Qual è la probabilità per il sequel di Isner v. Mahut – Verso Wimbledon

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’11 giugno 2011 – Traduzione di Edoardo Salvati

Il primo articolo della serie Verso Wimbledon.

Tutti conoscono l’esito della partita di primo turno tra John Isner e Nicolas Mahut a Wimbledon 2010. Proprio nella cerimonia di sorteggio dei tabelloni per Wimbledon 2011 è emerso che i due giocheranno nuovamente uno contro l’altro (vincerà ancora una volta Isner, con il punteggio più “canonico” di 7-6 6-2 7-6, n.d.t.)

Come in molti mi hanno chiesto, qual è la probabilità? Circa 1 su 142, cioè lo 0.7%.

Il perché

Prima del sorteggio del tabellone, sapevamo che entrambi i giocatori non sarebbero stati tra le teste di serie. Quindi, sia Isner che Mahut sarebbero potuti capitare in 96 differenti posizioni del tabellone (128 posizioni complessive da cui sottrarre le 32 teste di serie). Di queste, 32 (cioè i due terzi) sarebbero state un turno tra una testa di serie contro un giocatore non testa di serie. Se Isner o Mahut fossero finiti in una di quelle posizioni, non avrebbero naturalmente potuto giocare uno contro l’altro.

Invece di scegliere in modo casuale i giocatori per le posizioni del tabellone, immaginiamo di fare il contrario, di scegliere cioè in modo casuale le posizioni del tabellone per i giocatori. In altre parole, incominciamo dicendo “Dove andrà Isner?”, estraendo poi un numero dall’urna e decidendo che la sua posizione nel tabellone è la numero 101. Dopo l’estrazione, la posizione 101 non è più disponibile e ci concentriamo su dove finirà Mahut nel tabellone.

Il calcolo si sviluppa in questo modo. Se la posizione è assegnata a Isner per primo, ci sono 96 posizioni tra cui scegliere. Di queste, 32 escludono il turno con Mahut e 64, di converso, lasciano aperta la possibilità di una partita con Mahut. Esiste quindi una probabilità pari a 64/96 = 2/3 che a Isner sia assegnata una posizione che possa farlo giocare contro Mahut.

Procediamo assegnando ora una posizione a Mahut. Sono rimaste 95 posizioni per i giocatori non teste di serie (128 totali, meno 32 teste di serie, meno la posizione di Isner). Solo una di queste è un primo turno contro Isner quindi – rispetto alle condizioni per cui si può verificare un primo turno con Isner – esiste 1 probabilità su 95 che a Mahut venga assegnata quella posizione.

In conclusione, la probabilità di una partita tra i due è (2/3)*(1/95) = (2/285), cioè appunto 1 su 142.5

(Naturalmente nell’ipotesi che il sorteggio sia effettivamente eseguito in modo casuale!)

AGGIORNAMENTO

Ho visto in giro diversi tentativi di calcolo che portano a diversi risultati. Eccone alcuni, insieme al motivo per il quale sono sbagliati:

  • 127 a 1. Può sembrare veritiero, visto che ci sono 128 giocatori nel tabellone principale. Ma 127 a 1 è giusto solo in assenza di teste di serie. Ci sono invece solo 96 possibili posizioni nel tabellone per giocatori fuori dalle teste di serie come Isner e Mahut e, come abbiamo visto, non tutte consentono un accoppiamento tra i due giocatori.
  • 95 a 1. Meglio, perché riconosce la presenza delle teste di serie. Ma non tiene in considerazione la possibilità che Isner o Mahut possano sorteggiare una testa di serie.
  • Almeno 16.000 a 1. Qualsiasi numero di questa portata considera la probabilità che due specifici giocatori giochino contro per due edizioni consecutive del torneo. A posteriori, sappiamo che la partita tra Isner e Mahut si è rivelata estremamente avvincente, ma a maggio 2010 nessuno si sarebbe interessato alla probabilità che i due avrebbero giocato contro a Wimbledon di quell’anno e poi ancora a Wimbledon 2011. La risposta a quella domanda è 20.000 a 1, ma non è la domanda giusta. È un dato di fatto che Isner e Mahut abbiano giocato contro a WImbledon 2010, in termini di probabilità dunque siamo al 100% di probabilità che abbiano giocato contro nel 2010. Visto che conosciamo la storia, la domanda rilevante è quale sia la probabilità che vengano sorteggiati ancora una volta per giocare uno contro l’altro. Si tratta di un’occorrenza forzata, ma non così tanto da essere espressa con un rapporto di 16.000 a 1. Se verranno sorteggiati ancora nel 2012, allora si potrà iniziare a parlare di 20.000 a 1 (Isner ha perso al primo turno da Alejandro Falla in cinque set, e Falla ha poi battuto Mahut al secondo turno sempre in cinque set, n.d.t.)

What are the Odds: Isner-Mahut Redux

La più grande vittoria a sorpresa nella storia recente dello sport – Verso Wimbledon

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 29 giugno 2012 – Traduzione di Edoardo Salvati

In attesa di Wimbledon 2017, vengono riproposti spunti di riflessione su alcuni avvenimenti di rilievo delle passate edizioni.

Lukas Rosol ha generato un movimento tellurico battendo Rafael Nadal al secondo turno di Wimbledon 2012. I titoli da prima pagina non si sono fatti attendere: una delle (o la?) più grande vittoria a sorpresa di tutti i tempi. Totalmente impensabile. Impossibile da prevedere.

Per certi versi, sono affermazioni corrette. Nessuno avrebbe scommesso sulla vittoria di Rosol. Anzi, sarei stupito se qualcuno avesse anche solo pronosticato la sua conquista di un set. Per quanto sia stata una sconfitta inaspettata, si è ecceduto con i superlativi. Un conto infatti è pronosticare che giocatori come Nadal, Novak Djokovic, Roger Federer o chi altri vinceranno una determinata partita. Un altro è generalizzare dicendo che vinceranno sempre contro avversari di un certo livello. La prima è un’osservazione dotata di senso, la seconda è pura follia.

Il mercato delle scommesse

Un modo per affrontare la questione è analizzare il mercato delle scommesse. Per partite di alto profilo, il comportamento di scommettitori e allibratori rende chiara idea del buon senso associato a una partita. Le quote relative a quella tra Nadal e Rosol variavano (molto a grandi linee) da 25:1 a 75:1. Anche se ci spingiamo oltre arrivando a una quota estrema di 100:1, significa che il mercato affidava a Rosol una probabilità di vittoria dell’1%. Certo, una probabilità molto ridotta, ma sempre una probabilità diversa da zero.

Quindi, è chiaro che Nadal avrebbe dovuto superare il turno, anzi probabilmente sarebbe dovuto arrivare almeno in semifinale. Ma in ogni turno contro avversari sfavoriti con un 1% di probabilità di vittoria, prima o poi il risultato sorprendente si verifica. Consideriamo che in ogni Slam ciascuno dei primi tre deve giocare almeno due partite contro avversari non teste di serie: diventano sei partite per Slam che danno potenzialmente adito alla più grande vittoria a sorpresa di sempre. Lo sporadico primo o secondo turno – come Nadal contro John Isner al Roland Garros 2011 – non si sarebbe qualificato come tale, ma lo farebbero partite di turni più avanzati – come l’ottavo di finale tra Federer e il lucky loser David Goffin al Roland Garros 2012.

Di fronte a 24 opportunità all’anno, uno di questi risultati a sorpresa dovrebbe accadere ogni quattro anni. Pur facendo notizia, statisticamente parlando non si può definirlo la più grande vittoria a sorpresa della storia del tennis, semmai la più grande di recente memoria. E ci si sta riferendo solo ai tornei Slam.

Signor nessuno

Parte del motivo per cui si tende a esagerare di fronte a queste occorrenze è legato alla riluttanza della nostra mente a pensare in termini di probabilità ridotte: un evento è probabile o non lo è. Un’altra ragione è il predominio storicamente senza precedenti dei tre più forti di questi anni, cioè Federer, Djokovic e Nadal.

Un ulteriore contributo alla distorsione è quello che è stato evidenziato da più parti: i media si riferiscono a Rosol come a un signor nessuno. Non si può negare che fosse la prima volta per Rosol nel tabellone principale di Wimbledon e che avesse solo una vittoria contro uno dei primi 20. Ma è pur sempre il terzo giocatore classificato della Repubblica Ceca, è rimasto tra i primi 101 per più di tre anni, entrando anche tra i primi 70. In qualsiasi sport di squadra di un certo rilievo, un giocatore tra i primi 100 vale un posto tra i primi cinque; il numero 65 potrebbe entrare nella selezione All Star.

Quando Donald Young ha battuto Andy Murray all’Indian Wells Masters 2011, erano tutti sorpresi, ma non quanto dopo la vittoria di Rosol contro Nadal, perché il potenziale di Young è conosciuto e i tifosi americani parlano di lui ormai da anni. Anche quando Alex Bogomolov, la settimana successiva al Miami Masters, ha battuto sempre Andy Murray, si trattava comunque di un nome conosciuto, in parte anche per le wild card ricevute dai tornei americani e per il seguito mediatico.

