La corsa alla vetta della classifica dei Masters è molto più incerta di quanto si pensi

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 12 ottobre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Novak Djokovic ha appena conquistato la semifinale dello Shanghai Masters 2018, a due vittorie dal 32esimo titolo Masters che lo porterebbe a una sola distanza da Rafael Nadal, al primo posto dei vincitori di sempre con 33 titoli. Roger Federer, in campo per il suo quarto di finale (Federer è poi arrivato in semifinale perdendo da Borna Coric, n.d.t.), è di poco indietro con 27 titoli in carriera.

Il numero di Masters vinti non ha la stessa importanza del numero di Slam vinti, ma si tratta in ogni caso di tornei estremamente rilevanti nel palmares di un giocatore. Da un lato sono molto più numerosi e la combinazione di superfici – più terra battuta e no erba, e un solo evento indoor sul cemento – permette di apprezzare l’estensione di talento e bravura di chi ne emerge vittorioso. Non sorprende infatti che Nadal, Djokovic e Federer siano ben distanti dal resto del gruppo in questa speciale classifica, come lo sono in molte altre.

Non tutti i Masters sono uguali tra loro

A Madrid 2017, Nadal ha dovuto battere Djokovic, il gigante della terra Dominic Thiem e la sempre mina vagante Nick Kyrgios. Sei mesi dopo a Parigi Bercy, Jack Sock ha vinto il suo unico Masters con una strada in discesa che comprendeva un solo giocatore nei primi 35 del mondo. Come accade negli Slam, anche nella vittoria di un Masters incide pesantemente la fortuna e quando ci concentriamo sui semplici totali, confidiamo nel fatto che la fortuna si compensi.

La fortuna però non si compensa, nemmeno per i giocatori di vertice che hanno giocato Masters per più di una decade e accumulato decine di titoli. Per tenere conto della qualità degli avversari e della difficoltà di ciascuna vittoria finale, utilizzo lo stesso algoritmo elaborato in passato per valutare gli Slam [1].

La formula restituisce un numero per singolo titolo Masters, che se equivale a 1 rappresenta la media, se minore di 1 una vittoria più facile della media e se maggiore di 1 una più difficile. La vittoria di Sock a Parigi Bercy è stata la più fortunosa degli ultimi anni, con un valore di 0.39, rispetto al titolo di Madrid 2007 di David Nalbandian, il più difficile con un indice di 1.92. A parte questi due estremi, quasi ogni vittoria rientra nell’intervallo tra 0.5 e 1.5.

La classifica di tutti i tempi

Iniziamo dai primi 10 in termini di Masters “corretti”. La tabella mostra i risultati della mia formula, insieme al numero di titoli effettivi di ciascun giocatore e la valutazione media dei Masters che ha vinto in carriera.

Giocatore   Corretti   Effettivi  Media  
Nadal       35.4       33         1.07  
Djokovic    35.0       31         1.13  
Federer     28.0       27         1.04  
Agassi      15.0       17         0.88  
Murray      15.0       14         1.07  
Sampras     11.2       11         1.02  
Muster      7.5        8          0.94  
Chang       6.4        7          0.91  
Becker      5.4        5          1.08  
Courier     5.0        5          1.00

Boris Becker e Jim Courier non sono i soli ad aver vinto cinque Masters, sono però gli unici ad averlo fatto contro avversari medi o più forti. Anche Andy Roddick ne ha vinti cinque, ma l’algoritmo lo premia per quasi quattro, ed è ancora più duro con Marat Safin, le cui cinque vittorie diventano solo 3.2 Masters corretti.

La storia di rilievo però è in cima all’elenco, perché la differenza tra Nadal e Djokovic si assottiglia fino a quasi eliminarsi. Entrambi hanno vinto contro avversari più difficili della media (e spesso dovendo battersi a vicenda), ma è Djokovic ad aver avuto il percorso più complicato. Se vince a Shanghai (come è poi riuscito a fare battendo Coric in finale con il punteggio di 63 64, n.d.t.) sorpasserà Nadal al primo posto.

Si fa notare anche la quasi parità tra Andre Agassi e Andy Murray. Agassi ha 3 vittorie in più, che sono però arrivate contro avversari più deboli rispetto a tutti gli altri dei primi 10. Murray si è trovato di fronte avversari più simili a quelli di Nadal e Djokovic, non sorprende quindi vedere la sua valutazione di difficoltà ben al di sopra dell’1.0.

La debolezza di Parigi Bercy

La vittoria di Sock nel 2017 è stata senza dubbio facile, come spesso è accaduto per Parigi Bercy. Con l’eccezione della singola edizione dell’Essen Masters, se paragonate agli altri tornei della categoria Masters le vittorie a Parigi Bercy sono state quelle con lo sconto maggiore.

Torneo             Anni    Difficoltà media  
Madrid (terra)     10      1.18  
Roma               29      1.09  
Indian Wells       29      1.07  
Stoccarda          6       1.05  
Stoccolma          5       1.04  
Amburgo            19      1.02  
Miami              29      1.01  
Monte Carlo        29      0.98  
Canada             29      0.97  
Cincinnati         29      0.97  
Madrid (cemento)   7       0.97  
Shanghai           9       0.95  
Parigi Bercy       28      0.84  
Essen              1       0.80

A Parigi Bercy si è giocato su tappeto fino al 2006, e questa potrebbe essere una spiegazione. Nei primi calcoli ho usato valutazioni Elo specifiche per tappeto, che sono limitate da un campione relativamente ridotto. Ho provato poi con valutazioni specifiche per cemento e, pur con variazioni individuali, il risultato complessivo è rimasto sostanzialmente identico. Parigi Bercy era un torneo molto debole durante gli anni in cui si usava il tappeto, si è rafforzato nel tempo e sono convinto che questa sia una caratteristica del periodo anni ’90 inizio anni ’00, non semplicemente una conseguenza di stranezze nell’applicazione delle valutazioni Elo.

Generalmente parlando, le superfici veloci sembrano abbassare le valutazioni. Il mio sospetto è che essendo tornei nella maggior parte dei casi al meglio dei 3 set, è più probabile che risultati a sorpresa nei primi turni si verifichino sulle superfici più veloci. Campi rapidi quindi spianano il cammino del vincitore, come è stato certamente per Sock l’anno scorso. Ma non è automatico: le cinque vittorie più difficili sono arrivate in realtà sul cemento, e una proprio a Parigi Bercy.

Nalbandian al massimo

Alla fine del 2007, Nalbandian ha scritto due delle settimane più gloriose nella storia del tennis. A Madrid, ha sconfitto Nadal ai quarti, Djokovic in semifinale e Federer in finale, avendo in precedenza battuto Tomas Berdych e Juan Martin Del Potro. Due settimane più tardi, ha di nuovo sconfitto Federer e Nadal a Parigi Bercy, oltre a vittorie contro David Ferrer, Richard Gasquet e Carlos Moya.

Con un indice rispettivamente di 1.92 e 1.70, sono due delle tre vittorie più difficili da quando la Masters Series è stata istituita (strano a dirsi, ma l’unico in grado di fermare Nalbandian durante quel magico autunno è stato Stanislas Wawrinka, che lo ha battuto a Vienna e Basilea. Wawrinka è il giocatore le cui vittorie Slam sono al primo posto nella graduatoria di difficoltà).

La tabella elenca i 20 titoli Masters per indice di difficoltà.

Anno  Torneo        Superficie  Vincitore    Difficoltà  
2007  Madrid        Cemento     Nalbandian   1.92  
2014  Canada        Cemento     Tsonga       1.78  
2007  Parigi Bercy  Cemento     Nalbandian   1.70  
2007  Canada        Cemento     Djokovic     1.68  
2009  Indian Wells  Cemento     Nadal        1.61  
2009  Madrid        Terra       Federer      1.52  
2017  Madrid        Terra       Nadal        1.52  
2016  Madrid        Terra       Djokovic     1.51  
2011  Indian Wells  Cemento     Djokovic     1.50  
2013  Indian Wells  Cemento     Nadal        1.50
Anno  Torneo        Superficie  Vincitore    Difficoltà  
2010  Canada        Cemento     Murray       1.48  
2011  Roma          Terra       Djokovic     1.48  
2012  Roma          Terra       Nadal        1.47  
2010  Indian Wells  Cemento     Ljubicic     1.45  
2004  Amburgo       Terra       Federer      1.44  
2015  Cincinnati    Cemento     Federer      1.44  
2013  Roma          Terra       Nadal        1.43  
2015  Canada        Cemento     Murray       1.43  
2008  Monte Carlo   Terra       Nadal        1.42  
2015  Madrid        Terra       Murray       1.42

Nalbandian e Jo Wilfried Tsonga si distinguono per essere ai primi due posti, ma dopo di loro i nomi sono quasi solo quelli dei Fantastici Quattro. Anche nel gruppo successivo di difficoltà, Djokovic, Nadal e Federer riempiono 7 posti su 10.

