Le palle break convertite e le partite molto equilibrate che Federer non vince

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 14 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Alla data di traduzione, negli scontri diretti Djokovic conduce su Federer per 23 vittorie a 22. Per mantenere i successivi riferimenti numerici, si è lasciato inalterato il valore riportato nel testo originale, n.d.t. 

Negli scontri diretti, Roger Federer e Novak Djokovic hanno 21 vittorie a testa, ma la loro più recente rivalità è stata decisamente a favore di Djokovic che, dal 2011, ha vinto 15 delle ultime 23 partite, compresa la finale degli US Open 2015 giocata la scorsa notte.

Le partite lotteria

Sono partite, le loro, generalmente caratterizzate da un punteggio molto ravvicinato. Infatti, solo in 7 su 23 uno dei due ha vinto più del 55% dei punti, e in più della metà (12 su 23) nessuno ha vinto più del 53% dei punti, facendole rientrare nella mia definizione di partite lotteria

Nelle 12 partite lotteria giocate tra Federer e Djokovic dal 2011, il giocatore che ha vinto più punti ha poi vinto anche la partita. Però Djokovic ha vinto molti più di queste partite tirate, ben 9 su 12. La finale degli US Open 2015 è stata l’esempio perfetto: Federer ha vinto più punti alla risposta del suo avversario, ed è stata la terza volta dalle Finali di stagione del 2012 che Djokovic ha battuto Federer vincendo il 50.3% dei punti.    

Quando un giocatore vince il 50.3% dei punti, vince poi la partita solo il 59% delle volte. Anche con il 51.8% dei punti vinti, vale a dire la percentuale dei punti totali vinti da Djokovic in altre tre partite giocate contro Federer, il giocatore con più punti ha poi vinto la partita solo il 91% delle volte. 

Se molte di queste partite sono estremamente equilibrate, e uno dei due giocatori ne vince comunque così tante, deve esserci un’altra spiegazione. 

Di nuovo le palle break

Chiaramente, Djokovic vince più punti importanti di Federer. Considerando inoltre che Federer ha vinto più della metà dei tiebreak giocati contro Djokovic, come passaggio logico successivo vanno analizzate le palle break. 

La presunta incapacità di Federer di trasformare le palle break è da lungo tempo fonte di preoccupazione per i suoi tifosi. All’inizio dello scorso anno, analizzando la percentuale di conversione delle palle break, ho scoperto che Federer in effetti trasforma meno palle break di quelle che dovrebbe trasformare, ma solo di qualche punto percentuale. Inoltre, come detto, non è un problema di questi giorni: Federer convertiva meno palle break di quanto avesse dovuto anche nel periodo in cui il suo dominio era incontrastato.  

Non può più essere solo un’eccezione 

Djokovic però rappresenta un altro livello di tennis, e, visto che giocano uno contro l’altro così frequentemente, non è più possibile considerare la scarsa trasformazione delle palle break da parte di Federer come una semplice eccezione.

Nelle ultime 23 partite, compresa la finale degli US Open 2015 di ieri in cui Federer ha fatto 4 su 23 nelle palle break, Federer ha trasformato il 15% delle palle break in meno rispetto a quanto avrebbe dovuto, vale a dire il doppio, in negativo, della sua più bassa percentuale di conversione per singola stagione. Djokovic invece ha trasformato le palle break a sua disposizione in una percentuale simile a quella con cui ha vinto gli altri punti in risposta.    

Ipotizzare che Federer non sia in grado di reggere la pressione sembra più un esercizio di fantasia, ma l’evidenza dimostra che, nelle situazioni di particolare importanza di punteggio, anche Federer sviluppa il così detto “braccino”.

Si può pensare di escludere a priori due di spiegazioni di questa tendenza, da una parte le opportunità di break, dall’altra il livello di gioco espresso in risposta da sinistra, cioè il lato di campo dei vantaggi.

Le opportunità di break

Iniziamo con le opportunità di break. 4 palle break su 23 è senza dubbio un rapporto di conversione deficitario, ma c’è un aspetto positivo: se si riesce ad avere 23 opportunità per fare break contro un giocatore del calibro di Djokovic, significa che si sta giocando un ottimo tennis.

Di più, c’è una dipendenza molto chiara, quasi diretta, tra i punti vinti in risposta e le opportunità di break generate e nella finale di ieri Federer ha superato le attese del 77%. Su 21 game in risposta un giocatore che vince il 39% di punti come ha fatto Federer dovrebbe creare solo 13 opportunità di break. Una conversione di 4 su 13 sarebbe comunque deludente, ma non così negativa come 4 su 23. 

In queste 23 partite, Federer ha ottenuto opportunità di break per quanto ci si attendesse e lo stesso ha fatto Djokovic. Si tratta evidentemente del livello di gioco espresso sul 30-40 o sul vantaggio esterno (40-AD), non invece di quello in situazioni più tranquille di punteggio. Ad esempio, nei punti che non fossero palle break, Federer ieri ha risposto molto efficacemente.

Risposta dal lato dei vantaggi

La seconda possibile spiegazione ha a che fare con il gioco di Federer in risposta dal lato di campo dei vantaggi. Può essere questo il caso contro Rafael Nadal, che sfrutta abilmente il servizio mancino per salvare le palle break. Non vale però negli scontri diretti con Djokovic.

Secondo i dati raccolti dal Match Charting Project, nessuno dei due giocatori gioca decisamente meglio in un lato del campo piuttosto che nell’altro. Djokovic vince più punti al servizio sul lato destro – il 65% contro il 64% sul lato sinistro, il 66% contro il 64% sui campi in cemento – e Federer vince punti in risposta nella stessa percentuale su entrambi i lati del campo. 

Agli esperti piace dire che il tennis è un confronto di tecnica e stile, e in questa rivalità entrambi i giocatori hanno messo i discussione i rispettivi canoni.