Evidenza di livello alto anche nelle retrovie

Invece che ritenerla una casualità riguardante un giocatore di cui non sentiremo più parlare, l’eliminazione di Nadal andrebbe trattata come evidenza del livello di bravura dei giocatori delle retrovie. Rosol non è l’unico giocatore fuori dai primi 50 con un gioco molto potente. Non è l’unica minaccia nel circuito di cui non si è parlato mentre era juniores. E certamente non sarà l’ultimo giocatore “navigato” a ottenere una vittoria a sorpresa così prestigiosa su un avversario “imbattibile”.

The Greatest Upset in Sports Recency

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 18 (sul servire con palline nuove)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato l’8 luglio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 17.

Per lo sconforto dei suoi tifosi, il cammino di Roger Federer verso la conquista di Wimbledon 2016 è stato interrotto in semifinale dai potenti servizi di Milos Raonic, dopo che Federer aveva compiuto la gloriosa impresa di rimontare due set di svantaggio contro Marin Cilic nei quarti.

Come in molte partite equilibrate, un sottile margine separava Federer da Raonic. Con il 70% dei punti vinti al servizio e il 29% di quelli alla risposta, Federer era indietro di un solo punto percentuale rispetto a Raonic in entrambe le statistiche, a sottolineare che pochi punti hanno fatto la differenza per raggiungere la finale.

Verranno dette molte parole sulle possibili cause della sconfitta di Federer. È stata la strategia di Raonic di servire prime molto veloci al corpo a disorientare Federer alla risposta? O un’altra partita in cinque set è stata troppo impegnativa per le gambe di un giocatore di 34 anni? Il lavoro di Raonic con John McEnroe sta iniziando a dare i suoi frutti?

In aggiunta a questi aspetti, mi aveva incuriosito un commento fatto durante il terzo set da McEnroe in telecronaca. Al servizio con palline nuove nel quarto game, Federer è andato sullo 0-30. McEnroe ha ipotizzato che Federer avesse minore controllo perché stava giocando con palline nuove. Sono rimasta sorpresa perché un affermazione di quel tipo contrasta con la convinzione diffusa per cui il giocatore al servizio normalmente trae beneficio dalla velocità e dal rimbalzo delle palline nuove.

Chi ha ragione quindi? È possibile che le palline nuove abbiano davvero avuto un ruolo nella sconfitta di Federer?

Mito 18: “Servire con palline nuove è un vantaggio”

L’effetto del grado di usura di una pallina nella partita è stato opportunamente analizzato da Klaassen e Magnus nel Mito 18 di Analyzing Wimbledon. Per verificare l’eventuale vantaggio che palline nuove danno al giocatore al servizio, i due autori hanno preso in considerazione il grado di usura in termini di game giocati. Palline con nessun game giocato sono naturalmente state appena tirate fuori dal tubo, mentre palline con 8 game giocati sono all’ultima fase del loro utilizzo (come noto, le palline vengono cambiate la prima volta ogni 7 game e poi ogni 9, n.d.t.).

Quando i due autori hanno analizzato la variazione della percentuale di punti vinti al servizio nelle partite di Wimbledon in funzione del grado di usura delle palline dovuto alla durata dell’utilizzo, non hanno trovato differenze significative per il giocatore medio o per giocatori che più o meno occupano le parti alte della classifica. Andando contro la saggezza popolare tennistica, hanno concluso che l’usura della pallina non ha un effetto significativo sul giocatore medio.

Una rivisitazione dell’effetto palline nuove

In molte questioni legate al tennis, le differenze tra un giocatore e l’altro sono così alte da rendere l’analisi degli effetti medi non particolarmente delucidante. Nel dubbio che l’effetto palline nuove sia un altro fenomeno dipendente in larga misura dal singolo giocatore, ho creato un modello misto per determinare la probabilità di ciascun giocatore di vincere un punto al servizio in funzione del grado di usura delle palline. Nell’analisi che segue inoltre, ho inserito la bravura alla risposta dell’avversario, che fornisce un correttivo migliore per valutare la difficoltà della partita rispetto alla semplice posizione in classifica.

Uomini

L’immagine 1 mostra l’effetto sulla percentuale di punti vinti al servizio per i giocatori nei tornei dello Slam nel periodo dal 2013 al 2015 (nella versione originale, è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). L’effetto dell’usura sull’asse delle ordinate sarà negativo quando palline consumate diventano uno svantaggio. Questi effetti sono rapportati alla somma dei punti vinti in media al servizio e alla risposta, che rappresenta la misura del livello complessivo di bravura di un giocatore.

C’è una lieve evidenza del fatto che i giocatori migliori in realtà derivano maggiori benefici dal giocare più a lungo con le stesse palline, in linea con quanto ipotizzato da McEnroe per Federer. Ma, complessivamente, la tendenza è debole.

IMMAGINE 1 – Effetto dell’usura della pallina rispetto ai game giocati per il circuito maschile

Donne

Nel gioco femminile si assiste a una tendenza molto più chiara. L’immagine 2 mostra che la maggior parte delle giocatrici ha un effetto negativo rispetto all’usura delle palline, a suggerire che la giocatrice al servizio possiede di fatto un vantaggio se serve con palline nuove. È interessante notare come l’effetto appaia ancora più marcato per alcune delle giocatrici più forti, anche se va sottolineato come Serena Williams sia in ogni caso un’anomalia, in quanto una di quelle giocatrici per le quali l’usura delle palline incide in misura minore sull’esito del servizio.

IMMAGINE 2 – Effetto dell’usura della pallina rispetto ai game giocati per il circuito femminile

Probabilità di servire un ace

Si può anche pensare che l’effetto palline nuove abbia influenza sulla probabilità di servire un ace. L’immagine 3 e 4 analizzano la questione.

Uomini

Nel caso degli uomini, troviamo un vantaggio molto più accentuato per i giocatori al servizio rispetto a quanto osservato nella percentuale di punti vinti complessivamente.

IMMAGINE 3 – Effetto dell’usura della pallina rispetto ai game giocati sugli ace per il circuito maschile

Donne

Un effetto ancora più forte emerge per le giocatrici. Si osserva anche un vantaggio crescente nel numero di ace con palline nuove per le giocatrici complessivamente più brave.

IMMAGINE 4 – Effetto dell’usura della pallina rispetto ai game giocati sugli ace per il circuito femminile

Se da un lato l’usura della pallina in termini di game giocati è un modo per determinare quanto si è giocato con quella pallina, dall’altro non tiene conto della differenza di punti giocati per ciascun game. Un giocatore al servizio che deve fronteggiare quattro palle break in un game sta giocando con palline molto più usurate rispetto al giocatore che vince il game a zero.

Usura in funzione dei punti giocati

Per verificare il possibile effetto del numero di punti giocati, ho analizzato l’usura della pallina in funzione dei punti giocati. In questo caso, l’usura è stata limitata a un massimo di 100 punti, in modo da evitare gli effetti di game particolarmente equilibrati.

Uomini

L’immagine 5 mostra un apparente maggiore vantaggio, in termini di punti giocati, per tutti i giocatori con palline più giovani, e un effetto più negativo per i giocatori più forti.

IMMAGINE 5 – Effetto dell’usura della pallina rispetto ai punti giocati per il circuito maschile

Donne

Nell’immagine 6 si osserva che la tendenza per le giocatrici sugli effetti dell’usura in funzione dei punti giocati è simile a quanto visto nel caso dei game giocati. In entrambe le circostanze, la maggior parte delle giocatrici trae del vantaggio dalle palline più nuove, vantaggio che tende a salire all’aumentare del livello di bravura della giocatrice.

IMMAGINE 6 – Effetto dell’usura della pallina rispetto ai punti giocati per il circuito femminile

Riepilogo

La rivisitazione del Mito 18 suggerisce che il numero di punti giocati potrebbe essere un indicatore più preciso rispetto al numero dei game giocati per determinare l’effetto del grado di usura della pallina sulla prestazione al servizio. Quale sia il metodo di valutazione, gli effetti registrati mostrano un vantaggio per chi serve con palline nuove, specialmente nella frequenza degli ace.

Si tratta di un effetto marcato a sufficienza per incidere sull’esito di una partita? Prendiamo il caso di Federer. Per il numero 3 del mondo l’effetto stimato dell’usura di una pallina rispetto ai punti giocati corrisponde a un decremento della probabilità di vincere un punto al servizio di 0.5 punti percentuali ogni 50 punti giocati con le stesse palline. In altre parole, servirebbe una pallina estremamente usurata per avere un’influenza evidente sul gioco di Federer.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 18

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 16 (sul sentirsi vincenti e prendere più rischi)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 25 giugno 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 15.

In attesa dell’edizione 2016 di Wimbledon, in cui due settimane di condizioni meteorologiche generalmente poco collaborative fanno da sfondo al grande tennis, una delle giocatrici su cui sono puntati i riflettori è Coco Vandeweghe, dopo la sua vittoria al Rosmalen Grass Court Championships a ’s-Hertogenbosch e la semifinale al WTA Aegon Classic di Birmingham.

Può la sua impressionante sequenza di risultati sull’erba continuare anche sul palcoscenico di uno Slam? La prestazione di Vandeweghe nel terzo set della partita contro la numero 3 Agnieszka Radwanska al primo turno di Birmingham ha lasciato il segno. Dal secondo punto del quarto game, Vandeweghe ha vinto sette punti di fila per arrivare a tre opportunità di break che poi ha sfruttato, collezionando altri due break prima di chiudere il set 6-3.

