Cosa può dire il caso di Grega Zemlja sul tennis americano?

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 24 ottobre 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

Grega Zemlja, il praticamente sconosciuto qualificato dalla Slovenia, è arrivato in finale al torneo di Vienna 2012. Come molti giocatori tra la posizione 50 e 100 della classifica, in particolare quelli dell’Est Europa, è riuscito finalmente ad affacciarsi ai piani alti del circuito maggiore dopo aver conseguito buoni risultati nei Challenger.

La finale a Vienna, solo il sedicesimo torneo maggiore che ha disputato, lo aiuterà a rimanere tra i primi 100 per la maggior parte del 2013, permettendogli accesso diretto ai tornei dello Slam e in molti tornei ATP di fascia inferiore.

Zemlja ha da poco compiuto 26 anni, quindi difficilmente lo si può definire una promessa. Richiamo però l’attenzione su di lui perché è entrato tra i primi 50 quasi completamente grazie ai suoi sforzi. Quando ha ricevuto una wild card dall’AELTC per il tabellone principale di Wimbledon 2012, si è trattato della prima per un torneo del circuito maggiore in tutta la sua carriera. E anche a livello Challenger, ha ricevuto una sola wild card d’ingresso al tabellone principale.

Sebbene sia presente tra i primi 200 dalla fine del 2008, Zemlja non ha ricevuto favori di sorta (oggi trentaduenne, Zemlja è il numero 900 del mondo e non ha più giocato dal Challenger di Portoroz di agosto 2017. Nel 2013 ha raggiunto la classifica massima alla posizione 43, vincendo 17 tornei tra Future e Challenger. La finale a Vienna rimane l’unica giocata in un torneo del circuito maggiore, dove h un record è di 48 vittorie e 51 sconfitte. Dopo Wimbledon 2012, ha ricevuto altre due wild card per un torneo Challenger, arrivando in finale a Portoroz 2015 sconfitto da Luca Vanni, n.d.t.).

L’assegnazione delle wild card

Si scopre che Zemlja non è il solo. Dei primi 100 (compresi Tomas Berdych e Janko Tipsarevic), 21 non hanno ricevuto nemmeno una wild card per il circuito maggiore prima di compiere 25 anni. Altri 16 (tra cui Novak Djokovic e David Ferrer) ne hanno avuta solo una e altri 23 ne hanno avute due.

Durante la preparazione di questo articolo, mi aspettavo di trovare che Zemlja fosse un caso unico di situazione sfavorevole. E invece non è così: le wild card sono un privilegio di quei giocatori che hanno avuto la fortuna di nascere nel posto giusto. Gli ingressi liberi tendono a essere assegnati agli idoli locali, in aggiunta a pochi altri concessi a giovani stelle come Grigor Dimitrov.

La distribuzione geografica delle wild card quindi dipende in tutto e per tutto dal posto in cui vengono disputati i tornei, e le sedi dei tornei hanno molto a che fare con i luoghi in cui i venivano organizzati 20, 50 o addirittura 100 anni fa.

Gli Stati Uniti dell’Assistenza

Ci sono stati molti commenti sulle 27 wild card nel circuito maggiore ricevute da Donald Young (e alcuni da Patrick McEnroe, che a sua volta ne ha avute 37). E questa è solo la punta dell’iceberg. Sapevate che i sette giocatori in attività con più wild card prima dei 25 anni sono americani? Oltre a Young troviamo Mardy Fish, Ryan Harrison, Sam Querrey, Jesse Levine, John Isner e James Blake (quello con più wild card per ora, la maggior parte delle quali però concesse nei suoi recenti tentativi di rientro nel circuito).

Al momento, i primi 200 hanno beneficiato di 748 wild card prima dei 25 anni e 139 di queste, cioè il 18.6%, sono state date ai sette giocatori menzionati, vale a dire il 3.5%.

In sintesi, la distribuzione dei tornei non corrisponde alla distribuzione di talento nel tennis. Gli Stati Uniti sono l’unico paese con più di un Master 1000 – ce ne sono tre – oltre a uno Slam, due ATP 500, e altri sette 250 (5 per la stagione 2018, n.d.t.). Sono tutti tornei con almeno tre wild card da assegnare. Nel 2012, sette sono andate a Jack Sock che, all’età di 20 anni, ne ha già collezionate 10 in tornei del circuito maggiore, più di quanto il 90% dei giocatori tra i primi 200 abbia ricevuto.

Un problema strutturale

È un tema sul quale ci si può trovare a riflettere, specialmente se preferite parteggiare per giocatori come Zemlja. Eppure è difficile assegnare colpe a qualcuno di specifico.

I tornei sono estremamente gelosi delle poche wild card che ricevono. Diventa quindi difficile per l’ATP immischiarsi. Gli organizzatori vogliono attrarre spettatori e un giocatore che si sta affermando e con un nome facile da pronunciare è un ottimo richiamo per vendere biglietti. E certamente non si può criticare un giocatore se accetta un accesso diretto nel tabellone principale.

Questa è la mia modesta proposta: trasformare qualche altro posto assegnato in tabellone dalle wild card in un posto basato sui risultati ottenuti. La USTA, la Federazione americana, si sta muovendo nella direzione, gestendo le wild card reciproche agli Australian Open e US Open tramite meccanismo di playoff, tra le altre strategie adottate. Purtroppo non aiuta in termini di distribuzione geografica, considerando che possono partecipare solo giocatori americani!

Una modalità più efficace è quella che ha permesso a Zemlja di accedere a Wimbledon. Ha infatti vinto il Challenger di Nottingham due settimane prima, e l’AELTC non poteva assegnare tutti gli ingressi liberi solo a giocatori inglesi. Zemlja era in forma e meritava la wild card, anche se non gioca difendendo i colori inglesi.

Forse ogni Slam e Master dovrebbero garantire un posto in tabellone principale al vincitore del Challenger immediatamente precedente in calendario. Oppure si dovrebbe obbligare ogni torneo con più di 48 partecipanti ad assegnare almeno una wild card a un giocatore straniero.

Se un giocatore possiede le caratteristiche, prima o poi riesce a sfondare. Non ci sarebbe però un migliore livello competitivo se alcuni giocatori non dovessero aspettare più a lungo di altri sulla base di quanti tornei sono in calendario nel paese che quest’ultimi rappresentano?

What Grega Zemlja Can Tell Us About American Tennis

Un modello per il confronto tra tornei dei primi due mesi di stagione

di John McCool // sportsbrain

Pubblicato il 9 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

In media, i giocatori con una classifica più alta hanno avuto la meglio nel torneo di Auckland e agli Australian Open di inizio 2018. Sulla base della classifica media del vincitore di ciascuna partita, nei tornei di Quito e Sofia il livello della competizione è stato inferiore (in termini di classifica giocatore).

IMMAGINE 1 – Confronto tra tornei di inizio 2018 in termini di classifica dei vincitori di ciascuna partita

I giocatori più vecchi hanno mediamente battuto la controparte più giovane agli Australian Open (con 0.36 anni di differenza), a Auckland (1.49) e a Pune (1.86). Si è verificato il contrario a Sydney e a Brisbane, dove il vincitore è stato in media più giovane dello sconfitto di 1.2 anni. 

IMMAGINE 2 – Confronto tra tornei di inizio 2018 in termini di differenza di età tra vincitori e sconfitti

Un modello di tipo foresta casuale (random forest) è stato costruito usando la classifica, l’altezza e l’età dei vincitori e degli sconfitti, oltre alla superficie (cemento, erba, terra) su cui si gioca.

L’apprendimento automatico del modello si è sviluppato su 330 partite, mentre è stato messo alla prova su 129 partite della stagione 2018 (compresa la Coppa Davis).

IMMAGINE 3 – Variabili del modello di tipo foresta casuale, con la classifica del vincitore a essere la più efficace nel predire l’esito di qualsiasi partita

Il modello suggerisce che le variabili più importanti per predire l’esito di una partita sono la classifica del vincitore, la superficie e la classifica dello sconfitto. L’altezza dello sconfitto insieme alla sua età e a quella del vincitore hanno avuto, all’interno del modello, un potere predittivo inferiore. Complessivamente, è stato correttamente previsto l’esito del 74.4% delle partite del campione considerato. 

Il codice per quest’analisi è disponibile qui.

Early Stages of the Tennis Season

Si può dare la colpa al sintetico per l’imprevedibilità della stagione sull’erba?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 20 luglio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dopo i risultati deludenti di molte delle migliori giocatrici e giocatori a Wimbledon 2018, analizziamo in questo articolo il possibile impatto associato al numero di occasioni a disposizione per giocare sull’erba. 

Di recente, mi sono trovata di fronte a un’interessante statistica relativa all’erba. Quando Thomas Muster è diventato numero 1 del mondo nel 1996 dopo aver conquistato il Roland Garros l’anno precedente, non aveva vinto – fino a quel momento – nemmeno una partita sull’erba, non una, se si esclude la Coppa Davis (il record di Muster sull’erba al momento del ritiro è di otto vittorie e dieci sconfitte).

È un forte richiamo al fatto che anche i professionisti più esperti non possono passare semplicemente da una superficie all’altra aspettandosi di ottenere gli stessi risultati, in modo particolare se si tratta di specialisti della terra battuta che devono poi giocare sull’erba.

Mi sono chiesta allora se le modifiche alla stagione sull’erba siano state uno dei fattori che hanno contribuito all’apparente ruggine dei giocatori di vertice durante Wimbledon 2018.

