A Djokovic servono solo più partite?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 25 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Di fronte alla sconfitta di Novak Djokovic al primo turno del torneo di Barcellona 2018, in molti si sono chiesti cosa possa fare per tornare al massimo livello di forma. Dopo un 2017 tortuoso e pesantemente condizionato dagli infortuni, Djokovic ha dato pochi segnali che suggeriscano per la stagione in corso un andamento opposto.

Dall’inizio dell’anno, ha perso al primo turno in tre dei soli cinque tornei giocati. Il suo record di vittorie e sconfitte è esattamente del 50% e serve tornare fino al 2006 per trovare numeri di questa natura. Senza dubbio uno shock per un giocatore che solamente tre anni fa sembrava intoccabile.

Se però consideriamo i giocatori di rientro da un infortunio, quanto dobbiamo rimanere veramente sorpresi da un periodo così lungo di risultati negativi?

Dal 1990, ci sono stati 82 esempi di giocatori del livello di Djokovic (cioè giocatori con una valutazione Elo di almeno 2000 punti) attivi sul circuito per otto settimane dopo aver giocato solo sei settimane nei precedenti sei mesi, un’indicazione abbastanza affidabile di rientro da infortunio.

Cosa emerge dal confronto tra la percentuale di vittoria nel periodo di rientro di quei giocatori e quella di Djokovic?

L’immagine 1 mostra la percentuale di vittoria di ciascun giocatore del campione nei sei mesi di rientro sul circuito. Solo otto su 82 (il 10%) ha una percentuale non superiore a quella di Djokovic, tra cui gli alti e bassi di Patrick Rafter nel 2000, Lleyton Hewitt nel 2009 e Marin Cilic nel 2015 (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

IMMAGINE 1 – Percentuale di vittoria dei giocatori del campione nei sei mesi di rientro sul circuito

Anche se le difficoltà incontrate da Djokovic non sono del tutto nuove per un giocatore del suo talento, lo pongono comunque, negli ultimi trent’anni, nel 10% inferiore di quei giocatori in rientro da un infortunio.

Quale speranza esiste che Djokovic possa riuscire a invertire la situazione in cui si trova?

Se osserviamo gli 82 giocatori considerati sei mesi dopo dalle prime sei settimane di gioco a partire dal loro rientro (il caso cioè di Djokovic, al momento), troviamo che il 58% ha migliorato la percentuale di vittoria rispetto a quella delle sei settimane.

Sono però i giocatori che hanno giocato più settimane in quei sei mesi a essersi migliorati in misura ben maggiore. Di quelli che hanno giocato dalle 15 alle 19 settimane, il 76% ha migliorato rispetto al record di sei settimane. Di quelli che invece hanno giocato almeno 20 settimane, la percentuale è stata dell’86%.

IMMAGINE 2 – Variazione della percentuale di vittoria dai primi sei mesi ai successivi sei mesi dopo il rientro sul circuito

Giocare più settimane non è sempre necessariamente motivo di una prestazione migliore, perché sono gli stessi giocatori più in forma e più vincenti quelli a giocare più tornei.

L’accostamento suggerisce comunque che Djokovic abbia fatto bene ad accettare la wild card a Barcellona, pur avendo perso immediatamente.

Più scelte di questo tipo nei mesi a venire potranno servire a Djokovic per ribaltare a suo favore il pronostico di un ritorno ai massimi livelli.

Does Novak Just Need More Match Play?

Il metodo dell’equivalenza tra circuiti

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 9 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Qual è il divario tra il circuito maggiore dell’ATP – il massimo livello professionistico del tennis maschile – e il circuito Challenger, che invece rappresenta i ranghi inferiori?

Ci sono giocatori che accumulano vittorie in tornei di quest’ultimo ma fanno fatica a trasformare quel successo in partite vinte sul circuito maggiore, mentre altri non riescono ad adattarsi facilmente al ritmo serrato imposto settimanalmente dai Challenger per poi invece risplendere su palcoscenici più importanti quando ne hanno opportunità.

Una misurazione della differenza di livello

Prendiamo in esame un metodo che misuri la differenza tra il livello di bravura dei due circuiti. Una volta in grado di traslare in modo equivalente statistiche da un livello all’altro rendendoli comparabili, possiamo identificare quei giocatori con un rendimento molto superiore o molto inferiore alle attese quando hanno la possibilità di confrontarsi con i migliori in assoluto.

L’algoritmo che utilizzerò è praticamente identico a quello a cui gli analisti di baseball si sono rivolti per decenni nel determinare l’equivalenza tra circuiti.

Ad esempio, si può calcolare che una media battuta di .300 nella Tripla-A (la più forte tra le leghe minori) corrisponda a una media battuta di .280 nella MLB, il massimo livello professionistico del baseball maschile, per cui se un giocatore batte con .300 nella Tripla-A, ci si aspetta che batta con .280 nella MLB.

Cosa attendersi nello spostamento da un livello all’altro

Per tornare al tennis, può essere che una frequenza del 10% di ace nei Challenger equivalga a una dell’8% nel circuito maggiore. Non tutti i giocatori mostreranno un calo di rendimento così puntuale – anzi, per alcuni sembrerà esserci pure un miglioramento – ma, in media, l’equivalenza tra circuiti indica cosa attendersi quando un giocatore si sposta da un livello all’altro.

Questo è l’algoritmo per le equivalenze tra circuiti applicato al tennis maschile:

  1. Si sceglie una statistica su cui concentrare l’attenzione. Io userò i punti vinti totali (Total Points Won o TPW);
  2. Si cerca di neutralizzare la statistica come meglio possibile. Nel baseball, ciò significa controllare per le differenze che ci sono tra i vari terreni di gioco; nel tennis, significa controllare per la competizione data dagli avversari. Ai fini di quest’articolo, ho corretto per la bravura degli avversari di ciascun giocatore attraverso un metodo che ho descritto lo scorso anno. Per la maggior parte dei giocatori i numeri rimangono sostanzialmente uguali dopo il correttivo, ma un tabellone particolarmente facile o difficile comporta una variazione più ampia. Ad esempio, Denis Shapovalov ha ottenuto un TPW del 49.8% sul circuito maggiore nel 2017 ma, vista la forza degli avversari che si è trovato contro, il correttivo lo fa salire a 52.1%, che gli vale la 18esima posizione tra i giocatori che regolarmente fanno parte del circuito;
  3. Si identificano i giocatori attivi su entrambi i circuiti e si trovano le loro statistiche corrette relative a ciascun livello. Nel 2017, Shapovalov ha giocato 18 partite sul circuito maggiore e 30 sul circuito Challenger, con valori TPW aggiustati rispettivamente di 52.1% e 54.4%;
  4. Per ciascun giocatore, si calcola il rapporto tra i due valori. Per Shapovalov nel 2017 è stato di 1.044 (54.4 / 52.1);
  5. Per ogni giocatore si ottiene infine una media ponderata del rapporto in questione. La ponderazione è data dal minimo numero di partite giocate tra i due circuiti, diciotto nel caso di Shapovalov. In questo modo possono essere inclusi anche giocatori come Gleb Sakharov (1 partita sul circuito maggiore, 37 partite sul circuito Challenger), con effetti marginali sul risultato finale.

