Le ultime 156 finali Slam maschili

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 10 maggio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

È con orgoglio che annuncio il raggiungimento di un nuovo traguardo per il Match Charting Project! Abbiamo completato la raccolta di dati punto per punto di tutte le finali Slam maschili dal 1980, un insieme di partite che desideravo avere sin dai primi giorni di nascita del progetto e uno sforzo che ha coinvolto molte persone che regolarmente prestano il loro contributo.

Trovate qui l’elenco integrale delle finali, con il link ai dati punto per punto di ciascuna partita.

Una ricchezza informativa ineguagliabile

Dal 1980 alla finale degli Australian Open 2018 sono 152 finali maschili consecutive. Recentemente ho aggiunto le quattro finali del 1979, portando il totale a 156. Ci sono poi anche altre finali Slam più datate, ma la possibilità di tornare indietro nel tempo è limitata dal fatto che la disponibilità e qualità dei video per le partite precedenti alla fine degli anni ’70 è sensibilmente inferiore.

Per studiosi e appassionati di storia di tennis si tratta di materiale molto prezioso, ancor più per via della sua completezza. A eccezione di alcuni punti mancanti, il Match Charting Project offre una ricchezza informativa ineguagliabile: direzione del servizio, tipologia di colpo giocato, scelte tattiche (come il servizio e volée) e molto altro, in uno standard uniforme.

È sempre particolarmente gratificante terminare una collezione, in questo caso con gli ultimi due pezzi mancanti dati dalla finale del Roland Garros 1987 e dagli Australian Open 1981.

Anche se 156 partite sono una frazione ridotta delle circa 4000 presenti nel database, la completezza del sottoinsieme rende l’analisi scevra dalla natura non casuale della disponibilità dei video e dello specifico interesse di chi raccoglie i dati.

Ad esempio, se si vuole capire come il gioco a rete sia cambiato a Wimbledon nel corso degli ultimi quattro decenni, ora ci sono tutte le finali per farlo.

Su questa scia, abbiamo altri sottoinsiemi importanti su cui stiamo lavorando, come le finali dei Master 1000 dal 1990, le finali 2018 del circuito maggiore, gli scontri diretti tra i Fantastici Quattro e le finali giocate dai Fantastici Quattro negli anni.

Contribuite se potete

Stiamo anche per completare le finali Slam femminili, con 137 delle 152 totali dal 1980 e tutte quelle dal 1999 a oggi. Non riusciamo a recuperare i video per le rimanenti, tra cui in particolare la finale degli US Open 1998 (Davenport-Hingis), del Roland Garros 1994 (Graf-Pierce), degli US Open 1994 (Sanchez-Graf) e degli Australian Open 1991 (Seles-Novotna). Trovate qui l’elenco integrale, con anche le rimanenti finali dal periodo 1980-86. Se siete in grado di aiutarci, contattatemi pure!

Come sempre, se avete interesse per il progetto, il vostro contribuito è molto gradito. I 2.3 milioni di colpi ricchi di informazioni non sono apparsi magicamente, e ci affidiamo a volontari per mappare le partite. Spero quindi che vogliate unirvi: ci sono buoni motivi per i quali dovreste, e istruzioni su come iniziare. 

The Last 156 Men’s Grand Slam Finals

La vorticosa ascesa in classifica di Mihaela Buzarnescu

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 9 maggio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

L’ultima giocatrice a entrare tra le prime 32 del circuito femminile ci è arrivata con fatica e sudore. Mihaela Buzarnescu, che ha recentemente raggiunto il suo massimo in carriera dopo la finale del torneo di Praga persa in tre set contro Petra Kvitova, ha debuttato sul circuito maggiore 14 anni fa.

Nonostante un certo successo a livello juniores, con la vittoria tra le altre degli US Open 2006, non è riuscita a entrare tra le prime 100 se non a ottobre 2017.

Non dovrebbe essere questa la tipica evoluzione della carriera di una giocatrice. L’età media si è sicuramente alzata e le più forti hanno allungato la loro permanenza al vertice.

Ma il ciclo vincente inaugurato da Buzarnescu all’avvio della stagione – con il quale ha scalato la classifica da una posizione fuori dalle prime 400 a una tra le prime 40 – è iniziato dopo che aveva compiuto 29 anni. Più si analizza da vicino il risultato di Buzarnescu, e l’età a cui è maturato, più appare insolito.

I più anziani debutti tra le prime 100

A partire dalla stagione 1987, 630 giocatrici sono entrate tra le prime 100. In media, nel lunedì (di pubblicazione della classifica aggiornata) in cui hanno varcato la fatidica soglia l’età è appena inferiore a 20 anni e 6 mesi.

Solo 29 delle 630, meno del 5%, sono entrate tra le prime 100 dopo aver compiuto 26 anni. E solo 14 ci sono riuscite dopo i 27 anni.

Giocatrice       Debutto    Anni  Giorni  Class. Max  
Obziler          20070219   33    306     75  
Villagran Reami  19880801   31    359     99  
Buzarnescu       20171016   29    165     32  
Ditty            20071105   28    305     89  
Bes Ostariz      20010716   28    183     90  
Washington       20040719   28    49      50  
Drake            19990201   27    317     47  
Maria            20150406   27    241     46  
Sromova          20051107   27    211     87  
Siegemund        20150914   27    193     27  
Perfetti         19960708   27    160     54  
Allen            19890227   27    51      83  
Barrois          20081020   27    20      57  
Bremond          20111017   27    11      93

Pur non trovandosi in cima all’elenco, Buzarnescu è certamente una giocatrice più forte sul circuito di quanto non lo fossero le due che sono entrate tra le prime 100 a un’età più avanzata.

Anche Tzipi Obziler, come Buzarnescu, si è fatta strada a lungo nei livelli inferiori del circuito femminile senza però mai andare oltre le prime 70. Adriana Villagran Reami ha sempre giocato pochi tornei: in termini di talento avrebbe potuto essere tra le prime 100 molto prima di quanto reso ufficiale dalla classifica, ma non è mai rimasta sul circuito con regolarità.

La giocatrice più simile a Buzarnescu è Laura Siegemund, che ha raggiunto le prime 100 qualche anno fa, fino poi ad arrivare alla posizione 27.

Poche delle giocatrici più anziane a debuttare tra le prime 100 hanno continuato la loro ascesa con la spinta mostrata da Buzarnescu e Siegemund. La tabella riepiloga le più anziane a entrare tra le prime 100 e successivamente tra le prime 32.

Giocatrice        Debutto    Anni  Giorni  Class. Max  
Buzarnescu        20171016   29    165     32  
Siegemund         20150914   27    193     27  
Bammer            20050822   25    117     19  
Asagoe            20000710   24    12      21  
Bollegraf         19880215   23    310     29  
Konta             20140623   23    37      4  
Kremer            19981019   23    2       18  
Tsurenko          20120528   22    364     29  
Peschke           19980420   22    286     26  
Cetkovska         20071022   22    256     25  
Garbin            20000214   22    229     22  
Li Na             20041004   22    221     2  
Santangelo        20040202   22    219     27  
Helgeson Nielsen  19910325   22    192     29  
Dellacqua         20070806   22    176     26

La nona giocatrice più anziana dell’elenco ha fatto il suo debutto tra le prime 100 prima di compiere 23 anni, e questa è un’indicazione importante di quanto sia giovane il tennis femminile.

Detto in altro modo, delle 107 giocatrici entrate tra le prime 100 dopo il 23esimo compleanno, solo 8 sono poi salite almeno alla posizione 32 della classifica.

A confronto, quasi un terzo delle giocatrici complessivamente approdate tra le prime 100 (circa 200 su 630) raggiungono la classifica massima tra le prime 32. In questa particolare categoria, Buzarnescu sta muovendosi in un territorio completamente inesplorato.

Recuperare il tempo perso

Negli ultimi sei mesi Buzarnescu si è trovata nell’occhio del ciclone, passando da giocatrice ai margini del circuito che nessuno conosceva a presenza solida e regolare che…beh, per la maggior parte degli appassionati, è ancora abbastanza ignota.

Molte giocatrici impiegano tempo per abituarsi all’aria rarefatta del livello più alto di competizione e per mesi, o anche anni, la loro classifica rimane stagnante.

Per Buzarnescu invece non c’è quasi stata pausa nemmeno per respirare. Le ci sono voluti 203 giorni dall’ingresso tra le prime 100 a ottobre al suo massimo di carriera al numero 32 nella classifica di lunedì 7 maggio 2018.

Siegemund ad esempio ne ha impiegati 315, Sybille Bammer 574. Roberta Vinci, che è riuscita anche ad arrivare tra le prime 10, ci ha messo 2520 giorni, cioè quasi sette anni. In media, una giocatrice che raggiunge le prime 32 ha bisogno di due anni e mezzo dalla prima apparizione tra le prime 100.

L’ascesa di Buzarnescu non segue il copione dei debutti attempati, somiglia anzi di più a quelli delle giovani esplosive promesse. La tabella riepiloga le venti scalate di classifica più rapide, sempre a partire dal 1987.

Giocatrice   Anni  Giorni  Class. Max  Giorni Ascesa  
Capriati     14    11      1           0  
Huber        15    266     4           49  
Szavay       18    164     13          77  
Davenport    16    238     1           112  
Sawamatsu    17    31      14          119  
Fernandez    20    265     26          133  
Sharapova    16    58      1           133  
S. Williams  16    52      1           133  
Oremans      20    145     25          140  
V. Williams  16    301     1           147  
Arvidsson    21    223     29          154  
Meskhi       19    308     12          168  
Golovin      16    22      12          175  
Bouchard     19    42      5           189  
Hingis       14    31      1           189  
Ivanovic     16    361     1           196  
Martinez     16    107     2           196  
Buzarnescu   29    165     32          203  
Kasatkina    18    137     11          203  
Barty        20    316     16          210

E qual è stata la giocatrice che Buzarnescu ha fatto uscire dalle prime 20? Kim Clijsters. Buzarnescu è l’unica dell’elenco a essere entrata tra le prime 100 dopo aver compiuto 22 anni, eppure eccola qui, a scalare posizioni dalla 101 alla 32 in meno tempo del 92% delle sue colleghe.