Il ruolo del sintetico sull’evoluzione dei tornei sull’erba

Se si osserva semplicemente la percentuale dei tornei sull’erba in calendario per il circuito maggiore, si trova che, dall’inizio degli anni ’90, sono cresciuti dal 5 al 12%, in apparente contrasto con l’idea che la stagione sull’erba sia andata riducendosi nel corso degli anni. Si scopre però che non è possibile valutare la stagione sull’erba senza considerare il sintetico. 

IMMAGINE 1 – Andamento negli anni delle occasioni di gioco sull’erba per il circuito maschile

Fino alla fine degli anni ’90, il sintetico era una delle superfici più diffuse sul circuito maggiore, rappresentando circa il 20% dei tornei. Inoltre, per lo scopo di quest’analisi, era una superficie veloce, considerata seconda solo all’erba.

Quando il sintetico è stato abbandonato, sono aumentati i tornei sull’erba ma non in misura tale da avvicinarsi al numero complessivo di quelli in erba e sintetico precedentemente organizzati. Il cemento ha poi progressivamente sostituito il sintetico. È un andamento ancora più marcato per il circuito femminile, in cui negli anni ’90 il 30% dei tornei si giocava sull’erba e sul sintetico, contro i meno del 10% sull’erba attualmente disponibili. 

IMMAGINE 2 – Andamento negli anni delle occasioni di gioco sull’erba per il circuito femminile

Le occasioni vanno però distinte da dove effettivamente si finisce per giocare. La scomparsa del sintetico e il numero ridotto di opportunità sull’erba hanno comportato meno gioco sulle superfici più veloci?

L’impatto sui giocatori di vertice

Al di fuori di Wimbledon, i primi 30 della classifica maschile in realtà giocano complessivamente di più sull’erba. Ma, ancora una volta, non si può ignorare l’impatto del sintetico. Negli anni ’90, giocare sull’erba o sul sintetico per i più forti era una certezza. Con i tornei sull’erba che non hanno colmato il vuoto lasciato dal sintetico, quasi il 30% dei giocatori di vertice non gioca più su superfici così veloci se non a Wimbledon.

IMMAGINE 3 – Andamento di gioco sull’erba per i primi 30 giocatori

L’impatto sulle giocatrici di vertice

Per quanto riguarda le giocatrici più forti, il numero sale a circa il 50%. Questo significa che ancor meno giocatrici tra le migliori, rispetto agli uomini, avrebbe avuto la possibilità di competere sull’erba ad alti livelli in preparazione alle recenti edizioni di Wimbledon.

IMMAGINE 4 – Andamento di gioco sull’erba per le prime 30 giocatrici

Se si vuole assistere a rendimenti più solidi e continui nel torneo più prestigioso del calendario, allungare la stagione potrebbe risultare l’unica strada percorribile in futuro. 

Is Carpet to Blame for an Unpredictable Grass Court Season?

La classifica dei primi 100 alla luce delle modifiche al punteggio dei Challenger in vigore dal 2019

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 23 luglio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

L’ATP ha annunciato alcune modifiche al circuito Challenger. Una di queste – di cui non si è parlato nel comunicato stampa ma è stata incidentalmente svelata nella parte relativa all’iniziativa “Branding” – riguarda la riorganizzazione del sistema di punteggio per i tornei Challenger.

Per coloro che non lo conoscono approfonditamente, il circuito Challenger prevede al momento cinque categorie di tornei, in funzione del numero di punti che riceve il vincitore: 125, 110, 100, 90, 80. Oggi è stato rivelato che, a partire dal 2019, le categorie diventeranno: 125, 110, 95, 80 e 70, e verranno denominate “Challenger 125″, “Challenger 110” e così via.

Quindi, all’inizio del 2019, il vincitore dei Challenger 100 perderà cinque punti rispetto all’anno passato, mentre saranno dieci i punti persi per le vittorie dei Challenger 90 e 80.

Ovviamente, non è solo il vincitore del torneo a prendere punti. La tabella riepiloga l’attuale distribuzione dei punti nel circuito Challenger.

L’annuncio dell’ATP fornisce informazioni solo per le fasce di punteggio più alte, non permettendo di conoscere la struttura completa del sistema adottato a partire dal 2019 e per gli anni a venire. Si può tuttavia procedere a una stima mantenendo inalterate le proporzioni rispetto al vertice.

Un’ipotesi sulla nuova struttura del tabellone

Questo però non basta, perché è stato anche detto che il tabellone principale passerà da 32 a 48 giocatori. Credo che chi uscirà al primo turno riceva comunque zero punti, ma non sono più i trentaduesimi di finale. Vale a dire, bisogna anche fare un’ipotesi sulla struttura del tabellone.

Generalmente, in un format con 48 giocatori o squadre, servono 32 giocatori o squadre al primo turno e poi 16 diversi giocatori o squadre (quelli che ricevono i bye) che aspettano al secondo turno i vincenti dei primi turni. Nel tennis è la stessa cosa. Ci sono tre tornei nel circuito maggiore con un tabellone a 48 giocatori: Washington, Winston-Salem e il Master di Parigi Bercy. Tutti hanno 16 teste di serie con un bye al primo turno.

Con il nuovo sistema, ci si può aspettare che gli attuali trentaduesimi di finale nei Challenger corrispondano al secondo turno. Dobbiamo assegnare alcuni punti perché è improbabile che ci siano zero punti in palio sia per il primo che per il secondo turno.

Con il punteggio esistente, i turni iniziali ricevono poco meno della metà del turno immediatamente successivo. È questa la metodologia che utilizzo per stimare la nuova struttura, come mostrato nella tabella.

La tabella che segue mostra invece come saranno i numeri netti, paragonati con gli attuali.

A questo punto dobbiamo semplicemente scorrere la classifica dei primi 100 nelle ultime 52 settimane per sostituire i punti effettivamente guadagnati sul circuito Challenger con la stima del nuovo punteggio, nell’ipotesi che per ciascun giocatore tutti i punti da tornei Challenger valgano come migliori risultati, anche se probabilmente non è così. Includerli tutti però determina una situazione da scenario peggiore, utile a verificare l’efficacia del nuovo sistema di punteggio.

Prima però una domanda al volo: quanti dei giocatori tra gli attuali primi 100 hanno giocato un torneo Challenger nelle ultime 52 settimane? La risposta si trova alla fine dell’articolo*.

L’impatto sui primi 100

Con un tabellone che parte da 48 giocatori, è necessario fare un’ipotesi sul numero di punti guadagnati dai primi 100 per le sconfitte ai trentaduesimi che, nel sistema attuale, non sono ricompensate. Non potranno rimanere a zero anche nel nuovo sistema perché i primi 16 riceveranno un bye al primo turno.

Virtualmente tutti i giocatori (tranne quattro) considerati a fini di quest’analisi (i primi 100), sono stati tra i primi 16 in ogni Challenger che hanno giocato. Se la nuova struttura fosse stata in vigore, tranne quattro di loro tutti avrebbero ricevuto un bye in ciascuno di quei tornei.

Di conseguenza, una sconfitta al primo turno equivarrebbe a una sconfitta al secondo turno nel nuovo sistema, facendo guadagnare dei punti ai trentaduesimi di finale, come previsto appunto dalla stima secondo la nuova struttura.

Confesso di non essere entusiasta all’idea di assegnare dei punti a chi perde nei trentaduesimi – se così effettivamente sarà – perché chi perde la sua prima partita riceve dei punti solo per aver beneficiato di un bye al turno precedente, mentre al vincitore vengono sottratti dei punti.

Ad esempio, i risultati di Vasek Pospisil sul circuito Challenger sono di gran lunga superiori a quelli di Jaume Munar. Pospisil non ha mai perso al primo turno nei Challenger in cui ha preso parte, Munar invece ha perso nove volte al primo turno, sette delle quali riceverebbero dei punti dal nuovo sistema, lasciando Pospisil a dover subire la riduzione in cima alla piramide del punteggio, solo (e proprio) perché ha giocato bene. Se vi sembra scorretto, è perché è scorretto. La contro deduzione è che ci saranno più punti disponibili per l’intero campo partecipanti, evitando che i risultati del circuito Challenger alterino la classifica ufficiale in modo sostanziale.

Solo i giocatori dal ventunesimo al centesimo posto

Nessuno dei primi 20 (anzi, dei primi 21) ha giocato un Challenger, quindi per risparmiare spazio considero solo i giocatori con classifica dalla 21esima fino alla centesima posizione. Le prime quattro colonne riportano la classifica effettiva per la settimana del 23 luglio 2018 con indicazione della posizione e dei punti.

La quinta colonna, “Correzione”, rappresenta il numero dei punti guadagnati o persi secondo la mia stima della nuova struttura per il 2019, seguita dalla colonna con il numero dei punti così risultanti, dalla nuova classifica basata su quei nuovi punti e dalla variazione di posizioni per ciascun giocatore (con i colori a indicare un’impatto da estremamente positivo, in verde, a estremamente negativo, in rosso).

Se la colonna “Correzione” è vuota, non sono stati giocati Challenger nelle ultime 52 settimane. Se invece c’è lo zero, un Challenger è stato giocato ma senza conseguenze dal nuovo sistema di punteggio.

Mi sono naturalmente limitato ai primi 100, perché sarebbe dispendioso (almeno per me) aggiornare la classifica di circa duemila giocatori. Alcuni di questi potrebbero uscire dai primi 100 di poche posizioni, mentre altri sono a ridosso dei primi 100 e potrebbero entrarvi se li avessi considerati da subito.

Conclusioni

Tutto sommato, non è un cambiamento così sostanziale come ho pensato inizialmente alla lettura del comunicato. Qualcuno ne subisce le conseguenze, altri invece guadagnano più punti perdendo al primo turno dei Challenger – aspetto totalmente controintuitivo – ma nessun sistema può essere perfetto.