Conclusioni

Come qualsiasi altra modifica a statistiche di alto profilo, rivedere i titoli Masters in funzione della difficoltà non aiuta esattamente a chiarire il dibattito su quale sia il giocatore più forte di sempre, perché si riferisce a uno dei tanti aspetti della conversazione. Tuttavia, rendersi conto delle innumerevoli difficoltà che il vincitore di un Masters deve affrontare è un richiamo d’obbligo all’evidenza che non tutte le vittorie sono identiche tra loro, anche se alla fine valgono sempre 1000 punti per la classifica generale.

Note:

[1] Così ho descritto originariamente il mio algoritmo. Per stimare la difficoltà complessiva del tabellone affrontato da un vincitore Slam, utilizzo Elo per misurare il livello di gioco di un campione Slam medio, un sistema di valutazione che attesta la bravura di un giocatore in funzione del suo record di partite vinte-perse e della qualità degli avversari. Calcolo poi la probabilità per il suddetto campione Slam medio di vincere tutte e sette le partite contro gli avversari che ciascun vincitore Slam ha dovuto affrontare nello specifico torneo vinto.

Per ogni vittoria, assegno al campione Slam la differenza tra 1 e la previsione Elo: se un campione Slam medio aveva sulla superficie del torneo una probabilità del 90% di vincere la partita, il giocatore riceve 0.1 punti (1 – 0.9); se un tipico vincitore Slam aveva il 20% di probabilità, il giocatore riceve 0.8 punti. Sommando tutte le partite di ogni vincitore e applicando l’algoritmo agli ultimi decenni di Slam, si ottiene un punteggio medio di 1.23 per titolo, da cui la divisione di ogni somma per 1.23 al fine di normalizzare i risultati.

Per i tornei Masters, in cui le vittorie per il titolo sono cinque o sei rispetto alle sette di uno Slam, la divisione è per 1.34 invece di 1.23.

The All-Time ATP Masters Race Is Even Closer Than You Think

Idee rubate al golf: la Hall of Fame

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 24 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il terzo articolo della serie.

L’International Tennis Hall of Fame si trova a Newport, nello stato americano del Rhode Island. Newport è una cittadina molto affascinante del New England e la sua Hall of Fame, con una collezione di oggetti e artefatti anche storici, è decisamente tradizionale. Durante la settimana dell’investitura si gioca un torneo 250 sull’erba. L’edificio principale è coperto da edera. Pur relativamente piccola, è una struttura incantevole.   

Il contesto delle due Hall of Fame

Si arriva alla Hall of Fame guidando per Bellevue Avenue, la strada principale che attraversa il paese, ed è uno degli edifici che si incontrano in mezzo ad altri edifici. Sono andato a Newport una volta e ho notato la Hall of Fame solo sulla via di ritorno (ero di passaggio per altri motivi). All’incrocio successivo c’è il palazzo della Social Security Administration, mentre a un isolato di distanza si trovano un Dunkin’ Donuts e un CVS. Non ci si fermerebbe da quelle parti se non fosse per la Hall of Fame di tennis. 

La World Golf Hall of Fame è a St. Augustine, Florida, non lontano dal quartier generale di Ponte Vedra (dove si trova anche la sede dell’ATP). La Hall of Fame di Golf è parte del complesso che prende il nome di World Golf Village, una specie di Disney World per il golf in piccolo. Oltre allo spazio tradizionalmente dedicato alla Hall of Fame, con targhe e memorabilia, ci sono negozi, hotel, un cinema IMAX che proietta film totalmente estranei al golf e – fondamentale – due campi da golf.

C’è un gigantesco lago vicino agli edifici principali e i marciapiedi che lo circondano recano iscrizioni con i nomi dei giocatori entrati nella Hall of Fame. Con pochi dollari, si può anche acquistare uno dei mattoni del marciapiede e far incidere un messaggio personale prima che venga posto accanto al campione che si è scelto.   

Ci si arriva dalla I-95, seguendo indicazioni su cartelli dedicati al World Golf Village (chiamato in realtà World Golf Village Boulevard) e guidando poi su stradine per arrivare alle varie attrazioni. Non c’è nulla di emozionante negli edifici del complesso – per la maggior parte con facciate rosa Florida o imitazione di architettura spagnola – che non hanno di certo il fascino di Newport. Anzi, non hanno alcun tipo di fascino. Non ci sono altri insediamenti nelle vicinanze se non le caratteristiche case a schiera con tetto triangolare della Florida (per quanto in quartieri di piacevole contesto). 

Cosa può imparare la Hall of Fame di tennis dalla Hall of Fame di golf?

Lo dico per chiarezza, a me piace il fascino di Newport. Il World Golf Village invece non ha fascino. Chi lo ha costruito però ha deciso di sacrificare la bellezza estetica per un approccio creativo al tema della Hall of Fame. Il World Golf Village non è più solo un museo, ma è una meta turistica.

L’International Tennis Hall of Fame non è una meta. Ci si va se si è a Newport per altre ragioni, o nel vicino New England. Si programma di andare al World Golf Village e di rimanerci una settimana. Non ci si passa solo perché è capitato di essere già a St. Augustine.

Come mai è così? Non è solo una questione di località. St. Augustine è più vicina, ma è una città turistica, non una vera e propria città. Il World Golf Village è a 30-45 minuti a sud di Jacksonville e a 90 minuti abbondanti a nord di Orlando. È stato costruito nel mezzo del nulla in modo da non fare leva solo sulla popolazione della zona, ma per essere una destinazione principale. 

Ed è per questo che possiede tutti gli elementi di un’attrazione turistica. Ci sono ristoranti (come il Caddyshack, di proprietà di Bill Murray, attore dell’omonimo film ambientato su un campo da golf), ci sono posti in cui fermarsi pieni di foto di giocatori e campi da golf. Non sorprende che anche i posti in cui dormire siano a tema.

E ci sono altre cose da fare oltre a visitare il museo, come ad esempio giocare a lungo a golf sui due campi del World Golf Village, che prendono il nome di giocatori della Hall of Fame e che sono stati ideati con il loro aiuto.

L’International Tennis Hall of Fame non ha infrastrutture così dettagliate e quelle che ci sono comunque non rientrano in un’offerta di esperienza dedicata. Si può stare in un hotel, ma è semplicemente un hotel a Newport in cui chiunque può andare.

Ci sono campi in erba che ospitano l’ATP 250 e ci si può giocare per 120 dollari l’ora, ma non sono molti e non si possono prenotare tutto il giorno anche potendoselo permettere. E poi, visto dove si trova la Hall of Fame, perché si dovrebbe avere con sé una racchetta?

La necessità di abbandonare Newport

Non sono certo un paladino della Disney-ficazione, ma sono convinto che la International Tennis Hall of Fame debba volgere lo sguardo al World Golf Village, almeno in minima parte. Sfortunatamente, vorrebbe poter dire abbandonare Newport.

La Hall of Fame non ha sede a Newport per caso. Il primo campionato di singolare US National si è infatti giocato li nel diciannovesimo secolo. Da questo punto di vista, assomiglia alla Pro Football Hall of Fame a Canton, Ohio (dove è stata creata la NFL nel 1920), e alla popolarissima Baseball Hall of Fame a Cooperstown, New York (dove si dice sia stata giocata la prima partita di baseball di Abner Doubleday, anche se non è certamente vero). Canton non ha fascino, ma Cooperstown ne ha da vendere. L’immagine cittadina ruota completamente intorno alla presenza della Baseball Hall of Fame. 

Lo stesso si potrebbe dire della Hall of Fame di tennis, che però è uno sport più vicino al golf di quanto lo sia al football o al baseball. Nessun visitatore delle hall of fame di football o baseball penserebbe di raggruppare 22 o 18 persone per fare una partita (a meno di non essere genitori dei bambini iscritti alla Little League di baseball).

Al contrario, gli appassionati di golf in visita alla World Golf Hall of Fame vogliono sicuramente giocare a golf. E se andassi alla Hall of Fame di tennis, mi piacerebbe giocare sui campi dove giocano i professionisti, specialmente se sono campi in erba. Affinché succeda però, la Hall of Fame di tennis deve rientrare nei miei piani, non essere solo una visita di passaggio mentre sto andando da qualche altra parte.

Durante il secolo scorso il tennis è diventato troppo grande per Newport. Nel 1914 il campionato di singolare si è trasferito a New York (fino a diventare gli attuali US Open). La Hall of Fame è rimasta ed è diventata la sede di un ATP 250. Non mi è chiaro perché non venga organizzato anche un torneo femminile, visto che le donne sono tra i membri della Hall of Fame. Ci saranno di sicuro molteplici “ragioni” (cioè soldi), ma è comunque ridicolo. Anzi, fosse per me farei un evento congiunto uomini e donne durante la settimana di investitura, ma il problema è che nella struttura di Newport non ci sarebbe spazio.