Sentirsi vincente

Il predominio di Vandeweghe nel terzo set è un classico esempio di una giocatrice che sembra “sentirsi vincente”. Questo è il termine (winning mood in inglese, n.d.t.) che Klaassen e Magnus preferiscono per indicare quella che altrove viene definita la “mano calda”. In entrambi i casi, ci si riferisce alla situazione in cui un giocatore ha prestazioni migliori quando si trova in una striscia vincente di punteggio.

Con il Mito 16 di Analyzing Wimbledon, Klaassen e Magnus cercano di verificare l’esistenza di una correlazione tra il sentirsi vincenti e la predisposizione al rischio da parte di un giocatore al servizio.

Mito 16: “Quando si sentono vincenti, i giocatori rischiano di più”

I due autori hanno analizzato la predisposizione al rischio da parte di un giocatore al servizio quando si sente vincente mettendo in relazione la frequenza di prime di servizio e poi di doppi falli dopo che il giocatore ha vinto il punto precedente. In entrambe le analisi, sono giunti alla conclusione che, dopo aver ottenuto il punto precedente, è più probabile una maggiore predisposizione al rischio (meno prime in campo).

Si tratta di un risultato interessante ma, se si vuole davvero comprendere l’effetto del sentirsi vincenti sulla prestazione, bisogna considerare l’andamento di tutta la partita, e non semplicemente del punto precedente. Una fotografia più completa di un giocatore in “modalità sentirsi vincente” è data dal suo differenziale punti del set.

Differenziale punti del set

In qualsiasi momento di un set, il differenziale punti del set è la differenza tra i punti vinti da un giocatore e i punti vinti dal suo avversario. Ho inserito la locuzione modalità sentirsi vincente tra virgolette perché un differenziale molto positivo non significa che il giocatore abbia dovuto vincere quei punti in successione, uno dopo l’altro. Tuttavia, vista la natura gerarchica dei punti nel tennis e l’implicito vantaggio del giocatore al servizio, ritengo che quello dei punti vinti consecutivamente sia un metro di valutazione troppo stringente e che invece il differenziale punti rappresenti un’indicazione più fedele del sentirsi vincente da parte di un giocatore.

Una rivisitazione del Mito 16

L’immagine 1 mostra come un differenziale punti positivo e negativo influisca sulle probabilità di vincere un punto del giocatore al servizio (nella versione originale, è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

I dati si riferiscono a tutte le partite del circuito maschile nei tornei Slam tra il 2011 e il 2015. L’asse delle coordinate riporta l’effetto in termini di variazione nella media della percentuale di punti vinti al servizio. Lo zero (in rosso) equivale all’assenza di variazione.

Uomini

Il grafico mostra come gli effetti di un’attitudine positiva e di una negativa siano più o meno lineari. Vale a dire, all’aumentare del differenziale punti del giocatore al servizio, corrisponde un aumento nella prestazione sui punti futuri. Tuttavia, accade esattamente il contrario quando si è dietro nel punteggio. La grandezza dell’effetto implica un aumento (diminuzione) di un punto percentuale per ogni guadagno (perdita) di 4 punti nel differenziale punti.

IMMAGINE 1 – Punti vinti contro il differenziale punti nel circuito maschile

L’immagine 1 si concentra sul ruolo del sentirsi vincenti sull’opportunità complessiva di vincere un punto. Il Mito 16 però riguarda la predisposizione al rischio sul servizio in presenza di un’attitudine positiva. Per affrontare la questione, analizziamo la relazione tra il differenziale punti e la frequenza di ace.

L’immagine 2 rivela dei risultati simili a quanto trovato per i parametri precedenti. La frequenza negli ace aumenta quando un giocatore è davanti nel differenziale punti (1 punto percentuale ogni 5 punti guadagnati nel differenziale).

Una delle differenze con quanto trovato nel caso dei punti vinti arriva dal fatto che gli ace sembrano subire l’incidenza di un differenziale punti negativo in misura minore, anche se potrebbe dipendere in parte dai giocatori al servizio che hanno un marcato incremento nella stretta prossimità del limite basso di zero.

IMMAGINE 2 – Frequenza degli ace contro il differenziale punti nel circuito maschile

Doppi falli

Come mostrato dall’immagine 3, analizzando i doppi falli non c’è traccia di un effetto generato dal sentirsi vincenti. I giocatori al servizio sembrano avventurarsi in prime più potenti quando conducono nel punteggio e in prime più conservative quando devono inseguire, ma potrebbero mantenere una strategia prefissata sulla predisposizione al rischio con la seconda, a prescindere dal punteggio.

IMMAGINE 3 – Doppi falli contro il differenziale punti nel circuito maschile

Donne

Le immagini 4, 5 e 6 mostrano i corrispondenti effetti del sentirsi vincenti per il circuito femminile sulla base dello stesso periodo di riferimento e degli stessi tornei Slam.

IMMAGINE 4 – Punti vinti contro il differenziale punti nel circuito femminile

Le relazioni sono identiche a quelle che operano in campo maschile.

IMMAGINE 5 – Frequenza degli ace contro il differenziale punti nel circuito femminile

Il differenziale punti è positivamente correlato con la percentuale di punti vinti al servizio e con la frequenza degli ace, ma non è correlata alla frequenza dei doppi falli.

IMMAGINE 6 – Doppi falli contro il differenziale punti nel circuito femminile

Riepilogo

Il differenziale punti è una statistica poco citata nel tennis, ed è un peccato perché sembra essere un indicatore importante di quei momenti in cui un giocatore potrebbe trovarsi ad avere la mano calda o a dover giocare contro un avversario dalla mano calda.

Tutte le analisi sul differenziale punti confermano la conclusione di Klaassen e Magnus, cioè che i giocatori, quando si sentono vincenti, prendono più rischi con la prima di servizio. La causa che genera questo effetto è ancora dibattuta.

Il numero degli ace aumenta perché il giocatore al servizio, fiducioso dall’essere avanti nel punteggio, azzarda delle prime a tutto braccio? O è il giocatore alla risposta indietro nel punteggio a sentirsi meno propenso a ribattere le prime più difficili da prendere? Wimbledon può offrire molte partite per provare a trovare risposte a queste domande.

Sicuramente, presterò particolare attenzione alle scelte sulla prima dei giocatori che si apprestano a servire dopo aver ottenuto il break (un guadagno nel differenziale punti), in modo da vedere se il sentirsi vincenti fa la sua apparizione.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 16

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 15 (sul gioco conservativo sotto pressione)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 17 giugno 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 14.

Uno dei fenomeni più affascinanti in qualsiasi sport è certamente collegato all’improvviso e inaspettato crollo di prestazione da parte di un atleta sopraffatto dalla particolare tensione e importanza associata a una specifica situazione (definito nella lingua inglese con un solo termine, choking, n.d.t.). Un esempio clamoroso del 2016 è stato il quadruplo bogey di Jordan Spieth alla dodicesima buca dell’ultimo giro dell’Augusta Masters di golf, che gli è costato una vittoria finale ormai quasi certa.

Tracolli di questa portata impongono di non dare per scontata la pressione a cui anche i più grandi campioni di uno sport sono sottoposti e alla quale possono cedere quando il peso delle aspettative diventa troppo alto. A questo proposito, gli appassionati di tennis ricordano certamente la semifinale persa da Serena Williams agli US Open 2015.

Il Mito 15 di Analyzing Wimbledon di Klaassen e Magnus si concentra sugli aggiustamenti che i giocatori adottano in situazioni di maggiore pressione, nelle quali i due autori sostengono che il gioco diventi più conservativo. Vediamo come hanno testato la loro ipotesi e gli esiti che ne sono derivati.

Mito 15: “I giocatori diventano più conservativi sui punti più importanti”

Con questo mito, Klaassen e Magnus introducono nel tennis il concetto di “giocare conservativo”, vale a dire la scelta ragionata di un giocatore di giocare, in determinate circostanze, un colpo meno rischioso. Anche se di immediata descrizione, nel tennis un approccio rischioso non è altrettanto facilmente misurabile. Se volessimo davvero conoscere il rischio che un giocatore sta assumendosi nel colpire un determinato colpo, dovremmo possedere la frequenza di successo e insuccesso associata al colpo che il giocatore aveva intenzione di colpire. In assenza di un ricco bagaglio informativo di colpi e intenzioni proprie di un determinato giocatore, classificare il rischio è un’operazione, appunto, rischiosa.

I due autori affrontano la questione restringendola all’attitudine al rischio sul servizio, cioè l’unico colpo sul quale c’è una seconda opportunità in caso di errore, e sul quale vi è massima libertà nella scelta della tipologia che possa garantire il miglior esito possibile.

Nel Mito 14 si è visto come la prestazione ottimale al servizio è data dall’equilibrio tra efficacia e rischio. L’attenzione oggi si sposta sul fattore rischio di quell’equazione e su come la pressione del momento possa incidere sul livello di rischio che i giocatori si assumono.

Servire in modo più conservativo in presenza di maggiore pressione

Klaassen e Magnus hanno analizzato la frequenza con cui un servizio è valido rispetto all’importanza di un punto, secondo la definizione d’importanza data da Carl Morris. Se il Mito 15 è corretto, ci dovremmo attendere che maggiore l’importanza della situazione, maggiore la frequenza di servizi validi, a suggerire che i giocatori servano in modo più conservativo quando la pressione è più alta. I risultati ottenuti evidenziano che, nei punti più importanti, il numero di ace e doppi falli si riduce.