Più si scende di classifica, più ridotto è l’impatto di questi cambiamenti in termini di variazione di posizioni, senza che ve ne sia traccia nell’elenco precedente. Per i giocatori di bassa classifica però è il minore dei problemi. L’ATP ha anche annunciato che a partire dal 2020 non sarà più possibile guadagnare punti da tornei di categoria inferiore ai Challenger. Da quella data quindi compariranno molti meno giocatori di bassa classifica di quanti ce ne siano ora.

*Ah, e la risposta alla domanda è 51. È così, più della metà dei primi 100 ha giocato un Challenger nelle ultime 52 settimane.

What would the Top 100 look like with the 2019 changes to Challenger points?

Un confronto tra i tornei sull’erba della stagione 2018

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 18 luglio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il torneo di Newport segna la fine della stagione maschile 2018 sull’erba. Nel calendario attuale ci sono otto appuntamenti a stagione su questa superficie: cinque ATP 250, due ATP 500 e una prova dello Slam. Per ciascun torneo del calendario elaboro durante l’anno alcuni numeri sulla base della bravura dei giocatori nel tabellone principale e della competitività del tabellone principale.

Bravura negli Slam

La parte relativa alla bravura è composta dalle mie valutazioni Elo specifiche per superficie ottenute secondo tre metodi di calcolo: 1) La media Elo dei giocatori nel tabellone principale, 2) la differenza tra il giocatore con la valutazione Elo più alta e quello con la più bassa (Max – Min) e 3) la deviazione standard delle valutazioni Elo nel tabellone principale.

Va detto che le mie valutazioni Elo specifiche per erba contengono in realtà anche qualche risultato sul cemento, perché per l’erba i dati a disposizione sono estremamente ridotti, si tratta di superfici più con similarità che differenze, e ci sono più partite recenti sul cemento che aiutano a individuare lo stato di forma attuale di un giocatore. Le prestazioni sull’erba sono più datate di quelle sul cemento che utilizzo nel calcolo delle valutazioni Elo specifiche per l’erba.

Competitività negli Slam

La parte relativa alla competitività pone le seguenti domande alle mie previsioni del torneo: quale percentuale di giocatori del tabellone principale 1) ha una probabilità di almeno il 20% di arrivare ai quarti di finale, 2) ha una probabilità di almeno il 15% di raggiungere le semifinali, 3) ha una probabilità di almeno il 10% di arrivare in finale, 4) ha una probabilità di almeno il 5% di vincere il titolo e 5) ha una probabilità inferiore all’1% di raggiungere le semifinali?

Per avere un termine di paragone, iniziamo da Wimbledon, anche se è l’unico Slam sull’erba.

Direi che non servono spiegazioni, aggiungo solo che sono valori normali per uno Slam: una media Elo alta ma non fuori misura, un grande divario tra il migliore e il peggiore e un’alta deviazione standard. Dipende tutto dal fatto che ci sono 128 giocatori. Inoltre, gli Slam solitamente deprimono il numero di giocatori con probabilità di arrivare fino in fondo.

Vale la pena notare infatti che ci sono tipicamente quattro o cinque giocatori con quella che definiamo una buona possibilità di arrivare in finale o vincere il titolo, e circa il 75% dei partecipanti con praticamente nessuna possibilità di arrivare in semifinale. 

Quale 500? 

La tabella riepiloga i tornei ATP 500 sull’erba.

Rispetto agli Slam, ci si attende che la valutazione Elo media di un giocatore in un ATP 500 sia più alta, specialmente quando c’è la possibilità di guadagnare 500 punti in un tabellone a trentadue giocatori. La deviazione standard può non essere di molto inferiore a quella di uno Slam, perché spesso vengono assegnate wild card in modo generoso ed è più facile superare le qualificazioni di un 500 che in uno Slam.

Quindi, solitamente, ci saranno più giocatori con probabilità concreta di raggiungere i quarti di finale anche se, con solo quattro posti in semifinale (e dei giocatori forti che ci arriveranno), sono posizioni comunque ad accesso abbastanza limitato. Si fa notare la differenza tra gli Slam e i 500 nella percentuale di giocatori con praticamente nessuna possibilità di arrivare in semifinale, il 73% contro il 3%.

Credo si possa affermare che, dall’inizio come alla fine, nel 2018 il Queen’s Club è stato un torneo qualitativamente più solido di Halle.

Quale 250?

Passiamo ora agli ATP 250.

Sono i tornei in cui, di solito, la valutazione Elo è in media la più bassa, perché rientrano marginalmente o per nulla nel calendario dei giocatori di vertice. La varietà nella programmazione crea poi maggiore varietà nella differenza Max – Min e nella deviazione standard.

Sono molti di più i giocatori con possibilità di raggiungere i quarti di finale rispetto ai tornei più prestigiosi, ma anche qui le semifinali sono il collo di bottiglia. Inoltre, la gran parte dei giocatori ha probabilità di almeno l’1% di arrivare in semifinale (tranne a Stoccarda, e indovinate perché…)

Se non è stato particolarmente difficile capire che tra i 500 il Queen’s Club era meglio di Halle, su quale dei 250 ricade la scelta? Ben lontano dall’essere così ovvio. Se potreste essere sorpresi, io lo sono certamente stato, perché qualche volta dando un occhio ai partecipanti mi viene da pensare che sia un tabellone debole.

I numeri mostrano che tornei di una specifica categoria di punteggio sono, in termini di difficoltà, tra loro molto equilibrati. Se dovessi scegliere tra i 250 del 2018, prenderei s’Hertogenbosch. 

Farò una simile analisi a conclusione della stagione della terra battuta, e si potranno mettere a confronto anche i Masters.

Evaluating the Grass Tournaments

La competitività del circuito femminile può spiegare il bizzarro andamento di Wimbledon 2018?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 20 luglio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Le teste di serie del tabellone di singolare femminile non hanno mai ottenuto risultati così negativi come a Wimbledon 2018. Si è trattato di semplice sfortuna o è un riflesso dell’equilibrio competitivo sul circuito femminile?

I record generati dalle sconfitte a sorpresa a Wimbledon 2018 – vinto poi dalla testa di serie numero 11 Angelique Kerber – sono ormai ben noti. Si è già parlato di come solo due delle prime 8 teste di serie, Karolina Pliskova e Simona Halep, siano arrivate al terzo turno, mai in numero così ridotto per qualsiasi Slam da quando le teste di serie sono salite a trentadue.

Con l’uscita poi di Halep al terzo turno e di Pliskova al quarto, nessuna testa di serie delle prime 8 ha raggiunto i quarti di finale, evento inedito in qualsiasi tabellone Slam di singolare femminile o maschile.

L’andamento di Wimbledon 2018 è stato quindi decisamente bizzarro. Quali sono i motivi? Dobbiamo considerarla una rara occorrenza nelle 132 edizioni del torneo o un esito così sorprendente indica la presenza di cause sistematiche?

Riduzione del divario tra giocatrici

La teoria più accreditata richiama il livello di competitività raggiunto nel tennis femminile, che ha determinato una riduzione nel divario tra giocatrici di vertice e altre giocatrici, portandolo a margini ridottissimi. Per questo l’attribuzione delle teste di serie riflette in misura minore rispetto al passato la capacità di una giocatrice di vincere in qualsiasi turno.

Ci sono prove a supporto della teoria della competitività? Per trovarle è necessario guardare oltre le teste di serie e la classifica ufficiale su cui si basano. Fa il suo ingresso il sistema Elo, un metodo statistico ampiamente dibattuto e particolarmente utile.

Il sistema Elo è la misurazione più accurata possibile della bravura di una giocatrice. Se la teoria della competitività è corretta, dovremmo aspettarci valutazioni Elo più raggruppate. In altre parole, la distanza di valutazione tra la settima o l’ottava giocatrice del mondo e la 100esima o 101esima dovrebbe essere più ridotta di quella riscontrata in passato.

È effettivamente così?

Le curve dell’immagine 1 mostrano quanto, nel periodo dal 2010 al 2018, le differenze nelle valutazioni Elo si siano accumulate dalla giocatrice con la classifica più alta a quella più bassa al momento del sorteggio del tabellone di Wimbledon.

Dove la curva ha un’inclinazione meno accentuata all’aumentare della classifica, la differenza tra la valutazione di una giocatrice e la successiva è più ridotta, a indicazione di competitività. Da questo punto di vista, sono gli anni dal 2016 al 2018 a mostrare il più alto livello competitivo.

IMMAGINE 1 – Tendenze nella competitività tra le prime 128 giocatrici del circuito femminile all’inizio di Wimbledon 2018

Ad esempio, dal grafico la differenza totale nelle valutazioni per la prima metà del tabellone era di 404, che significa una differenza media di solo sei punti nella valutazione Elo per giocatrici separate in classifica da una sola posizione. Nel 2017, il gruppo è ancora più ravvicinato in termini di bravura, con una differenza media di 5 punti per le prime 64, rispetto al doppio della differenza nel 2013, la più accentuata negli anni presi in esame.

Variazione non lineare

Va detto che le valutazioni non variano in modo lineare. Ci si attende che siano più vicine a una distribuzione secondo legge di potenza, con le giocatrici di classifica più alta che sono superiori di ordini di magnitudo alle giocatrici a loro appena inferiori in classifica. Ci si potrebbe chiedere se, osservando le differenze cumulate, si stanno semplicemente cogliendo, al vertice del tennis, valutazioni più ravvicinate.

Possiamo farci un’idea al riguardo approfondendo l’analisi sulla crescita della differenza di valutazione tra le prime 32 della classifica. L’immagine 2 mostra che il divario tra le prime 5 negli ultimi anni è diminuito rispetto a quello di cinque anni fa, quando osserviamo ad esempio che la curva del 2013 sale a circa 400 punti alla decima posizione in classifica. Allo stesso tempo dalla decima alla 32esima la curva si appiattisce per il 2017 e il 2018, rispetto agli altri anni.