La tabella elenca i risultati per le ultime sei stagioni complete. Ciascun indice è la relazione tra il TPW a livello di circuito Challenger e il TPW a livello di circuito maggiore.

Anno   Indice  
2017   1.086  
2016   1.086  
2015   1.098  
2014   1.103  
2013   1.100  
2012   1.100

La media di questi fattori di equivalenza annuali corrisponde circa alla differenza tra un TPW del 52.5% a livello di Challenger e un 48.0% a livello di circuito maggiore.

Il cambiamento tra il 2012-15 e il 2016-17 può essere dovuto agli infortuni che hanno messo fuori uso i più forti. Con meno giocatori al vertice in campo, la differenza tra i due circuiti si riduce.

Giocatori che si muovono in controtendenza

Ora che siamo a conoscenza della differenza tra livelli, possiamo cercare quei giocatori che si muovono in controtendenza.

La tabella elenca i 20 giocatori con gli indici più bassi tra i 100 con il maggior numero di partite “accoppiate”, vale a dire con più partite su entrambi i circuiti nello stesso anno.

Indici inferiori significano una differenza di rendimento più ridotta tra i due livelli: quindi, o questi giocatori stanno ottenendo prestazioni superiori nel circuito maggiore, o prestazioni inferiori nel circuito Challenger.

Giocatore   P ATP  P CH  P Min  Indice  
Ebden       62     140   39     0.982  
Donaldson   68     78    37     1.030  
Sock        81     45    38     1.039  
Duckworth   53     156   53     1.042  
Rublev      56     79    42     1.047  
Pospisil    96     76    60     1.047  
De Bakker   48     87    44     1.048  
Groth       84     133   58     1.049  
Berrer      59     107   56     1.050  
Bemelmans   41     178   41     1.052  
Brown       120    173   111    1.055  
Paire       295    53    53     1.059  
Gojowczyk   46     132   44     1.059  
Russell     58     78    58     1.061  
Copil       58     180   58     1.063  
Fritz       59     44    41     1.065  
Thompson    38     88    38     1.066  
Marchenko   56     116   37     1.066  
Ito         65     179   65     1.066  
Harrison    124    84    59     1.068

Le colonne centrali mostrano il numero totale di partite sul circuito maggiore, sul circuito Challenger e di partite “accoppiate” tra il 2012 e il 2017 (“P Min”, che indica quanti dati ci fossero a disposizione per i calcoli relativi a ciascun giocatore).

Pochi elementi in comune

A parte alcuni nordamericani che dominano al servizio e che si trovano in cima all’elenco, non emergono evidenti caratteristiche che accomunino questi giocatori.

Ci sono giovanissimi, veterani, più dominatori al servizio, ma niente di così ovvio (Shapovalov non ha giocato sufficienti partite “accoppiate” per rientrare nel computo, ma il suo indice complessivo è 1.035, che lo posizionerebbe al terzo posto dell’elenco).

La tabella che segue riporta invece l’elenco opposto, cioè il quintile di 20 giocatori con prestazioni superiori nel circuito Challenger o prestazioni inferiori nel circuito maggiore.

Giocatore    P ATP  P CH  P Min  Indice  
Mayer        152    45    45     1.180  
Youzhny      91     38    38     1.169  
Bedene       144    121   80     1.160  
Volandri     62     101   62     1.158  
Haase        194    71    71     1.157  
Kamke        102    144   73     1.155  
Mannarino    234    115   86     1.155  
Krajinovic   36     167   36     1.148  
Ramos        111    67    62     1.144  
Mathieu      147    96    82     1.141  
De Schepper  77     196   77     1.140  
Bagnis       45     197   45     1.136  
Cuevas       127    52    43     1.136  
Dodig        76     48    41     1.135  
Giraldo      146    70    56     1.135  
Lorenzi      204    191   124    1.135  
Bellucci     162    44    44     1.134  
Montanes     113    109   70     1.130  
Dutra Silva  57     210   57     1.130  
Lacko        122    181  108     1.129

Troviamo, rispetto all’elenco precedente, più specialisti della terra battuta e, nelle prime posizioni, veterani che hanno ottimamente figurato nel circuito Challenger pur facendo fatica a mantenere una presenza nel circuito principale.

Ho dovuto eliminare un giocatore che altrimenti farebbe parte dell’elenco, cioè Gilles Muller che ha frantumato l’algoritmo con una stagione Challenger nel 2014 di 45 vittorie e 9 sconfitte.

Quando l’ho escluso dai calcoli per il 2014, i numeri totali sono cambiati di poco, ma Muller non è più in elenco. Quale sia il suo indice con precisione non ha troppa importanza, perché posso assicurare che il suo rendimento a livello di circuito maggiore non è stato alla pari di quella stagione vincente nei tornei Challenger.

Variazione ridotta tra giocatori

La parte bassa di entrambi gli elenchi indica che non esiste molta variazione tra i giocatori. Il 60% centrale dei giocatori possiede un indice con valore tra l’1.07 e l’1.13, mentre le medie annuali si aggirano intorno all’1.09 e l’1.10.

Alcuni dei giocatori analizzati hanno meno di 50 partite “accoppiate” nelle sei stagioni considerate, quindi la differenza di un paio di centesimi è troppo ridotta per trarre conclusioni definitive.

Oltre a suggerire quale scenario si prospetti per i giocatori quando salgono dal circuito Challenger a quello maggiore, è un algoritmo il cui ragionamento è applicabile ad altre coppie di livelli, come ad esempio i Future ITF e i Challenger, o i Future ITF femminili e il circuito maggiore femminile. Può anche essere usato per mettere a confronto livelli ancora più ravvicinati, come i tornei ITF $10.000 e gli ITF $15.000, o i 250 e i 500.

L’equivalenza tra circuiti è un metodo basilare nell’analisi statistica di altri sport, ma possiede il suo posto anche nel tennis.