I due autori concludono che, in linea con l’ipotesi di partenza, in situazioni di pressione i giocatori servono in modo più conservativo.

Una rivisitazione del Mito 15

Klaassen e Magnus non forniscono molti dettagli sull’effettivo cambiamento di attitudine al rischio riscontrato. Ero curiosa quindi di verificare se le stesse dinamiche emergessero dall’attuale gruppo di giocatori e in quale misura.

Utilizzando dati relativi al singolo colpo delle ultime 5 edizioni degli Australian Open, ho analizzato eventuali variazioni nei servizi senza risposta (quindi ace o servizi vincenti) e nei doppi falli per un totale di 40.000 servizi tra i giocatori e 27.000 servizi tra le giocatrici. Le partite considerate sono quelle dal terzo turno in avanti.

Ai fini di questa analisi, si definiscono punti importanti per il giocatore al servizio le palle break, qualsiasi punto del tiebreak e qualsiasi punto di un game decisivo per chiudere il set (sempre per il giocatore al servizio). È così possibile identificare il livello di pressione sia nei momenti in cui il giocatore deve affrontare un punteggio sfavorevole, come nel caso delle palle break, sia nei momenti in cui il punteggio pone nella posizione di vincere un set o la partita.

Uomini

L’immagine 1 mostra la variazione della frequenza di servizi senza risposta per ogni servizio sui punti importanti rispetto a tutte le altre situazioni. Nella parte alta dell’elenco si trovano i giocatori al servizio con la minore frequenza di ace sui punti normali, nella parte bassa i giocatori al servizio con la maggiore frequenza di ace nei punti normali. Complessivamente, si assiste a una diminuzione di 1 punto percentuale nella frequenza di servizi senza risposta sui punti importanti rispetto ai punti normali.

Un aspetto interessante che emerge dall’immagine 1 è dato dalla varietà di comportamenti al servizio, da giocatore a giocatore. Si riscontra infatti molta variazione. Juan Martin Del Potro ad esempio è un giocatore molto preciso al servizio in situazione di punteggio delicato. Sebbene eventuali conclusioni sulle tendenze dei singoli giocatori siano soggette a un margine di imprecisione più alto (Nicolas Mahut ad esempio ha solo una partita nel database risalente al 2012, contro Novak Djokovic), i risultati suggeriscono che una media complessiva non sia dopo tutto particolarmente significativa se riferita all’attitudine al rischio dei giocatori di fronte ai punti importanti.

IMMAGINE 1 – Servizi senza risposta e punti importanti per i giocatori nelle ultime 5 edizioni degli Australian Open

Se analizziamo la frequenza dei doppi falli osserviamo, nell’immagine 2, una tendenza complessiva più confusa, con ancora più variazioni non spiegabili rispetto a quanto visto con i servizi senza risposta.

IMMAGINE 2 – Doppi falli e punti importanti per i giocatori nelle ultime 5 edizioni degli Australian Open

Donne

Per quanto riguarda il tennis femminile, l’immagine 3 mostra un effetto complessivo opposto sui servizi senza risposta. Si assiste infatti a un incremento medio di 2 punti percentuali nelle situazioni di maggiore pressione. Così come per gli uomini, anche quest’analisi ha tenuto conto del numero variabile di servizi disponibili per ogni giocatrice in modo che un campione più ridotto per alcune giocatrici rispetto ad altre non abbia influito sui valori finali.

Purtroppo non è chiaro come questi esiti possano raffrontarsi a quelli di Klaassen e Magnus, visto che i due autori non forniscono le loro risultanze separate per i due circuiti.

IMMAGINE 3 – Servizi senza risposta e punti importanti per le giocatrici nelle ultime 5 edizioni degli Australian Open

Come per la controparte maschile, anche per le giocatrici al servizio non si assiste a una tendenza costante sui doppi falli in situazioni di maggiore o minore pressione, come mostrato dall’immagine 4. Tuttavia, la variazione tra singole giocatrici si discosta dalla media in misura inferiore rispetto alle altre ipotesi testate.

IMMAGINE 4 – Doppi falli e punti importanti per le giocatrici nelle ultime 5 edizioni degli Australian Open

Riepilogo

Un’analisi più recente dell’attitudine al rischio dei giocatori al servizio suggerisce che “giocare conservativo” in situazioni importanti può non essere una tendenza universale e risulta un fenomeno legato alla specificità del singolo giocatore più di quanto si pensasse. Tuttavia, quando si tratta di misurare l’attitudine conservativa di un giocatore in merito alla selezione di colpi, gli ace e i doppi falli possono risultare due parametri poco raffinati. Entrambi ignorano, ad esempio, la difficoltà del colpo e la qualità dell’avversario, che ci si attende siano fattori critici per comprendere le dinamiche dei giocatori nella strategia al servizio adottata e nella sua efficacia.

Servire sotto pressione nel tennis rimane quindi una tematica su cui sono necessari ulteriori approfondimenti prima di giungere a una conclusione definitiva.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 15

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 14 (sulla strategia efficiente al servizio)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 10 giugno 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 13.

Due storie diverse, ma affascinanti in egual misura, sono emerse dal Roland Garros 2016. In campo femminile, la ventiduenne Garbine Muguruza – una stella nascente con una sola precedente apparizione in una finale Slam – ha battuto Serena Williams, conquistando il suo primo Slam in carriera.

Tra gli uomini invece, dopo tre finali perse, Novak Djokovic ha sconfitto Andy Murray per vincere anche lui il suo primo Roland Garros, completando il Grande Slam in carriera e consolidando la sua posizione nel dibattito tra i più grandi di sempre.

Anche se per percorso e contesto le due vittorie sono state molto diverse tra loro – in un caso un gigante del tennis che cerca di imporsi da campione su tutte le superfici, nell’altro una giocatrice che affronta una gigante del tennis che cerca di riscrivere la storia – entrambi i protagonisti hanno dovuto trovare un modo per surclassare due avversari tenaci. Dominare al servizio è stato l’elemento chiave: Djokovic ha vinto il 63% dei punti al servizio contro il 51% dei punti vinti da Murray. Muguruza ha vinto un notevole 62% di punti al servizio contro il 57% di Williams.

Sebbene queste statistiche evidenzino che i vincitori del Roland Garros 2016 sono stati più efficaci al servizio, possiamo dire che sono stati anche più efficienti dei loro avversari? E cosa vuol dire esattamente essere “efficiente” al servizio?

Questo è il tema su cui si concentrano Klaassen e Magnus nel Mito 14 di Analyzing Wimbledon.

Mito 14: ”I giocatori hanno una strategia efficiente al servizio”

Prima di affrontare l’argomento, è necessario soffermarsi sul rapporto rischio-rendimento associato al servizio, il quale si traduce concretamente nell’opposizione tra la probabilità che un servizio sia in gioco e la difficoltà che incontra il giocatore in risposta a ribatterlo. Tutti hanno sicuramente assistito al doppio fallo di un giocatore dovuto a quello che si ritiene un eccesso di spinta sulla seconda. Questo è il rapporto rischio-rendimento in azione.

Come un lanciatore nel baseball o un tiratore nel basket, un giocatore di tennis di vertice deve riuscire a trovare il giusto equilibrio tra la difficoltà e il rischio di un colpo in modo da garantirsi le maggiori probabilità di esito positivo.

La curva-y

Per trovare il punto d’impatto perfetto, Klaassen e Magnus hanno introdotto la “curva-y”, che descrive la relazione matematica tra la probabilità del giocatore al servizio di vincere un punto quando il servizio è in gioco rispetto al rischio che il servizio non sia valido. In altre parole, la “curva-y” è la rappresentazione del rapporto rischio-rendimento.

L’immagine 1 mostra un esempio ipotetico, nel quale si suppone che i servizi più efficaci siano anche quelli a maggior rischio di fallo.

IMMAGINE 1 – Rapporto rischio-rendimento al servizio

Se la si conoscesse, la “curva-y” sarebbe entusiasmante perché fornirebbe uno strumento utile per trovare la strategia ottimale di un giocatore al servizio. In generale, la strategia ottimale per un giocatore al servizio è quella di giocare per incrementare la probabilità complessiva di vincere un punto. Per vedere come la “curva-y” dell’immagine 1 sia di aiuto nel trovare la strategia ottimale al servizio, il caso più facile da considerare è quello in cui il giocatore al servizio può servire solo la prima. Viene cioè eliminata la seconda di servizio.

Formule

In un tennis con un solo servizio a disposizione, la probabilità di vincere un punto può essere espressa da questa probabilità condizionale:

P(Vittoria) = P(Servizio valido) × P(Vittoria | Servizio valido)

La probabilità di vincere un punto al servizio è data dalla probabilità condizionale di vincere il punto dopo aver servito un servizio valido. Queste due componenti descrivono esattamente la “curva-y”.

È possibile quindi ridurre il problema al calcolo di un solo parametro (cioè servire un servizio valido), sostituendo la probabilità di vittoria quando un servizio è valido con la “curva-y”. Se si riesce in questo, si tratta poi solo di fare una piccola differenziazione per trovare il livello di rischio che massimizza la probabilità di vincere il punto. Questo ci permetterebbe anche di definire “efficiente” il giocatore al servizio che segue una strategia ottimale.