Deve esserci da qualche parte nel mondo un altro complesso con più fascino del World Golf Village, che abbia una struttura dedicata al tennis, ristoranti e hotel sul posto e campi da tennis a dismisura. Anni fa ci fu una potenziale opportunità a Ponte Vedra Beach, in Florida, dove si trovano gli uffici dell’ATP. Quando fu costruita all’inizio degli anni ’90, la sede dell’ATP aveva molti campi con diverse superfici.

Sawgrass, dove si gioca il The Players Championship e dove si trova la PGA, è letteralmente in fondo alla strada. Il contesto è molto accogliente e sufficientemente lontano da Jacksonville da renderlo una destinazione. A pochi chilometri c’è anche l’oceano Atlantico. Poteva essere un sito perfettamente adatto a creare una International Tennis Hall of Fame di grande portata, senza che diventasse l’equivalente di Disney World.

Una metà turistica con richiami storici

Purtroppo, anche a causa della struttura di allenamento della USTA a Orlando, quei campi furono poco utilizzati e poi venduti (o affittati) a una scuola privata locale, che li ha completamente asfaltati per la squadra di tennis del liceo. La sede dell’ATP è ora in un bell’edificio circondato da alberi dalla parte opposta della strada.

Non nego che potrebbe essere arduo trovare un complesso con lo stesso fascino di Newport ma che possegga anche gli elementi di cui si è discusso, e sospetto che sia quasi impossibile negli Stati Uniti, in particolare se si tiene conto di un sito con importanza storica per il tennis. Ma la Hall of Fame di tennis non deve per forza essere negli Stati Uniti – dove si trovano le altre Hall of Fame – perché il tennis è uno sport veramente internazionale.

Il golf si è impegnato a rendere la sua Hall of Fame una meta turistica. Non servivano richiami di tipo storico ed è stata costruita essenzialmente dal nulla. Per il tennis questo sarebbe un po’ ambizioso, ma suggerirei maggiore flessibilità sugli aspetti storici, perché gli appassionati sono più interessati all’esperienza di visita della Hall of Fame di quanto non lo siano della storia legata alla sede. E invece che promuoverla con slogan come “Mentre siete in zona…”, perché non “Portatevi la racchetta…”?

Stealing Ideas from Golf: The Hall of Fame

La differenza nei premi partita tra uomini e donne in funzione delle opportunità di guadagno settimanali

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 4 ottobre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

I premi partita sono il principale strumento di misurazione della disparità tra sessi nel tennis professionistico. La maggior parte delle ricerche sulla differenza di premi partita tra uomini e donne si è concentrata sui guadagni dei giocatori di vertice o sull’impegno finanziario sottoscritto dai tornei. In questa sede adotterò un altro tipo di approccio, analizzando le opportunità di guadagno che emergono durante ogni settimana del calendario del circuito maggiore.   

La casistica analitica delle differenze in termini di premi partita tra uomini e donne è ampia e disponibile alla consultazione. In molti casi si è guardato ai premi partita vinti in carriera dai migliori giocatori e dalle migliori giocatrici, mentre in altri sono le risorse economiche garantite da ciascun torneo a essere state oggetto di studio. 

Le opportunità di guadagno settimanali

Quando si tratta di disparità percepita dal singolo giocatore o giocatrice, entrambe queste metodologie mostrano dei limiti. Molti giocatori non rientrano nel gruppo dei più ricchi, quindi il confronto con chi ha guadagnato di più è per loro di rilevanza ridotta. In secondo luogo, la comparazione tra singoli tornei non tiene conto della dimensione del tabellone di singolare, di quello delle qualificazioni o del doppio, o non tiene conto delle sovrapposizioni in calendario, che costringono a scelte esclusive. 

Una misurazione che più si avvicina alla percezione di un giocatore della disparità di premi partita prende in considerazione le probabili opportunità di guadagno in qualsiasi settimana di competizione. 

Prendiamo ad esempio la settimana corrente, in cui il China Open è l’unico torneo sul circuito femminile. Il tabellone di singolare è composto da 60 giocatrici, quello delle qualificazioni da 32 e il doppio da 28. Significa che 84 giocatrici si divideranno il montepremi in singolare e 56 in doppio. Con 8.2 milioni di dollari garantiti dal torneo e viste le dimensioni dei tabelloni, ogni giocatrice di singolare ha un’aspettativa di guadagno di 71.000 dollari.

Sul circuito maschile invece ci sono due tornei 500, il China Open e il Rakuten Japan Open. Hanno entrambi tabelloni di singolare da 32 giocatori e di qualificazioni da 16, e un tabellone di doppio da 16. I montepremi sono rispettivamente di 4.7 milioni e 1.9 milioni. Considerando di poter partecipare a un solo torneo, sono numeri che si traducono in un’aspettativa di guadagno per ogni giocatore di singolare di 46.000 dollari, più bassa di quanto visto per le donne. 

Le aspettative di guadagno maschili sono normalmente superiori a quelle femminili

Nel raffronto complessivo settimana per settimana, raramente si verificano situazioni in cui le aspettative di guadagno sul circuito femminile sono superiori a quelle sul circuito maschile. L’immagine 1 mostra come nella maggior parte delle settimane l’ATP (in blu nel grafico) oscuri completamente la WTA (in viola). La settimana successiva è un caso più classico, con lo Shanghai Masters in cui gli uomini hanno un’aspettativa di guadagno di 65.000 dollari e le donne solo di 5.000 dollari, potendo scegliere tra tre eventi della categoria International.   

IMMAGINE 1 – Opportunità di guadagno settimanali

Il divario è più chiaramente visibile valutando la differenza in aspettative di guadagno di ogni settimana, come mostrato dall’immagine 2. Ci sono infatti 27 settimane di gioco su 37 in cui un giocatore del circuito maggiore può aspettarsi di guadagnare di più di un’equivalente giocatrice. La differenza in quelle settimane ha una mediana di 11.000 dollari per giocatore.

IMMAGINE 2 – Differenze di opportunità di guadagno settimanali in singolare

Nel doppio i guadagni sono generalmente inferiori, ma la disparità tra sessi segue le stesse dinamiche del singolare. I doppisti possono aspettarsi di guadagnare più delle doppiste in 26 settimane della stagione, con una mediana di 3.500 dollari di guadagno in più a settimana. 

IMMAGINE 3 – Differenze di opportunità di guadagno settimanali in singolare

Conclusioni

Il confronto tra aspettative di guadagno individuali rispecchia le conclusioni principali di precedenti ricerche sulla disparità tra sessi nei premi partita sul circuito principale, vale a dire che si è ben lontani dall’equilibrio, con la maggior parte delle differenze che si riscontrano nelle categorie di torneo inferiori agli Slam. Un approccio basato su numeri per singolo giocatore fornisce un’idea più concreta su come queste differenze siano effettivamente percepite a livello individuale. E, sotto questo aspetto, la settimana del China Open deve sembrare un’oasi felice nel calendario femminile.

Using Weekly Earnings Opportunity to Measure the Prize Money Gender Gap

Jack Sock, di nuovo re del doppio

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 17 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Due anni fa circa ho scritto un articolo per FiveThirtyEight in cui introducevo il concetto di D-Lo, un metodo di valutazione per i giocatori di doppio simile al sistema Elo per i singolaristi. Jack Sock era risultato il miglior giocatore sul circuito maschile, conquistando la prima posizione a ottobre 2016 e mantenendola per quasi nove mesi, pur non giocando molte partite di doppio. Un paio di sconfitte a Washington e al Canada Masters nel 2017 gli hanno fatto perdere posizioni, fino alla numero otto dopo gli US Open e poi alla quattordici prima degli Australian Open 2018.

Sock di nuovo in cima alla classifica D-Lo

Pur preferendo il singolo, Sock si è catapultato di nuovo in testa, facendo coppia con John Isner nella vittoria a Indian Wells e poi trionfando con Mike Bryan (al posto dell’infortunato gemello Bob Bryan) a Wimbledon e agli US Open 2018. Tranne per la settimana immediatamente successiva a Indian Wells, Sock è al comando della classifica D-Lo per la prima volta in più di un anno. La tabella elenca gli attuali primi 10 e le rispettive valutazioni D-Lo.

Class.  Giocatore   D-Lo  
1       Sock        1949  
2       B. Bryan    1930  
3       M. Bryan    1917  
4       Herbert     1906  
5       Mahut       1893  
6       Murray      1886  
7       Soares      1883  
8       Marach      1867  
9       Farah       1863  
10      Mektic      1863

Al secondo posto troviamo effettivamente l’infortunato Bob, di cui parlo a breve.