Nella sua carriera Djokovic ha salvato palle break con più successo della media, ma mai così bene come riesce a fare contro Federer. Federer, di converso, ha prodotto alcune delle sue migliori prestazioni alla risposta contro Djokovic…se si esclude la scarsa percentuale di trasformazione di palle break, che è più bassa della sue già non proprio brillanti medie storiche.

Conclusioni

Forse l’unica soluzione per Federer è quella di trovare un modo per migliorare i game in battuta, in cui però si esprime già su standard altissimi.

Nella finale del Cincinnati Masters 2015 – l’ultima partita tra i due prima della finale degli US Open – Federer ha trasformato 1 sola palla break sulle 8 concesse da Djokovic, un tipo di statistica che farebbe immediatamente pensare a una sconfitta. In quella partita invece, il solo break di Federer è stato sufficiente, visto che Djokovic non ha mai strappato il servizio all’avversario.

Federer ha vinto il 56.4% dei punti totali, la terza più alta percentuale nelle partite contro Djokovic dal 2011. Se Djokovic continuerà a giocare meglio nei punti più importanti e vincere le partite combattute, per vincere Federer avrà a disposizione solamente la non invidiabile alternativa di dover giocare decisamente meglio del più forte giocatore al momento in circolazione.

Break Point Conversions and the Close Matches Federer Isn’t Winning

La discutibile saggezza della palla corta

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 20 novembre 2013 – Traduzione di Edoardo Salvati

Più di qualsiasi altro colpo, la palla corta ha il potere di enfatizzare il talento innato del giocatore che la colpisce o la natura dilettantesca del suo tentativo. A separare le due condizioni è la proverbiale sottile linea rossa.

Quando si combinano talento e goffaggine, che valutazione si può fare sulla palla corta? Quanto vantaggio ricava o che effetto negativo subisce il giocatore che la utilizza con regolarità?

Le palle corte di Volandri

Nella partita conclusiva delle Finali Challenger del 2013 tra Alejandro Gonzalez e Filippo Volandri, Volandri ha colpito l’incredibile numero di 23 palle corte, quasi una per game. Volandri è un professionista di esperienza con un’eccellente conoscenza tattica del gioco sulla terra, quindi ha evitato le palle corte più maldestre, sbagliandone solo tre in tutto. Tuttavia, nonostante il suo avversario ami stazionare ben oltre la linea di fondo, Volandri ha vinto solo 11 di quei 23 punti. Quasi la metà delle volte in cui la palla corta è entrata, Gonzalez ci è arrivato, ha piazzato un colpo di recupero ed è riuscito a vincere il punto.    

La prestazione di Volandri in finale non è stata un’anomalia. Nella semifinale con Teymuraz Gabashvili, Volandri ha tentato 17 palle corte vincendo solo 9 punti. L’altro giocatore delle Finali Challenger dalla palla corta facile, Oleksandr Nedovyesov, ne ha colpite 19 contro Gabashvili in una partita di round robin. Anche se 8 di quelle 19 palle corte sono stati vincenti, Nedovyesov ha poi perso 10 dei successivi punti. 

Il torneo di San Paolo 2013

Con i dati punto per punto relativi a cinque partite del torneo di San Paolo 2013, è possibile ampliare l’analisi delle tattiche legate alla palla corta e dei risultati che ne derivano. Per quanto questo campione possa non essere rappresentativo di tutto il tennis giocato sulla terra (per prima cosa, l’altitudine rende più facile raggiungere una palla corta), nel loro insieme i numeri sollevano dei dubbi sulla saggezza dell’uso della palla corta.   

In totale, i sei giocatori delle cinque partite considerate hanno colpito 95 palle corte. 16 (il 16.8%) sono risultate in errori non forzati, rispetto a una frequenza complessiva di circa un errore non forzato ogni 10 scambi. 29 (il 30.5%) sono state vincenti diretti, mentre altre 5 hanno portato a un errore forzato che ha concluso immediatamente il punto. Rimangono 45 palle corte che l’avversario è riuscito a raggiungere. Di queste, il giocatore che ha colpito la palla corta ne ha vinte solo 19 (il 42.2%).

Il risultato complessivo non è poi così male. Il giocatore che ha giocato la palla corta ha vinto 53 punti (il 55.8%), e il 67.1% dei punti quando la palla corta è entrata.

Il gruppo degli infrequenti

C’è una differenza considerevole però nella riuscita della palla corta tra i giocatori che la utilizzano con regolarità (Volandri e Nedovyesov) rispetto agli altri quattro, che hanno giocato in media meno di 4 palle corte a partita. Mentre questi giocatori di quello che ho definito “gruppo degli infrequenti” – vale a dire Gabashvili, Gonzalez, Guilherme Clezar, e Jesse Huta Galung – possono avere minore dimestichezza con la palla corta, è probabile che abbiano scelto di usarla con molta più attenzione, quando cioè ricorrere a quel colpo era la tattica più evidente. 

Il gruppo degli infrequenti ha colpito 22 palle corte, sbagliandone solo due. Non solo 9 sono state vincenti, ma i risultati complessivi sono stati altrettanto positivi, perché hanno vinto 14 di quei colpi (il 63.6%). Se togliamo i numeri del gruppo degli infrequenti dal conteggio totale, i giocatori dalla palla corta facile hanno vinto appena il 53.4% dei punti in cui hanno utilizzato quella tattica.

Il 53.4% non è terribile, tutto sommato se si vincono il 53.4% dei punti di una partita, si vince poi quasi sempre anche la partita. Tuttavia, il punto in cui ha senso giocare una palla corta non è il tipico punto medio. Di solito, il giocatore che gioca la palla corta ha una posizione in campo migliore del suo avversario, il quale può trovarsi sbilanciato o molto dietro la linea di fondo.

A volte può non essere la soluzione più efficace

Non è sempre questo il caso, specialmente quando il giocatore decide di giocare la palla corta semplicemente per cercare di concludere il punto, o perché ha perso improvvisamente lucidità. Nella maggior parte delle situazioni però, il giocatore che gioca la palla corta ha un vantaggio così evidente in termini di posizione in campo che una tattica più comune, come ad esempio un colpo aggressivo durante lo scambio seguito magari da un approccio a rete, sarebbe una soluzione più efficace. 