Matematicamente, se si usa il simbolo “*” per rappresentare la migliore percentuale possibile (ottimale) di punti vinti al servizio, si ottiene:

Efficienza = P(Vittoria) / P(Vittoria)*

Per avere il massimo rendimento dal servizio, qualsiasi giocatore vorrebbe un risultato della formula il più possibile vicino a 1.

Stimare l’efficienza al servizio

Due aspetti rendono complicato lo studio della strategia ottimale al servizio. Da un lato, ci sono due servizi nel tennis. Dall’altro, non sappiamo come si presenti la “curva-y”. Il primo problema si risolve abbastanza velocemente estendendo il caso illustrato in precedenza alla situazione di doppio servizio.

Il secondo problema è più complesso da affrontare. Se volessimo veramente conoscere la “curva-y” di un giocatore al servizio (e ipotizzo che la curva rischio-rendimento di ciascun giocatore abbia una forma leggermente diversa), dovremmo fare un esperimento per raccogliere i dati necessari alla sua costruzione: il giocatore al servizio dovrebbe servire indicando all’avversario, per ogni servizio, le sue intenzioni (“Tiro forte e centrale” o “Tiro esterno con molto effetto”, etc), in modo da accumulare molte osservazioni sulla stessa tipologia di servizio, registrare quanto spesso il servizio è valido e quante volte il punto è stato poi vinto contro quell’avversario.

Distribuzione a legge di potenza

In assenza di un esperimento di questo tipo, Klaassen e Magnus hanno preso in considerazione un numero di curve ipotetiche utilizzando una distribuzione a legge di potenza. Hanno poi definito la percentuale di punti vinti e la percentuale di prime di servizio valide come un punto, e gli stessi numeri sulle seconde di servizio come un altro punto. In questo modo sono stati in grado di identificare tutti i parametri della curva ad eccezione della forma. Anche se può sembrare un elemento fondamentale, i due autori non considerano la forma così importante per definire l’efficienza di un giocatore, perché la massima probabilità di vincere un punto al servizio non subisce grossi cambiamenti anche in presenza di grandi variazioni nel parametro forma.

Pur con delle riserve, prendiamo per valido l’approccio di Klaassen e Magnus. Cosa hanno trovato?

Utilizzando le medie osservate (sui servizi validi e sui punti vinti al servizio) sulla prima e sulla seconda di servizio, hanno concluso che l’efficienza al servizio sul circuito maschile è del 98.9%, mentre è del 98.0% sul circuito femminile. Da cui hanno tratto che: “C’è un efficienza molto alta, ma non è un’efficienza totale, quindi rigettiamo l’ipotesi”.

Una rivisitazione dell’efficienza al servizio

Se applichiamo la stessa metodologia al tennis moderno, otterremmo la seguente “curva-y” per gli uomini:

Prob (Vittoria | x) = γ0 − γ1 × x3

e una curva simile per le donne,

Prob (Vittoria | x) = γ0 − γ1 × x3.8

In entrambi i casi, il valore x è la proporzione dei servizi validi, che si pone a complemento del rischio del servizio. Una volta definite le due funzioni, è possibile ottimizzare la probabilità di vincere un punto al servizio per un giocatore o una giocatrice, rispetto alle caratteristiche della loro prima e seconda di servizio. Prendendo come campione tutte le partite giocate dal 2012 al 2014, possiamo confrontare le risultanze di questo metodo di pensiero sulla strategia ottimale di servizio rispetto all’efficienza al servizio dei giocatori di vertice.

Uomini

L’immagine 2 mostra che l’efficienza media per il circuito maschile è del 98% (nella versione originale è possibile visualizzare i nomi dei singoli giocatori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). È un dato perfettamente in linea con quanto calcolato da Klaassen e Magnus e che porta alla stessa conclusione, per cui la maggior parte dei giocatori è inefficiente al servizio di uno o due punti percentuali sulla prestazione ottimale.

IMMAGINE 2 – Efficienza al servizio nel circuito maschile

Donne

L’immagine 3 mostra che l’efficienza media per il circuito femminile basata sulle partite dal 2012 al 2014 è stata del 97%, che, seppur di un punto percentuale, è più bassa di quella maschile da una strategia ottimale al servizio.

È interessante notare che un estremo è rappresentato da Victoria Azarenka la quale, secondo l’analisi di Klaassen e Magnus, è più lontana dalla sua percentuale ottimale di punti vinti al servizio rispetto ad altre giocatrici. Azarenka ha una percentuale attesa ottimale di punti vinti al servizio del 69.5% (anche più alta di quella di Williams!), mentre la sua percentuale effettiva nel periodo di riferimento è stata solo del 54%. Naturalmente, questo potrebbe voler anche dire che la media “curva-y” non è una buona rappresentazione dell’efficienza al servizio di Azarenka.

IMMAGINE 3 – Efficienza al servizio nel circuito femminile

Riepilogo

Il Mito 14 fornisce spunti di riflessione su come provare a costruire un modello che cerchi di rappresentare la strategia ottimale al servizio. Per quanto i due autori presentino risultati interessanti a dimostrazione del fatto che, generalmente, i giocatori non utilizzino una strategia di servizio ottimale – coerentemente ad esempio con altri studi che suggeriscono come i giocatori siano troppo conservativi sulla seconda di servizio -, rimane un alone di magia sul modo in cui è stata elaborata la curva rischio-rendimento.

Se si riuscisse a trovare una stima più diretta della curva rischio-rendimento per i singoli giocatori, sarebbe un passo avanti estremamente significativo per la definizione della strategia ottimale al servizio.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 14

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 13 (sulla seconda di servizio come misura della bravura)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 4 giugno 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 12.

Le magliette zebrate e le partite consecutive senza il giorno di riposo non sono state le sole stranezze del Roland Garros 2016. La pioggia incessante si è abbattuta come una catastrofe sul programma, aumentando la pressione a cui i giocatori sono normalmente sottoposti durante uno dei quattro tornei più importanti della stagione (e alcuni non hanno esitato a dare voce alla loro disapprovazione). Come conseguenza, le capacità di adattamento e resistenza sono risultate più importanti per l’avanzamento del turno di quanto già non succeda in condizioni di regolare svolgimento.

Va però detto che, anche una volta azzerata la variabile meteorologica, il dibattito per individuare le caratteristiche più significative necessarie a diventare un campione rimane sempre molto acceso. Nel mito di oggi, Klaassen e Magnus provano a dare un’interpretazione, seppur parziale, della vicenda, mettendo a confronto la bravura dei giocatori nella prima e nella seconda di servizio.

Mito 13: “Il livello di bravura di un giocatore o di una giocatrice è definito dalla sua seconda di servizio”

Questa definizione del Mito 13 è un altro modo per dire che la seconda di servizio è una misura più accurata della bravura di un giocatore o di una giocatrice rispetto a quanto lo sia la prima di servizio.

Chiaramente, la seconda di servizio rappresenta una situazione di maggiore vulnerabilità, aspetto che potrebbe suggerire che i giocatori in grado di vincere più punti con la seconda di servizio siano generalmente anche quelli che vincono più partite in assoluto.

Di converso, i giocatori con un’alta percentuale di buone prime di servizio possono non dover essere altrettanto, o meno, efficaci quando devono servire la seconda. Quindi, prendere una posizione di difesa nei confronti del Mito 13 non è immediatamente ovvio. 

È frustrante notare che, quando Klaassen e Magnus hanno affrontato la questione in Analyzing Wimbledon, la risposta dei diversi metodi applicati non è stata univoca. La differenza risiede nel modo in cui i due autori determinano la bravura dei giocatori.

Quando è la classifica a essere utilizzata, si osserva una corrispondenza maggiore tra le prestazioni con la prima di servizio che con la seconda di servizio.

Tuttavia, quando si mette in correlazione la prima e la seconda di servizio con la differenza di classifica dei giocatori, si ottiene una corrispondenza di verso opposto per gli uomini – vale a dire che le seconde di servizio differiscono in misura maggiore della differenza di classifica fra i giocatori considerati di quanto non lo facciano le prime di servizio – mentre non risultano differenze fra le correlazioni tra prima e seconda di servizio con la classifica nel caso delle donne. Va ricordato che si tratta sempre di partite relative solo a Wimbledon. 

Una rivisitazione del Mito 13 per il circuito maschile

In presenza di risultati divergenti, Klaassen e Magnus si fermano e concludono che non ci sono prove sufficienti per stabilire la superiorità o l’inferiorità della seconda di servizio come misura della bravura di un giocatore. Diventa quindi uno di quei temi per i quali molto dipende dal modo in cui effettivamente viene misurata la bravura. 

Come altre volte in passato, quando si tratta di determinare la bravura, la mia preferenza è per il sistema di valutazione Elo rispetto alle classifiche ufficiali, poiché Elo è più accurato nell’assegnare ai giocatori il giusto merito per vittorie importanti nella stessa maniera in cui li penalizza per sconfitte sorprendenti.

Se il Mito 13 è corretto, dovremmo attenderci una correlazione più forte tra la differenza nelle valutazione Elo e i punti ottenuti con la seconda di servizio rispetto ai punti ottenuti con la prima di servizio. Cosa indicano i dati relativi alle partite del circuito maschile e del circuito femminile degli ultimi 5 anni?