Non molto più lontano di così

Il raziocinio suggerisce che Buzarnescu non può andare molto più lontano di così: la maggior parte delle giocatrici non ottiene record di classifica una volta superati i trent’anni, specialmente quelle con successo limitato sul circuito maggiore.

Buzarnescu però si è adattata rapidamente, collezionando anche la prima vittoria a febbraio contro una giocatrice tra le prime 10, Jelena Ostapenko, e conquistando un set contro Kvitova nella finale di Praga.

Inoltre, potrà sfruttare il vantaggio di essere testa di serie in molti tornei, tra cui probabilmente il Roland Garros e Wimbledon. Avendo dimostrato di poter battere giocatrici tra le prime 50 – ha infatti un record i 6 vinte e 7 perse – la nuova appartenenza alle prime 32 del mondo le concederà molte opportunità per guadagnare punti contro giocatrici mediamente meno competitive.

Dopo più di dieci anni di gavetta, finalmente – e in modo del tutto improbabile – ha trovato il suo posto al vertice dello sport. Tutto quello che le resta da fare ora è continuare a vincere.

The Unique Late-Career Surge of Mihaela Buzarnescu

Rafael Nadal e i risultati migliori di sempre in un singolo torneo

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’1 maggio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nelle ultime due settimane, Rafael Nadal ha ottenuto l’undicesimo titolo al Monte Carlo Masters e a Barcellona. I record ottenuti in carriera in questi due eventi, insieme alle dieci vittorie al Roland Garros, riflettono un predominio su una specifica superficie mai visto prima. Devono essere considerati tra i risultati più importanti di sempre nel tennis, e forse in qualsiasi sport.

Da appassionato, mi accontento di ipotizzare se esista davvero qualcuno in grado di fermarlo. Da analista, voglio andare più a fondo: quanto i risultati ottenuti da Nadal in uno dei tornei citati sono migliori di quelli di altri giocatori?

Cosa, cioè, emerge dal confronto tra le vittorie in un singolo torneo e altri exploit della stessa natura, come i trofei accumulati da Roger Federer a Wimbledon o la carriera di Bjorn Borg al Roland Garros, praticamente senza sconfitte?

I numeri di Barcellona

Iniziamo da Barcellona. Non tenendo conto della wild card del 2003, quando era ancora sedicenne, dal 2005 Nadal ha partecipato a 13 edizioni, vincendone 11, con 57 vittorie e 2 sconfitte complessive.

Normalmente, calcolerei la probabilità di un giocatore di vincere così tanti tornei in altrettante opportunità per poi ottenere una percentuale ridotta che rappresenti quanto un risultato del genere sia realistico.

In questo caso però vorrebbe dire andare fuori tema. Invece, voglio affrontare il problema dalla prospettiva opposta: per vincere così tanti titoli, quanto deve essere forte Nadal?

Sappiamo già che, in generale, Nadal è il più forte giocatore sulla terra battuta di tutti i tempi.

Utilizzando il sistema di valutazione Elo, il suo massimo specifico per superficie – vale a dire il punteggio Elo calcolato considerando solo i risultati sulla terra – supera i 2500 punti, meglio di chiunque altro..anche prescindendo dal tipo di superficie (al momento, la valutazione Elo di Nadal su terra è intorno a 2400, e i suoi rivali più accreditati – Dominic Thiem e Kei Nishikori – si trovano rispettivamente a 2190 e 2150. La valutazione di Stefanos Tsitsipas, finalista a Barcellona, è di 1865).

Visto che Nadal ha dato il meglio di sé in questi tre tornei, è ragionevole pensare che, in ciascuno di essi, abbia toccato una valutazione Elo ancora più alta.

Possiamo scoprirlo usando il seguente metodo. Iniziamo calcolando, per ogni edizione del torneo in cui ha giocato, il tabellone di Nadal verso il titolo (per le undici vittorie si fa in fretta; per le altre due, si considerano i giocatori che avrebbe affrontato andando avanti nel torneo).

Con la valutazione pre-partita Elo specifica sulla terra di ciascun avversario, possiamo stabile la probabilità con cui vari ipotetici (e dominanti) giocatori sarebbero avanzati nel tabellone, vincendo il titolo.

Elo sottovaluta Nadal?

La tabella mostra il percorso di Nadal verso il titolo del 2018, con la valutazione pre-partita Elo specifica sulla terra di ciascun avversario, insieme alla probabilità (data la sua valutazione attuale) che Nadal lo avesse battuto (da qui in avanti, le valutazioni Elo specifiche sulla terra tengono conto anche delle valutazioni Elo complessive, con un apporto paritetico al 50%. La valutazione che se ne ottiene si è dimostrata la più accurata nella previsione dei risultati delle partite. Nadal è il primo di sempre anche in questa categoria, con una valutazione Elo su terra al 50% che ha raggiunto il massimo valore a 2510).

Turno  Avversario       Elo avv   p(V Nadal)  
R32    Carballes Baena  1767      97.3%  
R16    Garcia Lopez     1769      97.2%  
QF     Klizan           1894      94.5%  
SF     Goffin           2079      84.5%  
F      Tsitsipas        1900      94.3%

In funzione delle cinque partite giocate, la probabilità che Nadal vincesse il torneo era poco sopra il 70%. Significa sicuramente predominio, ma non tale da giustificare undici vittorie su tredici partecipazioni.

E se Nadal fosse sottovalutato dal sistema Elo, almeno a Barcellona? La tabella mostra la probabilità con cui giocatori con varie valutazioni Elo avrebbero battuto i cinque avversari di Nadal della scorsa settimana.

Elo su terra    p(Titolo 2018)  
2200            41.2%  
2250            50.4%  
2300            59.1%  
2350            66.9%  
2400            73.6%  
2450            79.3%  
2500            83.9%  
2550            87.6%  
2600            90.5%

Si scopre che il tabellone di quest’anno è stato uno dei più deboli dal 2005, all’incirca equivalente ai giocatori che Nadal ha dovuto battere nel 2006 (con Nicolas Almagro in semifinale e Tommy Robredo in finale), e leggermente più duro del 2017, edizione nella quale – a eccezione di Thiem in finale – Nadal non ha affrontato nessun giocatore tra i primi 50.

Il più difficile è il tabellone ipotetico del 2015, quando ha perso al secondo turno da Fabio Fognini: fosse andato avanti, avrebbe incontrato David Ferrer in semifinale e Nishikori in finale.

Una volta stabilito il livello di bravura degli avversari di Nadal (e di quelli ipotetici per le due volte in cui ha perso nei primi turni), possiamo calcolare la probabilità con cui un giocatore – dati quei tabelloni – avrebbe vinto ciascuna edizione del torneo.

Ipotizzando che il livello medio di Nadal dal 2005 sia lo stesso che possiede al momento – una valutazione Elo di circa 2400 – la probabilità di vincere undici volte Barcellona in tredici tentativi è del 13.0%.

Sempre vicino al suo massimo di carriera

Non abbiamo il lusso di poter rigiocare quei tredici tabelloni qualche migliaio di volte in un universo parallelo, quindi non sono del tutto chiare le indicazioni da trarre da questo valore: Nadal è stato fortunato? Lo farebbe di nuovo, se ne avesse possibilità? Il suo livello di gioco è in realtà molto migliore di una valutazione Elo di 2400 a Barcellona?

Queste domande non hanno risposta, perché conosciamo solo quello che è effettivamente avvenuto. Per confrontare i decimi o undicesimi titoli di Nadal (e traguardi simili raggiunti da altri giocatori), prendiamo a riferimento la valutazione Elo a cui si sarebbe arrivati nell’ipotesi di un 50% di vittoria.

In altre parole, quanto forte avrebbe dovuto essere stato Nadal per pensare di avere un possibilità del 50% di vincere undici volte a Barcellona in tredici tentativi?

La tabella mostra la probabilità con cui, a diversi livelli di valutazione Elo, Nadal avrebbe tagliato il traguardo degli undici titoli a Barcellona.

Elo su terra    p(11 su 13)  
2300            1.0%  
2350            4.6%  
2400            13.0%  
2450            28.0%  
2500            47.2%  
2550            64.2%  
2600            77.7%  
2650            87.3%  
2700            93.1%

Un giocatore con una valutazione Elo di circa 2505 avrebbe avuto il 50% di probabilità di replicare la vittoria di Nadal nel torneo di casa. Detto in altri termini, in un periodo di quattordici anni, Nadal ha giocato a dei livelli all’incirca equivalenti al suo massimo di carriera che, incidentalmente, è anche la valutazione Elo più alta mai raggiunta da un giocatore del circuito maggiore.

Un confronto tra decimi e undicesimi

Spero che questo metodo abbia senso e sia uno strumento appropriato per quantificare dei risultati straordinari. Algoritmo alla mano, possiamo ora confrontare il record di Nadal a Barcellona con le sue vittorie a Monte Carlo e Parigi.

Monte Carlo Masters

Dal 2005, Nadal ha partecipato al Monte Carlo Masters 14 volte (anche in questo caso escludendo l’edizione 2003), vincendone 11. È leggermente meno impressionante di 11 su 13, ma la qualità degli avversari è decisamente più alta.

Solo nel 2017, in cui in finale è arrivato Albert Ramos, il campo partecipanti si è attestato al livello della maggior parte dei tabelloni di Barcellona.

Le undici vittorie a Monte Carlo sono sicuramente più incredibili. Avere il 50% di probabilità di vincere undici volte in quattordici tentavi significa per un giocatore raggiungere una valutazione Elo specifica per la terra di circa 2595, di quasi 100 punti maggiore dell’equivalente numero per Barcellona, e ben al di sopra del livello mai raggiunto da qualsiasi altro giocatore, anche al suo massimo.

Roland Garros

A Parigi, Nadal ha vinto 10 volte su 13 partecipazioni. Il livello è qui ancora più alto che a Monte Carlo, ma è pur vero che nelle partite al meglio dei cinque set i favoriti hanno un margine superiore, elemento che tende a ridurre la possibilità di un risultato a sorpresa da parte del giocatore sfavorito, al quale non basta produrre gioco per due set magici di fila.