Il Sistema D-Lo

Prima un ripasso veloce del sistema D-Lo, che funziona praticamente come l’algoritmo standard del sistema Elo, con cui i giocatori guadagnano punti vincendo e ne perdono con le sconfitte, sulla base della bravura dell’avversario e delle informazioni sul suo rendimento passato già incorporate nel calcolo.

Una vittoria a sorpresa assegna più punti di una vittoria contro un giocatore dello stesso livello, e per i giocatori con un numero minore di partite a sistema, l’effetto di ogni nuova partita è maggiore. Per questo motivo Sock ha ottenuto più punti di Mike per le dodici vittorie negli ultimi due Slam, perché si conosceva relativamente meno sul suo rendimento in doppio prima di quei tornei.

D-Lo ipotizza che la bravura di ciascuna coppia equivalga alla media dei due giocatori. Se una coppia vince, ciascuno dei giocatori guadagna punti, ma con un accorgimento: se i due giocatori partono da una valutazione diversa, quella di ciascuno si muove leggermente verso la media delle due. Questo perché è impossibile separare il contributo alla vittoria di uno e dell’altro.

Dopo più o meno un anno di partite insieme, la valutazione dei due giocatori si avvicina alla metà. Pur essendo un sistema imperfetto, riesce a pronosticare i risultati con buona approssimazione, che solitamente significa avere una valida rappresentazione del livello di bravura di ciascun giocatore.

Un estremo equilibrio nelle valutazioni del doppio

Per tornare alla questione principale, le valutazioni di doppio sono state estremamente volatili durante l’anno, con cinque differenti giocatori arrivati al numero 1 (Sock, Bob, Pierre Hugues Herbert, Mate Pavic e Henri Kontinen) e altri due (Nicolas Mahut e John Peers) al numero 2. Con un equilibrio di questo tipo nessun giocatore raggiunge una valutazione molto alta. Due anni fa, gli attuali 1949 punti di Sock sarebbero valsi solo un quarto posto (dietro a lui stesso, Herbert e Mahut), mentre molti giocatori (tra cui i Bryans, Herbert, e Daniel Nestor) sono arrivati alla prima posizione con valutazioni superiori a 2000.

Il grafico mostra le numerose fluttuazioni della classifica a partire dal 2018.

IMMAGINE 1 – Andamento delle valutazioni di doppio D-Lo dei giocatori di vertice nel 2018

Per maggiore facilità, ho escluso Oliver Marach (la cui valutazione rispecchia da vicino quella del suo compagno Pavic e la cui stagione non ha mantenuto le promesse iniziali) e Peers (stesso discorso, ma con Kontinen). Herbert ha raggiunto il livello più alto di tutti quest’anno, ma una seconda parte di stagione più difficile lo ha lasciato dietro al trio americano di Sock e dei Bryan.

Torniamo al curioso caso di Bob. La vittoria al Madrid Masters 2018 ha portato i gemelli alla valutazione D-Lo più alta in quasi due anni. Il sistema Elo standard non penalizza i giocatori in caso di assenza, quindi la valutazione di Bob è rimasta da quel momento a 1930 (per le mie valutazioni Elo di singolo ho inserito una penalità per assenza/infortunio, ma non per D-Lo. Ho il timore che l’effetto in doppia sia più ridotto, anche se comunque percettibile). La valutazione di Mike è calata per risultati negativi al di fuori degli Slam, e solo Sock ha superato entrambi.

Conclusioni

Se Bob sarà in condizione di giocare in questi mesi, i gemelli dovrebbero fare coppia per le Finali di stagione, lasciando ancora una volta il miglior giocatore di doppio senza un compagno. In quel caso Sock, che ora è al 157esimo posto della classifica Race di singolare, potrebbe andare a giocare in quei giorni il Challenger di Houston.

Senza la presenza ingombrante del connazionale, i Bryan torneranno dove sono abituati a stare, da favoriti a Londra per un’altra vittoria nelle Finali di stagione.

Jack Sock, Doubles King Once Again

Quanto era veloce la superficie della Laver Cup?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 27 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

La Laver Cup ha dato nuova interpretazione alle esibizioni nel tennis e, per il momento, uno degli aspetti di maggiore cambiamento sembra essere la velocità di superficie. L’anno scorso ci sono stati nove tiebreak su diciotto set a punteggio tradizionale, oltre a un paio di super-tiebreak terminati 11-9.

L’edizione 2018 non è stata così estrema, visto che solo cinque set sono andati al tiebreak su sedici a punteggio tradizionale, ma comunque più equilibrata di un tipico torneo del circuito nel quale mediamente un tiebreak si verifica meno di una volta ogni cinque set.

La misurazione della velocità di superficie

Come al solito, appurare la velocità di superficie presenta diversi ostacoli. Se da una parte ci sono stati indubbiamente molti tiebreak e molti ace, dall’altra tra i convocati c’erano grandi giocatori al servizio: John Isner, Nick Kyrgios e Roger Federer hanno giocato due partite di singolare in entrambe le edizioni, e a Chicago Kevin Anderson ha contribuito per il 25% dei singolari del Resto del Mondo. A prescindere dalla superficie, ci si attende da questi giocatori partite in cui il servizio è dominante in misura superiore di quanto lo sia nella media del circuito.

Analizziamo i risultati ottenuti applicando il mio indice di misurazione della velocità di superficie, che mette a confronto i campi dei tornei utilizzando la frequenza di ace, corretta per le dinamiche al servizio e alla risposta di ciascun giocatore in uno specifico torneo.

La tabella mostra la frequenza grezza di ace (“Ace%”) e l’indice di velocità (“Vel”) per dieci tornei delle ultime 52 settimane, vale a dire i quattro tornei dello Slam 2018, il torneo più veloce (Metz) e quello più lento del circuito (Estoril), le due edizioni della Laver Cup e due tornei con l’indice più vicino alla Laver Cup (Antalya e New York).

Anno  Torneo           Superficie  Ace%    Vel  
2018  Metz             Cemento     10.6%   1.57  
2018  Antalya          Erba        9.9%    1.28  
2017  Laver Cup        Cemento     17.0%   1.26  
2018  Australian Open  Cemento     11.7%   1.17  
2018  Wimbledon        Erba        12.9%   1.16  
2018  Laver Cup        Cemento     13.3%   1.09  
2018  New York         Cemento     15.7%   1.09  
2018  US Open          Cemento     10.8%   1.02  
2018  Roland Garros    Terra       7.7%    0.74  
2018  Estoril          Terra       5.2%    0.55

L’indice di velocità varia dallo 0.5 delle superfici più lente all’1.5 delle più veloci, significa cioè che sulla terra più viscosa un giocatore mette a segno la metà degli ace che farebbe su una superficie neutra, mentre sull’erba più scivolosa o sul Plexipave lo stesso giocatore farebbe circa il 50% in più di ace rispetto una superficie neutra.

Qualche caveat

La Laver Cup 2017, nonostante un incredibile 17% di frequenza di ace, è a malapena entrata tra le dieci superfici più veloci dei 67 tornei che sono riuscito a misurare. A Chicago invece, la superficie aveva una velocità vicina al primo terzo dei tornei analizzati, dietro alla veloce terra battuta di Quito ma considerevolmente più lenta degli Australian Open.

Servono come sempre un po’ di avvertimenti. In primo luogo, la velocità della superficie ha un significato più ampio della frequenza di ace. Mi sono soffermato su questa statistica perché è una delle poche a disposizione per ciascun torneo del circuito maggiore e perché, a dispetto della sua semplicità, è facilmente intuibile e va di pari passo con altri parametri di misurazione e con i commenti dei giocatori.

In secondo luogo, non siamo esattamente subissati da informazioni su entrambe le edizioni della Laver Cup. Nel 2017 ci sono state nove partite di singolare, quest’anno otto. E le cose peggiorano con i super-tiebreak al terzo set, che di fatto tolgono dati. Di contro, pur non avendo molte partite da analizzare, conosciamo approfonditamente i giocatori protagonisti, a differenza di alcuni tornei, come ad esempio Newport o Shenzhen, in cui molte partite vedono scontrarsi giocatori che non hanno una presenza regolare sul circuito.

Conclusioni

La superficie delle due edizioni della Laver Cup rientra tra quelle veloci, ma non più di quanto non lo siano altri campi indoor in cemento sul circuito maggiore. Ci saranno sempre molti tiebreak e ace con Isner e Anderson, non importa quali siano le condizioni di gioco.

How Fast Was the Laver Cup Court?