Questo risultato lascia intendere che le sole differenze al vertice non riescono a spiegare il comportamento di queste curve: anche una maggiore competitività deve essere considerata come forza trainante.

IMMAGINE 2 – Tendenze nella competitività tra le prime 32 giocatrici del circuito femminile all’inizio di Wimbledon 2018

Conclusioni

Le differenze nelle valutazioni Elo forniscono quindi evidenza, quantomeno parziale, a supporto della teoria della competitività. Anche se è interessante notare come, solamente secondo queste statistiche, sarebbe dovuto essere il 2017 (quando tre teste di serie tra le prime 8 hanno raggiunto i quarti di finale) l’anno in cui ci si poteva attendere il più alto numero di vittorie a sorpresa, invece del 2018.

Se la follia del tabellone del 2018 possiede comunque un minimo di razionalità, occorre allora tenere in conto anche altri fattori, come la preparazione dei campi, il percorso di avvicinamento al torneo e un generalizzato abbandono dello stile offensivo, il più remunerativo sull’erba.

Does WTA Depth Explain How Wild 2018 Wimbledon Was?

Idee rubate al golf: il consolidamento

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 9 giugno 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il secondo articolo della serie.

Questa volta non parlo solo di idee rubate al golf…certamente non nel modo in cui ho fatto negli altri due interventi sull’argomento. Anche in questo caso però sono idee che provengono dal golf e per le quali ho individuato un collegamento non golfistico. Non vedo quindi la necessità di suddividerle in più articoli solo per non uscire dallo schema originario delle idee rubate al golf.

La tematica di fondo qui è il consolidamento, principalmente del marketing e degli aspetti televisivi. Si può pensare che marketing e televisione siano la stessa cosa, e certamente c’è della sovrapposizione, ma la televisione è solo uno dei piani di azione del marketing. Servono anche idee di marketing.

Il consolidamento nel marketing e negli aspetti televisivi

Iniziamo con la parte non relativa al golf, perché di fatto conduce poi alle altre idee rubate al golf.

1) Consolidare il circuito maschile (ATP) e quello femminile (WTA)

Se è vero che nel golf il circuito maschile (PGA) e quello femminile (LPGA) sono separati, ci sono buone ragioni affinché i due circuiti nel tennis dovrebbero essere uniti. Non ho la pretesa di elencarle tutte, mi limito alle tre per me più importanti.

Il consolidamento è potenzialmente in grado di portare i tifosi sul gioco, non tanto e solo sui protagonisti. Nell’articolo introduttivo, ho raccontato di come al centro commerciale vicino al posto in cui abito si sia quasi assaliti dalla quantità di attrezzatura per il golf, mentre sono richieste capacità da segugio per trovare le palline da tennis. Serve promuovere il gioco, non solo i campioni.

La PGA e la LPGA vogliono che alla gente piaccia il golf, perché così facendo le persone giocano, guardano i tornei e ammirano i giocatori. Tutti i giocatori. C’era lo stesso entusiasmo per la vittoria al The Players Championship di Webb Simpson di quella che ci sarebbe stata se avesse vinto Rory McIllroy, perché Simpson è stato il migliore durante quella settimana. Il golf vuole che sia Jordan Spieth il futuro campione, ma non serve che vinca tutte le settimane perché si parli dei tornei di golf.

Il tennis professionistico ha ottenuto il risultato opposto. Le sorti dell’ATP sono così collegate a Roger Federer e Rafael Nadal – e quelle della WTA a Serena Williams e forse anche Venus Williams, a Maria Sharapova o Victoria Azarenka – che è difficile trovare un tifoso occasionale disposto a guardare partite di altri giocatori.

Se da un lato sono ormai anni che questo concentrato di campioni mantiene viva l’attenzione su entrambi i circuiti, dall’altro sembra che il tennis si stia sforzando di far emergere la nuova generazione nella speranza che diventi un valido sostituto dei grandi nomi del momento (anche se, qual è la probabilità di un’altra era subito dopo questa che esprima lo stesso livello di grandezza?).

I circuiti di golf professionistico fanno un buon lavoro di auto promozione. E, per il bene del golf, non hanno nemmeno timore di promuoversi a vicenda. Non occorre andare oltre i rispettivi siti internet per capirlo: sulla pagina iniziale di entrambi c’è un collegamento diretto all’altro sito chiaramente identificabile.

L’ATP e la WTA invece? Al quinto tentativo, sono riuscito a trovare un collegamento al sito della WTA in fondo alla pagina del sito dell’ATP, in tonalità meno facilmente leggibile e accanto alle informazioni sul copyright. Al terzo tentativo, ho trovato sul sito della WTA il link al sito dell’ATP posizionato praticamente nello stessa punto. Si è trattato per me di una piccola vittoria, la prima volta in cui riuscivo a trovare un’informazione sul sito dell WTA in meno di tre tentativi.

Sono convinto che non venga fatto il giusto lavoro per valorizzare il gioco del tennis, e consolidare le due organizzazioni darebbe più opportunità di introdurre lo sport come una sola entità. Di nuovo, serve promuovere il gioco, non solo i campioni.

Quindi, l’ATP e la WTA non devono consolidarsi per raggiungere l’obiettivo se la PGA e la LPGA ci riescono pur rimanendo separate (grazie anche all’aiuto di associazioni dilettantistiche). Nulla da dire, ma qual è la probabilità che l’ATP e la WTA trovino un accordo, in quanto entità con organi di governo distinti, per perseguire la stessa linea direttiva? Non c’è mai stata grande volontà di procedere nella medesima direzione, visto che ciascuna organizzazione lavora per il raggiungimento dei propri scopi.

2) Il consolidamento delle due organizzazioni permetterebbe un maggiore potere (e fornirebbe una maggiore spinta) negoziale per ottenere diritti televisivi o di streaming più unificati

Sia l’ATP che la WTA hanno faticato a capire come confezionare con precisione la loro offerta televisiva. La nascita e successiva diffusione di Tennis Channel negli Stati Uniti è stata per loro una vera manna dal cielo.

Finalmente dava modo a tutti gli appassionati in quel mercato di smettere di inveire davanti alla televisione con frasi del tipo: “Perché trasmettono Serena che annienta Annika Beck quando Azarenka e Sloane Stephens sono 6-6 al terzo set? ODIO ESPN!”. E mi capitava di inveire solo poche volte all’anno, perché poche erano le volte in un anno in cui il tennis veniva trasmesso.

Il tennis aveva praticamente il suo personale The Golf Channel. Ma si è trattato di una luna di miele molto breve, come spesso accade quando soldi (e alternative) fanno il loro ingresso. La WTA è uscita da Tennis Channel nel 2017 (tranne che per il torneo di Charleston e alcuni degli eventi in congiunta con gli uomini).

Il risultato? Non si è potuto vedere il tennis femminile con frequenza regolare – negli Stati Uniti – per un periodo dai sei ai nove mesi. A un certo punto la WTA ha annunciato di aver venduto i diritti a beIN Sports, emittente nota principalmente per le partite di calcio. Capisco che beIN abbia un seguito di rilievo in alcune aree del mondo, ma molti appassionati non hanno accesso al loro canale.

Io non l’avevo nemmeno mai sentito. Dopo un po’ di ricerca, ho saputo che potevo aggiungerlo al mio abbonamento via cavo per una canone mensile addizionale (penso sui dieci dollari). Gli spettatori però continuavano a lamentarsi del fatto che beIN interrompeva il tennis femminile per non perdere l’inizio delle partite di calcio. Dieci dollari al mese per questo trattamento? No grazie.

Tennis Channel, Tennis TV, ESPN e WTA TV

Per quanto riguarda l’ATP, Tennis Channel mantiene una forte presenza, ma nelle settimane in cui si gioca su più fronti, può succedere di non rendersene conto, perché spesso Tennis Channel possiede i diritti solo per un torneo.

C’è inoltre Tennis Channel Plus, che offre ulteriori partite in diretta. È un servizio in abbonamento, per circa 7.50 dollari al mese con sottoscrizione annuale (con rinnovo automatico di cui ci si ricorda ovviamente il giorno dopo in cui è avvenuto l’addebito). Tennis Channel Plus ha la funzione on-demand che, se fino a un paio di anni fa consentiva di vedere quasi tutte le partite con questa modalità, ora impone di affrettarsi. Ad esempio, è possibile vedere virtualmente tutte le partite del torneo di Barcellona 2018, solo però fino a due settimane dopo la finale.

Ci sono poi i canali streaming dei due circuiti. La WTA TV costa circa sei dollari al mese con sottoscrizione annuale (e rinnovo automatico). Sostiene di trasmettere all’anno 2000 partite in diretta (tranne in presenza di restrizioni geolocalizzate, che a quanto pare al momento intervengono solo per la Cina). Per la stagione in corso, la WTA TV non trasmette solo sette dei tornei del calendario (e non comprende nessuno degli Slam). È un’offerta valida. Ha partite on-demand, che però scadono dopo tre giorni. Beh, è assurdo. Può davvero essere un problema di grandezza del server?

Il canale dell’ATP è Tennis TV che, ai fini del consolidamento, avrebbe già fortunatamente il nome giusto. Qui si va sui 14.99 dollari al mese, con sottoscrizione annuale inferiore (è necessario registrarsi per sapere di sia il costo esatto, ma ipotizzo aggirarsi intorno ai cento dollari). Sostiene di trasmettere 2000 partite in diretta e “fino a” 64 tornei, esclusi gli Slam e la Coppa Davis. È un buon compromesso. Non ho fatto l’abbonamento, ma mi sembra che ci sia una folta sezione di partite on-demand.