La prima sembra avere una minima superiorità

L’immagine 1 riassume le differenze tra la valutazione Elo di un giocatore (asse delle Y) e la percentuale di punti vinti con la prima e con la seconda di servizio. I due riquadri superiori mostrano la relazione per tutte le partite nel periodo tra il 2010 e il 2015, mentre i riquadri inferiori si riferiscono solamente alle partite di Wimbledon, così da rendere il confronto con l’analisi di Klaassen e Magnus più omogeneo.

Riguardo a tutte le partite, si osserva una correlazione positiva con la differenza di bravura dei giocatori – secondo la valutazione Elo – per entrambi i servizi, ma esiste una correlazione leggermente più forte con la prima di servizio. Difatti, la correlazione con la prima di servizio è 0.35 (intervallo di confidenza al 95% = 0.33-0.37) rispetto alla correlazione con la seconda di servizio pari a 0.31 (intervallo di confidenza al 95% = 0.29-0.34).

La prima di servizio dunque sembra avere una minima superiorità sulla seconda di servizio come indicatore di bravura, contrariamente a quanto affermato dal Mito 13.

IMMAGINE 1 – Valutazioni Elo per il circuito maschile e prima e seconda di servizio

Per il torneo di Wimbledon però la situazione è diversa. Entrambi i servizi sembrano possedere la medesima relazione statistica, la prima di servizio con una correlazione dello 0.36 (intervallo di confidenza al 95% = 0.29-0.43) e la seconda dello 0.39 (intervallo di confidenza al 95% = 0.32-0.45). Ci sono anche segnali che sull’erba la seconda di servizio sia più importante della prima, in linea con quanto trovato da Klaassen e Magnus.   

Una rivisitazione del Mito 13 per il circuito femminile

Cosa si può dire per il tennis femminile nel quale solitamente la prima di servizio è meno dominante? Utilizzando la stessa metodologia basata sulle valutazioni Elo, è ancora più evidente che la prima di servizio è un indicatore di bravura più forte per tutte le partite. L’immagine 2 mostra una correlazione con la prima di servizio dello 0.35 (intervallo di confidenza al 95% = 0.32-0.37) rispetto a una dello 0.26 per la seconda di servizio (intervallo di confidenza al 95% = 0.24-0.28).

IMMAGINE 2 – Valutazioni Elo per il circuito femminile e prima e seconda di servizio

A differenza del circuito maschile, nel caso delle donne questa relazione rimane fondamentalmente identica a Wimbledon. I risultati suggeriscono quindi che, complessivamente, la prima di servizio è in genere l’aspetto più importante per distinguere tra i professionisti il livello di bravura dei giocatori, ma la seconda di servizio acquisisce maggiore importanza quando la superficie è veloce ed è diffusa un’alta qualità nella prima di servizio.

Queste rimangono però considerazioni teoriche in un torneo come il Roland Garros 2016, nel quale è più probabile che i vincitori emergano tra quei giocatori capaci di resistere allo sforzo di partite in giorni consecutivi e di non lasciarsi intimidire dalle condizioni pesanti del campo e delle palline.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 13

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 12 (sulla competitività del tennis maschile rispetto a quello femminile)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 21 maggio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 11.

Molti sostengono che il tennis maschile sia più competitivo di quello femminile. È ancora valida questa assunzione di fronte all’alternanza di risultati tra le donne nella prima metà della stagione 2016? Soprattutto, qual è il punto di partenza per stabilire cosa voglia dire per un circuito professionistico essere “competitivo”? Questo è l’esatto interrogativo al centro del Mito 12 dei 22 miti del tennis di Klaassen e Magnus.

Mito 12: “Il tennis maschile è più competitivo di quello femminile”

Nel loro classico Analyzing Wimbledon, i due autori affrontano l’eterna questione della competitività relativa del circuito maschile e di quello femminile, concludendo che il tennis maschile è più competitivo per due ordini di motivi. Il primo fa riferimento alla frequenza con cui le prime 16 teste di serie nei tornei dello Slam raggiungono il turno atteso (cioè gli ottavi di finale). In altre parole, è un criterio che si lega essenzialmente alle sconfitte a sorpresa negli Slam, per il quale, secondo la logica, maggiori sono le sconfitte a sorpresa, più alto è il livello competitivo dei partecipanti.

Analizzando la frequenza delle sconfitte a sorpresa per le prime 16 teste di serie nel periodo tra il 1990 e il 2012, Klaassen e Magnus hanno trovato che nella maggior parte degli anni un numero più alto tra le 16 teste di serie femminili è arrivato agli ottavi di finale, un risultato che depone a favore di una più alta competitività in campo maschile. Tuttavia, se si osservano gli ultimi cinque anni come mostra l’immagine 1, si nota come il rapporto si è invertito. In questo periodo infatti circa il 60% delle prime 16 teste di serie maschili ha raggiunto gli ottavi di finale, mentre l’equivalente valore tra le donne è stato vicino al 50%.

IMMAGINE 1 – Prime 16 teste di serie nei tornei Slam a raggiungere il turno atteso

Modalità di confronto strana

Si potrebbe dire quindi che la conclusione di Klaassen e Magnus era corretta ma che per l’attuale generazione di giocatori le dinamiche sono cambiate. È anche vero che utilizzare le sconfitte a sorpresa delle prime 16 teste di serie per stabilire la competitività di un circuito è una modalità alquanto strana.

Le teste di serie sono un modello rappresentativo imperfetto della bravura di un giocatore o una giocatrice, e mettere a confronto sconfitte a sorpresa tra uomini e donne è inadeguato vista l’importante differenza di format della partita, al meglio dei cinque set per gli uomini e al meglio dei tre per le donne. Ho mostrato, come altri autori, che il numero di set da giocare per vincere una partita ha un ruolo primario e rende discutibile fare confronti tra generi considerando solo gli Slam.

Come prova è sufficiente utilizzare la stessa analisi per i tornei appena inferiori agli Slam per importanza (i Master 1000 per gli uomini e i Premier per le donne), nei quali il format è al meglio dei tre set. L’immagine 2 mostra che la differenza tra i due circuiti è molto inferiore e che la “competitività” si è alternata nel tempo apparentemente in modo del tutto casuale.

IMMAGINE 2 – Prime 16 teste di serie nei tornei Master / Premier a raggiungere il turno atteso

Una misura più accurata della bravura di un giocatore

La competitività è un tema di previsioni: se il livello di giocatori di un circuito è alto, prevedere il risultato di una partita dovrebbe essere molto più difficile. Quindi, maggiore il numero di partite di cui è incerto prevedere l’esito, maggiore la competitività del circuito.

Per fare previsioni accurate, è necessario conoscere l’attuale livello di bravura di ciascun giocatore e come la bravura si raffronti a quella altrui. Né le teste di serie né la classifica forniscono indicazioni valide al riguardo. Qualsiasi ragionamento sulla competitività di un circuito che si basi sulla classifica dei giocatori è fallato in partenza, perché ipotizza che la classifica sia “buona abbastanza” per valutare la bravura di un giocatore.

Il secondo motivo di Klaassen e Magnus a sostegno della maggiore competitività del circuito maschile è viziato da questo errore, perché i due autori utilizzano la combinazione data dalla differenza di classifica con la probabilità di vincere un punto al servizio per stabilire quale dei due circuiti abbia il livello più alto di bravura. Sono convinta che il sistema Elo sia uno strumento molto più affidabile per misurare la bravura di un giocatore.

Dato che la differenza nella valutazione Elo tra due giocatori esprime il probabile esito di una partita, tracciare la grandezza relativa delle valutazioni Elo nel tempo fornisce un quadro del livello di competitività di un circuito. Maggiore la compattezza tra le valutazioni Elo nei giocatori di vertice, più alto il livello di competitività, perché ogni partita sarà estremamente equilibrata. Maggiore invece la distanza tra valutazioni Elo, più alta la prevedibilità del circuito.

La competitività è in realtà un concetto dinamico

Uno sguardo a diversi decenni di valutazioni Elo per i 30 giocatori che hanno ottenuto la valutazione più alta in ogni anno considerato fornisce delle interessanti dinamiche per entrambi i circuiti. Prima degli anni 2000, il circuito maschile era fortemente denso di qualità, specialmente nel periodo di transizione tra l’era di Andre Agassi e Pete Sampras e quella dei Fantastici Quattro (Roger Federer, Novak Djokovic, Rafael Nadal, Andy Murray). Durante lo stesso periodo, il circuito femminile era invece caratterizzato da una maggiore debolezza tra le giocatrici di rincalzo, con quelle di vertice in grado di distanziarsene in modo evidente. Nell’ultima decade però il circuito femminile è arrivato, in termini di distanza tra valutazioni Elo, ad assomigliare a quello maschile. E da quanto visto negli ultimi anni, sembra che entrambi i circuiti siano ugualmente competitivi tra giocatori e giocatrici di vertice.

IMMAGINE 3 – Tendenze dei primi 30 giocatori e giocatrici secondo il sistema Elo nei rispettivi circuiti

Il messaggio chiave di questa rivisitazione del Mito 12 arriva dal rendersi conto che la competitività di un circuito è un concetto molto dinamico. Rileggendo il capitolo scritto da Klaassen e Magnus, si ha la percezione che per i due autori la competitività sia una connotazione intrinseca e prefissata di un circuito. In realtà, la domanda non è quale dei due circuiti sia il più competitivo, ma quali caratteristiche possiede al momento la competitività di un circuito.

