      0.94
Davydenko  1488  412      388      0.94
Mahut      1344  314      297      0.94

Con alcune eccezioni, molti dei giocatori di questo elenco hanno una reputazione di debolezza nei momenti che più contano in una partita (al 12esimo e 13esimo posto troviamo la coppia olandese di giocatori Robin Haase e Igor Sijsling). Questo ha un senso, perché tipicamente in situazioni di basso punteggio la pressione è minore. Un giocatore che vince punti più spesso, ad esempio, sul 15-0 piuttosto che sul 40-30, non diventa certamente famoso per riuscire a fare la differenza quando davvero conta.

Sul 15-30 alla risposta

Lo stesso tipo di analisi per i giocatori in risposta non è altrettanto interessante. Juan Martin Del Potro, ancora lui, è uno dei giocatori con minori probabilità di raggiungere il 15-30 mentre Isner è, per mia stessa sorpresa, uno tra quelli con maggiori probabilità. Non è possibile individuare un andamento preciso tra i migliori in risposta: Novak Djokovic raggiunge il 15-30 il 2% delle volte in meno delle attese, Nadal l’1% in meno, Andy Murray lo stesso numero di volte e David Ferrer il 3% delle volte in più.

In ultimo, è molto più probabile che i giocatori in risposta non cerchino in tutti i modi di arrivare a una situazione di punteggio di 15-30 se sono già vicini a chiudere il set. Su punteggi di game come 0-4, 0-5 e 1-5, il punteggio arriva sul 15-30 il 10% in meno del solito. All’estremo opposto, due dei game in cui è più frequente una situazione di punteggio di 15-30 sono 5-6 e 6-5, quando si arriva sul 15-30 l’8% in più del solito. 

La grande importanza del punto sul 15-30

Come abbiamo visto, c’è una differenza significativa tra vincere o perdere il punto sul 15-30. Nelle 290 mila partite che ho analizzato per questo articolo, il giocatore che serve o quello che è in risposta non ha un vantaggio specifico sul 15-30. Ci sono però alcuni giocatori che servono meglio di altri.

Da un confronto tra la frequenza di punti ottenuti al servizio sul 15-30 e la tipica frequenza di punti ottenuti al servizio, questo è l’elenco dei primi 11 giocatori, in cui compaiono diversi mancini, non a sorpresa.

Giocatore  Game  Game VA  Game EV  Indice
Young      1298  204      229      1.12
Haase      2134  322      347      1.08
Johnson    1194  181      195      1.08
Paire      1848  313      336      1.08
Verdasco   2571  395      423      1.07
Bellucci   1906  300      321      1.07
Isner      3166  421      449      1.07
Malisse    1125  175      186      1.06
Pospisil   1541  243      258      1.06
Nadal      3209  470      497      1.06
Tomic      2124  328      347      1.06

C’è di nuovo Isner, il quale compensa il fatto di trovarsi sul 15-30 più spesso di quanto dovrebbe.

Questo è l’elenco dei giocatori che vincono il punto sul 15-30 meno spesso di quanto vincano gli altri punti al servizio.

Giocatore      Game  Game VA  Game EV  Indice
Berlocq        1867  303      273      0.90
Montanes       1183  191      173      0.91
Anderson       2946  377      342      0.91
Garcia-Lopez   2356  397      370      0.93
Bautista-Agut  1716  264      247      0.93
Monaco         2326  360      338      0.94
Ebden          1088  186      176      0.94
Dimitrov       2647  360      341      0.95
Gasquet        2897  380      360      0.95
Murray         3416  473      449      0.95

Il confronto delle prestazioni in risposta sul 15-30 è meno interessante. Va notato però che vincere il punto in questa situazione cruciale è correlato, almeno debolmente, con i risultati complessivi di un giocatore: otto dei primi dieci giocatori al mondo del momento (tutti tranne Roger Federer e Milos Raonic) vincono il punto sul 15-30 più spesso delle attese. Djokovic vince il 4% in più delle attese, Nadal e Berdych il 3% in più.    