Le restrizioni geolocalizzate sono più importanti, specialmente in alcuni paesi, anche se negli Stati Uniti è bloccato solo il torneo di Washington (queste restrizioni sono un mistero, visto che c’è una connessione tra restrizioni a livello di paese e tornei locali. Vivo in Florida, ma non posso vedere Washington? Chi abita a Brisbane non può vedere Sydney? Non ho idea di quante persone guidino dieci ore per andare a un ATP 500 o 250, ma escluderli dalla visione di certo non li spinge a mettersi in macchina o a prendere un’aereo).

Aspettate un attimo, anche ESPN possiede i diritti di alcuni tornei, anche tramite ESPN2. A volte però ESPN non trasmette l’evento via cavo, perché preferisce altro (specie se non gioca Serena, Sharapova, Federer, Nadal o Murray). In quel caso serve verificare se c’è su WatchESPN o ESPN3 (o come viene chiamato). Lo stesso per gli Slam, che sono su altre reti, come il Roland Garros molto saltuariamente trasmesso dalla NBC. Non conosco se la situazione a livello internazionale sia più unificata.

Sembra che entrambi i circuiti generino risposta dalla maggior parte dei tifosi, anche se ci sono sicuramente preferenze per l’uno o l’altro. Da accanito spettatore televisivo, sento di aver bisogno del cavo, di Tennis Channel Plus, della WTA TV e dell’ATP TV per vedere ciò che voglio vedere. Al momento, ho solo l’abbonamento via cavo e quello a Tennis Channel Plus, quindi – tranne gli Slam – non vedo quasi nulla del tennis femminile. E non è quello che desidero.

Anche in presenza di quest’offerta, è comunque necessario orientarsi con attenzione per capire quali partite vengono trasmesse su quale emittente. E questo per il privilegio di dover pagare circa 300 dollari all’anno? Saltando da un canale all’altro è inevitabile perdersi qualche partita, bisogna quindi fare attenzione a quali perdere. Sulla WTA TV le partite on-demand non sono più disponibili dopo tre giorni. Tennis Channel Plus potrebbe (o non potrebbe) toglierle dopo un determinato periodo di tempo, etc.

In sintesi: troppo lavoro e troppi soldi da investire. Lo sforzo è tutto incentrato nel fare in modo che le persone paghino per vedere un prodotto in televisione, anziché trovare modi per portarle a guardare lo sport, da cui una maggiore diffusione, un aumento dei ricavi pubblicitari, etc.

PGA e LPGA

Pur non avendo il golf consolidato le organizzazioni della PGA e LPGA, i diritti televisivi di ciascun circuito in particolari regioni sono unificati. Ad esempio, negli Stati Uniti gli eventi della PGA e LPGA vengono trasmessi o dalla NBC o da The Golf Channel, che è posseduto dalla NBC. Passare da uno all’altro non crea normalmente alcun problema.

Essere sotto la stessa proprietà permette a una rete di promuovere l’altra. Ad esempio, se si guardano le partenze della mattina su The Golf Channel, ma bisogna poi mettere sulla NBC per vedere i migliori in azione, The Golf Channel è autorizzato a dirti dove andare per il resto della telecronaca. Tennis Channel invece non può farlo quando deve interrompere la trasmissione, perché è NBC (o qualcun altro) ad avere i diritti per continuare.

Di recente guardavo una partita del Roland Garros su Tennis Channel Plus. Caroline Garcia serviva contro Irina Camelia Begu e portandosi sul 15-0. All’improvviso, letteralmente in un battito di ciglia, le immagini vanno su una replica del Monte Carlo Masters perché dal quel momento è subentrata la NBC. Ero disorientato e pensavo che qualcuno avesse cambiato canale per sbaglio e che saremmo prima o poi tornati su Parigi. Nessun annuncio, nessun messaggio sullo schermo. Ho impiegato un quarto d’ora per ritrovare il Roland Garros e ovviamente non ho potuto vedere la fine della partita tra Garcia e Begu.

È ovvio che siano stati negoziati accordi esclusivi per altre regioni ma, a grandi linee, non dai due ai quattro in ciascuna regione. La PGA va in streaming anche su PGA Tour Live (per quanto ne sappia, la LPGA non offre il proprio servizio di streaming).

Un pacchetto diritti come nel golf

Il tennis potrebbe imitare esplicitamente il golf, con un pacchetto di diritti per ciascun circuito e suddiviso per regione, che non richiede di dover affrontare la problematica del consolidamento delle organizzazioni.

Qui però penso che il tennis abbia un vantaggio sul golf. Non c’è infatti un grande divario di popolarità tra uomini e donne. Anzi, non saprei dire quale tra i due circuiti sia, a livello mondiale, il più seguito, e la comunità Twitter sembra equamente divisa.

Il partito dei montepremi differenziati (non è adorabile sapere che ci sono persone a favore della disuguaglianza?) sostiene che il tennis maschile sia più popolare. L’ATP ha i Fantastici Quattro e la WTA ha la Fantastica, quindi si intuisce da dove arrivi quella tesi. Ma Tennys Sandgren richiama più appassionati di giocatrici con classifica simile come Sorana Cirstea, Lucie Safarova o CeCe Bellis? Ne dubito, anche negli Stati Uniti. Se il tennis promuovesse lo sport invece di cinque dei suoi giocatori, forse non ci sarebbe alcun divario di cui parlare.

Sto andando un po’ fuori tema. Non credo però che nessuno possa avere argomentazioni convincenti sul fatto che la distanza di notorietà tra i due circuiti del tennis sia maggiore di quella esistente tra la PGA e la LPGA.

Proviamo a pensare se l’ATP e la WTA facessero una promozione reciproca del tennis – o lavorassero ricevendo direttive in un singolo contesto di riferimento – sostenendola con un pacchetto televisivo unificato. Avrebbero una posizione negoziale più forte data dall’agire insieme, modalità che fa dello sport un organismo più grande della somma delle sue parti.

Potrebbero essere offerti diritti a una sola rete per regione, inclusivi delle partite di entrambi i circuiti, e un servizio di streaming onnicomprensivo con un solido archivio on-demand (Tennis TV è un nome molto facile da ricordare). Direi che è molto più efficace rispetto alla scelta che ho dovuto fare, cioè seguire i risultati dell WTA tramite Twitter e guardare le partite maschili su Tennis Channel o Tennis Channel Plus.

Semplificare i diritti televisivi è possibile anche senza consolidare le organizzazioni, ma più complicato. La separazione dei due circuiti – e le dinamiche storiche della loro interazione – rende molto meno probabile che ci sia una convergenza di intenti per concludere quel tipo di accordi.
Non c’è ragione per cui le varie emittenti continuino a dividere e conquistare, ancor meno che i due circuiti debbano pensare indipendentemente a una miriade di canali per un prodotto analogo.

3) Logistica

Dovesse esserci un consolidamento, presumo che saremmo poi di fronte ad almeno due livelli di governance per ciascun circuito, uno relativo agli organi di governo effettivi (come il consiglio di amministrazione), all’interno dei quali forse si otterrebbe ragionevolezza di pensiero. L’altro mi aspetto che sia l’approvazione dei giocatori, cioè la fonte più probabile di problemi.

Non ho affermato che in futuro ci sarà un consolidamento, ma la ritengo una buona idea.

Seguirebbero complicazioni logistiche a naturale conseguenza, come in qualsiasi accorpamento di questa entità, ma il tema qui è l’idea di fondo, non i singoli dettagli, perché si riesce sempre a sistemare i singoli dettagli in presenza di unità d’orientamento sulle grandi idee.

Vedo obiezioni sollevate da ciascun gruppo d’interesse, fondamentalmente del tipo “ci sono aspetti specifici che differenziano il tennis maschile da quello femminile e viceversa”. A me sembra fuorviante. I circuiti sono strutturati praticamente allo stesso modo, perché si gioca con le stesse regole, sulle stesse superfici, con le stesse racchette, palline e campi. Non è che la linea del servizio viene spostata come succede con i tee di partenza nel circuito femminile di golf.

Certo, tra gli uomini non ci si deve preoccupare della classifica protetta durante la maternità, ma cosa importa? Verrebbero creati comitati interni per gestire qualsiasi problematica specifica di genere. Le regole relative alla classifica protetta per le tenniste madri sarebbero irrilevanti per gli uomini, non un impiccio.

Invece le questioni che affliggono il tennis su scala globale dovrebbero essere affrontate a livello di consiglio di amministrazione, con l’obbligo di equa ripartizione di membri tra donne e uomini (e inizialmente lo stesso numero di risorse provenienti dalle organizzazioni correnti).

Si smetterebbe di discutere del perché le donne possono chiamare l’allenatore in campo e agli uomini è vietato. Non sarebbe più una sorpresa vedere una donna arbitrare una partita maschile. E, si spererebbe, la disparità di premi partita tra i due circuiti sarebbe storia passata (un argomento che anche Nadal ha riproposto, un po’ inelegantemente).

Temo che l’ATP rappresenterebbe l’ostacolo maggiore. Se il motto è di andare la dove sono i soldi, con una singola strategia di marketing e diritti televisivi consolidati si otterrebbero più ricavi per tutti gli attori coinvolti. Si desidera una fetta grande di una torta piccola o una fetta più piccola ma di una torta decisamente più grande? Si vuole che sia lo sport a crescere o che le persone riescano a ricordare i nomi di meno di dieci giocatori del circuito? Nel gergo delle operazioni azionarie e di Fusione e Acquisizione, si parla di accrescimento, che è l’opposto di diluizione.