Il record del Roland Garros non è strabiliante come quello di Monte Carlo. La valutazione Elo specifica su terra richiesta a un giocatore per avere il 50% di probabilità di ottenere le vittorie di Nadal a Parigi è di “soli” 2570 punti – mai comunque ottenuta da alcun giocatore – ma inferiore rispetto all’equivalente numero per Monte Carlo.

Un momento però…cosa ne è del Roland Garros 2016? Nadal ha superato i primi due turni per poi ritirarsi prima del terzo turno contro Marcel Granollers. Forse è una considerazione che lascia il tempo che trova ma, almeno ai fini della tesi che sto sostenendo, ipotizziamo che Nadal abbia vinto dieci Roland Garros su dodici partecipazioni, non tredici.

Così facendo la valutazione Elo che assegna il 50% di probabilità di pareggiare il record di Nadal sale a 2595, lo stesso numero di Monte Carlo.

Per il momento, il Monte Carlo Masters sembra essere il torneo in cui Nadal ha giocato il miglior tennis. Con il Roland Garros 2018 quasi alle porte, potrebbe però trattarsi di una dimostrazione della tesi solo temporanea.

Nadal e altri possessori di record

Seppur pochi, ci sono altri giocatori ad aver accumulato vittorie in quantità rilevanti in un singolo torneo, e un comodo elenco dei nomi è disponibile su Wikipedia.

Ne troviamo alcuni che si distinguono, come Federer a Wimbledon, Basilea e Halle o Guillermo Vilas a Buenos Aires dove ha vinto 8 volte, o ancora Borg al Roland Garros con 6 titoli in sole 8 partecipazioni.

La tabella mostra il confronto tra prestazioni, in ordine di valutazione Elo specifica per superficie che darebbe a un giocatore il 50% di probabilità di eguagliare quel risultato.

Giocatore  Torneo           V    Part   Part 50% Elo  
Nadal      Monte Carlo      11   14     2595  
Nadal      Roland Garros*   10   12     2595  
Nadal      Roland Garros    10   13     2570  
Borg       Roland Garros**  6    7      2550  
Nadal      Barcelona        11   13     2505  
Borg       Roland Garros    6    8      2475  
Vilas      Buenos Aires***  8    10     2285  
Federer    Wimbledon        7    18     2285  
Federer    Halle            8    15     2205  
Federer    Basilea          8    15     2180

* escluso il 2016
** escluso il 1973, quando Borg aveva 16 anni
   e perse al quarto turno
*** esclusi gli anni 1969-71, sia perché Vilas
    era molto giovane, sia perché i dati
    a disposizione non sono completi

L’unica prestazione in un singolo torneo all’altezza di quanto realizzato da Nadal è il record di Borg al Roland Garros, ma anche in quel caso se non viene considerata la sconfitta del 1973 quando era sedicenne.

I record di Federer a Wimbledon, Basilea e Halle sono rimarchevoli, ma non raggiungono il livello di Nadal dato il più alto numero di partecipazioni di Federer, il quale, a differenza di Nadal, non è arrivato sul circuito maggiore pronto per vincere tutto sulla sua superficie preferita. Le sconfitte conseguite agli inizi sono parte della ragione per cui il record di Federer in questi tornei è inferiore.

Non avevamo certo bisogno di una conferma numerica del fatto che i risultati di Nadal nei tre tornei preferiti sono tra i migliori di sempre.

Abbiamo però visto quanto sia netto il suo predominio e come pochi altri traguardi nella storia del tennis possano lontanamente reggere il paragone.

C’è un pensiero che mette i brividi: fra un mese, è possibile che debba aggiornare i dati dell’articolo con numeri più sbalorditivi, perché il più grande spettacolo sulla terra battuta non è ancora finito.

Rafael Nadal and the Greatest Single-Tournament Performances

Il metodo dell’equivalenza tra circuiti

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 9 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Qual è il divario tra il circuito maggiore dell’ATP – il massimo livello professionistico del tennis maschile – e il circuito Challenger, che invece rappresenta i ranghi inferiori?

Ci sono giocatori che accumulano vittorie in tornei di quest’ultimo ma fanno fatica a trasformare quel successo in partite vinte sul circuito maggiore, mentre altri non riescono ad adattarsi facilmente al ritmo serrato imposto settimanalmente dai Challenger per poi invece risplendere su palcoscenici più importanti quando ne hanno opportunità.

Una misurazione della differenza di livello

Prendiamo in esame un metodo che misuri la differenza tra il livello di bravura dei due circuiti. Una volta in grado di traslare in modo equivalente statistiche da un livello all’altro rendendoli comparabili, possiamo identificare quei giocatori con un rendimento molto superiore o molto inferiore alle attese quando hanno la possibilità di confrontarsi con i migliori in assoluto.

L’algoritmo che utilizzerò è praticamente identico a quello a cui gli analisti di baseball si sono rivolti per decenni nel determinare l’equivalenza tra circuiti.

Ad esempio, si può calcolare che una media battuta di .300 nella Tripla-A (la più forte tra le leghe minori) corrisponda a una media battuta di .280 nella MLB, il massimo livello professionistico del baseball maschile, per cui se un giocatore batte con .300 nella Tripla-A, ci si aspetta che batta con .280 nella MLB.

Cosa attendersi nello spostamento da un livello all’altro

Per tornare al tennis, può essere che una frequenza del 10% di ace nei Challenger equivalga a una dell’8% nel circuito maggiore. Non tutti i giocatori mostreranno un calo di rendimento così puntuale – anzi, per alcuni sembrerà esserci pure un miglioramento – ma, in media, l’equivalenza tra circuiti indica cosa attendersi quando un giocatore si sposta da un livello all’altro.

Questo è l’algoritmo per le equivalenze tra circuiti applicato al tennis maschile:

  1. Si sceglie una statistica su cui concentrare l’attenzione. Io userò i punti vinti totali (Total Points Won o TPW);
  2. Si cerca di neutralizzare la statistica come meglio possibile. Nel baseball, ciò significa controllare per le differenze che ci sono tra i vari terreni di gioco; nel tennis, significa controllare per la competizione data dagli avversari. Ai fini di quest’articolo, ho corretto per la bravura degli avversari di ciascun giocatore attraverso un metodo che ho descritto lo scorso anno. Per la maggior parte dei giocatori i numeri rimangono sostanzialmente uguali dopo il correttivo, ma un tabellone particolarmente facile o difficile comporta una variazione più ampia. Ad esempio, Denis Shapovalov ha ottenuto un TPW del 49.8% sul circuito maggiore nel 2017 ma, vista la forza degli avversari che si è trovato contro, il correttivo lo fa salire a 52.1%, che gli vale la 18esima posizione tra i giocatori che regolarmente fanno parte del circuito;
  3. Si identificano i giocatori attivi su entrambi i circuiti e si trovano le loro statistiche corrette relative a ciascun livello. Nel 2017, Shapovalov ha giocato 18 partite sul circuito maggiore e 30 sul circuito Challenger, con valori TPW aggiustati rispettivamente di 52.1% e 54.4%;
  4. Per ciascun giocatore, si calcola il rapporto tra i due valori. Per Shapovalov nel 2017 è stato di 1.044 (54.4 / 52.1);
  5. Per ogni giocatore si ottiene infine una media ponderata del rapporto in questione. La ponderazione è data dal minimo numero di partite giocate tra i due circuiti, diciotto nel caso di Shapovalov. In questo modo possono essere inclusi anche giocatori come Gleb Sakharov (1 partita sul circuito maggiore, 37 partite sul circuito Challenger), con effetti marginali sul risultato finale.

La tabella elenca i risultati per le ultime sei stagioni complete. Ciascun indice è la relazione tra il TPW a livello di circuito Challenger e il TPW a livello di circuito maggiore.

Anno   Indice  
2017   1.086  
2016   1.086  
2015   1.098  
2014   1.103  
2013   1.100  
2012   1.100

La media di questi fattori di equivalenza annuali corrisponde circa alla differenza tra un TPW del 52.5% a livello di Challenger e un 48.0% a livello di circuito maggiore.

Il cambiamento tra il 2012-15 e il 2016-17 può essere dovuto agli infortuni che hanno messo fuori uso i più forti. Con meno giocatori al vertice in campo, la differenza tra i due circuiti si riduce.

Giocatori che si muovono in controtendenza

Ora che siamo a conoscenza della differenza tra livelli, possiamo cercare quei giocatori che si muovono in controtendenza.

La tabella elenca i 20 giocatori con gli indici più bassi tra i 100 con il maggior numero di partite “accoppiate”, vale a dire con più partite su entrambi i circuiti nello stesso anno.

Indici inferiori significano una differenza di rendimento più ridotta tra i due livelli: quindi, o questi giocatori stanno ottenendo prestazioni superiori nel circuito maggiore, o prestazioni inferiori nel circuito Challenger.

Giocatore   P ATP  P CH  P Min  Indice  
Ebden       62     140   39     0.982  
Donaldson   68     78    37     1.030  
Sock        81     45    38     1.039  
Duckworth   53     156   53     1.042  
Rublev      56     79    42     1.047  
Pospisil    96     76    60     1.047  
De Bakker   48     87    44     1.048  
Groth       84     133   58     1.049  
Berrer      59     107   56     1.050  
Bemelmans   41     178   41     1.052  
Brown       120    173   111    1.055  
Paire       295    53    53     1.059  
Gojowczyk   46     132   44     1.059  
Russell     58     78    58     1.061  
Copil       58     180   58     1.063  
Fritz       59     44    41     1.065  
Thompson    38     88    38     1.066  
Marchenko   56     116   37     1.066  
Ito         65     179   65     1.066  
Harrison    124    84    59     1.068

Le colonne centrali mostrano il numero totale di partite sul circuito maggiore, sul circuito Challenger e di partite “accoppiate” tra il 2012 e il 2017 (“P Min”, che indica quanti dati ci fossero a disposizione per i calcoli relativi a ciascun giocatore).