C’è un’altra considerazione che esula dal contesto di uno specifico punto. Un giocatore che non riesce a raggiungere una palla corta probabilmente terrà a memoria il punto perso per uno o due game successivi, giocando leggermente più vicino alla linea di fondo, alterando anche nel processo la sua predisposizione di gioco. È possibile che si verifichi un effetto duraturo favorevole al giocatore che ricorre abitualmente alla palla corta.

Ma tra le 4 palle corte di Gonzalez e le 23 di Volandri durante la finale, il vantaggio marginale di ogni palla corta addizionale deve esaurirsi. Trovo difficile pensare che una palla corta per game abbia effetti strategici più duraturi di una palla corta ogni tre game. Se così fosse, Volandri ha colpito 13 o 14 palle corte in più di quanto avrebbe dovuto. Perciò, in circa l’8% dei 162 punti della finale, Volandri ha sprecato un vantaggio di posizione giocando un colpo dal 50% di probabilità di successo.

L’effetto ricaduta 

Più dati a disposizione possono dare sicuramente una migliore visione d’insieme della tattica della palla corta sulla terra. Si potrebbe riuscire a determinare se esiste veramente un “effetto ricaduta” a seguito di una palla corta vincente e, se è questo il caso, quante palle corte servono per raccoglierne i benefici. Fino a quel momento, è giusto chiedersi se le palle corte valgono il loro rischio, specialmente quando ci sono a disposizione alternative a ben più alta percentuale realizzativa.

The Questionable Wisdom Of The Drop Shot

Evitare i doppi falli quando più conta

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 24 aprile 2013 – Traduzione di Edoardo Salvati

Più il momento è ad alta tensione, più è probabile che conservi spazio nella memoria. Ci si ricorda facilmente se il proprio giocatore preferito ha perso un game con un doppio fallo; si dimentica velocemente se il doppio fallo è arrivato sul 30-0 a metà del set precedente. Quale dei due è più frequente, il mega “braccino” o l’irrilevanza?

Ci sono tre cause principali di un doppio fallo.

  • Aggressività sulla seconda palla di servizio. Un rischio eccessivo e si commettono più doppi falli. Maggiore cautela e l’avversario risponderà con più efficacia.
  • Difficoltà nel gestire la pressione. Se si sbaglia anche la seconda, si perde il punto. Più importante il punto, maggiore la pressione per vincerlo.
  • Casualità. Nessun servizio è perfetto e, una volta ogni tanto, una seconda può uscire in assenza di apparenti motivi (ma anche per le condizioni di vento, distrazioni, corde che si rompono, etc).

In questo articolo illustrerò una metodologia per misurare quanto ciascuno di questi fattori contribuisca al doppio fallo nelle partite del circuito maschile, in modo da trovare delle valide risposte.

Volatilità durante la partita

Sul punteggio di 30-40, la posta in gioco è decisamente più alta che sullo 0-0 o sul 30-0. Se si ritiene che i doppi falli siano in larga parte causati dalla difficoltà del giocatore al servizio nel gestire la pressione, ci si dovrebbe aspettare più doppi falli sul 30-40 che in punteggi a minore pressione. Per rispondere con cognizione alla domanda, è necessario attribuire un valore numerico alla “maggiore pressione” e alla “minore pressione”.

Occorre fare ricorso al concetto di volatilità. La volatilità quantifica l’importanza di un punto prendendo in considerazione diverse probabilità di vittoria del punto stesso. Nel tennis maschile, un giocatore medio ha l’81.2% di probabilità di tenere il servizio all’inizio del game. Se vince il primo punto, le probabilità di vittoria del game salgono a 89.4%. Se lo perde, le probabilità scendono a 66.7%. La volatilità del primo punto è definita come la differenza tra questi due possibili risultati, quindi: 89.4% – 66.7% = 22.7%.

(Naturalmente, diverse cose possono alterare le probabilità. Ad esempio, un giocatore forte al servizio, una superficie veloce o un giocatore debole in risposta aumentano la percentuale con cui chi serve tiene il servizio. Quelle indicate sono tutte percentuali medie.)

Il punto a minore volatilità è sul 40-0, quando la volatilità si attesta sul 3.1%. Se chi è al servizio vince il punto, vince anche il game (dopodiché la sua probabilità di vincere il game è diventata, ovviamente, 100%). Se perde il punto, va sul 40-15, situazione di punteggio che comunque assegna a chi sta servendo una probabilità di tenere il servizio del 96.9%, considerando quanto sia importante questo colpo tra gli uomini.

Il punto a maggiore volatilità è 30-40 (o, per equivalenza, il vantaggio esterno), quando la volatilità è 76.0%. Se chi è al servizio vince il punto, sale a parità (40-40), punteggio che rimane comunque percentualmente in suo favore. Se perde il punto, ha perso il game, subendo quindi il break.

Mettendo dentro…i doppi falli

Utilizzando i dati a disposizione su ogni singolo punto dei tornei dello Slam del 2012, siamo in grado di raggruppare i doppi falli in funzione del punteggio nel game. Sul 40-0, il giocatore al servizio ha commesso doppio fallo il 3.0% dei punti, sul 30-0 il 4.2% e sul vantaggio esterno il 2.8%.  

In ciascuno dei nove punteggi a minore volatilità, il giocatore al servizio ha commesso doppio fallo il 3% dei punti. Nei nove punteggi a maggiore volatilità, la frequenza è stata solo di 2.7%.

(Risultati più completi si possono trovare in fondo all’articolo).

Se vogliamo essere più sofisticati nell’analisi, possiamo determinare la correlazione tra la frequenza dei doppi falli e la volatilità. Naturalmente, la relazione è negativa, con coefficiente di determinazione (r-quadrato) di .367. Data la relativamente bassa frequenza dei doppi falli e la possibilità che un giocatore possa semplicemente perdere la concentrazione in qualsiasi momento, è una relazione ragionevolmente significativa.