Se nulla di questo vi convince, almeno la WTA emergerebbe dal consolidamento con un sito internet decente, perché non c’è possibilità che wtatennis.com sopravviva alla fusione.

Se ci riescono Flavia Pennetta e Fabio Fognini, Dominic Thiem e Kristina Mladenovic, Stanislas Wawrinka e Donna Vekic, perché non l’ATP e la WTA?

Stealing Ideas from Golf (sort of): Consolidation

Idee rubate al golf: posti a sedere e ambientazione*

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 27 maggio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

(*nella versione originale, il gioco di parole del titolo è tra “seat” – il posto a sedere in un evento – e “setting” – l’ambientazione o contesto dell’evento – n.d.t.)

Il primo articolo della serie.

É già apparsa la folla al Roland Garros 2018, ma i posti a bordo campo, quelli più esclusivi, rimangono vuoti. Non è una circostanza insolita, basta guardare un torneo 250 e si assiste allo stesso fenomeno quando sui campi principali si giocano i primi turni. Sono posti spesso acquistati da aziende e altre organizzazioni, nell’ambito di sponsorizzazioni o pacchetti ospitalità.   

Al di la del negare ai meno abbienti la facoltà di essere più vicini al campo, è l’atmosfera della partita a risentirne pesantemente. Quando gli appassionati più calorosi sono costretti a una crescente lontananza fisica dal gioco, il supporto motivazionale che possono dare ai giocatori si dissolve velocemente. Un effetto secondario è quello per cui un telespettatore occasionale si ritrova a pensare – nel momento in cui capita sulla partita e vede i posti vuoti – che se nessuno la sta guardando dal vivo, allora non è così interessante da guardare nemmeno in televisione. 

A questo proposito, cosa può imparare il tennis dal golf?

In primo luogo, uno dei maggiori elementi attrattivi del golf è il contesto in cui viene giocato. Sebbene rifletta un approccio artificioso alla natura (e anche ad alto impatto ambientale), è difficile rimanere impassibili al richiamo dei grandi percorsi del mondo. Anche chi non ama il golf come sport, comunque apprezza la libertà che offre di muoversi intorno all’evento, socializzare, prendere il sole, bere in compagnia, etc. È una bella esperienza all’aperto.

Anche il tennis si gioca in un contesto piacevole ma, nella maggior parte dei casi, gli stadi ostacolano la fruizione della bellezza. Ci sono alcuni tornei, ad esempio Monte Carlo, dai cui si possono vedere le barche veleggiare in mare. In generale però, si è intrappolati dalle strutture. 

In secondo luogo, quasi tutti i biglietti di un torneo di golf consentono la mobilità che nel tennis equivale al ground pass, cioè l’accesso ai campi non principali e con posti non assegnati. Nel golf si può andare in qualsiasi buca, non importa chi la stia giocando, e si può farlo tutto il giorno.

Nel tennis, i pacchetti variano a seconda del torneo, ma spesso sono strutturati in questo modo: oltre ai ground pass, ci sono accessi specifici per determinati campi televisivi che includono anche i ground pass (nel caso del Roland Garros Lenglen e ground pass, o Chatrier e ground pass, ma no Lenglen e Chatrier e ground pass) e poi gli accessi esclusivi per i posti migliori di tutti i campi. I posti esclusivi sono tipicamente quelli a bordo campo o i più vicini nel campo di appartenenza e, come visto al Roland Garros 2018, sono in larga parte vuoti nei primi turni.

Nel golf invece, i posti esclusivi sono solitamente al di sopra della buca e chi guarda in televisione non percepisce l’eventuale assenza di spettatori, perché all’altezza della buca è sempre pieno di persone.

Per i tornei che prevedono partite in notturna, nel tennis vengono spesso venduti biglietti separati per ciascuna sessione, diurna e serale. Provate a pensare se nel golf, nei primi due giorni di gara (giovedì e venerdì) si dovesse far entrare i possessori dei biglietti del secondo gruppo di partenti dopo aver fatto uscire quelli del primo gruppo.   

Idee varie per gli organizzatori

1) Considerare il biglietto per un determinato giorno valido per l’intero giorno, con la possibilità di muoversi per tutti i campi, tranne precise eccezioni. Non si deve pagare di più per vedere Rafael Nadal giocare contro un ripescato. Per quanto sia interessante vedere Nadal, i veri appassionati vogliono assistere a una buona partita.

Non pago in più per vedere la partenza di Rory McIlroy, perché dovrei pagare di più per vedere Caroline Wozniacki giocare un primo turno (perdonatemi per quello che starete pensando su questo esempio)?

2) Non programmare partite prima dei quarti di finale su campi con posti riservati a pacchetti aziendali. Sembra essere meno importante se ai possessori di biglietti ordinari è consentito l’accesso a quei campi, perché possono comunque vedere un grande giocatore con un biglietto normale, ma devono potersi avvicinare al campo se i possessori dei biglietti aziendali non sono ancora arrivati dopo la fine del primo set.

Per le ragioni esposte in precedenza, si vuole sempre vedere i posti a bordo campo pieni, per generare seguito e dare l’impressione che sia una partita fantastica (anche se non lo è). Originariamente, il Superdome di New Orleans aveva i seggiolini di diversi colori, in modo da far sembrare che fosse sempre pieno.

Immaginate di girare sulla diretta del Byron Nelson Classic e non vedere nessuno spettatore alla buca 15: non pensereste “Ah, devo proprio guardare quest’evento?”

Gli organizzatori sarebbero preoccupati di dover abbassare il prezzo dei pacchetti esclusivi, se comprendono meno partite. Forse, ma la maggior parte dei possessori di questi biglietti comunque non si presenta prima dei quarti di finale, quindi possono ricevere l’equivalente di un ground pass per i primi giorni.

E, onestamente, chi compra biglietti già molto costosi non nota la differenza di prezzo. Se riescono a vedere partite importanti nei turni preliminari, vale certamente la pena. 

Un altro problema generato da questa idea è la ben più ridotta capacità dei campi esterni, che si traduce nell’impossibilità per il torneo di ricevere lo stesso numero di persone, da cui il conseguente declino nei ricavi da biglietti. Ne parlo meglio in seguito.

3) Invece di vendere i biglietti a bordo campo come pacchetti esclusivi per le aziende, adottare il modello introdotto dalla NFL e in altri sport (in Italia nel calcio ad esempio, n.d.t.) e prevedere gli skybox, dei posti di lusso protetti, con visuale da metà altezza e amenità accessorie. Perché si rivolgono a persone che non seguono il tennis con estrema regolarità e subiscono più il richiamo sociale dell’evento che quello tecnico della partita. 

Gli organizzatori possono comunque far pagare di più posti individuali più vicini al campo, così come i posti dietro casa base nel baseball costano di più, o quelli solitamente occupati da Jack Nicholson accanto alla panchina dei Los Angeles Lakers quando giocano in casa. Sono però appassionati presi dalla partita e dallo sport. Tifano, non si trovano li solo per socializzare e fare bella figura con i clienti.

Il campo da tennis come un anfiteatro

4) Ed ecco l’idea più radicale. Abbandonare gli stadi tradizionali e la classica suddivisione dei posti a sedere, tranne forse per uno stadio per le fasi finali più importanti (quarti, semifinali e finale) nei tornei più rilevanti. Ogni campo invece dovrebbe essere al centro di un anfiteatro (di forma rotonda), con un prato che ha la giusta pendenza per favorire la visibilità e, se necessario per determinati contesti, posti esclusivi più elevati.

Pensiamo alla buca 18 al The Masters o al The Player Championship. I veri appassionati di golf praticamente circondano i giocatori durante la loro permanenza alla buca. Strutture temporanee tipo gazebo, per i possessori di pacchetti aziendali, vengono montate in posizione elevata dietro alle persone a livello della buca, in modo da garantire comunque ottimi posti ma con aria condizionata e abbeveraggio illimitato. Se poi vogliono scendere a visitare la buca 16 (o qualsiasi altra), possono comunque farlo, oppure rimanere nella comodità della tenda.

I tifosi di golf rispettano il gioco in estremo silenzio, ma la prossimità al centro dell’azione e applausi e incitamenti tra un colpo e l’altro danno una carica tremenda ai giocatori (e, da qui, agli altri tifosi). Apprezzano di essere immersi nella natura e di avere una vista a 360 gradi. In televisione è tutto bellissimo e ti fa desiderare di essere li. E questo al giovedì, solo il primo giorno di competizione. 

E se anche il tennis facesse così? Si avrebbe la stessa energia. Si avrebbe la stessa percezione che è esattamente quello che deve essere offerto alle persone che spendono soldi per uno spettacolo, di qualsiasi natura.

Sarebbe facile acquistare biglietti: o si rientra tra le aziende acquirenti dei posti esclusivi nei gazebo o, se non lo si è, il prezzo è unico e non serve preoccuparsi della scelta dei posti, di comprarne quattro vicini, etc. Ci si può spostare facilmente da un anfiteatro all’altro, riducendo la coda per entrare e uscire.

È un aspetto importante, visto che molto spesso alla ripresa del gioco occorre aspettare che l’afflusso e deflusso degli spettatori sia terminato: le interruzioni quindi non arrivano da comportamenti irrispettosi, ma dal movimento delle persone.

I possessori di pacchetti aziendali sono comunque sistemati in ottima posizione e con ospitalità esclusiva, possono vedere un po’ di tennis e socializzare. E la loro eventuale assenza nei primi turni non solo non è ripresa in televisione, ma non priva dell’energia che il contorno delle persone imprime all’evento.