Translating ATP Statistics Across Main Tour and Challenger Levels

Un nuovo livello di efficienza per Nadal

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 25 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Nel suo primo torneo sulla terra battuta del 2018, Rafael Nadal ha creato le condizioni per una delle stagioni più efficienti su questa superficie.

Dopo più di dieci settimane lontano dal ritmo serrato del calendario, vincendo per l’undicesima volta il Monte Carlo Masters Nadal è certamente rientrato con il botto.

I risultati ottenuti nelle cinque partite a Monte Carlo hanno demolito qualsiasi perplessità si fosse nutrita nei confronti dello stato di forma di Nadal all’avvio del torneo. Non ha mai perso un set, nemmeno contro Dominic Thiem, l’unico ad averlo battuto sulla terra rossa nel 2017.

Dal trionfo al Roland Garros 2017, Nadal è ora in striscia vincente di 31 set sulla terra (37 se si considerano anche le due vittorie in Coppa Davis del 2018). È di per sé una statistica impressionante, ma se analizza il suo predominio nel vincere singoli game, la questione si fa ancora più interessante.

Sulla terra, nei tornei al meglio dei tre set Nadal ha storicamente giocato una media di 9 game per set. Nell’unico giocato sinora, ha abbassato quel valore a 8 game per set, mostrando un livello di efficienza nella partita e nel singolo set mai visto prima.

IMMAGINE 1 – Andamento nei game giocati per set da Nadal nelle partite al meglio dei tre set sulla terra battuta

In termini di minuti effettivi, Nadal è in linea con il ritmo per game mostrato lo scorso anno, impiegando poco più di cinque minuti a completarne uno.

Al minimo storico nel tempo trascorso in campo

Sebbene non sia la sua velocità più alta (raggiunta invece nel 2013 con una media di 4.7 minuti a game), con meno set e game giocati si posiziona sul suo minimo storico per tempo trascorso in campo. A Nadal servono infatti in media 84 minuti a partita, la quantità inferiore dal 2005 (primo anno in cui è entrato nel tabellone principale del Roland Garros).

IMMAGINE 2 – Andamento nei minuti giocati da Nadal nelle partite al meglio dei tre set sulla terra battuta

Questi segnali di nuova efficienza per Nadal sono rilevanti non solo perché è notoriamente uno dei giocatori più lenti sul circuito, ma soprattutto per i possibili benefici in termini di longevità.

Per tre anni consecutivi, infortuni di varia natura hanno tenuto a lungo Nadal lontano dal circuito. Raggiunta quest’anzianità di carriera, la capacità di rimanere competitivo dipende fondamentalmente da quanto è in grado di ridurre il tempo trascorso in campo. E se modificare il gioco da fondo non è contemplato (come indica il numero di minuti per game), può riuscirci solo perdendo meno game possibili.

Per il momento sembra che abbia raggiunto lo scopo, ma quanto potrà andare avanti dipende dai motivi alla base del suo attuale predominio. Ha cambiato in qualche modo strategia di gioco per annientare gli avversari con ancora più ferocia del passato? O, più semplicemente, gli avversari sono meno forti?

Cercare una risposta a queste domande e osservare come l’efficienza di Nadal evolverà nelle settimane a venire potrebbero rendere la stagione 2018 sulla terra davvero intrigante.

In His Return, Nadal is Making Every Minute Count

Divertente aneddotica dall’Irving Challenger

di Chapel Heel // FirstBallIn

Pubblicato il 19 marzo 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Durante l’emozionante settimana conclusiva di gioco a Indian Wells, Irving, nello stato americano del Texas, ha ospitato un torneo di livello Challenger. Ci sono alcuni spunti interessanti da evidenziare, probabilmente sfuggiti a chi non segue questi tornei da vicino.

Quasi come un 250 ATP?

Assegnando 125 punti validi per la classifica ATP, Irving rientra nel livello più alto del circuito Challenger. Per fare un confronto, il vincitore di questo tipo di Challenger ottiene quasi gli stessi punti del finalista di un ATP 250.

Forse ancora più significativo, almeno in termini di punti, vincere un Challenger come Irving è meglio che perdere nei sedicesimi di finale dell’Indian Wells Masters.

Metà dei giocatori in tabellone a Irving hanno giocato a Indian Wells nella prima settimana. Se Evgeny Donskoy non si fosse ritirato a Irving per un problema alla spalla, si sarebbe raggiunto il 51%.

La vittoria è andata a Mikhail Kukushkin, che aveva perso in precedenza al primo turno di Indian Wells. In due settimane di gioco sono arrivati per lui 135 punti classifica, equivalenti a metà circa tra quelli assegnati da una sconfitta nei sedicesimi di Indian Wells e una nei quarti.

Ha vinto anche 46 mila dollari di premi partita, cioè gli stessi che avrebbe guadagnato perdendo al terzo turno di Indian Wells. Non male quindi per lui (Kukushkin era arrivato in finale a Irving anche lo scorso anno).

L’altro finalista a Irving è stato Matteo Berrettini, entrato nel tabellone principale dell’Indian Wells Masters come lucky loser in sostituzione di Nick Kyrgios. Questo ha significato un bye al primo turno e un secondo turno contro Daniil Medvedev, dal quale ha perso in tre set.

Sono 100 punti totali tra i due tornei e circa 37 mila dollari di premi. Una settimana da ricordare per Berrettini, con tredici posizioni scalate in classifica e con un guadagno di circa il 20% di quanto ottenuto fino a quel momento in carriera.

Il numero 40 del mondo all’inizio del torneo, Yuichi Sugita, era la testa di serie numero uno a Irving. L’ultima testa di serie era invece Thomas Fabbiano, numero 77.

Se prendiamo il torneo di Drummondville, giocato nella stessa settimana ma al livello più basso del circuito Challenger, la testa di serie più alta era il numero 75 Vasek Pospisil (che si è qualificato per Indian Wells perdendo al primo turno da Felix Auger Aliassime), e l’ottava testa di serie il numero 202 della classifica Brayden Schnur.

Prima di concludere che l’Irving Challenger è quasi al livello di un ATP 250, va detto che la classifica più bassa di una testa di serie numero uno in un torneo 250 quest’anno è stata la 23esima posizione a Sydney.

Ci sono stati però due 250 con una classifica più bassa della testa di serie numero otto rispetto a Irving (Pune, 81esima posizione e Quito, 95esima). La classifica media delle teste di serie Irving (62.6) rimane comunque più bassa di qualsiasi ATP 250 (Quito è il più vicino con 57.3).

Dei 32 giocatori in tabellone a Irving, 10 erano sostituti e solo 7 non rientravano nel gruppo formato da teste di serie, sostituti, wild card, qualificati o lucky loser. Kukushkin era uno di questi sette.