Competitività contro Regolarità

C’è un’ironia di fondo in questa discussione tra competitività del circuito maschile e femminile: se la competitività è una questione di imprevedibilità di un circuito, allora dovrebbe essere l’opposto della regolarità, perché maggiore la regolarità di risultati dei giocatori di vertice, più facile è fare previsioni sull’esito di una partita.

Nonostante questo, tutto l’ambiente tennistico (e a quanto pare anche Klaassen e Magnus sono purtroppo caduti in questa trappola) sembra intenzionato a far credere che il circuito maschile non solo sia più competitivo di quello femminile, ma sia anche il circuito con maggiore regolarità. Come è possibile che abbia il meglio dei due mondi? O durante le telecronache delle partite deve essere fatta chiarezza sulla terminologia o i commentatori stessi devono riconoscere che, a questo riguardo, stanno mancando di rispetto nei confronti del tennis femminile.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 12

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 11 (sulle partenze lente)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 14 maggio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 10.

Dopo la prematura eliminazione di Novak Djokovic al Monte Carlo Masters 2016, questa settimana è stata la volta di Roger Federer. Nel suo primo torneo sulla terra dopo i quarti di finale a Monte Carlo, Federer è uscito al terzo turno degli Internazionali d’Italia per mano di Dominic Thiem.

Ogni giocatore può incappare in una giornata no, specialmente se di rientro da un infortunio. Ma quando succede ai migliori, diventa spesso fonte di preoccupazione.

E l’occasionale sconfitta a sorpresa di uno dei primi quattro giocatori è soggetta a un tale scrutinio che si è diffusa la convinzione secondo la quale i giocatori migliori sono più esposti alle eliminazioni nei primi turni. Se questo assunto sia supportato da dati statistici è esattamente l’oggetto di analisi nel Mito 11 di Analyzing Wimbledon di Klaassen e Magnus.

Mito 11: “I giocatori di vertice devono migliorarsi con l’avanzare del torneo”

Il concetto che richiamano i due autori con l’espressione “migliorarsi con l’avanzare del torneo” è relativo al fatto che i giocatori di vertice non giochino al meglio delle loro possibilità nei turni iniziali di un torneo. Una descrizione alternativa più diffusa di questo fenomeno fa riferimento alla “partenza lenta”. Curiosamente, al livello più alto del tennis giocato essere un “campione” e un giocatore che ”parte lentamente” spesso vanno di pari passo, almeno nella percezione comune.

Si può davvero affermare che i giocatori migliori usino i turni iniziali per scaldare i motori (o per prendersela intenzionalmente comoda)?

L’approccio di Klaassen e Magnus a questa domanda è stato quello di dire che – se è vero che i giocatori migliori sono anche quelli che partono lentamente – allora dovrebbe esserci riscontro tangibile di un effetto “turno” sulla prestazione, anche dopo aver tenuto conto della bravura dell’avversario. Per testare questa teoria, Klaassen e Magnus hanno analizzato il turno raggiunto nel campione a disposizione delle partite di Wimbledon. Hanno verificato se i giocatori con la classifica migliore abbiano minori probabilità di raggiungere il turno atteso, in funzione della loro classifica e della classifica dei loro avversari. Non hanno trovato alcuna evidenza del fatto che i giocatori o le giocatrici di vertice ottengano risultati inferiori nei primi turni del torneo.

È un risultato che contrasta con l’idea diffusa di “partenza lenta”. Come è possibile?

I due autori sostengono che: “Una spiegazione potrebbe essere che il livello di competitività del tennis professionistico non permette il lusso ai giocatori di vertice di prendersela comoda nei primi turni, cosa che effettivamente non fanno”.

Una rivisitazione del Mito 11

È ragionevole obiettare che i dati per il torneo di Wimbledon non offrano una fotografia completa della partenza lenta. Inoltre, l’utilizzo della classifica ufficiale come misurazione della bravura dei giocatori va sempre preso con beneficio del dubbio.

In riferimento alla prima problematica, ho analizzato il ruolo dello specifico turno sulla frequenza con cui si verificano sconfitte a sorpresa per tutte le partite del circuito maschile dal 2010 al 2015. In linea con quanto fatto da Klaassen e Magnus, ho considerato la differenza logaritmica nella classifica dei giocatori per tenere conto della bravura. Per tutti i risultati nei grafici, le vittorie si riferiscono al giocatore con la classifica migliore.

L’immagine 1 mostra la percentuale di vittorie per turno in funzione della classifica ufficiale, disposta sull’asse delle ascisse da sinistra verso destra dai turni iniziali fino alle fasi finali del torneo (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). Poiché sono percentuali che considerano l’elemento classifica, possiamo dire che identifichino la probabilità del giocatore con la classifica migliore di vincere una partita contro un’avversario di bravura comparabile. La teoria della partenza lenta dovrebbe prevedere una percentuale di vittoria inferiore all’inizio del torneo. Osserviamo però una tendenza opposta, con i giocatori migliori che ottengono risultati migliori già nei primi turni.

IMMAGINE 1 – Vittorie in funzione della classifica ufficiale, per singolo turno, per il giocatore con la classifica migliore, per il periodo 2010 – 2015

Non ci sono differenze nette da turno a turno

Non c’è una differenza netta da turno a turno (nella sostanza, il margine di errore si sovrappone lungo l’intervallo di analisi), ma si evidenza una chiara dinamica contraria al Mito 11. La spiegazione potrebbe essere in parte riconducibile alle peculiarità delle classifiche ufficiali? Per verificarlo, ho effettuato nuovamente l’analisi utilizzando però il sistema di valutazione Elo, uno strumento più sofisticato per misurare la bravura dei giocatori e le prestazioni attese.

È interessante notare come, una volta considerate le differenze di valutazione tra avversari, non c’è alcuno scostamento nella probabilità di vittoria da turno a turno, come mostrato nell’immagine 2. Questo risultato non solo conferma che la teoria della partenza lenta non riesce a gestire le sconfitte a sorpresa, ma anche che le classifiche ufficiali sottostimano la bravura dei giocatori con la classifica inferiore nei primi turni del torneo.

IMMAGINE 2 – Vittorie in funzione del sistema Elo, per singolo turno, per il giocatore con la classifica migliore, per il periodo 2010 – 2015

Partenze lente e vittorie di set

Una sconfitta a sorpresa rappresenta forse una misurazione eccessiva della partenza lenta per i giocatori più forti in circolazione. Questo sarebbe ancora più vero in presenza di giocatori di vertice che adottano la strategia di non premere a fondo l’acceleratore nei primi turni per conservare la forma migliore nelle fasi finali.

Per trovare evidenza di questo fatto, ho analizzato i punteggi di ogni set per turno giocato. Per considerare sia tornei al meglio dei tre set che al meglio dei cinque set, ho calcolato il differenziale di set nel punteggio rispetto al massimo numero possibile di set per una partita. Ad esempio, se il giocatore con la classifica migliore ha vinto una partita al meglio dei tre set al set decisivo, il risultato è 1/3.

Se il turno influisce sui set vinti, dovremmo attenderci un numero minore di set attesi nei primi turni di un torneo, dopo aver tenuto conto della bravura (usando il sistema Elo naturalmente!). Che risultato otteniamo?

L’immagine 3 mostra il numero aggiuntivo di set che un giocatore con la classifica migliore ci si attende vinca con un avversario di bravura comparabile in una partita al meglio dei cinque set. In media, si tratta di un set. Come per le vittorie delle partite, non c’è indicazione del fatto che i giocatori tendano a perdere un set nei primi turni più di quanto non lo facciano in qualsiasi altro momento del torneo.

IMMAGINE 3 – Differenziale di set in funzione del sistema Elo per il circuito maschile per il periodo 2010 – 2015

Diamo la colpa alla disponibilità euristica?

I risultati ottenuti supportano l’affermazione di Klaassen e Magnus che i giocatori di vertice non possono permettersi il lusso di “migliorarsi con l’avanzare del torneo”. Se così stanno effettivamente le cose, da dove arriva l’idea della partenza lenta per i giocatori di vertice? Una spiegazione è collegata con l’eccentrico meccanismo di funzionamento della nostra memoria, che tende a dimenticare gli eventi ordinari per mantenere invece un vivo ricordo di quelli fuori dall’ordinario.

Questo è un aspetto che può tornare utile in senso darwiniano, ma se pensiamo che gli eventi sono più frequenti perché ce li ricordiamo meglio, allora possiamo spesso sbagliarci. Siamo di fronte alla scorciatoia mentale che prende il nome di disponibilità euristica. Vi ricordate quando Djokovic ha perso un set contro Bjorn Fratangelo nel primo turno dell’Indian Wells Masters 2016? Io non l’ho dimenticato. Ricordate invece quanto ha vinto in due set contro Philipp Kohlschreiber nel turno successivo? Se fate fatica a ricordarvelo, siete di fronte alla disponibilità euristica in azione.