Anche in questo caso, analizzare l’andamento del game sul 15-30 in funzione del punteggio nel set  è istruttivo. Quando il giocatore al servizio ha un vantaggio consistente nel set, come sul 5-1, 4-0, 3-2 e 3-0, è meno probabile che vinca il punto sul 15-30. Quando invece si trova a dover servire molto indietro nel punteggio, come sullo 0-3, 1-4, 0-4, etc. è più probabile che vinca il punto sul 15-30. Per quanto minima, questa è un’evidenza del fatto che vincere un set può essere difficile. 

Vincere il game dal 15-30

Per il giocatore al servizio, arrivare sul 15-30 non è esattamente una buona idea. Se confrontata con il modello teorico però, non è una situazione così negativa. Dal 15-30 infatti, il giocatore al servizio vince il 2% più spesso di quanto il modello preveda. Per quanto non sia un effetto sostanziale, è comunque persistente.

Questo è l’elenco dei giocatori che giocano meglio del solito da una situazione di 15-30, vincendo game molto più spesso di quanto il modello preveda.

Giocatore  Game  Game VA  Game EV  Indice
Davydenko  1488  194      228      1.17
Johnson    1194  166      190      1.14
Young      1298  163      185      1.13
Isner      3166  423      470      1.11
Mahut      1344  172      188      1.09
Paire      1848  266      288      1.08
Lacko      1162  164      177      1.08
Nadal      3209  450      484      1.08
Klizan     1534  201      216      1.08
Lopez      2598  341      367      1.07
Berdych    3947  556      597      1.07

Ovviamente, questo elenco comprende molti dei giocatori che già si distinguono per il livello di gioco sul 15-30, inclusi molti mancini. La grande sorpresa è data da Nikolay Davydenko, un giocatore considerato da molti debole nelle situazioni più importanti e tra i primi nomi di giocatori con una reputazione discutibile in situazioni ad alta pressione. Eppure Davydenko, almeno verso la fine della sua carriera, era molto efficace in situazioni di punteggio di questo tipo. 

Nadal invece è l’unico di questo elenco a essere anche ai primi posti tra i giocatori in risposta che giocano sopra la media da 15-30. Nadal supera le attese in quell’aspetto di gioco del 7%, meglio di qualsiasi altro giocatore negli ultimi anni.

Infine, questo è l’elenco dei giocatori al servizio che giocano sotto la media da 15-30.

Giocatore  Game  Game VA  Game EV  Indice
Brown      1013  122      111      0.91
Robredo    2140  289      270      0.93
Dolgopolov 2379  306      288      0.94
Delbonis   1110  157      148      0.94
Monaco     2326  304      289      0.95
Bolelli    1015  132      126      0.96
Mathieu    1083  155      148      0.96
Muller     1332  179      172      0.96
Berlocq    1867  256      246      0.96
Dimitrov   2647  333      320      0.96
Gasquet    2897  352      339      0.96

Conclusioni provvisorie

Sotto certi aspetti, questa è una tematica in cui saggezza popolare tennistica e analisi statistica concordano: il punto da giocare su una situazione di punteggio di 15-30 è molto importante, anche se, inserito nel contesto, non ha più importanza di alcuni dei punti successivi.

Questi numeri mostrano come alcuni giocatori siano meglio di altri in determinati momenti di ogni game. Per alcuni, punti di forza e di debolezza si compensano, per altri, le statistiche possono evidenziare una situazione di particolare pressione che il giocatore non è in grado di reggere.

Sebbene alcuni esempi di ciascun estremo sono significativi, è anche importante ricondurli al giusto contesto. Per il giocatore medio, il punteggio raggiunge il 15-30 in circa un quarto dei game giocati, quindi giocare il 10% meglio o peggio delle attese in queste circostanze ha effetto solo su un game ogni quaranta

L’effetto si somma nel corso di una carriera, ma difficilmente si potranno individuare queste tendenze durante una partita o un anche un intero torneo. Per quanto giocare meglio delle attese sul 15-30 (o su qualsiasi altra categoria di punteggio) sia vantaggioso, raramente i migliori giocatori vi fanno affidamento. Se si gioca così bene come Djokovic, non serve giocare ancora meglio nelle situazioni più importanti. È sufficiente mantenere il livello atteso.