Volatilità del campo partecipanti

È probabile che l’alto numero di sostituti sia dovuto al fatto che Irving è un Challenger di livello massimo durante un torneo di due settimane del circuito maggiore, aspetto che conferisce volatilità al campo partecipanti.

Si potrebbe cercare di capire se sia effettivamente un fenomeno insolito ma, basandosi solo sulle edizioni 2016 e 2017 di Irving, non sembra che lo sia. Così come quest’anno, anche negli ultimi due anni è stato un Challenger di livello massimo giocato durante la seconda settimana di Indian Wells. Nel 2017 ci sono stati 7 sostituti – comunque un numero importante – e 9 nel 2016.

L’Irving Challenger può rappresentare un ottimo approdo nel mese di marzo per quei giocatori tra i primi 100 che riescono a entrare nel tabellone principale di Indian Wells ma non hanno ambizioni di giocare nella seconda settimana.

Possono trasferirsi a Irving e provare a raccogliere punti e premi partita sempre estremamente preziosi in questa fascia di classifica.

Viene da chiedersi come un giocatore come Pospisil, che si è qualificato a Indian Wells e ha perso in tempo per giocare anche a Irving, abbia scelto invece di andare a Drummondville, che assegna 80 punti al vincitore e dove ha poi perso in semifinale, prendendo solo 29 punti.

Si può pensare che un giocatore decida ragionevolmente che affrontare avversari più deboli in un Challenger di livello più basso offra maggiore possibilità di vittoria che trovarsi contro giocatori molto più competitivi in un Challenger di livello massimo. Nel caso di Pospisil, è più probabile che abbia giocato a Drummondville perché si trova in Canada, il suo paese di origine.

Per concludere, altri due aneddoti divertenti sull’Irving Challenger. Philipp Petzschner ha giocato in singolare grazie a una wild card. Ma Irving è anche il torneo in cui ha giocato l’ultima partita due anni fa. Al momento non possiede quindi una classifica di singolare.

Or Ram Harel si è qualificato per il tabellone principale di Irving ma ha perso al primo turno da un altro qualificato. Ha però guadagnato 44 punti e raggiunto il massimo in carriera al numero 679. È un nome che non sarà facile da cercare nei database di statistiche di tennis.

Fun Facts About the Irving Challenger

Nadal si appresta a diventare il re della terra battuta anche nel 2018

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 14 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Alla vigilia del Monte Carlo Masters 2018, per la prima volta dal 2014 Rafael Nadal è in cima alle valutazioni Elo specifiche per la terra battuta.

Rientrato solo recentemente alle competizioni dopo una pausa per curare l’infortunio al ginocchio che lo affligge ormai da tempo, in molti si chiedono se quest’anno Nadal abbia i numeri per collezionare titoli sulla terra alla sua solita maniera.

Nella vittoria della Spagna contro la Germania in Coppa Davis è apparso all’apice della forma, ma due partite sono solo una minima parte dello sforzo richiesto per difendere il titolo al Roland Garros e aggiudicarsi qualche torneo Master 1000 di preparazione a Parigi.

Rispetto all’anno scorso, Nadal ha giocato molto meno, ma il 2017 è per certi versi il migliore indicatore del programma che seguirà nelle prossime settimane, visto che anche in quel caso rientrava da un infortunio e si presentava sulla terra senza aver vinto un torneo importante.

Gli avversari che Nadal affronterà

E, come nel 2017, un elemento preponderante nello stabilire se Nadal potrà essere chiamato per un altro anno ‘Il re della terra’ è l’insieme degli avversari che troverà sulla sua strada.

Con Roger Federer che ha deciso nuovamente di non giocare tornei sulla terra e con l’incertezza sulle condizioni di Novak Djokovic e Andy Murray, Nadal potrebbe dover affrontare lo stesso tipo di giocatori – tra quelli al vertice della classifica – contro cui ha giocato nel 2017.

Anzi, un’analisi più specifica lascia intendere che il 2018 dovrebbe essere ancora più roseo.

Se prendiamo l’andamento della sua valutazione specifica Elo sulla terra prima del torneo di Monte Carlo, come mostrato nel grafico di destra dell’immagine 1 (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.), possiamo osservare che Nadal sembra aver raggiunto e superato il massimo storico.

Dal 2005 al 2014 la sua parabola è stata in continua ascesa, migliorando la forma quasi in ogni anno. Nel 2014, è arrivato a una rimarchevole valutazione di +2467, la più alta di sempre per lui in quella porzione di calendario.

IMMAGINE 1 – Andamento della valutazione Elo di Nadal specifica per la terra battuta prima del Monte Carlo Masters 2018

Ma non poteva durare per sempre, specialmente con gli infortuni che hanno caratterizzato tutta la carriera di Nadal e con la presenza di un rivale così forte come Djokovic negli anni dal 2011 al 2016.

Dal 2015, lo stato di forma di Nadal ha iniziato a diminuire segnando la variazione negativa più ampia tra il 2015 e il 2016, quando, dovendosi ritirare prima del terzo turno, per lui si è trattato del peggior risultato al Roland Garros di sempre.

Il 2017 ha portato con sé una nuova prospettiva nel tennis maschile, quella in cui Nadal non ha più bisogno di essere al massimo della condizione per dominare sulla terra.

L’anno scorso infatti – pur avendo all’inizio della stagione sulla terra una valutazione pari al 92% di quella più alta mai raggiunta – Nadal ha comunque vinto 24 partite su 25, due titoli Masters e il decimo Roland Garros.

Nel 2018 il primato Elo sulla terra battuta

Alla luce di queste statistiche, il 2018 si presenta ancora più favorevole: non solo Nadal arriva a Monte Carlo con una valutazione dell’1% superiore a quella del 2017, ma appunto si riprende il primato Elo sulla terra per la prima volta dal 2014.

Pur in presenza di numeri che segnalano con forza una ripetizione del 2017 da parte di Nadal, l’andamento della sua valutazione Elo apre comunque a scenari dal fascino dell’inedito e dell’ignoto.

Ad esempio, che tipo di impatto avrà su Nadal l’essere “al di sotto della sua massima condizione”? L’attitudine da perfezionista lo renderà più vulnerabile di quanto la valutazione Elo non suggerisca?

E come si comporteranno i giocatori più giovani come Dominic Thiem e Alexander Zverev che stanno consolidando il loro rendimento sulla terra? Riusciranno a sfruttare il momento positivo per dei risultati importanti?

Anche all’avvio di una stagione sulla terra che seguirà probabilmente le stesse dinamiche del 2017, queste incertezze promettono almeno di non dare tutto per scontato nelle prossime settimane.