In molti (se non in tutti) i contesti di tennis, un anfiteatro permetterebbe agli spettatori accesso alla bellezza del paesaggio circostante, così preponderante nei tornei di golf. Non sono sicuro come si possa fare in città tipo Atlanta, visto che il torneo è fisicamente situato in un’area di parcheggio del centro, ma deve esserci un’alternativa (ad esempio spostarlo oltre l’autostrada almeno fino a Piedmont Park, una specie di Central Park di New York con una bella visuale sui grattacieli di Atlanta).

In termini di vendita di biglietti, una sistemazione ad anfiteatro è molto più flessibile rispetto a campi con tribune scomode e di ridotte dimensioni, è più facile da gestire e darebbe ingresso a un numero di persone molto più alto di quello attualmente possibile nei campi secondari di un torneo di tennis.

Ciò non significa che non possano esserci tornei con posti a sedere classici da stadio (introducendo comunque alcune delle idee appena discusse) o in strutture al coperto dove è troppo freddo per lo stile anfiteatro. Preferirei vedere stadi come il Campo 1 (l’Arena) del Roland Garros, purtroppo ci si sta muovendo in direzione opposta.

Continuano a essere costruiti stadi o coperture mobili sopra quelli presenti, rendendo i tornei più suscettibili alle problematiche esistenti, tranne forse le condizioni meteorologiche.

In caso di pioggia, l’anfiteatro potrebbe essere parzialmente coperto, nella maniera in cui accade per le sedi dei concerti. È un ottimo esempio per dare credito all’idea: se vi fosse chiesto di scegliere tra un anfiteatro e il centro polifunzionale locale, quanti di voi preferirebbero quest’ultima soluzione?

Problemi di ordine pratico

Naturalmente, ci sono sostanziali problemi di ordine pratico nell’attuazione rapida di questa idea, visto che implica modifiche radicali alle infrastrutture esistenti di ogni torneo professionistico. Non deve però avvenire all’istante. Invece di pensarla come un’idea da demolizione totale, per avviare la procedura si potrebbe intenderla in due fattispecie mirate: 

  • i tornei che entrano in calendario a sostituzione di tornei in scadenza dovrebbero pensare a innovare con una visione non tradizionale che incorpori queste idee (o altre);
  • quando le sedi di tornei esistenti sono costrette a rinnovare, devono innovare. Il Roland Garros lo ha fatto poco, anzi ha fatto di più per portare avanti la tendenza attuale, anziché cambiare. Sono stati demoliti due dei campi più raccolti (negativo), e coperto uno stadio esistente per protezione dal meteo (ci può stare), preferendo chiaramente strutture imponenti a stadi come l’Arena (questo non riesco proprio a mandarlo giù). Però è in costruzione un nuovo campo che sfrutta i vantaggi dell’ambiente naturale fornito dai giardini botanici di Auteuil. Non è esattamente un anfiteatro, ma meglio che erigere un altro Chatrier o Lenglen. 

Stealing Ideas from Golf: The Se(a)(t)ting

Idee eccentriche: il tennis dovrebbe diventare come il golf?

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 26 maggio 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Tempo fa, nel circolo dove gioco a tennis ho sentito qualcuno dire: “Il nostro sport sta morendo”. Un salto da Academy Sports ha confermato quest’impressione: mentre un’intera sezione dell’enorme spazio commerciale era dominata da attrezzatura per il golf di qualsiasi tipo e ordine, dopo ben due giri del negozio non avevo ancora trovato le palline da tennis.

Erano nello scaffale più alto di fronte al lato più lontano della sezione riservata al golf, insieme a un paio di copri manico, circa una decina di racchette e una ventina di diversi gommini anti-vibrazione. Niente scarpe o abbigliamento tecnico. Al contrario, ho visto le palline da golf in almeno cinque punti del negozio (contando anche un tubo lasciato su uno scaffale dell’area campeggio).

Lo stato di salute del tennis

La mancanza di spazio espositivo in un negozio non significa che il tennis stia morendo, considerando la facilità con cui è possibile acquistare su internet prodotti dedicati, racchette di prova o altro. Certamente però non aiuta ad avvicinare più persone a questo sport, e mi ha fatto riflettere sulla preoccupazione di molti riguardo allo stato di salute del tennis quando campioni come Roger Federer, Rafael Nadal e Serena Williams si saranno ritirati.

Non si sente gli appassionati discutere del futuro del golf quando Tiger Woods o Phil Mickelson non giocheranno più (e non sembra mancare troppo). Perché c’è entusiasmo se si nomina Jordan Spieth mentre si rimane attendisti pensando ad Alexander Zverev? Nessuno nel posto in cui gioco sbaglia a pronunciare Spieth con “Spyth”, ma tutti dicono “Za-ver-a-vev” invece di Zverev.

Golf e tennis condividono molti aspetti. Entrambi sono sport individuali che in qualche occasione prevedono competizioni di squadra. Gli atleti hanno estrazione internazionale e ogni continente con insediamenti umani di rilievo contribuisce in misura significativa, anche se i tornei del circuito PGA si svolgono in maggioranza negli Stati Uniti.

Si gioca ogni settimana (con alcune eccezioni nel tennis) e la stagione è più lunga di quella della maggior parte degli sport. C’è una classifica a punti che assegna posti limitati per l’ultimo torneo dell’anno. Ci sono quattro Slam ufficiali e poi c’è n’è un “quinto” ufficioso.

Attraggono appassionati che sono anche praticanti e, in molti casi, veicolano l’entusiasmo per lo sport. E così via. Naturalmente, ci sono anche molte differenze importanti, come ad esempio lo svolgimento dei tornei e la sede in cui vengono giocati.

Lo spunto offerto dal circuito PGA

Considerando le somiglianze e il successo ottenuto dal PGA Tour nel promuovere il golf professionistico maschile, credo abbia senso prendere spunto dal circuito PGA per capire come aumentare la popolarità del tennis.

In una serie di successivi articoli, spero di riuscire a proporre alcune idee perché ritengo che non ci siano validi motivi per cui il tennis debba avere un seguito così ridotto rispetto al golf. So già che sarà facile ridicolizzarle una per una, pur non sapendo nemmeno ora tutte quelle che mi verranno in mente.

Alcune entreranno nel filone della resistenza al cambiamento, altre in quello del mantenimento della tradizione, che è un po’ più sottile come concetto rispetto al precedente. Alcune non potranno avere fattibilità pratica. E anche se non credo che siano tutte buone idee, questo significa che non possiamo astenerci dal discuterne, perché il tennis ha proprio bisogno di essere scosso, e in fretta.

Il PGA Tour ha portato il golf maschile alla pari di giganti come l’NFL, l’NBA e l’MLB, elevandolo da sport secondario, il livello a cui sembra appartenere il tennis. Non so se il tennis possieda un simile potenziale per raggiungere il vertice gerarchico, ma sono convinto che possa avvicinarsi più di così.

Parzialità verso il mondo americano

A questo punto però devo confessare che le mie idee probabilmente soffriranno di parzialità verso il mondo americano, perché è la nazione in cui vivo e dove mi nutro di tennis.

Il tennis gode di maggiore popolarità fuori dagli Stati Uniti, ma lo stesso vale per il calcio. Se potrà sembrare che abbiano senso solo negli Stati Uniti, spero che qualcuno possa aggiungere quel tocco internazionale per aiutarmi nella comprensione.

Gli altri due articoli della serie.

Should Tennis Become Golf? (Crazy Tennis Ideas)

Sul possibile motivo per il quale l’età dei giocatori è in crescita

di Matt Whitaker // Medium

Pubblicato il 16 settembre 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nella finale di singolare maschile degli US Open 2017, Rafael Nadal, 31 anni, ha battuto Kevin Anderson, anche lui trentunenne. Nel 2017, tre delle quattro finali Slam hanno avuto in campo due giocatori di età superiore ai trent’anni (nel 2018, dei sei finalisti Slam solo Marin Cilic – comunque 29enne – e Dominic Thiem non avevano superato quella soglia, n.d.t.).

È inutile girarci intorno: i giocatori stanno invecchiando – o per essere più precisi – l’età media dei giocatori al vertice dello sport è in aumento, ormai da un po’ di tempo.

Numerosi articoli e blog sono intervenuti sul tema, tra questi l’Economist che ha calcolato che l’età media dei primi 100 giocatori è passata da 24.6 anni nel 1990 a 28.6 nel 2017. Nello stesso periodo, l’età media tra le donne è cresciuta da 22.8 a 25.9.

La rappresentazione grafica della quantità di giocatori tra i primi 100 con età superiore ai trent’anni, come mostrata nell’immagine 1, rende visivamente la drammaticità del cambiamento [1].

IMMAGINE 1 – Percentuale dei giocatori di almeno trent’anni tra i primi 100

La proporzione di giocatori nei primi 100 che hanno più di trent’anni è balzata dal 6% nel 1990 al 40% nel 2017.

Se si tratta di una dinamica ben conosciuta, pochi però sono i tentativi di trovarne giustificazione. L’articolo dell’Economist accenna in modo vago a “miglioramenti nella medicina dello sport e nella tecnologia dei materiali, specialmente delle racchette”. L’evoluzione continua di queste tecnologie non è sicuramente sufficiente a spiegare un cambiamento così radicale. Ci sono quindi altri fattori o non è stato detto tutto sulla tematica?

Non tutti i giocatori stanno invecchiando

Ampliamo la prospettiva e diamo uno sguardo all’età media per i primi 1000 [2], a confronto con quella dei primi 100.

IMMAGINE 2 – Età media dei primi 100 giocatori rispetto all’età media dei primi 1000 giocatori

Il risultato è impressionante. Di fronte a un’età media dei primi 100 cresciuta considerevolmente negli ultimi trent’anni, l’età media dei primi 1000 giocatori si è mossa a malapena, oscillando tra i 23 e i 24 anni. La tendenza all’invecchiamento sembra quindi riguardare solo i giocatori più forti in classifica.