The Pivotal Point of 15-30

Quanto è importante il primo punto del game?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 15 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’opinione diffusa tra giocatori, allenatori e commentatori tv è quella per cui il primo punto di ogni game riveste particolare importanza perché, viene spesso sottolineato, determina poi l’andamento dell’intero game.   

Vincere il primo punto è sicuramente meglio che perderlo, ma non è questo di cui sto parlando, perché altrimenti è meglio vincere tutti i punti piuttosto che perderli, non solo il primo.

Se vincere il primo punto del game è più importante che vincere gli altri, questo dovrebbe dare un vantaggio al giocatore che va oltre il semplice fatto di trovarsi sul 15-0 invece che sullo 0-15. 

Quella tra il 15-0 e lo 0-15, al di là di quale sia l’effetto positivo che può generare, è una differenza sostanziale. Usando un modello teorico che considera ciascun punto indipendentemente, un giocatore che vince tipicamente il 60% dei punti al servizio terrà il servizio circa il 74% delle volte.

Questo vuol dire che sul punteggio di 0-0 il giocatore al servizio ha il 74% di probabilità di vincere il game. Sul 15-0, la probabilità sale all’84%. Sullo 0-15 la probabilità è solo del 58%.

Affermare quindi che il primo punto del game è particolarmente importante significa dire che il divario tra vincere e perdere il primo punto è maggiore di quanto queste percentuali indichino.

Più di 20 mila recenti partite ATP e WTA, in cui sono stati giocati quasi mezzo milione di game, mostrano però che il primo punto non ha più importanza di quella che gli viene attribuita.

Se si escludono, forse, alcuni giocatori e qualche specifico momento di gioco durante la partita, il primo punto non determina un impulso addizionale per nessuno dei due giocatori. 

L’assunzione di base

La prima evidenza è anche forse quella più sorprendente: il giocatore al servizio riceve un vantaggio se perde il primo punto del game, mentre se lo vince non ne riceve alcuno. Questo accade ugualmente per le partite ATP e per quelle WTA. Se il giocatore/giocatrice al servizio perde il primo punto, è circa l’1% più probabile che vinca poi il game rispetto al caso in cui i punti fossero davvero indipendenti l’uno con l’altro.   

Ovviamente, questo non è un invito per il giocatore al servizio a perdere il primo punto di ogni game! Per chi vince mediamente il 60% dei punti al servizio, vincere il primo punto comunque aumenta le probabilità di tenere il servizio all’84%. Ma invece del 58% di probabilità di vincere il game dallo 0-15 come previsto dal modello teorico, nella realtà si tratta di una percentuale tra il 58.5 e il 59%. 

Un effetto di questo tipo non lo si nota certamente guardando partite di tennis in tv e probabilmente non ha nemmeno conseguenze pratiche. Ma su campioni molto ampi di recenti partite professionistiche, è dimostrato che il primo punto del game non conferisce al giocatore che lo conquista alcun beneficio aggiuntivo.

Circostanze in cui vincere il primo punto del game conta davvero

Di fondo, il primo punto ha validità solo in termini di effetto immediato sul punteggio. Ci sono però determinate circostante in cui vincere il primo punto sembra poter dare al giocatore al servizio un vantaggio extra, o nelle quali perderlo non rappresenta lo svantaggio che dovrebbe rappresentare.   

Quest’ultima situazione è la più evidente delle due. Sia nel tennis maschile che in quello femminile, chi è al servizio ha una prestazione migliore di quanto indicato dal modello teorico quando è indietro di due break, su punteggi come 0-4, 0-5 e 1-5.

Invece, chi serve in svantaggio di un solo break, fa meglio del modello in misura molto minore, per quanto sempre concreta. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che il giocatore/giocatrice riconosce che quel tipo di game sono assolutamente da vincere (must win games) o, in situazioni di doppio break, a un impegno minore da parte di chi è alla risposta.

A prescindere dal motivo, con un doppio break di svantaggio, le conseguenze dello 0-15 sono molto inferiori rispetto a quanto previsto dal modello. Il giocatore che vince mediamente il 60% dei punti al servizio, invece di trovarsi di fronte a un bivio tra l’84% di probabilità di tenere il game dal 15-0 o il 58% sullo 0-15, può aspettarsi il 91% di probabilità di tenere il game dal 15-0 o il 71% di probabilità dallo 0-15. 