Nadal Set for a 2017 Clay Season Repeat

Strisce negative dei Fantastici Quattro

di Peter Wetz // TennisAbstract

Pubblicato il 12 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

La sconfitta di Novak Djokovic contro Benoit Paire al Miami Masters 2018 ha suscitato parecchie perplessità. Non solo il saldo degli scontri diretti di Paire è tornato in pareggio – e, con Hyeon Chung, è ora il solo giocatore in attività ad avere un record alla pari; ci sono poi quattro giocatori in attività con record positivo nei confronti di Djokovic – ma si è trattato anche della terza sconfitta consecutiva per Djokovic.

Djokovic ha reagito immediatamente, chiudendo la collaborazione con gli allenatori Andre Agassi e Radek Stepanek (quest’ultima più occasionale) dopo pochi mesi di lavoro insieme.

Un evento raro

Una striscia negativa di questa lunghezza per un giocatore abituato a dominare in quel modo deve essere un evento raro. Ho provato quindi a cercare situazioni simili occorse in passato ai membri dei giocatori che vengono definiti Fantastici Quattro (Djokovic, Roger Federer, Rafael Nadal, Andy Murray).

La tabella mostra, dalla più recente, le strisce negative di almeno tre partite di ognuno di essi dopo che sono entrati tra i primi 10 della classifica mondiale.

L’ultima colonna (Probabilità) indica la probabilità secondo il sistema di valutazione Elo che si verifichi quel tipo di striscia negativa, calcolata semplicemente come il prodotto tra le probabilità di perdere ciascuna partita della striscia.

Giocatore  Inizio     Fine   Durata  Probabilità
Djokovic   15.01.18   *      3 mesi  0.002%  (0.027%**)
Murray	   11.01.17   23.03  4 mesi  0.02%
Murray	   11.03.10   11.04  3 mesi  0.63%
Nadal	   08.11.09   22.11  4 mesi  1.89%
Djokovic   15.10.07   12.11  5 mesi  0.07%
Federer	   08.07.02   19.08  4 mesi  0.66%

* Striscia in corso

** Probabilità Elo corretta per assenza dal circuito

Da agosto 2002, Federer non ha mai perso più di due partite di fila. Anche la sua striscia di quattro sconfitte è la seconda più probabile considerato il livello degli avversari contro cui ha giocato. A novembre 2009, Nadal ha perso quattro partite di fila, ma con una probabilità molto più alta di quella delle altre strisce prese in esame. Questo perché ha giocato tre di quelle partite nelle Finali di stagione, aumentando la probabilità che risultassero in una sconfitta.

Un numero che colpisce è la probabilità della striscia corrente di Djokovic, cioè lo 0.002%. Si basa però sulle valutazioni Elo classiche, che non tengono conto dell’assenza del giocatore dal circuito, ad esempio per infortunio. Djokovic è infatti rimasto fermo la scorsa stagione per sei mesi per un problema alla spalla.

C’è la possibilità di adattare le valutazioni Elo per quei giocatori o giocatrici che rientrano sul circuito dopo una lunga interruzione. Nel caso di Maria Sharapova, rimasta lontano dalle competizioni per 15 mesi, un riduzione di 200 punti per le prime cinque partite successive al rientro rifletteva con più precisione il suo stato di forma che ipotizzare avesse mantenuto il livello di competitività al momento della squalifica.

Per Djokovic ho usato una riduzione di 150 punti, che determina una probabilità più realistica dello 0.027%, comunque la seconda più bassa dell’elenco.

Arriviamo così alla striscia negativa di Murray del 2011, di cui la maggior parte degli appassionati si è probabilmente già dimenticata. Dopo aver perso la finale degli Australian Open contro Djokovic, Murray ha perso contro Marcos Baghdatis (numero 20) a Rotterdam, Donald Young (143) a Indian Wells, e Alex Bogomolov Jr (118) a Miami. Nel proseguo di stagione è poi riuscito a vincere 50 partite e perderne solo 9.

Ricorda da vicino la situazione di Djokovic: bisognerà vedere se anche lui sarà in grado di fare lo stesso.

Big Four Losing Streaks

Predominio nei momenti chiave a Indian Wells e Miami 2018

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 7 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Con l’arrivo della stagione sulla terra, quali sono i giocatori e le giocatrici da elogiare per la solidità mentale mostrata nei tornei di Indian Wells e Miami da poco terminati?

La solidità mentale è uno di quei concetti a cui spesso si fa ricorso ma che sono difficili da identificare. Pur in assenza di una definizione condivisa, è ragionevole attribuire caratteristiche di resistenza mentale a quei giocatori o giocatrici in grado di dominare nei momenti chiave di una partita.

Le statistiche di predominio sono uno dei modi con cui il Game Insight Group cerca di analizzare il rendimento sotto pressione. Da un lato, con la percentuale di predominio ogni punto vinto è ponderato per la sua importanza durante la partita rispetto all’importanza totale.

Dall’altro, il margine di predominio è una statistica collegata alla precedente che osserva la differenza tra la percentuale di predominio e la percentuale totale. È proprio il margine a cogliere la capacità di predominio perché evidenzia i giocatori con una prestazione migliore sotto pressione.

Se si sommano tutte le statistiche di predominio dalle partite di Indian Wells e Miami 2018, quali sono i giocatori che si distinguono per predominio nei momenti chiave?

Statistiche di predominio al servizio per gli uomini

Una solida percentuale di predominio al servizio nei due tornei è stata del 69%. Undici giocatori sono riusciti a mantenere questa media, con Nick Kyrgios che ha ottenuto la percentuale più alta al 79% e il vincitore di Miami, John Isner, al secondo posto con il 75% (nella versione originale è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.).

IMMAGINE 1 – Predominio al servizio a Indian Wells e Miami per ATP

Solo Kyrgios e Roger Federer, tra questi undici giocatori, hanno vinto meno punti di predominio al servizio che punti totali al servizio (cioè un margine di predominio negativo).

I giocatori hanno subito la pressione più spesso di quanto non siano riusciti ad alzare il proprio livello al servizio. Solo cinque giocatori hanno avuto un margine di predomino medio di 3 punti percentuali, mentre in dodici hanno avuto un margine minore di -3.

Francis Tiafoe è stato uno di quelli che ha faticato sui punti importanti al servizio (con un margine di -6%), a indicazione del fatto che, dovesse trovare il modo per colmare quel divario, potrebbe diventare contendente ancora più pericoloso per il titolo.