Il dominio europeo attraverso simulazioni di Laver Cup fittizie

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 21 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Non importa quale sia la conclusione della Laver Cup 2018 a Chicago, gli appassionati possono affermare con sicurezza che nel tennis attuale l’Europa ha un vantaggio incolmabile sul resto del mondo. Stando al mio pronostico, la seconda edizione della Laver Cup è appannaggio dell’Europa (che ha infatti poi vinto per 13-8, n.d.t.), e questo anche in assenza di Rafael Nadal, il numero uno della classifica di singolare (e anche eccellente giocatore di doppio).

Non è stato sempre così. Nel 1999, due americani, Pete Sampras e Andre Agassi, dominavano la scena e un australiano, Patrick Rafter, era in uno stato di forma migliore di quello di qualsiasi giocatore che l’Europa avrebbe potuto schierare in un’ipotetica antenata della Laver Cup. All’inizio degli anni ’90, Sampras e Agassi si contendevano il vertice della classifica con altri americani, come Jim Courier e Michael Chang. Gli europei hanno sempre mantenuto una presenza tra i migliori, ma il resto del mondo ha spesso avuto la meglio.

Scontri immaginari

Il format della Laver Cup permette di fare un confronto plausibile tra continenti. Si tratta però di paragoni virtualmente impossibili da quantificare, perché non c’è accordo su cosa significhi per una determinata regione dominarne un’altra. La Laver Cup è un compromesso. Le partite di singolare valgono più di quelle di doppio, ma anche il doppio può incidere sul risultato finale. È richiesta qualità di gioco – almeno da sei dei convocati – ma i tre più forti possono avere un impatto maggiore.

Utilizzando per il singolare le valutazioni Elo (senza considerare la superficie) e per il doppio la classifica ATP a fine anno, ho generato squadre da sei giocatori per l’Europa e per il Resto del Mondo per ciascuna stagione a partire dal 1983. Ho seguito la logica illustrata in un precedente articolo sul valore dello specialista di doppio, in modo che ogni squadra abbia i cinque migliori giocatori del momento e il giocatore di doppio con la classifica più alta. Nel caso quest’ultimo fosse già tra i singolaristi, ho scelto il successivo in classifica.

Ho imposto come requisito che ogni singolarista abbia vinto almeno 20 partite in quella stagione, in modo da escludere chi ha subito infortuni di peso (come Andy Murray, che non è rientrato nell’ipotetica squadra europea del 2018), dando per certo che ogni altro giocatore fosse fisicamente in ordine e desideroso di partecipare.

Esiti delle simulazioni

A titolo di esempio prendiamo la fittizia Laver Cup del 1983. Nel Resto del Mondo figuravano John McEnroe, Jimmy Connors, Jimmy Arias, Guillermo Vilas, Jose Luis Clerc e Peter Fleming, mentre l’Europa schierava Mats Wilander, Ivan Lendl, Jose Higueras, Anders Jarryd, Yannick Noah e Pavel Slozil (Lendl ha iniziato a rappresentare gli Stati Uniti dal 1992, quando l’immaginario Resto del Mondo, capitanato da Rod Laver stesso, lo ha inserito tra le proprie fila). Si tratta di una delle ipotetiche edizioni più equilibrate, con il Resto del Mondo vittorioso nel 55% delle simulazioni di partita.

La fortuna per il Resto del Mondo però è poi girata. Dopo il 1984 da favoritissimi, per i nove anni successivi l’Europa è stata sempre avanti. L’immagine 1 mostra la probabilità di vittoria della Laver Cup fittizia per entrambe le squadre per ogni anno dal 1983 a oggi.

Immagine 1 – Probabilità di vittoria della Laver Cup fittizia per il periodo 1983 – 2018

Va ricordato che i dati per il 2017 e 2018 prevedono che abbiano giocato tutti i migliori giocatori. in precedenza ho dato all’Europa una probabilità di vittoria del 67.6% con i convocati effettivi; se si aggiunge Nadal e ci si sposta dal cemento a una superficie neutrale, le possibilità dell’Europa aumentano al 75%, anche con Juan Martin Del Potro e Kei Nishikori a disposizione del Resto del Mondo.

Difficile immaginare all’orizzonte il sopravvento del Resto del Mondo

Il massimo distacco tra Europa e Resto del Mondo si è verificato nel 2012, quando i Fantastici Quattro e David Ferrer avevano valutazioni Elo al singolare più alte di qualsiasi giocatore non europeo. In realtà, la situazione era ancora più netta: tutti gli europei avevano valutazioni Elo di circa 2200 e tra i potenziali membri del Resto del Mondo solo Del Potro superava i 2000 punti. Inserendo questi dati nel pronostico per quell’anno, l’ipotetica squadra europea aveva l’87.5% di probabilità di vittoria.

Anche il 1987 – appena tre anni dopo l’edizione in cui il Resto del Mondo era favorito – sembra essere a senso unico. McEnroe e Connors erano ancora i due condottieri del Resto del Mondo, ma il loro livello era calato, contro l’ascesa di Lendl. Inserendo Stefan Edberg e Boris Becker nel gruppo, l’Europa arriva all’86.3% di probabilità di vittoria. Il Resto del Mondo ha avuto pronostici positivi durante gli anni ’90, ma in nessun momento la probabilità di vincere una competizione del tipo Laver Cup è andata oltre il 75%.

Dal 2012, la presa dell’Europa si è allentata, anche se è difficile immaginare all’orizzonte il sopravvento del Resto del Mondo. Quattro dei primi cinque giocatori sotto i 23 anni arrivano dal continente europeo. C’è un po’ più di speranza tra i giovanissimi, con Denis Shapovalov e Alex de Minaur (entrambi potenziali candidati a entrare in squadra) gli unici sotto i vent’anni tra i primi 100. Ma anche qui l’ampiezza di talento dell’Europa è incontrastata: dei primi 10 giovanissimi della classifica maschile, sei sono europei.

Conclusioni

Rispetto ai miei ipotetici schieramenti, l’Europa sarebbe stata favorita in 24 delle ultime 36 Laver Cup, e ne avrebbe vinte 23 su 36. Il format con cui è impostato l’evento consente sufficiente casualità da fare in modo che anche il Resto del Mondo prima o poi ne vinca una. Ma dovrà passare probabilmente molto più tempo prima che l’Europa abbandoni il vertice del tennis mondiale, anche sotto la spinta di forze congiunte degli altri continenti.

Tracking European Dominance With Fictional Laver Cups

L’impatto dell’utilizzo del cronometro al servizio agli US Open 2018

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 19 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Per la prima volta in assoluto tra i tornei del Grande Slam, gli US Open 2018 hanno introdotto il cronometro al servizio. I secondi a disposizione del giocatore dal momento in cui è terminato un punto all’inizio del successivo sono stati fissati a 25, dal precedente limite ufficiale di 20 secondi, in parte per prendere consapevolezza che una pausa così breve avrebbe comunque continuato a non essere rispettata, e per allinearsi all’ATP e alla WTA, che da tempo hanno quel limite a 25 secondi.

Si è sperimentato l’utilizzo del cronometro nei tornei estivi in Nordamerica, e già in precedenza mi è capitato di misurarne l’impatto sulla durata, in un articolo per l’Economist e in uno su questo blogIn entrambi, la conclusione è stata che il cronometro al servizio sembra rallentare le partite. Con dati limitati a disposizione – il numero di punti e la durata di ogni partita – ho trovato che le partite di tutti i tornei con il cronometro sono state più lente tra 0.3 e 2.0 secondi per punto. Significa qualche minuto a partita, non poco per una novità introdotta per velocizzare il gioco.

US Open 2017 vs US Open 2018

Gli US Open forniscono un campione più ampio di partite da analizzare e dati molto più specifici. Prima di addentrarci nella ricerca di una risposta più strutturata al problema, osserviamo le partite giocate a Flushing Meadow sotto la semplice lente dei secondi per punto. La tabella riepiloga il calcolo per il tabellone di singolare maschile dell’edizione 2017 (senza il cronometro e con un limite teorico di 20 secondi) e dell’edizione 2018 (con il cronometro a 25 secondi).

Tabellone   2017   2018  
Uomini      40.0   43.4  
Donne       40.7   42.3

Sono partite decisamente lente. Di tutte quelle estive che ho esaminato, solo nel tabellone maschile a Washington si è andati oltre i 42 secondi per punto.    

È probabile però che il caldo torrido abbia inciso, almeno in parte, sui tempi di gioco. La regola delle temperature estreme ha certamente rallentato lo svolgimento, visto che prevede un’interruzione di dieci minuti dopo i primi due set per le partite femminili e dopo i primi tre set per quelle maschili, quando le condizioni meteo sono impossibili da sostenere. Sono interruzioni che rientrano nella durata ufficiale della partita, quindi vanno in un modo o nell’altro considerate.