Pochi elementi in comune

A parte alcuni nordamericani che dominano al servizio e che si trovano in cima all’elenco, non emergono evidenti caratteristiche che accomunino questi giocatori.

Ci sono giovanissimi, veterani, più dominatori al servizio, ma niente di così ovvio (Shapovalov non ha giocato sufficienti partite “accoppiate” per rientrare nel computo, ma il suo indice complessivo è 1.035, che lo posizionerebbe al terzo posto dell’elenco).

La tabella che segue riporta invece l’elenco opposto, cioè il quintile di 20 giocatori con prestazioni superiori nel circuito Challenger o prestazioni inferiori nel circuito maggiore.

Giocatore    P ATP  P CH  P Min  Indice  
Mayer        152    45    45     1.180  
Youzhny      91     38    38     1.169  
Bedene       144    121   80     1.160  
Volandri     62     101   62     1.158  
Haase        194    71    71     1.157  
Kamke        102    144   73     1.155  
Mannarino    234    115   86     1.155  
Krajinovic   36     167   36     1.148  
Ramos        111    67    62     1.144  
Mathieu      147    96    82     1.141  
De Schepper  77     196   77     1.140  
Bagnis       45     197   45     1.136  
Cuevas       127    52    43     1.136  
Dodig        76     48    41     1.135  
Giraldo      146    70    56     1.135  
Lorenzi      204    191   124    1.135  
Bellucci     162    44    44     1.134  
Montanes     113    109   70     1.130  
Dutra Silva  57     210   57     1.130  
Lacko        122    181  108     1.129

Troviamo, rispetto all’elenco precedente, più specialisti della terra battuta e, nelle prime posizioni, veterani che hanno ottimamente figurato nel circuito Challenger pur facendo fatica a mantenere una presenza nel circuito principale.

Ho dovuto eliminare un giocatore che altrimenti farebbe parte dell’elenco, cioè Gilles Muller che ha frantumato l’algoritmo con una stagione Challenger nel 2014 di 45 vittorie e 9 sconfitte.

Quando l’ho escluso dai calcoli per il 2014, i numeri totali sono cambiati di poco, ma Muller non è più in elenco. Quale sia il suo indice con precisione non ha troppa importanza, perché posso assicurare che il suo rendimento a livello di circuito maggiore non è stato alla pari di quella stagione vincente nei tornei Challenger.

Variazione ridotta tra giocatori

La parte bassa di entrambi gli elenchi indica che non esiste molta variazione tra i giocatori. Il 60% centrale dei giocatori possiede un indice con valore tra l’1.07 e l’1.13, mentre le medie annuali si aggirano intorno all’1.09 e l’1.10.

Alcuni dei giocatori analizzati hanno meno di 50 partite “accoppiate” nelle sei stagioni considerate, quindi la differenza di un paio di centesimi è troppo ridotta per trarre conclusioni definitive.

Oltre a suggerire quale scenario si prospetti per i giocatori quando salgono dal circuito Challenger a quello maggiore, è un algoritmo il cui ragionamento è applicabile ad altre coppie di livelli, come ad esempio i Future ITF e i Challenger, o i Future ITF femminili e il circuito maggiore femminile. Può anche essere usato per mettere a confronto livelli ancora più ravvicinati, come i tornei ITF $10.000 e gli ITF $15.000, o i 250 e i 500.

L’equivalenza tra circuiti è un metodo basilare nell’analisi statistica di altri sport, ma possiede il suo posto anche nel tennis.

Translating ATP Statistics Across Main Tour and Challenger Levels

L’invasione di americani al torneo di Houston

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 9 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dei 28 giocatori nel tabellone principale del torneo di Houston 2018, 15 sono degli Stati Uniti, tra cui tre delle prime quattro teste di serie (John Isner, Sam Querrey e Jack Sock), due dei quattro qualificati (Stefan Kozlov e Denis Kudla) e una delle tre wild card assegnate (Mackenzie McDonald).

La rinascita americana

La predominanza di giocatori locali allo US Men’s Clay Court Championships richiama alla memoria trascorsi di tennis professionistico di altre epoche, quando poche nazioni – e spesso gli Stati Uniti tra i primi – erano padrone della classifica.

Sono tempi andati, ma l’affollamento in Texas è il più recente segno della rinascita americana. Va detto, è una settimana di pausa per molti giocatori di vertice e altri specialisti europei della terra battuta hanno preferito il torneo di Marrakech, sempre un ATP 250.

I giocatori statunitensi non rappresentano quindi esattamente la metà dei migliori del momento. In ogni caso, un tabellone principale con la presenza di così tanti giocatori americani non si vedeva ormai da molti anni.

Nelle ultime cinque decadi, ci sono stati poco più di 400 tornei del circuito maggiore in cui una nazione ha schierato più del 50% dei giocatori del tabellone principale, una media di circa otto tornei all’anno.

Si tratta però di un dato ingannevole: Houston infatti è il primo torneo dal 2004 in cui questo accade e ci sono solo altri due esempi negli ultimi vent’anni.

Per trovare un concentrato di americani in tabellone bisogna risalire al 1996. La tabella riepiloga gli ultimi 20 tornei in cui una nazione ha schierato più della metà dei giocatori del tabellone principale.

Data     Torneo         Tab  Naz  Giocatori  %  
04-2004  Valencia       32   ESP     20      62.5%  
09-1993  Majorca        32   ESP     18      56.3%  
09-1997  Marbella       32   ESP     18      56.3%  
09-1996  Marbella       32   ESP     18      56.3%  
02-1996  San Jose       32   USA     17      53.1%  
10-1995  Valencia       32   ESP     18      56.3%  
02-1995  San Jose       32   USA     18      56.3%  
02-1994  Filadelfia     32   USA     18      56.3%  
01-1994  San Jose       32   USA     17      53.1%  
08-1993  Los Angeles    32   USA     17      53.1%  
02-1993  San Francisco  32   USA     19      59.4%  
08-1992  Los Angeles    32   USA     17      53.1%  
07-1991  Newport        32   USA     17      53.1%  
05-1991  Charlotte      32   USA     17      53.1%  
04-1991  Orlando        32   USA     20      62.5%  
07-1990  Los Angeles    32   USA     19      59.4%  
05-1990  Kiawah Island  32   USA     24      75.0%  
04-1990  Orlando        32   USA     17      53.1%  
02-1990  Filadelfia     48   USA     27      56.3%  
02-1990  Toronto Indoor 56   USA     30      53.6%

Pur trattandosi dello stesso evento, i quattro tornei più recenti si sono giocati in tre sedi diverse. I rimanenti tabelloni dell’elenco sottolineano la capacità degli Stati Uniti di produrre giocatori di buon livello in quel periodo, dominando circa l’85% dei tornei in cui una nazione ha schierato più della metà dei giocatori del tabellone principale.

L’Australia è la più rappresentata in altri 50 tornei, ma tutti organizzati localmente e prima del 1980. Gli Stati Uniti sono l’unica nazione ad aver avuto più della metà dei giocatori in un tabellone principale di tornei fuori dai propri confini.

Più della metà del tabellone senza wild card

C’è un altro elemento che rende il tabellone di Houston ancora più speciale.

Gli organizzatori hanno dato solo una delle tre wild card a disposizione a un giocatore americano (le altre due sono andate alla testa di serie numero quattro Nick Kyrgios, che non si è preoccupato di iscriversi seguendo la procedura canonica, e all’idolo degli appassionati Dustin Brown).

In altre parole, i giocatori americani avrebbero comunque occupato metà del tabellone anche senza l’ausilio delle wild card.

Si tratta di un’occorrenza – quella di superare la metà del tabellone senza wild card – ancora più rara negli ultimi venticinque anni circa. Dei venti tornei dell’elenco, solo 9 soddisfano questo criterio più restrittivo. Gli altri 11 passano il taglio solo in presenza di wild card.

Valencia 2004

Il torneo di Valencia 2004 entra comunque nel gruppo, ma per trovare un esempio di torneo organizzato negli Stati Uniti serve tornare indietro di 25 anni, a San Francisco 1993.

Ci fu un’ottima ragione per riservare almeno una wild card a un giocatore straniero, visto che gli organizzatori riuscirono a far venire Bjorn Borg, il quale perse però al primo turno. Andre Agassi vinse poi il torneo battendo in finale Brad Gilbert.

Bisogna vedere se la forza bruta dei numeri sarà sufficiente a mantenere il titolo in mani americane (nel 2017 ha vinto Steve Johnson, la testa di serie numero sei dell’edizione in corso).

Nei più di 400 tornei in cui i giocatori di una nazione rappresentavano più della metà del tabellone principale, il vincitore è arrivato proprio da quella nazione nel 73% delle volte.

Il mio modello predittivo lo considera equamente probabile, con il 48.9% di probabilità di vittoria da parte di un americano. Uno dei favoriti è però l’australiano Kyrgios, con il 45% di probabilità.

La mina vagante più degna di nota è Fernando Verdasco, la testa di serie numero cinque, che ha già vinto a Houston quattro anni fa. Quando Valencia 2004 fu l’ultimo torneo ad avere giocatori di un singolo paese per più della metà del tabellone, fu esattamente Verdasco ad alzare il trofeo.

Houston and the Swarm of American Men

L’efficienza nelle vittorie di Sloane Stephens

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 6 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Per conquistare il Premier Mandatory di Miami, Sloane Stephens ha ottenuto diverse vittorie impressionanti  contro – nell’ordine – Garbine Muguruza, Angelique Kerber, Victoria Azarenka e Jelena Ostapenko.

Non è un torneo che altera il corso di una carriera quanto gli US Open, vinti da Stephens nel 2017, ma non è poi così distante, e la competizione che ha dovuto affrontare non è stata da meno.

Con il titolo a Miami sono arrivati anche 1000 punti validi per la classifica ufficiale, che hanno consentito a Stephens di entrare tra le prime 10, raggiungendo con la nona posizione il massimo in carriera.

Avendo vinto due dei tornei più importanti ed essendo arrivata in semifinale anche a Toronto e Cincinnati l’anno scorso, non ci sono dubbi che meriti questo traguardo.