In realtà, possiamo fare meglio. Punteggi come 30-0 o 40-0 sono dominati da giocatori con un servizio migliore, mentre giocatori con un servizio più debole si troveranno più facilmente sul 30-40. Per rendere confrontabili gruppi leggermente diversi, possiamo introdurre i “doppi falli adeguati” stimando quanti doppi falli dovremmo attenderci da questi diversi gruppi. Ad esempio, scopriamo che sul 30-0, il giocatore al servizio commette doppio fallo il 26.7% in più della sua media stagionale, mentre sul 30-40 il doppio fallo occorre il 28.6% in meno della media.   

Facendo i calcoli con i doppi falli adeguati rispetto ai doppi falli effettivi, otteniamo un r-quadrato di .444. In misura moderata, il giocatore al servizio limita i propri doppi falli quando la pressione aumenta a suo sfavore.

Pressione su pressione

In qualsiasi situazione di punteggio cruciale, una di quelle che potrebbe decidere il game, il set o la partita, il giocatore al servizio commette meno doppi falli della sua media stagionale. Sulle palle break, il 19.1% meno della media. Servendo per vincere il set, il 22.2% in meno. Dovendo salvare il set, un incredibile 45.2% in meno.   

Anche sulle palle match i numeri sono sorprendenti, ma considerando il campione limitato a disposizione, le conclusioni vanno lette con cautela. Sulle palle match, il giocatore al servizio ha commesso complessivamente doppio fallo solo 4 volte in 296 opportunità (1.4%), mentre in situazioni di palle match da salvare ci sono stati doppi falli 4 volte su 191 opportunità (2.2%).

Più concentrati o più moderati?

A questo punto è chiaro che i doppi falli sono meno frequenti sui punti più importanti. Della psicologia spicciola potrebbe indurci a concludere che i giocatori perdano concentrazione sui punti meno importanti, commettendo doppi falli sul 40-0. O che conservino le proprie energie dedicando massima attenzione solo sui punti più importanti.

Per quanto ci sia sempre un minimo di verità nella psicologia spicciola – dopo tutto, anche Ernests Gulbis rientra nel gruppo analizzato – è più probabile che i giocatori tengano sotto controllo la frequenza dei doppi falli modificando l’approccio alla seconda di servizio.

Con più di 9 possibilità su 10 di vincere il game, perché mettere in gioco una seconda carica di effetto quando si può cercarne una vincente in topspin all’incrocio? Sulla palla break, niente tentativi di seconde vincenti, ma solo metterla dentro per cercare di non perdere il punto. 

I numeri in questo caso sono di supporto, almeno in minima parte. Se i giocatori cercano di evitare i doppi falli con seconde di servizio più conservative sui punti più importanti, ci attenderemmo di vederli perdere qualche punto in più quando l’avversario risponde al servizio.

È una relazione debole, ma i dati suggeriscono che almeno va nella direzione attesa. La correzione tra la volatilità del game e la percentuale di punti vinti sulla seconda di servizio è negativa (r = -0.282, r-quadrato = 0.08).  A complicare i risultati potrebbe mettercisi un approccio conservativo del giocatore in risposta, quando anche il suo obiettivo immediato è semplicemente quello di rimettere la palla in gioco.

Chiaramente, la casualità riveste un ruolo decisivo nei doppi falli, come ci si aspettava dall’inizio. Ma è anche vero che le cose vanno più in la di questo. Alcuni giocatori non riescono a gestire la pressione e a volte commettono doppio fallo, ma questo succede in misura ridotta. I giocatori al servizio dimostrano la capacità di limitare i propri doppi falli, e lo fanno all’aumentare dell’importanza del punto.

L’elenco mostra i risultati completi dalle partite del tabellone principale maschile degli Slam del 2012. “Adj DF%” rappresenta il rapporto tra doppi falli effettivi e doppi falli attesi, considerando la media stagionale di ogni giocatore. “Vol” è la volatilità come descritta nell’articolo. Nelle righe in fondo alla tabella, “PP” è la palla per chiudere la partita, “SP” è il punto del set e “PP/PS Contro” conteggiano i punti in cui il giocatore alla risposta ha avuto il punto della partita o del set.

PUNTEGGIO  DF%   Adj DF%  VOL
0-0        3.4%  1.01     22.7%
0-15       3.5%  1.03     33.3%
0-30       3.1%  0.88     39.9%
0-40       2.7%  0.76     31.1%
15-0       3.5%  1.07     16.7%
15-15      2.9%  0.85     29.5%
15-30      3.1%  0.89     44.8%
15-40      3.4%  0.99     48.6%
30-0       4.2%  1.27     9.5%
30-15      3.4%  1.00     20.9%
30-30      3.2%  0.94     42.7%
30-40      2.5%  0.71     76.0%
40-0       3.0%  0.93     3.1%
40-15      3.3%  0.99     8.7%
40-30      3.5%  1.04     24.0%
DEUCE      3.1%  0.91     42.7%
AD IN      3.2%  0.95     24.0%
AD OUT     2.8%  0.79     76.0%
BREAK PT   2.8%  0.81
PP Contro  2.2%  0.61
PS Contro  1.9%  0.55
GAME PT    3.3%  0.98
PP         1.4%  0.45
PS         2.4%  0.78

Avoiding Double Faults When It Matters

La fortuna del tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 18 ottobre 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

In un precedente articolo ho illustrato una metodologia per distinguere “giocare bene nei tiebreak” da “giocare bene a tennis”. Nella maggior parte dei casi, i giocatori più bravi vincono più tiebreak, ma alcuni giocatori riescono a vincere più tiebreak di quanti, complessivamente, la loro bravura suggerirebbe.

Ci si trova allora di fronte a domande di questo tipo: perché quei giocatori vincono più tiebreak delle attese? Ci riescono sempre? Dipende dal loro stile di gioco? Possiedono stregonerie da tiebreak? È possibile scrivere almeno due paragrafi di un articolo sul tiebreak evitando di parlare di John Isner?