Non ci sono altri effetti se non il vantaggio del punteggio

La situazione si capovolge servendo in vantaggio di un break, ma con effetti minori. Su punteggi come 6-5 e 3-2, il modello ha una buona capacità predittiva della probabilità di tenere il game dal 15-0, ma chi è al servizio ha prestazioni inferiori al modello dallo 0-15.

La differenza è però solo di pochi punti percentuali e può essere dovuta a una maggiore aggressività o concentrazione dal giocatore in risposta, o al fatto che chi è al servizio percepisce la tensione di un punteggio importante.

Tuttavia, nella maggior parte delle situazioni di punteggio l’effetto del primo punto del game non è diverso da quanto visto in aggregato, con il primo punto che non genera effetti se non quelli in termini di vantaggio immediato sul punteggio.

Quanto il giocatore al servizio è condizionato dal primo punto del game

Ci sono alcuni giocatori che sembrano avere una marcia in più dopo la conquista del primo punto. Si raggruppano in due categorie: i giocatori che confermano l’opinione diffusa di riuscire a giocare molto meglio (rispetto alle previsioni del modello) dal 15-0 invece che dallo 0-15, e quelli che sono all’estremo opposto, in grado cioè di ridurre la differenza tra i probabili esiti associati al trovarsi sul 15-0 piuttosto che sullo 0-15. 

Tra i 38 giocatori ATP di cui possiedo dati per più di 2000 game di servizio, quello della prima categoria che riceve maggiori benefici dal primo punto è Richard Gasquet. Dal 15-0, supera il modello di circa l’1%, ma dallo 0-15 gioca peggio del 5%. È l’unico giocatore del lotto per cui la differenza tra i due eventi è maggiore del 5%. 

Dall’altro lato dell’intervallo si trova Santiago Giraldo, che dal 15-0 ha una prestazione peggiore del modello del 2%, ma dallo 0-15 lo supera del 7%.

Le cose diventano interessanti per il resto della categoria di Giraldo. Gli altri quattro giocatori con una differenza uguale o superiore al 4% sono Feliciano Lopez, John Isner, Juan Martin Del Potro e Rafael Nadal. Non sorprende trovare due giocatori mancini, visto che tipicamente vincono più punti dal lato di campo dei vantaggi. È così anche per gli altri mancini del campione considerato, anche se con differenze minori.

La presenza di giocatori dal servizio bomba alla fine di questo elenco si spiega meno facilmente. Forse perché riescono agevolmente a tenere il servizio ogni volta che servono, possono delle volte perdere la concentrazione nel primo punto del game e ritrovarla dopo essere andati sullo 0-15.

Identica distribuzione tra le donne

Tra le giocatrici WTA, la distribuzione è identica. L’effetto più estremo è sul servizio di Sorana Cirstea che, come Giraldo, è molto più efficace (rispetto al modello) se è sullo 0-15 anziché sul 15-0. Le altre giocatrici con una differenza maggiore del 5% sono Flavia Pennetta, Ekaterina Makarova, e Ana Ivanovic.

All’altro estremo, nella categoria di Gasquet, si trovano Francesca Schiavone, Li Na, Julia Goerges e Eugenie Bouchard, tutte giocatrici che sono più efficaci delle attese del 2% da 15-0 e del 4% in meno da 0-15.

Diffusa esagerazione

Come spesso accade, la saggezza popolare tennistica dimostra di possedere un fondo di verità…qualche volta, forse e in misura decisamente minore di quanto generalmente accettato! Anche nelle situazioni di maggiore condizionamento, come quelle di Gasquet o Cristea, il risultato del game non cambia più spesso di una volta ogni due o tre partite.   

Il primo punto del game è molto importante, perché andare sul 15-0 è molto meglio dello 0-15. Detto questo, a eccezione di alcuni giocatori e in poche situazioni di gioco – alcune delle quali di fatto riducono la differenza tra il 15-0 e lo 0-15 – c’è poca evidenza all’opinione diffusa che il primo punto del game rivesta più importanza del suo mero ruolo di iniziatore del punteggio. 

How Important is the First Point of Each Game?