La conversione delle vittorie in punti classifica

Il sistema Elo non ne è convinto allo stesso modo, ma l’algoritmo più sofisticato su cui si basa (che non tiene conto della grandezza delle vittorie agli US Open e Miami) la vede comunque poco dietro le prime 10.

L’aspetto più significativo dell’ascesa di Stephens è l’efficienza nella conversione delle vittorie in punti classifica. Dopo il rientro dall’infortunio a Wimbledon 2017 ha giocato solo 38 partite, vincendone 24. Ci sono state 6 sconfitte al primo turno, altre due sconfitte nel girone eliminatorio dello Zhuhai Elite Trophy e due nella finale di Fed Cup contro la Bielorussia.

Negli ultimi nove mesi, ha vinto partite solamente in sei tornei. Il suo insolito record evidenzia alcune lacune nella classifica ufficiale e come una giocatrice che raggiunge il massimo della forma in un determinato momento possa sfruttarle a proprio vantaggio.

Per un ambìto posto tra le prime 10, vincere 24 partite non è quasi mai sufficiente. Dal 1990 al 2017, solo in sette occasioni una giocatrice ha terminato la stagione tra le prime 10 con meno di 30 vittorie.

E solo due volte ha vinto meno delle 24 partite di Stephens: sto parlando di Monica Seles nel 1993 e nel 1995, cioè il periodo trascorso dal momento in cui ha subito l’aggressione a bordo campo al suo rientro alle competizioni.

La tabella riepiloga le prime 10 stagioni con il minor numero di vittorie, e comprende anche il record delle ultime 52 settimane di alcune giocatrici attualmente nella zona più alta della classifica femminile.

Anno  Giocatrice   Class FA   V    S    % V-S           
1995  Seles*              1   11   1    92%  
1993  Seles               8   17   2    89%  
2018  Stephens**          9   24   14   63%  
2010  S. Williams         4   25   4    86%  
1993  Capriati            9   28   10   74%  
2015  Pennetta            8   28   20   58%  
2000  Pierce              7   29   11   73%  
2004  Capriati           10   29   12   71%  
1993  MJ Fernandez        7   31   12   72%  
1995  I. Majoli           9   31   13   70%  
2018  V. Williams**       8   31   14   69%  
1995  MJ Fernandez        8   31   15   67%  
2015  Safarova            9   32   21   60%  
2008  Sharapova           9   33   6    85%  
1998  Graf                9   33   9    79%  
2018  Kvitova**          10   33   14   70%

*  classifica congelata dopo essere stata assalita
** classifica al 2 aprile 2018; 
   V e S delle precedenti 52 settimane

Rendimento eccezionale negli Slam

La caratteristica che accomuna quasi tutte queste stagioni è un rendimento eccezionale nelle prove dello Slam. Stephens ha vinto gli US Open 2017, Seles gli Australian Open 2013, Serena Williams vinse due Slam nel 2010, Flavia Pennetta ha ribaltato un altrimenti anonimo 2015 vincendo gli US Open. Del resto, gli Slam sono i tornei che offrono i punti classifica più pesanti.

Pur in un gruppo così nutrito di vincitrici Slam, Stephens riesce a distinguersi. Delle sedici giocatrici nella lista, solo due – Pennetta e Lucie Safarova – hanno vinto partite con una frequenza inferiore a Stephens, dal quando è rientrata.

In altre parole, la maggior parte delle giocatrici con questo livello di efficienza di vittorie non perde così facilmente ai primi turni o in tornei minori, come ha fatto Stephens. Il suo 63% di partite vinte è ancora più estremo di quanto il precedente elenco non faccia trasparire.

Dal 1990, solo otto giocatrici delle quasi trecento che hanno terminato la stagione tra le prime 10 hanno avuto una percentuale di vittorie più bassa. La tabella che segue è allargata alle prime 11 per includere un’altra recente stagione degna di nota.

Anno  Giocatrice  Class FA   V    S    % V-S  
2014  Cibulkova         10   33   24   58%  
2000  Tauziat           10   36   26   58%  
2015  Pennetta           8   28   20   58%  
1999  Tauziat            7   37   25   60%  
2007  Bartoli           10   47   31   60%  
2015  Safarova           9   32   21   60%  
2000  Kournikova         8   47   29   62%  
2010  Jankovic           8   38   23   62%  
2018  Stephens*          9   24   14   63%  
2004  Dementieva         6   40   23   63%  
2016  Muguruza           7   35   20   64%

* classifica al 2 aprile 2018; 
  V e S delle precedenti 52 settimane

C’è scarsa sovrapposizione tra i due elenchi: in genere, le giocatrici del primo gruppo hanno recuperato dall’interruzione per infortunio con una grande prova negli Slam, mentre quelle del secondo gruppo si sono trascinate in una lunga stagione per poi dare il colpo finale con uno o due risultati di prestigio in uno Slam.

Una tipica giocatrice con una percentuale di vittorie del 63% non arriva a chiudere la stagione tra le prime 10 ma, in media, intorno alla 25esima posizione, comunque meglio di una stagione da 24 vittorie che, in media, garantiscono una classifica intorno alla 40esima posizione.

Grandi occasioni ma discontinuità

Stephens è sempre stata una giocatrice delle grandi occasioni. È salita alla ribalta a 19 anni agli Australian Open 2013, arrivando in semifinale dopo aver battuto la numero 1 Serena nei quarti. Il suo record negli Slam (66%) è di quasi dieci punti percentuali superiore a quello negli altri tornei del circuito (57%).

Nonostante questo, è probabile che non concluda il 2018 con percentuali così estreme nel record di vinte e perse. Dovrebbe infatti vincere uno Slam per rimpiazzare gli US Open 2017 e perdere nei primi turni nella maggior parte degli altri tornei.

Ora che sembra aver recuperato definitivamente dall’infortunio, è poco probabile che continui ad alternare vette e abissi, pur mantenendo, per sua natura, prestazioni discontinue.

Feast, Famine, and Sloane Stephens

Si dovrebbe includere Serena Williams tra le teste di serie?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 25 marzo 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dopo più di un anno di maternità e successivo recupero, Serena Williams è tornata questo mese al tennis professionistico, grazie a wild card sia a Indian Wells che a Miami ed entrando in tabellone, per la prima volta da agosto 2011, come giocatrice fuori dalle teste di serie.

In California ha raggiunto il terzo turno perdendo poi dalla sorella Venus Williams. Pochi giorni fa a Miami il sorteggio l’ha messa al primo turno contro la vincitrice dell’Indian Wells Masters 2018 Naomi Osaka, in cui ha perso 6-3 6-2 abbandonando quindi il torneo anticipatamente.

Vedere il nome di Serena senza il numero della testa di serie accanto sembra quasi un errore. Si è assentata dalle competizioni per la gravidanza subito dopo aver vinto gli Australian Open 2017 ed essere ritornata numero 1 del mondo.

Maternità e assegnazione delle teste di serie

Sebbene il suo gioco sia evidentemente ancora arrugginito – come in altre occasioni di rientro al professionismo – non ci sono dubbi che tornerà velocemente al livello delle prime 32 (a cui è garantita la testa di serie a Indian Wells e Miami), o ancora più in alto.

Un tabellone decisamente sfavorevole a Miami e l’immediata sconfitta contro Osaka hanno generato commenti di ogni tipo, tra cui molti che invitavano a una modifica del regolamento e altri che criticavano la WTA per la mancanza di una direttiva sull’assenza dovuta a maternità.

Quest’ultima osservazione non è del tutto corretta: le regole della WTA considerano la maternità e il rientro alle competizioni quasi alla stregua del rientro da un infortunio. Ciononostante, casi limite come quello della più forte di sempre che torna sul circuito senza un solo punto della classifica ufficiale tendono a esercitare intensa pressione sulle regole.

L’assegnazione delle teste di serie non è solo un modo rapido per identificare le giocatrici di vertice del tabellone di un torneo, ma incide anche sull’esito finale. Nei tornei in calendario a marzo, le teste di serie ricevono un bye per il passaggio al secondo turno.

In qualsiasi altro torneo, essere una testa di serie permette di evitare lo scontro diretto con le giocatrici più forti fino agli ultimi turni. Anche differenze marginali, come quella tra la quarta e la quinta testa di serie, possono avere conseguenze importanti per la corsa al titolo di entrambe le giocatrici.

Benefici distribuiti

In sintesi: le teste di serie contano, non solo per giocatrici al rientro come Serena, ma per tutte le altre in tabellone. Se assegnare una testa di serie a Serena ora potrebbe essere la cosa giusta da fare, toglierebbe però quel privilegio a un’altra giocatrice, alterandone la possibilità di conquista di punti classifica e premi partita associati ai turni finali. È importante capire che le regole riguardano l’intero campo delle partecipanti a un torneo.

Illustrerò a breve varie modalità di con cui la WTA potrebbe gestire future assenze per maternità delle giocatrici. Non ho una preferenza per una o per l’altra, perché, come proverò a spiegare, tutte hanno una loro razionalità.

L’aspetto per me più importante, da appassionato, è che qualsiasi modifica introdotta sia a beneficio di tutto il circuito, senza diventare invece un rattoppo disegnato in presenza di una giocatrice che ha fatto la storia. Serena merita un trattamento equo dalla WTA, ma come lei anche le altre giocatrici.

Ritoccare la regola in vigore

A prescindere dalla partita con Osaka, il risultato che si otterrebbe è quasi sempre la situazione attuale, e la situazione attuale non è poi così malvagia. Le regole della WTA prevedono la possibilità per giocatrici al rientro (da infortunio o maternità) di usufruire di una Classifica Speciale in otto tornei, tra cui due Slam.

La Classifica Speciale corrisponde alla classifica della giocatrice al momento dell’assenza e stabilisce la sua idoneità ad accedere al tabellone principale al rientro. Pur avendo sinora beneficiato di due wild card, Serena avrebbe potuto fare affidamento sulla Classifica Speciale per uno o entrambi i tornei (ne parlo a breve).