Faccio ora due ipotesi, che approfondirò poi singolarmente.

I giocatori che vincono più tiebreak delle attese ci riescono perché il loro stile di gioco si adatta perfettamente al tiebreak, che significa a grandi linee che hanno un ottimo servizio.

I giocatori che vincono più tiebreak delle attese ci riescono perché sono implicitamente bravi nei tiebreak, sia per saper fare la differenza nei momenti chiave, sia per sangue freddo, sia per generare timore reverenziale negli avversari. 

L’ipotesi in cui il vantaggio è dato dal servizio

Qualche giorno fa ho scritto che i miei numeri sembrano indicare di peggiori percentuali al servizio (meno ace, meno punti vinti) nei tiebreak rispetto ai game o set che li precedono. Se le percentuali di ogni giocatore peggiorano allo stesso modo, dovremmo aspettarci che ciascuno di essi vinca il numero di tiebreak per lui atteso. 

È molto più facile però che per alcuni giocatori le percentuali al servizio nel tiebreak non peggiorino, anzi, possano migliorare. Se così accade, quei giocatori giocano meglio della media e vincono più tiebreak di quelli attesi.

Va anche considerato che per alcuni giocatori un lieve peggioramento delle percentuali al servizio non ha di fatto grande importanza. Nel match della settimana scorsa tra Isner e Kevin Anderson, Isner ha vinto il 79% dei punti al servizio e Anderson il 77%. Almeno un servizio su cinque è stato un ace e molti di più sono stati i servizi vincenti. Se entrambi i giocatori avessero servito con maggiore cautela nel tiebreak, ce ne saremmo davvero accorti?

Quando Fernando Verdasco inizia a giocare con più cautela, è impossibile non accorgersene, e quindi più facile vincere un tiebreak contro di lui. Forse non è così per servitori del calibro di Isner.   

Sono tutte considerazioni affascinanti (specialmente per me, visto che le ho pensate e ci ho creduto per diverse ore…), ma i numeri non le supportano. Non esiste una statistica affidabile che evidenzi una dipendenza diretta tra un servizio bomba e superare le attese nei tiebreak.

Per fare qualche esempio: Isner è un mostro del tiebreak, probabilmente il migliore giocatore di tiebreak della sua generazione. Anche Pete Sampras e Roger Federer sono tra i migliori di sempre. Sotto la media però troviamo giocatori come Ivo Karlovic, Sam Querrey, Marc Rosset e Robin Soderling, tutti giocatori appunto dotati di un gran servizio.

Proviamo a vedere la seconda ipotesi.

L’ipotesi in cui il vantaggio è dato da componenti implicite

Se esistessero delle componenti mentali implicite che consentono ad alcuni giocatori di vincere più tiebreak di quanto altrimenti farebbero, sarebbe impossibile sottoporle alla controprova numerica: banalmente, se ciò fosse possibile, smetterebbero di essere implicite.

Ma se alcuni giocatori possiedono stregonerie da tiebreak, probabilmente continuano a praticare la loro magia per più di una singola stagione. A

d esempio, quando Novak Djokovic ha vinto un impressionante 19% e 17% di tiebreak in più delle attese nel 2006 e 2007, avremmo dovuto pensare che è più bravo degli altri nei tiebreak e quindi prevedere una simile eccellenza per il 2008. Poi però nel 2008, 2009 e 2010, Djokovic ha a malapena superato la media, vincendo il 2 o 3% di tiebreak in più delle attese. A questo punto potremmo fare una nuova previsione per Djokovic per i prossimi anni: vincere qualche tiebreak in più delle attese. Nel 2011 ovviamente Djokovic ha vinto il 10% dei tiebreak in meno delle attese. Al momento nel 2012 è al 9% sotto la media.

A volte queste oscillazioni possono essere spiegate dal livello di fiducia nel proprio gioco. Più spesso, sono assolutamente casuali. Se da un lato pochi giocatori (Isner e Federer tra questi) mantengono eccellenza ogni anno, la grande maggioranza degli altri sembra muoversi in modo casuale.

La correlazione da un anno all’altro per l’insieme di giocatori con almeno 15 tiebreak giocati per due anni di fila (dal 1991 a oggi) è praticamente zero (anche con parametri meno restrittivi, è comunque un valore appena sopra allo zero).

Se davvero una bravura implicita nei tiebreak fosse diffusa tra i giocatori, ce ne sarebbe traccia in termini di correlazione da un anno all’altro. È possibile che ci siano dei giocatori in possesso di stregonerie da tiebreak, ma per lo scopo di questo tipo di analisi, quando si parla di livello di gioco nei tiebreak superiore alla media è più preciso ipotizzare che il record di un giocatore in una stagione abbia scarsa attinenza con i risultati che lo stesso potrà ottenere l’anno successivo. 

Un spiraglio di luce

Ci si sente frustrati dopo un po’ perché si pensa che debba esserci una spiegazione a un livello eccellente di gioco nel tiebreak. Esiste in realtà una semplice statistica che, in misura ridotta, ne dà evidenza: il numero di tiebreak giocati. In altre parole, i giocatori che giocano più tiebreak generalmente sono anche quelli che superano le attese nei tiebreak stessi.

Il legame che viene in mente per primo (dopo la bravura al servizio, che però abbiamo già escluso) è l’allenamento. Maggiore è il numero dei tiebreak giocati in condizioni di partita, più un giocatore diventa bravo a giocarli. Isner, Federer, Sampras, si trovano a fine set sul 6-6 più spesso quasi di qualsiasi altro giocatore e i loro record nei tiebreak sono infatti tra i migliori.

Naturalmente, il rapporto di causa-effetto è bi-direzionale. Forse il livello di fiducia nel proprio gioco al tiebreak permette a un giocatore di affrontarlo con maggiore sicurezza. Mentre Djokovic e Andy Murray potrebbero cercare di ottenere un break in situazioni di punteggio come 5-4 o 6-5 per chiudere il set, per Isner va bene anche arrivare al tiebreak e giocarselo.   