Evitiamo del lavoro addizionale escludendo interamente la regola delle temperature estreme e confrontando partite del 2017 e 2018 in cui un giocatore ha vinto tutti i set, per nessuna delle quali è stata applicata la regola. Rimaniamo con metà dei dati di partenza.

Tabellone   Punteggio minimo 
            2017      2018   
Uomini      39.2      43.4  
Donne       39.8      41.3

Non me lo aspettavo. Le partite con il minimo punteggio di set quest’anno sono state giocate quasi con la stessa velocità di quelle più lunghe, anche senza la possibile applicazione della regola dei 10 minuti. Forse i giocatori non si dilungano nelle partite a punteggio minimo perché così tante di queste sono a senso unico. O forse è la combinazione di giocatori a essere diversa. Quale la ragione, questo paragone tra mele e mele mostra che le mele del 2018 sono state un bel po’ più lunghe da mangiare di quelle dello scorso anno.

Di nuovo, ma con dati migliori

La regola delle temperature estreme ha evidenziato il problema di usare la durata complessiva delle partite, che include le interruzioni tra un set e l’altro, i cambi di campo, le richieste di Hawk-Eye, i nastri e qualsiasi altra forma di ostacolo al flusso del gioco che si possa pensare. Sono tutti ritardi che nel lungo termine verranno controbilanciati, ma nel lungo termine, citando John Maynard Keynes, non ci sarà nemmeno più nessuno. A oggi, abbiamo visto solo poche centinaia di partite su ciascun circuito usare il cronometro al servizio.

Lo Slamtracker degli US Open riporta i marcatori temporali all’inizio di ciascun punto della maggior parte delle partite di singolare maschile. Pur non essendo ancora la perfezione – non dice ad esempio quando finisce il punto – con la giusta cura è del materiale su cui si può lavorare.

Metodologia

Ho iniziato identificando tra i dati di Slamtracker ogni punto sulla prima di servizio che non ha portato alla conclusione del game di servizio. Poi ho escluso le seconde di servizio perché il tempo utilizzato tra la prima e la seconda cambia radicalmente da giocatore a giocatore, e non è un aspetto di cui si preoccupa l’introduzione del cronometro al servizio. Infine, ho eliminato anche i punti di chiusura del game perché le pause a seguito di quei punto sono più lunge, in quanto il servizio passa all’altro giocatore e spesso si cambia anche campo. 

Rimangono così circa 16.000 punti, cioè un numero molto interessante su cui fare calcoli. Da qui, ho cercato di ricavare quanto tempo sia stato dedicato al tennis effettivo, vale a dire servizio, risposta, rovesci tagliati, questo tipo di cose. Viene fuori che ogni colpo aggiuntivo comporta circa due secondi in più tra l’inizio di un punto e l’inizio del successivo.

Una parte potrebbe dipendere dall’accumulo di fatica, che allunga la ripresa del punto, ma lascio ai giocatori il beneficio del dubbio e ipotizzo che si tratti di tempo impiegato per giocare. Sono anche generoso e affermo che il primo colpo – la durata di un ace o di un servizio vincente – è cinque secondi, in modo da lasciare più tempo per i movimenti di servizio più elaborati.

Tra tutto, abbiamo 16.000 punti per i quali si può stimare la lunghezza della pausa tra un punto e l’altro. Se tra i marcatori per il punto 1 e il punto 2 ci sono 35 secondi e il punto 1 era di cinque colpi – 5 secondi per il primo colpo, 8 secondi per i successivi per un totale di 13 secondi – concludiamo che il giocatore al servizio ha impiegato 22 secondi per detergere il sudore, scegliere le palline meno consumate e prepararsi a servire. 

Un ultimo passaggio, sempre in vena di generosità: per ogni partita, ho eliminato il 5% più lungo delle pause tra un punto e l’altro. Alcuni sono probabilmente dovuti a Hawk-Eye, o nastri al servizio o ad altre interruzioni non presenti nei dati. Ma probabilmente ho filtrato anche dei casi legittimi in cui il giocatore al servizio era davvero lentissimo, ma voglio fare di tutto per ottenere un risultato non contaminato da troppi fattori esterni.

Risultati

Basta con la metodologia, ecco i risultati. La tabella mostra il numero di pause tra un punto e l’altro rispettivamente al di sotto dei 20 e dei 25 secondi, e al di sopra dei 25 e 30 secondi. Non dimentichiamo che questi tempi, e le frequenze temporali che ne risultano, derivano da una serie di ipotesi – ufficiali – favorevoli ai giocatori. Sono abbastanza sicuro che con un cronometro alla mano per ciascuno dei 16.000 punti considerati, è più probabile che arriveremmo di persona a un conteggio uguale o più lungo di quanto non ne troveremmo di più corto. 

Pausa tra punti   2017    2018    Variazione (%)  
Meno di 20sec     86.5%   78.6%   -9.2%  
Meno di 25sec     97.0%   95.1%   -2.0%  
Più di 25sec      3.0%    4.9%    63.1%  
Più di 30sec      0.4%    0.8%    91.0%

Non sono molto numerosi le pause eccessivamente lunghe – meno di una ogni 20 punti quest’anno – ma sono aumentate vertiginosamente rispetto al 2017. Potrebbe dipendere dalla modifica della regola dai 20 ai 25 secondi ma, come abbiamo visto, le partite con il limite di venti secondi nel 2017 si sono giocate velocemente quasi quanto quelle con il limite di venticinque secondi (in termini di durata per punto). Non penso quindi sia un aspetto a cui guardare. 

Il caldo è naturalmente un fattore, anche escludendo le interruzioni generate dall’applicazione della regola delle temperature estreme. Temperature più alte e umide tendono ad affaticare i giocatori più velocemente, e questo si riflette poi nel tempo impiegato a recuperare tra un punto e l’altro. Forse questo è il motivo per cui dall’anno scorso le pause di 30 o più secondi sono quasi raddoppiate.

Restano comunque diversi interrogativi sul cronometro al servizio e sulla sua modalità d’impiego da parte degli arbitri. La frequenza delle pause di 30 o più secondi – lo 0.8% – sembra ininfluente, ma su 16.000 punti rappresenta più di 100 occorrenze. Nell’analisi sono riuscito a includere solo poco meno della metà dei punti in partite con lo Slamtracker, che significa all’incirca tre quarti del tabellone di singolare.

Quindi, potrebbero esserci più di 300 circostanze in tutto il torneo in cui un giocatore impiega più di 30 secondi prima di servire il punto successivo (e non dimentichiamo di aver escluso il 5% più lungo tra queste). Il numero delle pause di almeno 25 secondi è un’evidenza ancora più forte: seguendo lo stesso ragionamento, potrebbero essere circa 2000 le volte di superamento del limite dei 25 secondi. Sicuramente alcune di queste sono state sanzionate, ma non più di una minima frazione.

Conclusioni

Come ho scritto nel precedente articolo di questo blog, causa rilevante del problema è da imputare all’abitudine dei giudici di sedia di far partire il cronometro solo quando il rumore degli spettatori si è placato. In una partita emozionante e con grande pubblico, il tempo limite diventa quindi in realtà di almeno 35 secondi. Potrebbero essere queste le istruzioni ricevute dagli arbitri, ma così è certo che le partite durino di più. Non c’è motivo per non far partire il cronometro immediatamente e interromperlo solo nelle rare occasioni in cui c’è ancora troppo rumore dopo 25 secondi. 

Questo semplice metodo per la valutazione dell’impatto del cronometro al servizio, come descritto in precedenza, continua a suggerire un rallentamento nei tempi di gioco. Un’analisi più sofisticata – resa possibile da dati più specifici per la maggior parte degli Slam – muove nella stessa direzione, mostrando quanto spesso i giocatori riescano comunque ad allungare la pausa tra un punto e l’altro. La speranza è che il cronometro al servizio sia in fase di aggiornamento, perché altrimenti servono migliorie sostanziali affinché possa contribuire a velocizzare il gioco. 

The Effect of the US Open Serve Clock

Un pronostico sulla Laver Cup 2018

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 20 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

È di nuovo quel periodo dell’anno: selfie di gruppo in abito elegante, improbabili scuse sulla Coppa Davis e un richiamo al fatto che servono sei continenti solo per pareggiare l’Europa. Si, è arrivata la Laver Cup.

Lo scorso anno ho pronosticato la competizione analizzando le diverse possibilità di utilizzo dei giocatori a disposizione dei due capitani – Bjorn Borg e John McEnroe – e ipotizzando un risultato finale di 16-8 per l’Europa. Grazie a strategie intelligenti da parte di entrambi, il punteggio finale è stato di 15-9. L’edizione 2018 si è spostata da Praga a Chicago, con giocatori leggermente diversi, ma il format è rimasto identico.