In altre parole, le giocatrici che diventano madri possono già riprendere da dove avevano lasciato…con l’importante eccezione delle teste di serie. A titolo di esempio, la Classifica Speciale di Serena le permetterebbe di presentarsi al Roland Garros come se fosse la numero 1 del mondo.

Ma, a meno che gli organizzatori non si appellino al diritto di modificare le teste di serie (come succede a Wimbledon), la sua testa di serie verrà determinata dall’effettiva classifica del momento. Visto che mancano due mesi, è molto probabile che non sarà tra le teste di serie nemmeno a Parigi, rendendo possibile un’altra partita di primo turno al vetriolo come è stato agli US Open 2017 tra Simona Halep e Maria Sharapova.

Rispetto verso praticità

La discussione sulle teste di serie si riduce a una questione di “rispetto” verso “praticità”. La carriera di Serena e il suo probabile veloce ritorno al vertice suggeriscono che “meriti” di essere inclusa tra le teste di serie. Di converso, molte giocatrici (come ad esempio Sharapova, pur da una situazione ben diversa) hanno avuto difficoltà a tornare alla forma precedente.

I risultati di Sharapova da quando è rientrata, o più recentemente quelli di Novak Djokovic, evidenziano che la classifica di dodici mesi fa di una giocatrice di vertice potrebbe non essere indicativa del suo livello di gioco attuale.

Il sistema di teste di serie esiste in parte per forzare le giocatrici di vertice a partecipare ai tornei, ma anche per aumentare la probabilità che le migliori giochino contro nei turni finali. Sulla base di questo assunto, non sembra così chiaro che Serena (o qualsiasi altra giocatrice al rientro) debba immediatamente ricevere una delle prime teste di serie.

Se la WTA decide di attenersi a questo principio di base, si potrebbero prevedere più tornei con accesso tramite la Classifica Speciale, magari 12 invece di 8, e 3 Slam invece di 2. La maternità necessità di più tempo lontano dal gioco rispetto a un’interruzione di sei mesi per infortunio – il prerequisito per l’applicazione della regola della Classifica Speciale – e potrebbe richiedere più tempo ancora per tornare in forma.

La WTA potrebbe anche convincere la Federazione Internazionale a offrire accessi tramite la Classifica Speciale a più eventi di livello inferiore. Kei Nishikori ha recuperato dall’infortunio giocando un paio di Challenger; le donne potrebbero preferire di recuperare la condizione nei tornei $100K prima di usare l’accesso tramite la Classifica Speciale negli eventi di prima fascia.

Collegare le teste di serie alla Classifica Speciale

La seconda modalità è essenzialmente quella richiesta da appassionati e tifosi nel momento in cui si sono accorti che Serena avrebbe potuto perdere al primo turno a Miami. Invece di fare riferimento alla classifica per determinare le teste di serie, gli organizzatori potrebbero usare la Classifica Speciale per le giocatrici che ne hanno fatto ricorso per iscriversi al torneo.

Esiste un precedente: Monica Seles ricevette la testa di serie al rientro nel 1993 dopo essere stata vittima di un accoltellamento a bordo campo. Dopo più di due anni, tornò come testa di serie numero uno in Canada e poi come numero due agli US Open 1995, rendendo giustizia alla posizione ricevuta in entrambi i tabelloni con undici vittorie di fila, prima di cedere in finale a New York a Steffi Graf.

Gli elementi a favore e sfavore di questa opzione sono opposti a quelli della prima proposta. Assegnare alle giocatrici la testa di serie che avevano prima dell’interruzione è una forma di rispetto per i risultati ottenuti.

Considerando però che la maggior parte delle giocatrici non rientra da una lunga pausa con la stessa efficacia di Seles, è possibile che l’assegnazione delle teste di serie diventi eccessivamente favorevole (non sfugge certo l’ironia di questa situazione se letta rispetto a quanto accaduto a Miami, in cui Caroline Wozniacki, testa di serie numero 2, è uscita al secondo turno – la sua prima partita – e Halep, testa di serie numero 1, è uscita al terzo).

Escogitare un algoritmo che rifletta la durata dell’interruzione

Alle giocatrici serve solitamente del tempo prima di ritornare alla forma precedente, ma il livello al rientro è in parte legato a come stavano giocando.

Quando l’anno scorso ho parlato del ritorno di Sharapova dopo la squalifica per doping, ho mostrato come le giocatrici di vertice rimaste uno o più anni lontano dal circuito (qualsiasi la ragione) avevano la tendenza a giocare molto peggio del livello pre-interruzione per le prime cinque partite circa, e a un livello leggermente inferiore nelle successive 50. L’ho misurato tramite i punti Elo: inizialmente una diminuzione di 200 punti, seguita da una di 100.

Non mi aspetto che la WTA introduca a breve il sistema di valutazioni Elo, ma un algoritmo di questo tipo potrebbe basarsi su qualsiasi sistema di valutazione, e rappresenta un compromesso ragionevole tra le prime due opzioni sopra illustrate.

I tifosi di una giocatrice forte come Serena sarebbero quasi totalmente soddisfatti: 200 punti in meno sul livello pre-interruzione la pone all’incirca alla pari con Halep, il che vuol dire che un sistema di questo tipo le avrebbe assegnato la prima o seconda testa di serie nel tabellone dei tornei di questo mese.

Maggiore elaborazione per un perfetto compromesso

Per una migliore dimostrazione del funzionamento dell’algoritmo bisogna fare riferimento a una giocatrice che non sia così dominante rispetto al resto del gruppo.

Dovesse Wozniacki (Elo al momento di 2156) saltare il prossimo anno, la sua testa di serie al rientro varrebbe l’equivalente di 1956 punti, cioè 200 in meno, intorno quindi alla 30esima (nell’ipotesi che tutte le altre rimangano regolarmente nel circuito).

Dopo le prime cinque partite, quando una giocatrice inizia a ritrovare il ritmo, la sua testa di serie salirebbe intorno alla quindici. Passati diversi mesi, la classifica sarebbe salita al punto da non necessitare più di un aggiustamento nella testa di serie.

Il difetto più ovvio in questo caso è dato dal livello di complessità. Il mio algoritmo è, nel migliore dei casi, un’approssimazione e avrebbe bisogno di essere elaborato per ricoprire un ruolo così importante.

Il vantaggio però è che se si riuscisse a trovare una formula, la WTA sarebbe in grado di offrire il perfetto compromesso tra le necessità delle giocatrici madri al rientro e i diritti maturati dal resto delle giocatrici.

E su quelle wild card…

Come detto, pur potendo fare leva sulla sua Classifica Speciale, Serena ha usato una wild card per accedere al tabellone di Indian Wells e Miami. Praticamente tutti i tornei del circuito sarebbero ben contenti di concederle una wild card, così come dovrebbe essere.

Nel caso di Serena quindi la regola della Classifica Speciale è di fatto irrilevante: se anche non fosse in vigore, potrebbe comunque riprendere a giocare immediatamente a pieno regime.

Ho scritto anche che, come appassionato, vorrei veder applicato un trattamento equo a tutte le giocatrici. L’accesso al tabellone di un torneo è un’opportunità per guadagnare punti per la classifica, che a loro volta contribuiscono a determinare il campo delle partecipanti e le teste di serie, che incidono sulla probabilità di ottenere vittorie e titoli.

Spesso si considera le wild card dei regali, ma raramente si evidenzia l’effetto che quei regali hanno sulle giocatrici che solo saltuariamente li ricevono.

Siccome i tornei, comprensibilmente, tendono ad assegnare ingressi gratuiti ai giocatori locali (come Donald Young) o a giocatrici di richiamo (come Eugenie Bouchard), il sistema delle wild card è responsabile di alterazioni sostanziali alla classifica e ai risultati.

Le wild card rendono la Classifica Speciale irrilevante

Le wild card non possono trasformare una giocatrice navigata in una stella, ma sono certamente in grado di far salire una giocatrice dalle prime 200 alle prime 100 e poi dalla posizione 70 alla 50. Per alcune giocatrici regolarmente attive sul circuito, questo fa la differenza.

Quando una stella o una giocatrice che sposta gli equilibri mediatici – o semplicemente una di un paese in cui si organizzano molti tornei, come gli Stati Uniti – ritorna dalla maternità, da un infortunio o da una squalifica, le regole tradizionali non si applicano.

L’anno scorso Sharapova ha ricevuto wild card per la maggior parte dei tornei che ha voluto giocare, mentre Sara Errani ha trascorso gli ultimi sei mesi in eventi di fascia minore, come gli ITF, i $125K o le qualificazioni. Sharapova gioca singole partite con 100 punti in palio per la classifica, Errani gioca tornei con ammontare complessivo inferiore.

Per quanto le circostanze siano estremamente diverse, la situazione di Serena e di Sharapova riguardo alle wild card è la medesima: la distribuzione di accessi tramite Classifica Speciale smette di essere rilevante.

Ipotizziamo però che una giocatrice come, ad esempio, Anastasija Sevastova, o Magdalena Rybarikova, siano state assenti per maternità. Potrebbero ricevere una wild card in tornei di livello International in Europa, o magari in tornei che hanno vinto in passato.

Nella maggior parte dei casi però, una Sevastova o una Rybarikova – pur interrompendo ipoteticamente la carriera per avere un figlio con una classifica tra le prime 20 – sarebbe gelosa dei suoi otto accessi tramite Classifica Speciale, perché ne avrebbe bisogno.

La mia proposta

Non vorrei essere frainteso, non sto sostenendo che Serena non “meriti” le wild card che riceverà, perché il suo curriculum le rende inevitabili. In un circuito nel quale gli organizzatori sono liberi di assegnare a discrezione posti in tabellone, nessuna giocatrice merita wild card più di Serena.

Però, l’esistenza stessa di questa discrezione si riflette in un significato profondamente diverso di maternità per una giocatrice come Serena rispetto a una meno nota che staziona nelle vicinanze del vertice della classifica femminile.

Questa è la mia proposta. Per le giocatrici al rientro dalla maternità, aumentare il numero di accessi tramite Classifica Speciale da 8 a 12, agganciandoci anche altri 4 ingressi liberi a tornei ITF, in modo che chi desidera avere un figlio possa contare al rientro sul fatto di competere ai massimi livelli per quasi un’intera stagione. Ma – in quel periodo – non possono accettare eventuali wild card, altrimenti perdono la Classifica Speciale.