L’effetto è marginale (r < 0.2) e non è in grado di spiegare la varianza da un anno all’altro che si osserva nella prestazione, migliore o peggiore, di un giocatore al tiebreak. Ma è già qualcosa.

Le conseguenze della fortuna nei tiebreak

E se giocare meglio, o peggio, delle attese nei tiebreak fosse solo, in ultimo, questione di fortuna? O, più genericamente inteso (e con maggiore prudenza), se la fortuna ci dicesse poco o nulla sulla probabilità di giocare bene, o male, i tiebreak futuri? 

Per prima cosa, ci sarebbero conseguenze significative sulla possibilità di fare previsioni. Se i risultati ottenuti nei tiebreak in un anno non sono indicazione dei risultati ottenibili nei tiebreak dell’anno successivo, i giocatori con oscillazioni estreme positive o negative nella loro prestazione in una stagione, in quella successiva possono attendersi di regredire verso la media.

Non è chiaro come questo si traduca nella pratica, ma se si tolgono a Feliciano Lopez i cinque tiebreak vinti in più delle attese nel 2011, resta un giocatore che probabilmente non è classificato tra i primi 20. Ci si attende cioè che Lopez scenda di classifica se non vince più così tanti tiebreak.

In termini più concreti, questi risultati potrebbero essere di beneficio per il livello di fiducia di quei giocatori con un record nei tiebreak mediocre. Se ti chiami Andreas Seppi, un giocatore che ha un record negativo nei tiebreak in carriera (alla data di traduzione, 155-171, pari al 48% dei tiebreak vinti, n.d.t.), e se ti trovi sul punteggio di 6-6 contro, ad esempio, Karlovic, sei legittimato a più dubbi del dovuto.

Ma se sei al corrente che il tuo record negativo nei tiebreak è solo vagamente correlato alle tue capacità e che il record di Karlovic non è così impressionante come sembri, potresti avere un approccio diverso. Proprio Seppi nel periodo 2006-2011 ha ottenuto risultati inferiori alle attese nei tiebreak, ma quest’anno ne ha vinti più delle attese, compresi uno contro Djokovic e contro Isner.   

C’è molto altro lavoro da fare su questo tema, mettere in discussione un paio di ipotesi consolidate nell’immaginario collettivo certamente non risolve la questione.

Ma se abbiamo imparato davvero qualcosa è che i tiebreak non sono quello che sembrano. I giocatori che si pensa siano dei maestri hanno in realtà spesso dei risultati modesti. E, per quanto il buon senso possa indurre a crederlo, sul tiebreak influiscono molti più fattori dell’avere a disposizione un ottimo servizio.

The Luck of the Tiebreak

Chi eccelle davvero nei tiebreak?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 17 ottobre 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Non ho mai ben capito la fissazione che alcuni tifosi e commentatori tv sembrano avere per la percentuale di vittorie nei tiebreak. Va da sé, vincere i tiebreak è una cosa positiva, ma appare altrettanto ovvio che il motivo principale di questo è perché si è bravi a giocare a tennis!

Per quanto alcuni giocatori possano ottenere risultati migliori di altri nei tiebreak, la percentuale di vittorie in questo specifico momento della partita fornisce più che altro una generica indicazione sulle qualità tennistiche di un giocatore.   

Mi spiego meglio: Roger Federer ha degli ottimi risultati nei tiebreak perché è molto forte nel servizio e alla risposta, cioè le stesse abilità che gli permettono di vincere così tanto, a prescindere dal numero di set da lui giocati che finiscono al tiebreak.

Confronto tra atteso ed effettivo

Se ignoriamo la percentuale di vittorie nei tiebreak, cosa rimane? Si può essere indotti a pensare che alcuni giocatori abbiano un talento speciale – avere sangue freddo, possedere un servizio solido ed efficace – che li porti a eccedere le attese nei tiebreak. 

La parola chiave in questo caso è “attese”. Considerando cosa può fare Federer su un campo da tennis, ci si attende da lui che vinca la maggior parte dei tiebreak (ad esempio, in due degli ultimi tre tiebreak che ha giocato il suo avversario era Stanislas Wawrinka, che dovrebbe generalmente battere a prescindere dalla situazione di punteggio).

Ma potremmo rimanere delusi dalle nostre stesse convinzioni se prendiamo il record di partite vinte-perse di Federer, cerchiamo di stimare quanti tiebreak avrebbe dovuto vincere e poi confrontiamo “avrebbe dovuto vincere” con “ha effettivamente vinto”.

Tiebreak attesi

Data la percentuale di punti vinti al servizio e in risposta da un giocatore in una determinata partita, con l’aiuto di potenti strumenti di calcolo…riusciamo a stimare la sua probabilità di vittoria al tiebreak, nell’ipotesi che il livello di gioco sia rimasto inalterato per tutta la partita.   

Se due giocatori esprimono lo stesso livello di gioco, ci si dovrebbe attendere che ciascuno vinca 0.5 tiebreak. Riferito a una singola partita questo dato ovviamente non ha molto senso, ma durante un’intera stagione si può notare come dei 53 tiebreak giocati da John Isner l’algoritmo si attende che ne vinca 29. Isner ne ha vinti in realtà 38, superando le attese (almeno, sul numero grezzo) più di qualunque altro giocatore del circuito quest’anno. 

Questo ci permette di ottenere due statistiche che offrono una descrizione più accurata delle prestazioni di un giocatore nei tiebreak rispetto a “tiebreak vinti” e “percentuale di vittorie nei tiebreak”.

TBOE vs TBOR

Il numero grezzo, cioè la differenza tra i tiebreak effettivamente vinti e i tiebreak attesi vinti, ci dice quanti set in più un giocatore ha vinto grazie al livello espresso nel tiebreak. Chiamiamo questo primo indice TBOE, TieBreaks Over Expectations (tiebreaks sopra le attese).

Un indicatore simile a questo si ottiene dividendo il TBOE per il numero di tiebreak, e ci permette di confrontare le prestazioni dei vari giocatori a prescindere da quanti tiebreak hanno giocato. Chiamiamo questo secondo indice TBOR, TieBreak Outperformance Rate (frequenza di sovra-rendimento nel tiebreak).