Iniziamo dalle squadre. Per avere un termine di paragone, ho aggiunto due giocatori, Juan Martin Del Potro, che si è però ritirato per il Resto del Mondo e Pierre Hugues Herbert, lo specialista di doppio che Borg non ha ancora realizzato di aver bisogno. Accanto a ciascun giocatore è riportata la valutazione Elo specifica per superficie per il singolare e per il doppio (valutazione D-Lo).

EUROPA             Elo singolare    D-Lo doppio  
Djokovic           2137             1667  
Federer*           2097             1700  
Zverev             1971             1690  
Goffin             1960             1582  
Dimitrov           1928             1719  
Edmund             1780             1542  
                                                        
RESTO del MONDO    Elo singolare    D-Lo doppio
Anderson           1914             1692  
Kyrgios            1910             1668  
Isner              1887             1800  
Schwartzman        1814             1540  
Tiafoe             1772             1544  
Sock               1724             1925  
                                                        
ANCHE                                                    
Del Potro          2062             1678  
Herbert            1691             1890

* Federer ha giocato poche partite di doppio sul 
circuito maggiore negli ultimi anni. L’anno scorso 
avevo stimato la sua D-Lo a 1650; avendolo poi giocato 
molto bene, per il 2018 gli ho dato 1700 punti.

Soprattutto in assenza di Del Potro, l’Europa sembra poter dominare in singolo. Il doppio va a favore del Resto del Mondo, in larga parte per merito di Jack Sock, ben più forte se paragonato a giocatori orientati al singolare.

Un ripasso del format

Rivediamo velocemente come funziona la Laver Cup. Si gioca su tre giorni, in ognuno dei quali ci sono tre partite di singolare e una di doppio. Tutti i giocatori devono giocare il singolo almeno una volta e non è possibile schierare due volte lo stesso doppio. Le partite del primo giorno valgono un punto, le partite del secondo due e le tre partite del terzo tre punti. In caso di pareggio 12-12 alla fine della terza giornata, è un solo set di doppio – in cui una coppia già schierata può essere riutilizzata – a decidere la squadra vincitrice.

Considerato il format, il sistema più remunerativo per i capitani è quello di schierare i tre peggiori giocatori alla prima giornata, per poi usare i tre migliori il secondo e il terzo giorno. Per il doppio, dovrebbero avere il miglior giocatore di doppio ogni giorno, con il compagno migliore al terzo giorno, il secondo migliore al secondo giorno e il terzo migliore al primo giorno.

Come detto, Borg e McEnroe ci sono andati vicino l’anno scorso, anche se Borg non ha usato Rafael Nadal (il suo miglior giocatore in doppio) nel doppio della terza giornata, e ha complessivamente fatto giocare Tomas Berdych più del dovuto. Sono entrambe decisioni comprensibili, visto che Nadal avrebbe potuto non reggere fisicamente tutte le partite e Berdych giocava di fronte ai connazionali.

Ora che possiamo essere certi della saggezza dei capitani, siamo nella posizione di pronosticare la seconda edizione con un po’ più di sicurezza della prima.

Il pronostico

L’assenza di Nadal peserà all’Europa sia in singolo che in doppio. Unita a una leggera diminuzione del livello di gioco di Federer in singolare, la Laver Cup 2018 si presenta più equilibrata di quella del 2017. Ricordiamo che l’anno scorso avevo dato l’Europa vincitrice per 16-8, con il risultato finale effettivo di 15-9.

Ipotizzando un utilizzo ottimale dei giocatori, in questa edizione l’Europa ha il 67.6% di probabilità di vittoria, con un punteggio finale più probabile di 14-10. C’è quasi una probabilità su dieci di uno spareggio sul 12-12, situazione nella quale la maggiore bravura in doppio del Resto del Mondo ha il vantaggio, con una probabilità del 70.7% di vincere il set conclusivo.

Se Del Potro fosse stato parte del gruppo, le cose sarebbero potute diventate ancora più interessanti. Inserendolo al posto di Frances Tiafoe, la probabilità dell’Europa sarebbe scesa al 56.8%, con un punteggio finale più probabile di 13-11.

Non c’è niente che McEnroe avrebbe potuto fare – se non diventare un medico qualche decennio fa – per far giocare Del Potro questa settimana. Borg invece ha meno scuse per non sfruttare al massimo il potenziale della squadra.

Il ruolo del doppio

A differenza del Resto del Mondo, con il più forte giocatore di doppio in circolazione, l’Europa ha una rosa di giocatori fortissimi in singolare che raramente giocano il doppio. Come visto, lo specialista del doppio può giocare tre volte, oltre al possibile set sul 12-12, mentre deve giocare in singolare solo una volta, nel primo giorno in cui le partite valgono meno punti.

La scelta ovvia è Herbert, tra i primi 5 del mondo in doppio e con un gioco in singolare di tutto rispetto. Il francese sarebbe considerevolmente più adatto di Kyle Edmund, che gioca meglio in singolare ma che non è di così grande aiuto vista la presenza di compagni di squadra fortissimi (ho fatto una simile considerazione lo scorso anno citando il caso di Nicolas Mahut, il compagno di doppio di Herbert. Da quel momento, Herbert ha superato Mahut nelle valutazioni Elo in singolare e in doppio).

Sostituendo Herbert a Edmund, la simulazione restituisce il miglior risultato per l’Europa. Contro il Resto del Mondo senza Del Potro, l’ipotetica squadra dell’Europa avrebbe una probabilità di vittoria del 74.6%, con un punteggio finale presumibilmente di 14-10 o 15-9. Herbert e un compagno mediocre sarebbero comunque sfavoriti nel set di spareggio contro Sock e John Isner, ma la presenza di un doppio con possibili ambizioni di vittoria riduce la probabilità a circa 58/42.

Conclusioni

Pur non vedendo Del Potro o Herbert giocare a Chicago quest’anno, possiamo attenderci una Laver Cup più competitiva dello scorso anno. Se poi si aggiunge anche il fattore campo, il risultato non è più così scontato. Non sarà in grado di regalare la stessa eccitazione dei play-off del World Group di Coppa Davis di qualche giorno fa, ma ho il sospetto che attirerà più interesse dei turni conclusivi dei tornei di Metz o San Pietroburgo.

Forecasting the 2018 Laver Cup

L’enigma della velocità di superficie agli US Open 2018

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 13 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Quasi tutti concordano nel dire che agli US Open 2018 i campi erano più lenti. È quello che hanno pensato i giocatori, che poi hanno ripreso i giornalisti e che il direttore del torneo ha confermato spiegando che la composizione fisica della superficie è stata leggermente alterata in modo da rallentarne la velocità. Anche Dominic Thiem, specialista della terra battuta, è arrivato a due punti dalla semifinale, quindi qualcosa è chiaramente cambiato.

E non lo metto in discussione ma, quando ho provato a misurare eventuali conseguenze per avere un’idea di chi potrebbe esserne stato favorito, ho trovato solo risultati contrastanti. Nessun metodo ha rivelato un incontrovertibile rallentamento della superficie e, secondo alcuni indici, i campi erano più veloci quest’anno. Forse era solo per caldo e umidità, anche se i numeri non forniscono indizi nemmeno su questo.

Risultati contrastanti

Per questo tipo di analisi parto di solito dal mio indice di velocità di superficie, che confronta la frequenza di ace in ogni torneo tenendo conto del tipo di giocatori al servizio e alla risposta. La carenza di statistiche avanzate ne limita l’applicazione solo ad alcuni dati di base, ma generalmente è in linea con quanto suggerisce l’intuito e non si discosta eccessivamente dal Court Pace Index (CPI), un valore basato su misurazione diretta che però non è sempre disponibile.

Utilizzando il mio algoritmo, si ottiene che la superficie degli US Open era il 5% più veloce della superficie media di un torneo del circuito maschile delle ultime 52 settimane, rispetto al 2017, quando invece era più lenta del 4%. Per quanto riguarda la velocità di superficie media di un torneo del circuito femminile, gli US Open erano più lenti del 5%, rispetto a una maggiore lentezza del 19% nel 2017. Le superfici più lente in entrambi i circuiti maggiori hanno in media il 50% di ace in meno, mentre le più veloci hanno in media il 50% di ace in più.

La durata media dello scambio è diminuita

Il 2017 non è stata solo una casualità, sia per le misurazioni effettive che per il mio indice, ma si è avvicinato al 2016, un altro anno che figura considerevolmente più lento della superficie del 2018. Si tratta di una discrepanza dovuta probabilmente a un algoritmo che si affida troppo agli ace: magari i giocatori, stremati dall’afa, hanno cercato di accorciare gli scambi più del solito o semplicemente evitare lo sforzo di rispondere alla prima di servizio con la stessa frequenza.