È una proposta che pone tutte le giocatrici sullo stesso piano, cioè quello di beneficiare di un anno di accessi al tabellone dei tornei con la classifica precedente all’interruzione.

Una futura stella del calibro di Serena avrebbe in questo modo molto tempo a disposizione per recuperare il suo status e, ancora meglio, la stessa opportunità sarebbe concessa anche a giocatrici meno note al grande pubblico.

Should Serena Be Seeded?

A Indian Wells e Miami, le teste di serie non perdono la testa

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 25 marzo 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

A meno di ritiri dell’ultimo minuto, tutte le partite di secondo turno all’Indian Wells Masters e al Miami Masters sono sempre tra un giocatore testa di serie e un giocatore fuori dalle teste di serie.

L’utilizzo del bye non è naturalmente circoscritto a questi due tornei, ma solamente a Indian Wells e Miami 32 teste di serie favorite giocano contro giocatori non teste di serie e sfavoriti dal pronostico.

Ovviamente, per una serie di motivi – dalla superficie alla condizione fisica a un rimbalzo fortunato – i favoriti non vincono tutte le volte. Così non è sembrato però nel Miami Masters 2012, a cui tutte le 32 teste di serie sono arrivate in forma e 29 hanno raggiunto il terzo turno.

Sento già il coro di voci in sottofondo: deve essere un qualche tipo di record, giusto?

Trenta edizioni da confrontare

Giusto, almeno dal 1991, il primo anno con dati completi a disposizione. A Miami si gioca con il tabellone da 96 giocatori e 32 teste di serie (quindi 32 bye al primo turno) dal 1986, mentre Indian Wells si è allargato a questo format nel 2004. Abbiamo quindi 30 edizioni nel database da mettere a confronto.

In media, le teste di serie vincono circa i due terzi delle loro partite di secondo turno di questo tipo di tabelloni (negli altri tornei del circuito, le teste di serie vincono il 70% delle partite contro giocatori fuori dalle teste di serie). Tipicamente quindi 21 o 22 teste di serie raggiungono il terzo turno. Ed è quello che è successo a Indian Wells 2012, con 21 vittorie, 10 sconfitte e un ritiro.

Le 29 vittorie delle teste di serie non rappresentano semplicemente un nuovo record, ma distruggono il precedente. Nel 2009, 25 teste di serie sono arrivate al terzo turno a Miami. Nel 2008 è accaduto lo stesso a Indian Wells, il miglior risultato per il torneo. In altre cinque occasioni, sono passate al terzo turno 24 teste di serie. Sul fronte opposto, il Miami Masters 1997 è stato un’ecatombe, con solo 16 teste di serie al terzo turno.

Il fatto che per la prima volta in 31 tornei (tra Indian Wells e Miami) così tante teste di serie abbiano raggiunto il terzo turno è degno di nota, considerando anche che la probabilità che questo si verifichi è decisamente più bassa.

Utilizzando le mie previsioni di vittoria per il secondo turno – che non sono chiaramente perfette e tendono a sottostimare la probabilità associata ai più forti – la probabilità di un passaggio del turno per almeno 29 teste di serie era solo dello 0.37%, cioè di una su 270.

Chi ha seguito il torneo si è trovato di fronte a un evento storico. Una storia piuttosto noiosa, ma sempre e comunque qualcosa che accade raramente.

Aggiornamento 2012-2018

Dalla stesura di questo articolo – quindi dal 2012 al 2018 – ci sono stati altri 12 tornei complessivi (incluso il Miami Masters 2018 in corso di svolgimento).

A Indian Wells, hanno superato il secondo turno in media 22 teste di serie con le ultime due edizioni che hanno segnato rispettivamente il numero massimo, 25 nel 2017, e minimo, 18 nel 2018. Solo nel 2012 (31) e 2014 (30) le teste di serie non erano al completo a inizio torneo.

A Miami, dopo il record del 2012, si è arrivati nelle edizioni 2015 e 2016 ad avere 24 teste di serie al terzo turno, con una media di circa 23 teste di serie vincenti nella loro prima partita, con il minimo a 18 nel 2017.

Nel torneo in corso le teste di serie al terzo turno sono state 21 sulle 32 al via, e solo nel 2014 (30) e 2016 (31) le teste di serie non erano al completo. 

Seeds Firmly Planted

Il caso di Schwartzman, di Verdasco e delle partite consecutive contro lo stesso avversario

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’1 marzo 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un po’ troppo spesso Fernando Verdasco ha incontrato sul suo cammino Diego Schwartzman negli ultimi giorni. Prima nella finale del torneo 500 sulla terra battuta di Rio De Janeiro, in cui Schwartzman ha vinto in due set. Poi entrambi sono immediatamente partiti per Acapulco – di nuovo un 500 ma questa volta sul cemento – per giocare contro nel primo turno. Verdasco ha perso ancora, raccogliendo solo un game in più.

Un evento raro, meno per Verdasco

La probabilità di uno scenario in cui gli stessi due giocatori si affrontano in finale e subito dopo al primo turno è abbastanza rara, e il cambio di superficie la rende ancora più improbabile.

Da un lato, il circuito non si sposta da un tipo di campo a un altro molto frequentemente e, quando questo accade, i giocatori non seguono spesso lo stesso calendario.

Dall’altro lato, due giocatori che si ritrovano in finale sono solitamente abbastanza forti da ricevere una testa di serie al torneo successivo, rendendo impossibile una partita tra loro al primo turno. Per assistere a due partite di fila come quelle tra Schwartzman e Verdasco c’è bisogno di un allineamento di calendari, e parecchio aiuto dalla sorte.

Come sottolineato da Carl Bialik, non è la prima volta che Verdasco gioca partite di fila a febbraio contro lo stesso avversario, anche se in precedenza sulla medesima superficie.  Gli è capitato nel 2011, perdendo nella finale di San Jose e poi nel primo turno a Memphis da Milos Raonic. Incredibilmente, restringendo la ricerca, il nome di Verdasco compare altre due volte.

Nel 2009, perse da Radek Stepanek nella finale di Brisbane per poi vincere nel primo turno degli Australian Open, il suo torneo successivo (per quello che vale, Stepanek giocò nel frattempo anche a Sydney).

Cinque anni dopo, Verdasco ha vinto il torneo di Houston nel 2014 contro Nicolas Almagro, e i due si sono ritrovati ai sedicesimi di Barcellona, con la vittoria di Almagro (anche in questo caso si trattava di tornei di fila per Verdasco, mentre Almagro era andato a giocare qualche partita anche al Monte Carlo Masters).

Un’occorrenza mai verificatasi

Per tornare alla questione principale, nei cinquant’anni dell’era Open maschile qualsiasi cosa è praticamente successa almeno una volta. Ma questa precisa occorrenza – due giocatori che giocano in finale e poi la settimana dopo al primo turno su una superficie diversa – è una novità. Se si allentano però le limitazioni imposte nei parametri, troviamo altri episodi verificatisi in passato.

Dal 1970, ci sono state circa 3750 finali del circuito maggiore. Quasi un terzo delle volte, i due finalisti hanno giocato contro almeno un’altra volta nel corso della stagione.

Di quelle coppie, 197 si sono poi affrontate nel torneo immediatamente successivo e in altre 62 di quelle finali, uno dei giocatori ha giocato contro l’altro nel suo torneo successivo (mentre l’altro ha giocato uno o più tornei nel mezzo, come per Almagro e Stepanek).

Molte delle 197 coppie hanno rigiocato la settimana dopo, anche se è stato più comune che ci fosse una settimana di distanza tra le due partite.

Delle 197 coppie di finalisti, 25 sono state sorteggiate nel tabellone del torneo successivo a partire dai trentaduesimi o dai turni precedenti, anche se non si è trattato di sole partite di primo turno (come per Andy Murray e Philipp Kohlschreiber nel 2015 che, dopo aver giocato la finale del torneo di Monaco di Baviera, hanno rigiocato nel primo turno di Murray al Madrid Masters la settimana successiva, ma non in quello di Kohlschreiber, visto che Murray aveva avuto un bye).

Il turno più frequente in cui due finalisti hanno giocato di nuovo è un’altra finale, circostanza che si è verificata circa un terzo delle volte.

Utilizzando un criterio diverso, troviamo che circa un quinto delle 197 coppie – 39 giocatori – hanno giocato la seconda partita su una superficie diversa dalla prima. Solo poche volte si è trattato di cemento e terra battuta.

Un numero eccessivamente elevato di queste partite si è giocato negli anni ’70 e nei primi anni ’80, quando il tappeto era una superficie canonica per i tornei del circuito maggiore, tale da comparire in questi risultati nel passaggio da cemento a tappeto o viceversa molto più frequentemente del binomio cemento-terra o terra-cemento.

Per ciascuna coppia di superfici di quelle 39 partite, solo tre si sono verificate nei trentaduesimi di finale e nessuna nei sessantaquattresimi o nel primo turno di uno Slam.

Apetti in comune

I tre precedenti dello stesso traguardo raggiunto da Schwartzman hanno tra loro diversi aspetti in comune. Come per Schwartzman, il medesimo giocatore ha vinto entrambe le partite, ma per gli altri due la differenza sta nel fatto che in entrambi c’è stata una settimana di pausa tra i due tornei e uno di questi è stato giocato sul tappeto.

Il primo risultato simile è stato messo a segno da Tom Gorman, che ha vinto partite consecutive contro Bob Carmichael nel 1976, dalla finale di Sacramento (sul tappeto) al primo turno a Las Vegas (sul cemento).

Ci sono state poi le due vittorie di Martin Jaite contro Javier Sanchez nel 1989: dopo il trionfo nella finale di San Paolo (sul tappeto), Jaite ha vinto il primo turno contro lo stesso avversario, ma sul cemento.