Anche se le partenze lente non sono un’epidemia tra i giocatori di vertice, non è nemmeno necessariamente vero che i giocatori migliori giochino ogni turno con la stessa intensità. Nel 2014 Benjiamin Morris di FiveThirtyEight ha scritto un eccellente articolo su come Serena Williams sia più dominante nei turni finali, rispetto ai primi turni. Un altro dei tanti modi in cui Williams è una giocatrice fuori dall’ordinario.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 11

I 22 miti del tennis di Klaassen & Magnus – Mito 10 (sulla misura della qualità)

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato l’8 maggio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Un’analisi del Mito 9.

Dopo due semifinali combattute, Andy Murray, numero 2 della classifica, deve difendere il titolo al Madrid Masters nella finale del 2016 contro il numero 1, Novak Djokovic. La presenza dei primi due giocatori del mondo in finale fa pensare di poter assistere a una partita di qualità, nonostante Djokovic sia largamente favorito (Djokovic ha infatti poi vinto con il punteggio di 6-2 3-6 6-3, n.d.t.).

Quali indicazioni fornisce la differenza di una posizione in classifica rispetto alla qualità attesa di una partita? C’erano cinque posizioni di differenza nella semifinale tra Djokovic e il numero 6 Kei Nishikori, solamente 3 tra Murray e Rafael Nadal. Sarebbe stato giusto aspettarsi, sulla base di questa sola informazione, una partita più equilibrata tra Murray e Nadal rispetto all’altra semifinale?

L’elemento centrale di queste domande riguarda la capacità della classifica di un giocatore di fornire informazioni relativamente alla sua bravura e come la qualità si comporti all’aumentare della classifica. Questo è anche l’oggetto di analisi del Mito 10 dei 22 miti del tennis di Klaassen e Magnus.

Mito 10: “La qualità è una piramide”

Il Mito 10 si discosta leggermente dagli altri miti di Analyzing Wimbledon. Mentre quest’ultimi infatti sottopongono assiomi ben conosciuti del tennis alle forche caudine dell’analisi statistica, l’idea che la qualità sia una piramide è un affermazione che probabilmente non si è mai sentita prima.

Dove vogliono arrivare esattamente Klaassen e Magnus?

IMMAGINE 1 – Forme rappresentative della qualità in funzione dei punti della classifica

Ipotizziamo di utilizzare i punti della classifica come unità di misura della qualità. Per vedere la “piramide”, partiamo dalla cima della scala in cui i pioli sono rappresentati dai punti in classifica – dove si trova attualmente Djokovic con 15.550 punti – e scendiamo con con intervalli uguali equivalenti a 500 punti, contando il numero di giocatori la cui valutazione in termini di qualità ricade all’interno dell’attuale “gradone” di suddivisione dato dai punti in classifica. Scendendo, il numero di giocatori è inizialmente ridotto, per aumentare poi nelle posizioni più basse in classifica. Se dovessimo rappresentare l’altezza dei gradoni attraverso i punti della classifica e la loro grandezza attraverso il numero di giocatori, troveremmo – sostengono Klaassen e Magnus – una forma a piramide come quella a sinistra nell’immagine 1.

La qualità non segue la classifica in modo lineare

La piramide mette in evidenza un elemento chiave, cioè che la qualità non segue la classifica di un giocatore in modo lineare. Se ci fosse un rapporto lineare, vorrebbe dire che alla stessa differenza di classifica corrisponderebbe una medesima differenza nella qualità dei giocatori. Djokovic e Marin Cilic al momento sono separati da 10 posizioni in classifica. In presenza di un rapporto lineare, la differenza di qualità tra Djokovic e Cilic equivarrebbe alla differenza tra il 100esimo giocatore (al momento Albert Montanes) e il 111esimo (al momento Yuichi Sugita). Nella realtà, anziché rimanere equivalenti, le differenze nella qualità dei giocatori si riducono al diminuire della classifica.

Una volta illustrata la non linearità, i due autori discutono una modifica al sistema di classifica in modo da associarlo linearmente alla qualità. Quale è il motivo di tale ricerca? Gli statistici amano muoversi su linee dritte e Klaassen e Magnus volevano trovare una modalità di valutazione qualitativa che avesse una relazione lineare con la probabilità di vincere un punto al servizio. Hanno introdotto quindi la modifica “turno atteso”, che è semplicemente il logaritmo su base 2 delle differenze di classifica tra due avversari. Suona complicato, ma è sensato se si riflette sul fatto che i tornei di tennis sono strutturati in modo tale da eliminare a ogni turno metà dei giocatori dalla classifica più bassa.

Una rivisitazione del Mito 10

Una delle risultanze della discussione di Klaassen e Magnus sulla “qualità come piramide” è la possibilità di acquisire informazioni sull’estensione del livello di bravura del circuito attraverso la forma che assume il rapporto tra punti in classifica e numero di giocatori classificati.

Ad esempio, se si mette a confronto la piramide con la forma rettangolare nell’immagine 1, la piramide è evidenza di un livello di bravura meno esteso, come in periodi di dominio da parte di un ristretto gruppo di giocatori con la qualità che diminuisce in modo netto nelle posizioni più basse della classifica. La forma rettangolare rappresenta l’altro estremo, nel quale nessun giocatore è in grado di dominare ma per ogni livello di qualità vi è un gruppo numeroso di giocatori abbastanza vicini tra loro.

Un bicchiere di vino rovesciato

È un modo insolito di considerare i punti della classifica, ma aiuta ad approfondire la conoscenza sul livello di bravura del circuito. Il grafico dell’immagine 2 mette in relazione i punti della classifica con la grandezza del campione di giocatori per intervalli di 500 punti (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). Si nota come, attualmente, il rapporto tra qualità e classifica è ancora più estremo di una piramide. Il divario creato da Djokovic e gli altri giocatori di vertice è tale per cui la forma della curva è più simile a un bicchiere di vino rovesciato di quanto non lo sia a una piramide.

IMMAGINE 2 – Rappresentazione dei punti in classifica dell’attuale classifica ATP

Il grafico dell’immagine 2 conteggia il numero di giocatori che rientrano in sezioni della classifica parimenti suddivise. Se si mettono invece in relazione diretta i punti della classifica con i giocatori classificati, si ottiene una curva più somigliante a una funzione più comunemente nota. L’immagine 3 mostra la relazione tra i primi 500 della classifica attuale e i primi 500 della classifica 2001, quando Gustavo Kuerten era il numero 1. La ripida inclinazione a cui si assiste muovendosi da sinistra verso destra sull’asse delle ascisse (dal giocatore con la classifica più alta a quello con la più bassa) e la lunga coda sulla destra determinano la forma caratteristica della distribuzione della legge di potenza.

IMMAGINE 3 – Legge di Potenza di punti della classifica e classifica

Legge di potenza

La legge di potenza si manifesta quando un cambiamento relativo di una quantità è proporzionalmente correlato a un cambiamento relativo in una variabile esplicativa. Nel caso di qualità e classifica, questo si traduce nell’equazione

Qualità = α(Classifica)−θ

che fornisce una buona approssimazione del rapporto tra qualità e classifica. A questo proposito, i sistemi di classificazione nello sport non sono speciali rispetto ad altri contesti. La legge di potenza in realtà è una delle più diffuse relazioni matematiche osservate in natura e possiede caratteristiche che sembrano adattarsi a qualsiasi tipo di relazione, dall’intensità dei terremoti alla distribuzione del reddito.

Estensione del livello di bravura o piramidalità

Aver individuato la legge di potenza permette di provare a determinare l’estensione del livello di bravura o “piramidalità” del circuito in qualsiasi periodo. Utilizzando il grafico logaritmo-logaritmo, la legge di potenza è lo strumento per ottenere l’agognata relazione lineare tra qualità e classifica. In questo caso l’inclinazione fornisce l’esponente (identificato con θ), che corrisponde all’estensione del livello di bravura del circuito.
Considerando che il 2001 è stata una fase del recente passato rappresentativa di una sorta di periodo di transizione – la fine dell’era Pete Sampras / Andre Agassi e appena precedente l’ascesa di Roger Federer nella storia dello sport – ci si può attendere che sia un buon test rispetto agli anni in cui il circuito è stato dominato da un numero ridotto di giocatori. L’immagine 4 mostra la versione logaritmo-logaritmo della relazione tra la legge di potenza del 2001 e del 2016. Si osserva un’inclinazione più ripida per il 2016, specialmente tra i giocatori di vertice, contro una curva quasi piatta per il 2001.

IMMAGINE 4 – Rappresentazione Logaritmo-Logaritmo di punti della classifica e classifica

Quindi, forse, la qualità viene descritta meglio da una legge di potenza che da una piramide.

La misurazione della qualità

Nel corso dell’analisi, ho utilizzato i punti della classifica come misura della qualità. Si potrebbe però dare vita a una discussione di tutt’altro tipo (e molto più lunga) sui problemi associati all’uso dei punti o delle posizioni in classifica come misura della bravura di un giocatore e sulle diverse opzioni meglio adatte all’obiettivo (nemmeno la nuova ATP Stats Leaderboards è una soluzione). Ad ogni modo, sia con una misurazione della bravura data da una semplice percentuale di partite vinte in una stagione o con un sistema più complesso come quello delle valutazioni Elo, la natura del tennis – di selezione della specie – suggerisce che la legge di potenza continuerà ad avere un ruolo predominante.

Klaassen & Magnus’s 22 Myths of Tennis— Myth 10