Ci sono prove più evidenti dell’offensività dei giocatori nel 2018 rispetto al 2017. Sui campi con lo Slamtracker (179 partite del tabellone di singolare maschile sulle 254 giocate), in media la durata di uno scambio – escludendo i doppi falli – è scesa da 4.28 colpi dello scorso anno ai 4.17 del 2018, un calo del 2.6%. La combinazione di giocatori in tabellone potrebbe incidere su questo dato (così come anche l’assegnazione dei campi più importanti a determinati giocatori), ho quindi isolato i 27 giocatori con statistiche di almeno due partite per il 2017 e il 2018. Qui, la lunghezza dello scambio è scesa, anno su anno, di circa il 3%.

Nel 2018 un tennis più aggressivo

Iniziamo ad avere un principio di spiegazione. In caso di gioco più aggressivo – magari imposto dalla necessità di adottare per il caldo estremo una tattica di precedere l’avversario nell’attaccare – gli effetti di una superficie più lenta si compensano. Possiamo approfondire l’analisi attraverso l’Indice di Offensività, che misura il rapporto tra vincenti ed errori non forzati per numero di colpi. Su tutte le partite considerate, l’Indice di Offensività è salito dal 15.3% nel 2017 al 16.1% quest’anno, un aumento del 5.7%. Nel campione di 27 giocatori con più partite in entrambi gli anni, la differenza è ancora più marcata, con un aumento dell’8.7%.

È chiaro quindi che si è visto un tennis più aggressivo nel 2018 che nella precedente edizione degli US Open. Se diamo per assodato che i campi erano più veloci, il caso è chiuso: la tattica, probabilmente forzata dalle temperature, ha surclassato la superficie. Ma se affrontiamo il problema ignorando i commenti di giocatori, giornalisti e organizzatori, gli stessi numeri conducono inequivocabilmente a una conclusione ancora più semplice, che cioè i campi erano più veloci.

Questione di tattica?

Se è la tattica a spiegare la discrepanza, un altro aspetto da valutare è la prima di servizio. Forse chi era al servizio ha rischiato di più, incrementando la frequenza di ace a discapito della percentuale di prime di servizio. I dati però non sono di conforto, visto che complessivamente la prima di servizio nelle partite seguite dallo Slamtracker è diminuita solo dello 0.07%. Nel confronto anno su anno del campione di 27 giocatori, la differenza è maggiore, ma di un trascurabile 0.3%. Se la soluzione sta nella tattica, deve trovarsi nella risposta al servizio, non nel servizio stesso.

Il processo deduttivo però ha ora qualche tentennamento, perché la tattica in risposta è più difficile da quantificare della strategia al servizio e i dati a disposizione hanno un limite applicativo intrinseco. Possiamo conteggiare le risposte vincenti e gli errori forzati indotti, cioè i punti in cui lo scambio è terminato grazie a una solida risposta. Se i giocatori alla risposta hanno concesso più ace, dovrebbe essere per via di una maggiore aggressività, preferendo a minori opportunità di scambio una migliore probabilità di vincere il punto quando effettivamente riescono a colpire la pallina.

Non è andata così, perché le risposte vincenti e gli errori forzati indotti sono scesi di un incredibile 7% anno su anno. Questo dato è a supporto della teoria di una superficie più lenta, e soddisfa le attese di quei giocatori che adottano una posizione alla risposta molto conservativa, come ad esempio Rafael Nadal, il cui rapporto risposte vincenti su errori forzati indotti è calato del 3% e Thiem, per il quale invece è sceso del 7%. Ma una superficie più lenta e un valore più basso del rapporto risposte vincenti su errori forzati indotti dovrebbe portare a meno ace, non il contrario.

Conclusioni

Giunti a questo punto, abbiamo molte più informazioni dell’inizio ma poche risposte in più. Alcuni segnali fanno pensare a una superficie più veloce, altri a una più lenta; alcuni indicano una tattica più offensiva, altri una più conservativa. A prescindere da quanto si conosca sulla composizione fisica dei campi, sono molti i fattori in grado di incidere su quella che definiamo “velocità di superficie”.

Le condizioni di estremo caldo umido degli US Open 2018 hanno certamente complicato lo scenario: uno studio che inserisse tra i parametri l’indice di calore per ogni singola partita aiuterebbe probabilmente a fare chiarezza. Potremmo anche vedere i giocatori adattarsi alle condizioni – che siano il calore o la superficie più lenta – in modi tra loro differenti. Ci può essere unanimità di opinione sul modo in cui superficie e palline hanno interagito quest’anno, ma è molto più difficile capirne esattamente il significato.

The US Open Surface Speed Puzzle

Otto diverse campionesse Slam. Se facessimo nove?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 10 settembre 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Pur eclissato dal frastuono generato dalla controversia tra Serena Williams e l’arbitro Carlos Ramos durante la finale degli US Open 2018, si è verificato un fatto di grande importanza relativo all’equilibrio del tennis femminile attuale. Naomi Osaka è diventata l’ottava vincitrice negli ultimi otto Slam disputati, una striscia che risale alla vittoria di Serena agli Australian Open 2017.

Da quel momento, otto nomi sono entrati nell’albo d’oro, uno diverso per ciascun torneo: Jelena Ostapenko, Garbine Muguruza, Sloane Stephens, Caroline Wozniacki, Simona Halep, Angelique Kerber e Osaka. Nello stesso periodo, tra gli uomini hanno vinto solo tre diversi giocatori.

Una striscia destinata a continuare

Il circuito femminile è talmente competitivo che la striscia potrebbe facilmente continuare. Ho ipotizzato un tabellone di singolare per gli Australian Open 2019 sulla base dell’attuale classifica delle prime 128 giocatrici, e calcolato delle previsioni di vittoria in funzione delle attuali valutazioni Elo. La tabella riepiloga la probabilità di ognuna delle ultime otto vincitrici Slam.

Giocatrice    Testa di serie  Probabilità titolo  
Halep         1               16.7%  
Wozniacki     2               7.1%  
Kerber        3               5.7%  
S. Williams   16              5.5%  
Osaka         7               4.9%  
Stephens      9               2.6%  
Muguruza      14              1.8%  
Ostapenko     10              0.5%  
TOTALE                        44.9%

Complessivamente, non arrivano nemmeno al 50! Detto in altro modo, c’è una probabilità superiore al 50% di vedere la nona campionessa Slam alzare il trofeo a Melbourne. La tabella riepiloga le giocatrici con la probabilità più alta.

Giocatrice    Testa di serie  Probabilità titolo  
Svitolina     6               8.8%  
Sabalenka     20              6.6%  
Kvitova       5               5.9%  
Pliskova      8               3.7%  
Barty         17              3.5%  
Garcia        4               3.3%  
Keys          18              2.6%  
V. Williams   21              2.6%  
Buzarnescu    23              2.3%  
Goerges       11              2.2%

Ammetto, Mihaela Buzarnescu sembra un po’ fuori posto, ma quale delle altre nove rappresenterebbe una sorpresa più di quanto non lo siano state Ostapenko, Stephens o Osaka? Secondo le simulazioni, tre delle prime cinque favorite per gli Australian Open 2019 non hanno vinto nemmeno uno Slam nei due anni passati.

Anche fino a dodici diverse vincitrici

Considerato l’assoluto numero di possibili contendenti al titolo, è facile immaginare che possa esserci non solo una nona diversa vincitrice, ma dodici, ampliando l’orizzonte a tutto il 2019. Consideriamo le seguenti possibilità:

Sono fantasiose supposizioni, ne sono consapevole. Ma è anche a malapena accurato affermare che ci sia una “favorita” quando solo una giocatrice ha probabilità in doppia cifra di vincere il prossimo Slam, e comunque non più di una su sei.

Nessuna giocatrice è una scelta certa per uno qualunque dei prossimi Slam e solo Halep ha una probabilità migliore del 50% di vincere uno Slam nel 2019. È poco probabile che la striscia arrivi a dodici ma non meno probabile, ad esempio, della vittoria di Osaka agli US Open prima dell’inizio del torneo.

Come visto, la probabilità di una nona vincitrice in Australia è di circa il 55%. Quale essa sia, è probabile che si sarà guadagnata delle previsioni più rosee per il successivo Roland Garros, riducendo di fatto la probabilità di una nuova vittoriosa giocatrice a Parigi.

E così via, dopo una decima o undicesima vincitrice. Se riduciamo la probabilità di una “nuova vincitrice” di sette punti percentuali a ogni Slam, la probabilità di una striscia da dodici vincitrici diverse è del 3.7%, la stessa che ha Pliskova di diventare la numero nove.

Succedono strane cose: nel tennis femminile, l’imprevedibilità è diventata la norma.

Eight Slams, Eight Women’s Champions. How About Nine?