Statistiche di predominio alla risposta per gli uomini

Con almeno il 45% di predominio alla risposta, si sono viste le più alte percentuali degli ultimi tempi. Dieci giocatori hanno avuto una percentuale di predominio alla risposta in questo intervallo.

Anche se per la maggior parte dei giocatori la percentuale totale alla risposta è stata di molto inferiore di quella al servizio, si sono osservati margini di predominio più estremi alla risposta rispetto al servizio.

IMMAGINE 2 – Predominio alla risposta a Indian Wells e Miami per ATP

Solo tre giocatori sono stati tra i migliori in termini di predominio al servizio e alla risposta: Hyeon Chung, Filip Krajinovic e Kyrgios.

Statistiche di predominio al servizio per le donne

Sul fronte femminile, solide percentuali di predominio al servizio si sono attestate intorno al 62%, con punte più alte. Tra questo gruppo troviamo la vincitrice a Indian Wells Naomi Osaka e la semifinalista a sorpresa di Miami, Danielle Rose Collins.

IMMAGINE 3 – Predominio al servizio a Indian Wells e Miami per WTA

Rispetto agli uomini, le giocatrici si raggruppano in modo più ravvicinato sulla percentuale di margine di predominio al servizio. Ci sono state solo cinque giocatrici con un differenziale in valore assoluto superiore ai 3 punti percentuali, tre con segno negativo e due con segno positivo.

Statistiche di predominio alla risposta per le donne

Si sono osservate prestazioni di predominio alla risposta più solide tra le donne che tra gli uomini, con sette giocatrici che hanno mantenuto una mediana di predominio di almeno il 51%. E tutte hanno avuto anche un margine di predominio positivo.

IMMAGINE 4 – Predominio alla risposta a Indian Wells e Miami per WTA

Con il 51%, Osaka è tra le migliori anche per predominio alla risposta, insieme alla finalista a Miami Jelena Ostapenko (51%) e alla vincitrice di Miami Sloane Stephens (55%). La presenza di queste giocatrici indica che il predominio alla risposta è stato un indicatore particolarmente forte di rendimenti superiori nei due Premier Mandatory di Indian Wells e Miami.

Clutch Stats from the Sunshine Masters

L’invasione di americani al torneo di Houston

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 9 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dei 28 giocatori nel tabellone principale del torneo di Houston 2018, 15 sono degli Stati Uniti, tra cui tre delle prime quattro teste di serie (John Isner, Sam Querrey e Jack Sock), due dei quattro qualificati (Stefan Kozlov e Denis Kudla) e una delle tre wild card assegnate (Mackenzie McDonald).

La rinascita americana

La predominanza di giocatori locali allo US Men’s Clay Court Championships richiama alla memoria trascorsi di tennis professionistico di altre epoche, quando poche nazioni – e spesso gli Stati Uniti tra i primi – erano padrone della classifica.

Sono tempi andati, ma l’affollamento in Texas è il più recente segno della rinascita americana. Va detto, è una settimana di pausa per molti giocatori di vertice e altri specialisti europei della terra battuta hanno preferito il torneo di Marrakech, sempre un ATP 250.

I giocatori statunitensi non rappresentano quindi esattamente la metà dei migliori del momento. In ogni caso, un tabellone principale con la presenza di così tanti giocatori americani non si vedeva ormai da molti anni.

Nelle ultime cinque decadi, ci sono stati poco più di 400 tornei del circuito maggiore in cui una nazione ha schierato più del 50% dei giocatori del tabellone principale, una media di circa otto tornei all’anno.

Si tratta però di un dato ingannevole: Houston infatti è il primo torneo dal 2004 in cui questo accade e ci sono solo altri due esempi negli ultimi vent’anni.

Per trovare un concentrato di americani in tabellone bisogna risalire al 1996. La tabella riepiloga gli ultimi 20 tornei in cui una nazione ha schierato più della metà dei giocatori del tabellone principale.

Data     Torneo         Tab  Naz  Giocatori  %  
04-2004  Valencia       32   ESP     20      62.5%  
09-1993  Majorca        32   ESP     18      56.3%  
09-1997  Marbella       32   ESP     18      56.3%  
09-1996  Marbella       32   ESP     18      56.3%  
02-1996  San Jose       32   USA     17      53.1%  
10-1995  Valencia       32   ESP     18      56.3%  
02-1995  San Jose       32   USA     18      56.3%  
02-1994  Filadelfia     32   USA     18      56.3%  
01-1994  San Jose       32   USA     17      53.1%  
08-1993  Los Angeles    32   USA     17      53.1%  
02-1993  San Francisco  32   USA     19      59.4%  
08-1992  Los Angeles    32   USA     17      53.1%  
07-1991  Newport        32   USA     17      53.1%  
05-1991  Charlotte      32   USA     17      53.1%  
04-1991  Orlando        32   USA     20      62.5%  
07-1990  Los Angeles    32   USA     19      59.4%  
05-1990  Kiawah Island  32   USA     24      75.0%  
04-1990  Orlando        32   USA     17      53.1%  
02-1990  Filadelfia     48   USA     27      56.3%  
02-1990  Toronto Indoor 56   USA     30      53.6%

Pur trattandosi dello stesso evento, i quattro tornei più recenti si sono giocati in tre sedi diverse. I rimanenti tabelloni dell’elenco sottolineano la capacità degli Stati Uniti di produrre giocatori di buon livello in quel periodo, dominando circa l’85% dei tornei in cui una nazione ha schierato più della metà dei giocatori del tabellone principale.

L’Australia è la più rappresentata in altri 50 tornei, ma tutti organizzati localmente e prima del 1980. Gli Stati Uniti sono l’unica nazione ad aver avuto più della metà dei giocatori in un tabellone principale di tornei fuori dai propri confini.

Più della metà del tabellone senza wild card

C’è un altro elemento che rende il tabellone di Houston ancora più speciale.

Gli organizzatori hanno dato solo una delle tre wild card a disposizione a un giocatore americano (le altre due sono andate alla testa di serie numero quattro Nick Kyrgios, che non si è preoccupato di iscriversi seguendo la procedura canonica, e all’idolo degli appassionati Dustin Brown).

In altre parole, i giocatori americani avrebbero comunque occupato metà del tabellone anche senza l’ausilio delle wild card.

Si tratta di un’occorrenza – quella di superare la metà del tabellone senza wild card – ancora più rara negli ultimi venticinque anni circa. Dei venti tornei dell’elenco, solo 9 soddisfano questo criterio più restrittivo. Gli altri 11 passano il taglio solo in presenza di wild card.

Valencia 2004

Il torneo di Valencia 2004 entra comunque nel gruppo, ma per trovare un esempio di torneo organizzato negli Stati Uniti serve tornare indietro di 25 anni, a San Francisco 1993.