La disparità tra i due gruppi risulta ancora più marcata aggiungendo l’età media solo dei primi 10 giocatori.

IMMAGINE 3 – Età media dei giocatori nei primi 10, 100 e 1000 della classifica

Si assiste a dinamiche sorprendentemente analoghe anche in campo femminile, con una minima variazione nell’età media delle prime 1000, un aumento stabile nell’età media delle prime 100 negli ultimi trent’anni e un ripido incremento nell’età media delle prime 10 negli ultimi dieci anni.

IMMAGINE 4 – Età media delle giocatrici nelle prime 10, 100 e 1000 della classifica

Non è la tecnologia o il dominio di pochi

Siamo quindi pronti a sbarazzarci della teoria che miglioramenti nella tecnologia delle racchette o delle corde sia alla base di quanto osservato. Non esiste una racchetta magica che Nadal o Serena Williams possono usare che non sia anche a disposizione del o della numero 300 del mondo.

Allo stesso modo, si può escludere un’altra teoria, quella per cui siamo testimoni di una generazione d’oro di un manipolo di giocatori eccezionali che hanno dominato il tennis e sono ora a fine carriera, spostando in modo sostanziale l’età media verso l’alto.

I Fantastici Quattro possono aver alterato le dinamiche tra gli uomini, ma l’andamento generale è chiaro e continuo in entrambi i circuiti e, con l’eccezione di Williams, il tennis femminile dell’ultima decade è stato caratterizzato dall’estrema varietà, invece che dal predominio di alcune specifiche giocatrici.

Serve trovare un’altra spiegazione. Perché negli ultimi dieci anni i massimi livelli dello sport sono stati sempre più oggetto di giocatori più vecchi, mentre l’età media nelle fasce inferiori di classifica è rimasta stabile?

Ho una teoria.

Soldi

O, per essere ancora una volta più specifici, la disparità di ricchezza. Nei dieci o venti anni passati, l’ammontare di denaro elargito al vertice, sia in termini di montepremi che di sponsorizzazioni, è cresciuto su scala logaritmica.

A Wimbledon, il montepremi complessivo è aumentato da 1.5 milioni di sterline del 1984 a 31.6 milioni di sterline del 2017 (valori al 2017). Nel solo 2016, Roger Federer ha ricevuto 60 milioni di dollari dagli sponsor, arrivando al quarto posto tra gli atleti più pagati al mondo.

L’esplosione economica per i giocatori di vertice non ha però comportato sostanziali benefici a favore chi si muove nelle retrovie. In un articolo di un paio di anni fa su FiveThirtyEight si faceva notare che i montepremi dei tornei del circuito Challenger erano in diminuzione anno su anno, stimando inoltre che solo i primi 336 e le prime 253 del mondo riuscivano a guadagnarsi da vivere giocando a tennis.

Viaggiare con l’allenatore al seguito – un dettaglio che lo spettatore casuale può pensare sia d’obbligo per i professionisti – è in realtà un lusso esclusivo dei primi 100. In un articolo apparso su Forbes relativo alla disparità di ricchezza nel tennis, il 92esimo giocatore della classifica racconta che per sbarcare il lunario serve fare affidamento su alloggi a basso costo e su un approccio da zaino in spalla.

Professionalizzazione

Federer invece è accompagnato da due allenatori, un fisioterapista, un preparatore atletico e da personale di supporto che include una tata e delle insegnanti per i suoi bambini. Novak Djokovic dorme in camere iperbariche, Andy Murray segue una dieta su misura elaborata da un nutrizionista personale comprensiva di 50 pezzi di sushi al giorno.

Sono aspetti afferenti la professionalizzazione del tennis avvenuta negli ultimi trent’anni. Agli inizi degli anni ’80, John McEnroe dominava pur non avendo un allenatore, e solo verso la fine della carriera ha accettato, seppur con riluttanza, che la sua probabilità di vittoria avrebbe potuto aumentare grazie a un allenamento fisico mirato. E a quei tempi il suo titolo a Wimbledon 1984 valeva “solo” 100 mila sterline (circa 265 mila sterline oggi).

Con la crescita dei montepremi, si è alzato anche il livello di gioco, e la ricerca di un vantaggio competitivo è diventata ancora più estensiva, con ogni guadagno marginale più difficile, e più costoso, del precedente.

La mia idea è che una combinazione nel tennis di iper-professionalizzazione e distribuzione di ricchezza incredibilmente a senso unico ha portato a circostanze di disparità consolidata, che ha manifestazione concreta nelle dinamiche di invecchiamento dei giocatori più forti.

Invecchiamento, guadagni e classifica

Nel grafico che segue, la crescita del montepremi complessivo a Wimbledon dal 1984 è messa a confronto con l’età media dei primi 10 (i premi partita formano di fatto una piccola parte dei guadagni dei giocatori, ma li considero una valida approssimazione).

IMMAGINE 5 – Età media dei primi 10 giocatori in rapporto al montepremi complessivo a Wimbledon

Il crescente predominio dei giocatori più vecchi è in stretta correlazione con l’aumento dei montepremi in palio per i giocatori ai massimi vertici.

Guardiamo ora i dati relativi al numero di nuovi giocatori e giocatrici che entrano nei primi 100 per la prima volta anno per anno.

IMMAGINE 6 – Giocatori che entrano tra i primi 100 per la prima volta

IMMAGINE 7 – Giocatrici che entrano tra le prime 100 per la prima volta

In entrambi i circuiti si nota una chiara tendenza ribassista, che mostra esserci meno movimento in ingresso e uscita dai primi 100.

La frase “i giocatori di vertice stanno invecchiando” non risolve quindi la tematica in modo esaustivo. Sarebbe infatti più preciso affermare che una volta che i giocatori hanno raggiunto il vertice, aumenta la probabilità che vi rimangano e rimangano più a lungo. O, senza mezzi termini, sembra che i giocatori che riescono ad arrivare al vertice facciano poi terra bruciata intorno a sé.

Velocità di fuga

I dati inducono a ritenere che vi sia nel tennis una barriera – o una serie di barriere – all’ingresso di natura economica. Quando un giocatore inizia a guadagnare oltre un certo ammontare, raggiunge una sorta di velocità di fuga che gli permette di proiettarsi nell’aria rarefatta della vetta, lasciandosi alle spalle la massa degli altri giocatori.

Una volta arrivato in alto, può consolidare la posizione pagando profumatamente per quella serie di servizi che i giocatori di bassa classifica sognano di avere – come allenatori a tempo pieno, preparatori atletici, nutrizionisti, assistenza medica personale, biglietti di prima classe, hotel a sei stelle, e così via – prolungando la permanenza al vertice per molto più tempo di quanto accadesse prima della iper-professionalizzazione del gioco e dell’esplosione dei montepremi per le élite.

Ovviamente non si tratta solo di benessere materiale immediatamente fruibile. La disponibilità incide anche sugli aspetti psicologici – quanto diventa più complicato servire per chiudere una partita sapendo che la tua sussistenza dipende anche da quella specifica vittoria? – e sul modo di affrontare una competizione.

Federer può permettersi di smettere di giocare per sei mesi per garantire completa guarigione al ginocchio operato, avendo come sola preoccupazione l’impatto sul numero di titoli collezionati a fine carriera.

Se però i premi partita sono la fonte di sostentamento per rimanere nel circuito, è molto più probabile che un giocatore ignorerà il fastidio al ginocchio, si esporrà a un infortunio cronico e terminerà la carriera prematuramente.

Ha importanza? Può essere fatto qualcosa al riguardo?

Se l’idea è quella di desiderare una competizione equilibrata e vedere un qualsiasi sport giocato da tutti ai massimi livelli, allora la situazione descritta è fonte di preoccupazione. La conseguenza inevitabile è quella per cui potrebbero esserci giocatori fuori dai primi 100 con talento e potenziale simile a quello dei primi 10, ma che non avranno mai l’opportunità di arrivare a scalare la classifica a causa della modalità con cui i montepremi sono distribuiti.

È difficile pensare a una cura immediata, e l’interesse a trovarne una è tenue, se non altro perché la malattia non manifesta sintomi evidenti. Sul circuito maschile si è assistito a un decennio di qualità assoluta del gioco e di intense rivalità tra grandi di sempre. Gli introiti dalla vendita dei biglietti e dai diritti televisivi si sono rafforzati di torneo in torneo. Il movimento tennistico mostra uno stato di salute invidiabile e il costo associato al mancato sviluppo di potenziale talento appare sommerso.

Fortunatamente però, la problematica non sembra essere passata inosservata ai dirigenti dell’ATP, che l’anno scorso hanno avviato un’indagine della durata di 24 mesi sulla distribuzione dei montepremi.

Uno degli elementi guida potrebbe essere l’incertezza sull’evoluzione del circuito maschile dopo il ritiro dei Fantastici Quattro, anche se la speranza è che sia semplicemente un fattore scaturente che costringe a un profondo ripensamento degli aspetti economici e finanziari del tennis professionistico, affiancato da proposte innovative che permettano al talento una realizzazione completa.

Note:

[1] I dati utilizzati per quest’analisi arrivano dal database di Jeff Sackmann, a cui va un ringraziamento enorme per il prezioso lavoro di raccolta di statistiche e le brillanti analisi pubblicate su TennisAbstract.

[2] Non sempre si tratta di dati completi. Per alcuni giocatori non è disponibile la data di nascita, e per il periodo all’inizio degli anni ’80 la classifica non va oltre il numero 300 o 400 invece delle 1000 posizioni normalmente previste. In ogni caso, non ci sono ricadute significative su nessuno dei grafici o delle conclusioni raggiunte.

Why are tennis players getting older?