E infine Fernando Gonzalez, che ha sconfitto Jose Acasuso due volte di fila nel 2002, nella finale di Palermo sulla terra e poi una decina di giorni più tardi nel primo turno a Lione, sul tappeto.

Come Schwartzman e i tre predecessori che più sono andati vicini al suo risultato, la maggior parte dei finalisti è riuscita a difendere la vittoria. Nel caso di cambio di superficie, lo stesso giocatore ha vinto entrambe le partite 26 volte su 39.

Quando le partite si sono giocate sulla stessa superficie, il vincitore del torneo ha vinto anche la partita seguente 101 volte su 158. Non ci è riuscito Yuichi Sugita, nell’occasione più recente: dopo aver battuto Adrian Mannarino conquistando il suo primo torneo sul circuito maggiore l’estate scorsa, ha rigiocato con Mannarino nel secondo turno di Wimbledon, perdendo però la partita.

In un’eccezione con nomi più altisonanti, Andre Agassi ha battuto Petr Korda nella finale di Washington nel 1991, per poi perdere contro Korda nella prima partita la settimana successiva al Canada Masters (non era però la prima partita di Korda, non avendo avuto un bye come Agassi. Ma è stato uno sforzo ricompensato con la finale di quel torneo).

Altri cinquant’anni?

Potremmo dover aspettare cinquant’anni prima che un’identica circostanza come quella di Schwartzman si verifichi di nuovo. Ma se abbassiamo anche di poco le pretese abbiamo subito una nuova accoppiata, quella tra Lucas Pouille e Karen Khachanov, che hanno giocato la finale di Marsiglia in cui ha vinto Khachanov per rigiocare nel secondo turno di Dubai tre giorni dopo, in cui ha prevalso Pouille (che ha poi raggiunto la finale).

A prescindere dallo standard prescelto, c’è un giocatore che vorrebbe aver evitato partite consecutive contro lo stesso avversario: Verdasco.

Trivia: Deja Vu All Over Again

Dominic Thiem, specialista vecchia scuola della terra battuta

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 24 febbraio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Con un calendario pesantemente orientato ai tornei sul cemento, non sono rimasti molti specialisti della terra battuta. I migliori tra quelli che primeggiano sulla terra sono costretti ad adattare il loro gioco anche ai campi più veloci, in cemento o erba.

Oltre ai dieci Roland Garros, Rafael Nadal ha vinto altri sei Slam, mentre sia Pablo Carreno Busta che Diego Schwartzman hanno vinto tornei del circuito maggiore sul cemento. Nel circuito Challenger, si riesce a giocare quasi esclusivamente sulla terra, ma è praticamente impossibile rientrare tra i giocatori che abitualmente frequentano i tornei ATP senza aver vinto qualche partita sul veloce.

Il rendimento di Thiem è tanto scarso sul cemento quanto forte sulla terra

Dominic Thiem regge il confronto sulle superfici veloci ma, più di qualsiasi altro giocatore del circuito, è decisamente più forte sulla terra. Nelle ultime 52 settimane ha vinto 25 partite su 31 sulla terra, rispetto a 24 su 42 sulle altre superfici.

Contro i primi 10 della classifica, il suo è un record rispettabile di 7 vinte e 9 perse sulla terra (ancora più valido se si considera che in 12 di quelle partite ha dovuto giocare contro i Fantastici Quattro, di cui sette contro Nadal, e due delle altre contro Stanislas Wawrinka), contro un record estremamente negativo di 2 vinte e 15 perse sul cemento.

Se, come ho fatto io, vi siete abituati all’idea di pensare a Thiem come un solido ma non particolarmente minaccioso membro dei primi 10, non avete probabilmente realizzato quanto sia scarso il suo rendimento sul cemento o quanto sia diventato forte sulla terra.

Guardando solo ai risultati sulla terra, Thiem è il secondo miglior giocatore. Stando alle valutazioni Elo specifiche per la terra, Thiem supera tutti tranne Nadal e Novak Djokovic, la cui valutazione riflette il livello raggiunto nell’ultima occasione in cui ha giocato e che molto probabilmente stimerà in eccesso la sua bravura quando rientrerà dall’infortunio.

Thiem insegue Nadal di circa 180 punti, 2410 contro 2235, che significa che in uno scontro diretto ci si attende che Thiem vinca solo il 26% delle volte. Quando però mettiamo Thiem a confronto con il resto del gruppo ed escludiamo i malandati Djokovic, Wawrinka, Andy Murray e Kei Nishikori – insieme a Roger Federer che non gioca più sulla terra – la sua posizione appare molto più favorevole. Il giocatore più bravo sulla terra dopo Thiem, Alexander Zverev, è dietro di circa lo stesso margine, 170 punti.

Contrapposizione Elo di Thiem tra terra e cemento

Una valutazione Elo sulla terra di 2200 è indicazione affidabile di uno status elitario nel tennis. Nell’era Open, solo 29 giocatori hanno raggiunto quel livello, 22 dei quali possono vantare almeno un titolo dello Slam. Tra i giocatori in attività, solo i Fantastici Quattro, Nishikori, Juan Martin Del Potro, David Ferrer e Thiem appartengono a quel club.

L’aspetto per cui si distingue Thiem è la contrapposizione tra i suoi successi sulla terra e la mediocrità sul cemento. Dopo aver vinto a Buenos Aires nel 2017, la sua valutazione Elo specifica per la terra era di 2234, rispetto a una valutazione per il cemento di 1869.

La prima, come visto, vale un terzo posto complessivo, secondo se si escludono i risultati di Djokovic sempre più datati; la valutazione di 1869 lo mette al 31esimo posto del circuito, dietro a Schwartzman, Damir Dzumhur e Fabio Fognini.

Nessun giocatore in attività è oggi uno specialista della terra – nel senso di avere risultati su quella superficie di gran lunga migliori di quelli sul cemento – di quanto non lo sia Thiem (ci sono differenze ancora più accentuate tra l’erba e il cemento o la terra, ma la brevità della stagione sull’erba comporta che molte di quelle differenze siano basate solo su campioni di dati di dimensioni ridotte).

Il rapporto tra la valutazione Elo di Thiem sulla terra e quella sul cemento – di nuovo 2334 e 1869 punti – è di 1.20, ben al di sopra di quella di tutti gli altri giocatori in attività con una valutazione Elo sulla terra di almeno 1800. Al secondo posto troviamo Simone Bolelli, con 1.12, e una manciata di giocatori, tra cui Nadal, ottengono 1.10. La tabella riepiloga i primi 20 giocatori.

Giocatore      Elo terra   Elo cemento  Indice
Thiem          2234        1869         1.20
Bolelli        1834        1634         1.12
Nadal          2410        2182         1.10
Ramos          1873        1696         1.10
Delbonis       1869        1696         1.10
Carreno Busta  1921        1746         1.10
Cuevas         1873        1709         1.10
Almagro        1903        1755         1.08
Khachanov      1838        1701         1.08
Mayer          1878        1741         1.08
Bedene         1826        1695         1.08
Ferrer         2017        1894         1.07
Kohlschreiber  1951        1845         1.06
Wawrinka       2138        2027         1.06
Klizan         1800        1709         1.05
Pella          1825        1744         1.05
Coric          1830        1760         1.04
Verdasco       1863        1794         1.04
A. Zverev      2067        1997         1.04
Lopez          1830        1772         1.03

Valutazioni a senso unico più frequenti in passato

Alcuni decenni fa, quando i giocatori di vertice potevano dedicare più di due o tre mesi all’anno a fare incetta di punti sulla terra, valutazioni così a senso unico erano un po’ più frequenti.

Dei 29 giocatori che nella storia hanno superato una valutazione Elo sulla terra di 2200, 11 di loro in un certo momento hanno avuto un indice di almeno 1.20, tra cui Nadal, con una valutazione sulla terra all’inizio del 2008 del 20% più alta di quella sul cemento, e Sergi Bruguera, che ha raggiunto un valore massimo di 1.29.

Anche altri quattro vincitori di Slam – Bjorn Borg, Juan Carlos Ferrero, Thomas Muster e Guillermo Vilas – sono andati oltre l’1.20 nella loro carriera. Per avere un metro di paragone della specializzazione di Thiem, consideriamo che il valore più alto di Guillermo Coria è stato 1.19 e quello di Gustavo Kuerten 1.16.

Anche Ferrer, l’epitome dello specialista sulla terra battuta per una generazione di appassionati, non è mai andato oltre l’1.15 una volta che la sua valutazione Elo specifica ha superato la soglia dei 2000 punti.

Thiem ha tempo per acquisire dimestichezza sul cemento

La categoria che descrive perfettamente il rendimento di Thiem – quella degli specialisti sulla terra che invariabilmente si posizionano a metà classifica sul cemento – in larga parte fa riferimento a un’epoca precedente.

Se abbassiamo lo standard Elo di eccellenza sulla terra a un massimo in carriera di 2000 punti, equivalente al momento a circa la 15esima posizione sul circuito, otteniamo un gruppo di 145 giocatori dell’era Open.

Di questi, 65 (il 45%) sono stati a un certo punto così specializzati quanto Thiem ora, con un indice di valutazione terra-cemento di almeno 1.20. Ma solo cinque sono giocatori ancora in attività (Nadal, Thiem, Fognini, Pablo Cuevas, and Nicolas Almagro), e ben due terzi giocavano prima del 1995.

In alcune circostanze, giocatori con risultati sostanzialmente superiori sulla terra imparano a essere competitivi ad alto livello anche su superfici più veloci. Thiem ha 24 anni, e Nadal aveva un indice di specializzazione simile quando era ventiduenne. Ci sono stati altri grandi a godere di successi sulla terra all’inizio della carriera e che poi hanno acquisito dimestichezza anche sul cemento.

A questo riguardo, Thiem potrebbe aver bisogno di altro tempo prima di esplodere. Per quanto improbabile, nel momento in cui Nadal si ritirerà o perderà in competitività (se mai dovesse accadere), Thiem è destinato ad accumulare titoli ed emergere come il più forte giocatore sulla terra della sua generazione, a prescindere da un effettivo miglioramento del suo gioco sul cemento.

Dominic Thiem, Old-School Clay Court Specialist