Ci fu un’ottima ragione per riservare almeno una wild card a un giocatore straniero, visto che gli organizzatori riuscirono a far venire Bjorn Borg, il quale perse però al primo turno. Andre Agassi vinse poi il torneo battendo in finale Brad Gilbert.

Bisogna vedere se la forza bruta dei numeri sarà sufficiente a mantenere il titolo in mani americane (nel 2017 ha vinto Steve Johnson, la testa di serie numero sei dell’edizione in corso).

Nei più di 400 tornei in cui i giocatori di una nazione rappresentavano più della metà del tabellone principale, il vincitore è arrivato proprio da quella nazione nel 73% delle volte.

Il mio modello predittivo lo considera equamente probabile, con il 48.9% di probabilità di vittoria da parte di un americano. Uno dei favoriti è però l’australiano Kyrgios, con il 45% di probabilità.

La mina vagante più degna di nota è Fernando Verdasco, la testa di serie numero cinque, che ha già vinto a Houston quattro anni fa. Quando Valencia 2004 fu l’ultimo torneo ad avere giocatori di un singolo paese per più della metà del tabellone, fu esattamente Verdasco ad alzare il trofeo.

Houston and the Swarm of American Men

L’efficienza nelle vittorie di Sloane Stephens

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 6 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Per conquistare il Premier Mandatory di Miami, Sloane Stephens ha ottenuto diverse vittorie impressionanti  contro – nell’ordine – Garbine Muguruza, Angelique Kerber, Victoria Azarenka e Jelena Ostapenko.

Non è un torneo che altera il corso di una carriera quanto gli US Open, vinti da Stephens nel 2017, ma non è poi così distante, e la competizione che ha dovuto affrontare non è stata da meno.

Con il titolo a Miami sono arrivati anche 1000 punti validi per la classifica ufficiale, che hanno consentito a Stephens di entrare tra le prime 10, raggiungendo con la nona posizione il massimo in carriera.

Avendo vinto due dei tornei più importanti ed essendo arrivata in semifinale anche a Toronto e Cincinnati l’anno scorso, non ci sono dubbi che meriti questo traguardo.

La conversione delle vittorie in punti classifica

Il sistema Elo non ne è convinto allo stesso modo, ma l’algoritmo più sofisticato su cui si basa (che non tiene conto della grandezza delle vittorie agli US Open e Miami) la vede comunque poco dietro le prime 10.

L’aspetto più significativo dell’ascesa di Stephens è l’efficienza nella conversione delle vittorie in punti classifica. Dopo il rientro dall’infortunio a Wimbledon 2017 ha giocato solo 38 partite, vincendone 24. Ci sono state 6 sconfitte al primo turno, altre due sconfitte nel girone eliminatorio dello Zhuhai Elite Trophy e due nella finale di Fed Cup contro la Bielorussia.

Negli ultimi nove mesi, ha vinto partite solamente in sei tornei. Il suo insolito record evidenzia alcune lacune nella classifica ufficiale e come una giocatrice che raggiunge il massimo della forma in un determinato momento possa sfruttarle a proprio vantaggio.

Per un ambìto posto tra le prime 10, vincere 24 partite non è quasi mai sufficiente. Dal 1990 al 2017, solo in sette occasioni una giocatrice ha terminato la stagione tra le prime 10 con meno di 30 vittorie.

E solo due volte ha vinto meno delle 24 partite di Stephens: sto parlando di Monica Seles nel 1993 e nel 1995, cioè il periodo trascorso dal momento in cui ha subito l’aggressione a bordo campo al suo rientro alle competizioni.

La tabella riepiloga le prime 10 stagioni con il minor numero di vittorie, e comprende anche il record delle ultime 52 settimane di alcune giocatrici attualmente nella zona più alta della classifica femminile.

Anno  Giocatrice   Class FA   V    S    % V-S           
1995  Seles*              1   11   1    92%  
1993  Seles               8   17   2    89%  
2018  Stephens**          9   24   14   63%  
2010  S. Williams         4   25   4    86%  
1993  Capriati            9   28   10   74%  
2015  Pennetta            8   28   20   58%  
2000  Pierce              7   29   11   73%  
2004  Capriati           10   29   12   71%  
1993  MJ Fernandez        7   31   12   72%  
1995  I. Majoli           9   31   13   70%  
2018  V. Williams**       8   31   14   69%  
1995  MJ Fernandez        8   31   15   67%  
2015  Safarova            9   32   21   60%  
2008  Sharapova           9   33   6    85%  
1998  Graf                9   33   9    79%  
2018  Kvitova**          10   33   14   70%

*  classifica congelata dopo essere stata assalita
** classifica al 2 aprile 2018; 
   V e S delle precedenti 52 settimane

Rendimento eccezionale negli Slam

La caratteristica che accomuna quasi tutte queste stagioni è un rendimento eccezionale nelle prove dello Slam. Stephens ha vinto gli US Open 2017, Seles gli Australian Open 2013, Serena Williams vinse due Slam nel 2010, Flavia Pennetta ha ribaltato un altrimenti anonimo 2015 vincendo gli US Open. Del resto, gli Slam sono i tornei che offrono i punti classifica più pesanti.

Pur in un gruppo così nutrito di vincitrici Slam, Stephens riesce a distinguersi. Delle sedici giocatrici nella lista, solo due – Pennetta e Lucie Safarova – hanno vinto partite con una frequenza inferiore a Stephens, dal quando è rientrata.

In altre parole, la maggior parte delle giocatrici con questo livello di efficienza di vittorie non perde così facilmente ai primi turni o in tornei minori, come ha fatto Stephens. Il suo 63% di partite vinte è ancora più estremo di quanto il precedente elenco non faccia trasparire.

Dal 1990, solo otto giocatrici delle quasi trecento che hanno terminato la stagione tra le prime 10 hanno avuto una percentuale di vittorie più bassa. La tabella che segue è allargata alle prime 11 per includere un’altra recente stagione degna di nota.

Anno  Giocatrice  Class FA   V    S    % V-S  
2014  Cibulkova         10   33   24   58%  
2000  Tauziat           10   36   26   58%  
2015  Pennetta           8   28   20   58%  
1999  Tauziat            7   37   25   60%  
2007  Bartoli           10   47   31   60%  
2015  Safarova           9   32   21   60%  
2000  Kournikova         8   47   29   62%  
2010  Jankovic           8   38   23   62%  
2018  Stephens*          9   24   14   63%  
2004  Dementieva         6   40   23   63%  
2016  Muguruza           7   35   20   64%

* classifica al 2 aprile 2018; 
  V e S delle precedenti 52 settimane

C’è scarsa sovrapposizione tra i due elenchi: in genere, le giocatrici del primo gruppo hanno recuperato dall’interruzione per infortunio con una grande prova negli Slam, mentre quelle del secondo gruppo si sono trascinate in una lunga stagione per poi dare il colpo finale con uno o due risultati di prestigio in uno Slam.