Come detto, nel 2012 Isner è il re del TBOE, con buone prestazioni nei tiebreak e giocandone molti più di qualsiasi altro giocatore del circuito. Ci sono però 3 giocatori – Steve Darcis, Andy Murray e Jurgen Melzer – che hanno fatto meglio in termini di TBOR, superando le attese a una frequenza maggiore di quanto abbia fatto Isner. In particolare, il risultato di Darcis è notevole, avendo vinto ad oggi 16 dei 19 tiebreak giocati, nonostante le sue prestazioni al servizio e in risposta suggeriscono che avrebbe dovuto vincerne solo 10.    

La tabella riporta la classifica in data odierna per la stagione 2012 in corso dei giocatori che hanno giocato almeno 15 tiebreak, ordinati per TBOR.

Giocatore       Tbreak  TbVinti TbAttesi TBOE  TBOR
Darcis          19      16      9.8      6.2   0.33
Melzer          17      12      8.3      3.7   0.22
Murray          24      17      12.1     4.9   0.20
Isner           53      38      28.5     9.5   0.18
Haas            16      11      8.4      2.6   0.16
Anderson        32      19      15.3     3.7   0.12
Tipsarevic      32      21      17.4     3.6   0.11
Ferrer          30      20      17.1     2.9   0.10
Andujar         18      11      9.3      1.7   0.10
Benneteau       20      12      10.3     1.7   0.08
Stepanek        18      11      9.7      1.3   0.07
Querrey         28      16      14.2     1.8   0.06
Roddick         21      12      10.7     1.3   0.06
Nieminen        20      11      9.8      1.2   0.06
Mathieu         15      8       7.2      0.8   0.06
Seppi           23      13      11.8     1.2   0.05
Chardy          17      9       8.1      0.9   0.05
Kohlschreiber   38      22      20.6     1.4   0.04
Istomin         28      15      14.1     0.9   0.03
Raonic          45      26      24.6     1.4   0.03
Federer         28      18      17.3     0.7   0.03
Tsonga          31      18      17.3     0.7   0.02
Baghdatis       22      12      11.5     0.5   0.02
Muller          28      14      13.4     0.6   0.02
Y. Lu           16      8       7.7      0.3   0.02
Rochus          17      7       6.7      0.3   0.02
Karlovic        28      14      13.6     0.4   0.01
Mahut           17      9       8.8      0.2   0.01
Harrison        19      9       8.8      0.2   0.01
Monaco          18      10      10.2    -0.2  -0.01
Del Potro       35      20      20.5    -0.5  -0.01
Kubot           18      8       8.4     -0.4  -0.02
Troicki         18      9       9.5     -0.5  -0.03
Berdych         28      15      15.7    -0.7  -0.03
Verdasco        21      10      10.6    -0.6  -0.03
Tomic           15      7       7.5     -0.5  -0.03
Bellucci        17      8       8.7     -0.7  -0.04
Malisse         19      9       9.7     -0.7  -0.04
Paire           24      11      12.2    -1.2  -0.05
Youzhny         20      10      11.0    -1.0  -0.05
Nishikori       16      8       8.8     -0.8  -0.05
Dimitrov        18      9       10.0    -1.0  -0.06
Dolgopolov      22      10      11.4    -1.4  -0.06
Stakhovsky      28      12      13.8    -1.8  -0.07
Falla           15      6       7.1     -1.1  -0.07
Cilic           25      11      12.9    -1.9  -0.08
Ramos           28      11      13.1    -2.1  -0.08
Roger Vasselin  15      6       7.3     -1.3  -0.09
Djokovic        25      14      16.3    -2.3  -0.09
Almagro         35      16      19.4    -3.4  -0.10
Andreev         19      8       10.0    -2.0  -0.10
Fish            16      8       9.8     -1.8  -0.11
Rosol           17      5       7.1     -2.1  -0.12
Simon           21      8       10.8    -2.8  -0.13
Lopez           34      13      17.6    -4.6  -0.13
Gasquet         18      8       10.5    -2.5  -0.14
Wawrinka        27      10      14.0    -4.0  -0.15

Who Actually Excels in Tiebreaks?

Cosa conta nei tiebreak?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 16 ottobre 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Giocatori e appassionati sembrano riservare particolare riguardo ai tiebreak, come se fossero un momento della partita nel quale sono richieste delle abilità speciali, diverse da quelle utili in altre situazioni. Il tema è spesso oggetto di articoli sul sito dell’ATP. I giocatori si trovano d’accordo sul fatto che un buon servizio e una buona risposta possano fare la differenza. Serve evidentemente un’analisi più approfondita.

Alta pressione

Questa è la mia idea. I tiebreak sono situazioni ad alta pressione, e la pressione può causare problemi su qualsiasi aspetto del gioco. Ma, in generale, dovrebbe avere maggiori conseguenze su alcune parti rispetto ad altre. Si potrebbe pensare al servizio, ad esempio: da un lato, servire è un tipo di gesto fisico e mentale abbastanza automatizzato; dall’altro, nel tiebreak c’è più tempo per pensare prima di ogni servizio, e pensare sotto pressione può diventare pericoloso. Per districarsi, vale la pena introdurre qualche dato.      

Negli ultimi 8 Slam maschili sono stati giocati 388 tiebreak. Per ciascuno, ho confrontato la percentuale di punti al servizio vinti da ogni giocatore durante i primi 12 game del set con la percentuale di punti al servizio vinti durante il tiebreak. Se i giocatori fossero delle macchine, potrebbe esserci una differenza tra il set e il tiebreak in una qualsiasi delle partite considerate, ma, in generale, i numeri dovrebbero rimanere identici.

Non sono automi

Tuttavia, i giocatori non sono macchine. E, infatti, nei tiebreak i giocatori vincono più punti alla risposta delle attese. Per quanto non enorme, la differenza si nota: circa un punto in risposta in più delle attese ogni 3 partite.