Una tipica giocatrice con una percentuale di vittorie del 63% non arriva a chiudere la stagione tra le prime 10 ma, in media, intorno alla 25esima posizione, comunque meglio di una stagione da 24 vittorie che, in media, garantiscono una classifica intorno alla 40esima posizione.

Grandi occasioni ma discontinuità

Stephens è sempre stata una giocatrice delle grandi occasioni. È salita alla ribalta a 19 anni agli Australian Open 2013, arrivando in semifinale dopo aver battuto la numero 1 Serena nei quarti. Il suo record negli Slam (66%) è di quasi dieci punti percentuali superiore a quello negli altri tornei del circuito (57%).

Nonostante questo, è probabile che non concluda il 2018 con percentuali così estreme nel record di vinte e perse. Dovrebbe infatti vincere uno Slam per rimpiazzare gli US Open 2017 e perdere nei primi turni nella maggior parte degli altri tornei.

Ora che sembra aver recuperato definitivamente dall’infortunio, è poco probabile che continui ad alternare vette e abissi, pur mantenendo, per sua natura, prestazioni discontinue.

Feast, Famine, and Sloane Stephens

L’evoluzione del rovescio di Del Potro

di Martin Ingram // OnTheT

Pubblicato l’1 aprile 2018 – Traduzione di Edoardo Salvati

Con le vittorie ad Acapulco e all’Indian Wells Masters e la semifinale al Miami Masters, si può finalmente affermare che Juan Martin Del Potro è tornato a pieno titolo tra i favoriti del circuito.

Mi ha incuriosito un commento di Roger Federer, suo avversario nella finale di Indian Wells, in cui ha detto di ammirare Del Potro perché è sufficientemente contento di poter affrontare le partite quasi senza il rovescio a due mani, usando il rovescio tagliato. Anche se questo magari comporta perderne qualcuna in più contro determinati giocatori.

Federer si riferisce al rientro di Del Potro nel 2016, dopo la seconda operazione al polso, quando era evidente che ricorresse a molti più rovesci tagliati a una mano rispetto al passato.

Di quanto è cambiata la scelta dei colpi di Del Potro? È tornato a giocare come faceva prima dell’infortunio?

Grazie al prezioso lavoro di raccolta dati del Match Charting Project, in questo articolo cerco di trovare una risposta analizzando la variazione del rovescio di Del Potro nel tempo.

Vista la quantità di informazioni a disposizione, l’analisi è abbastanza agevole. Una delle indicazioni fornite è la tipologia di colpo (Shot Types).

Prendendo ad esempio i dati relativi alla finale di Indian Wells, vediamo che Del Potro ha colpito 172 rovesci (Backhand side), di cui 52 tagliati (BH slice/chip), che equivalgono al 30.2%.

Nel database aggregato del Match Charting Project le partite di Del Potro si fermano alla finale di Basilea 2017. Ho aggiunto manualmente le 4 partite della stagione 2018 di cui sono stati raccolti i dati.

IMMAGINE 1 – Porzione dei rovesci tagliati giocati da Del Potro nelle partite con a disposizione dati punto per punto

Il grafico mostra la porzione dei rovesci tagliati da Del Potro nel corso degli anni. Sembra che ci sia una discontinuità dal 2014, periodo dal quale ha iniziato improvvisamente a usare molto più spesso il rovescio tagliato di quanto non facesse precedentemente.

È stata un po’ una sorpresa per me, perché associo mentalmente questo cambiamento al suo rientro nel 2016 ma, stando ai dati del Match Charting Project, già a partire dalla vittoria nel torneo di Sydney 2014 Del Potro faceva largo uso del rovescio tagliato.

È tornato a colpire il rovescio come in passato?

Per provare a rispondere ho pensato di adattare un processo gaussiano ai dati del campione. Il processo gaussiano ipotizza che si verifichi un lieve cambiamento nel tempo e cerca di trovare una tendenza di lungo periodo.

Considerando che si tratta di una conta – nella quale cioè le osservazioni possono assumere solo valori interi non negativi e sono frutto di un conteggio invece che di ordinamento sulla base di una classifica – e che gli infortuni possono comportare brusche variazioni, il processo gaussiano non è necessariamente il modello ideale, ma fornisce una ragionevole approssimazione.

IMMAGINE 2 – Evoluzione del rovescio di Del Potro

Sono partito imputando manualmente i dati relativi a Indian Wells 2018, e il processo gaussiano è sembrato mostrare un leggero declino. Sono però poi le partite di Acapulco a cambiare l’andamento. In Messico, Del Potro ha usato il rovescio tagliato il 65% delle volte contro Alexander Zverev e il 64% contro Kevin Anderson.

Come visto in precedenza, a Indian Wells contro Federer ha invece usato solo 30% di rovesci tagliati. Sembra che in media Del Potro continui a giocare più tagliati, anche se il contrasto fra una partita e l’altra è ancora molto alto.

Anche se la porzione del 30.2% fatta vedere ultimamente è comunque superiore a qualsiasi altra prima del 2014 (con il 23.9%, la più alta era nella partita di Coppa Davis 2012 contro Ivo Karlovic).

L’impressione è che, complessivamente, Del Potro stia usando il rovescio in modo molto diverso dal periodo antecedente il 2014. Non è per forza però una circostanza negativa: forse il suo gioco ha raggiunto una completezza che non possedeva, anche grazie al rovescio tagliato.

Dopotutto, ha vinto entrambe le partite contro Anderson e Zverev senza particolari problemi, anche tagliando il rovescio quasi due volte su tre. In aggiunta, la percentuale relativamente bassa contro Federer lascia intendere che, dovesse averne bisogno, è in grado di ridurne l’utilizzo.

Un cambiamento evidente

È un’analisi parziale: il Match Charing Project ha un numero ridotto di partite di Del Potro, forse solo le più importanti e comunque con possibili altre limitazioni meno ovvie di questa.

Ciononostante, è interessante notare l’evidente cambiamento nel rovescio di Del Potro a partire dal 2014. Così come intrigante sarà vedere come giocherà il rovescio in futuro e se continuerà a ottenere risultati vincenti come quelli degli ultimi mesi.

The Evolution of Del Potro’s Backhand