Quindi, i tiebreak sono diversi dai set che li precedono o perché alcuni giocatori non sono più in grado di mantenere le stesse percentuali al servizio, oppure perché altri giocatori riescono a migliorare sensibilmente il loro gioco in risposta.

Analizzando i singoli Slam otteniamo una prima spiegazione. La differenza tra la percentuale di punti vinti al servizio nei set e nei tiebreak è più o meno la stessa per gli Australian Open, gli US Open e Wimbledon, ma è inferiore di più della metà al Roland Garros.

Questione di superficie

Sembra dunque che le superfici più veloci diano al giocatore in risposta un vantaggio durante il tiebreak. È più probabile però che, sulle superfici più veloci, i giocatori al servizio riescano meno facilmente a tenere il vantaggio derivante dalla battuta. Sulla terra, questo vantaggio non è così rilevante.

Nella mia ipotesi iniziale ho fatto riferimento al ruolo esercitato dalla pressione, e i numeri suggeriscono che i giocatori la subiscono maggiormente quando sono al servizio rispetto al turno in risposta. È anche possibile che i giocatori al servizio facciano più fatica a entrare nel ritmo della battuta quando devono servire solo due battute alla volta. Un’ulteriore possibilità è che i giocatori in risposta riescano a concedere meno ace nel tiebreak: in questo modo, a parità di livello di servizio e di potenzialità alla risposta, più punti vengono ottenuti contro il servizio.

Che dipenda da servizi più timidi o da risposte più aggressive, ci sono sicuramente meno ace nei tiebreak. Nei 388 tiebreak analizzati, ci sono stati 83 ace in meno di quelli attesi se i giocatori al servizio avessero mantenuto le stesse percentuali dei primi 12 game. Vista la relativa rarità di ace, è una diminuzione più sorprendente di quella genericamente riconducibile alle percentuali di punti vinti al servizio.

In risposta un vantaggio, seppur minimo

Naturalmente, quest’analisi non mette fine al dibattito. Ma per i giocatori che aspirano a essere maestri del tiebreak, sicuramente fornisce qualche indicazione più utile di “diventa più bravo a giocare”. Anziché rimanere della convinzione che nei tiebreak si decida tutto con il servizio, è più importante accorgersi che i giocatori alla risposta hanno un vantaggio, seppur minimo. I giocatori al servizio possono migliorare semplicemente tenendo alla larga la pressione (facile a dirsi, no?) e servire con le stesse percentuali mostrate durante il set. I giocatori alla risposta possono cercare di essere più aggressivi sapendo che, in generale, chi è efficace al servizio non lo sarà allo stesso modo.

In fondo, un buon servizio può essere la chiave che fa vincere i tiebreak, ma solo se è efficace come in tutti gli altri turni di battuta.

What Matters in Tiebreaks?

Le conseguenze del super-tiebreak

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 20 agosto 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Non sono sicuro di come si sia potuti arrivare a una situazione in cui gli appassionati di tennis considerano il super-tiebreak (il tiebreak a 10 punti giocato nel set decisivo nei doppi e doppi misti, n.d.t.) equivalente a un set. A quanto pare, è una soluzione migliore per spettatori e televisione e, naturalmente, è anche più veloce di un normale set.   

Nonostante la sua praticità, è ovvio che il super-tiebreak non è la stessa cosa di un set. Mettendo da parte le considerazioni morali, mi interessano in questa sede gli aspetti statistici.

In generale, più sono i punti (o i game, o i set) che servono per vincere una partita, più è probabile che vinca il giocatore migliore. Alcuni commentatori hanno definito, a ragione, il super-tiebreak uno “shootout”: riducendo il numero di punti necessari a vincere si amplifica il ruolo riservato alla fortuna.

La struttura della partita determina lo spazio riservato alla fortuna

Qualche volta uno shootout è l’idea migliore. La partita deve avere fine e quando i giocatori arrivano sulla parità dopo due, quattro set o cinque set e 12 game, è chiaro che prima o poi la fortuna dovrà intervenire. Ma è la struttura della partita a determinare quanto spazio sia esattamente concesso alla fortuna.        

Per confrontare un super-tiebreak con il set che viene rimpiazzato, dobbiamo conoscere quanta fortuna il super-tiebreak aggiunge alla partita. Serve un esempio su cui fare dei calcoli.

Prendiamo due giocatori: il giocatore A vince il 70% dei punti al servizio, il giocatore B vince il 67% dei punti al servizio. In una partita al meglio dei tre set con tiebreak a 7 punti, il giocatore A ha il 63.9% di probabilità di vincere la partita.

Se A e B vanno un set pari, le probabilità di vittoria di A scendono al 59.3%. In altre parole, una durata più breve della partita rende più probabile che B sia fortunato o che sia in grado di sostenere un livello di gioco più alto per un periodo lungo a sufficienza da fargli vincere la partita.

Invece, se la partita è decisa dal super-tiebreak, le probabilità di vittoria di A scendono al 56%, cancellando più di un terzo del vantaggio del favorito nel terzo set. In realtà, il super-tiebreak è di poco più favorevole al giocatore A di un tipico tiebreak a 7 punti, nel quale A avrebbe il 55.1% di probabilità.

(I più interessati a questo tipo di analisi, trovano qui il mio codice python per calcolare le probabilità di vittoria e di andamento di punteggio in un tiebreak.)

Tra un tiebreak normale e uno a 26 punti

Non penso che ci siano sostenitori dell’idea di sostituire il set decisivo con un tiebreak a 7 punti. Eppure il super-tiebreak ha molta più somiglianza con il tiebreak a 7 punti che con un set giocato interamente.

Nemmeno aggiungere qualche punto risolve il divario. Per mantenere le probabilità di vittoria del giocatore A al 59.3%, il terzo set dovrebbe essere sostituito da un tiebreak a 26 punti. E non credo che un tiebreak di questo tipo garantirebbe maggiori introiti pubblicitari.

The Implications of the 10-Point Tiebreak