Teoria e pratica di ogni risposta

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 19 novembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Alla fine de “La cattedrale di Turing”, George Dyson suggerisce che sebbene i computer non siano sempre in grado di rispondere alle nostre domande in modo utile, sono però capaci di generare uno sbalorditivo e inaudito patrimonio di risposte, anche se le relative domande non sono in realtà mai state formulate.

Pensiamo a un motore di ricerca: ha indicizzato ogni possibile parola e frase, in molti casi ancora in attesa del primo utente che le cerchi.

Cinque milioni di miliardi di diverse interrogazioni

TennisAbstract è la stessa cosa. Utilizzando i menù a sinistra nella pagina di Roger Federer – anche evitando di filtrare per gli scontri diretti, i tornei, i paesi, le statistiche della partita e altri parametri specifici come data e classifica – si possono generare cinque milioni di miliardi di diverse interrogazioni. Sono dodici zeri, e solo per Federer. Stando alle visualizzazioni generate dal sito, ci vorrà ancora un po’ prima che vengano provate tutte quelle combinazioni.

Ogni filtro ha il suo motivo di esistere, un tentativo cioè di rispondere a domande degne di nota relative a un determinato giocatore. La grande maggioranza di quei cinque milioni di miliardi di interrogazioni però fornisce informazioni su quesiti che nessuna persona sana di mente penserebbe di porsi, ad esempio il record di Federer nei tornei Master del 2010 sul cemento dopo aver vinto il primo set 6-1 contro giocatori fuori dai primi 10 (record di 2 vittorie e 0 sconfitte).

Il pericolo di possedere tutte queste risposte risiede nella tentazione di credere che stessimo effettivamente facendo domande o, peggio, che stessimo facendo domande sospettando per tutto il tempo che le risposte sarebbero state di questo tipo.

Il primo istinto è di cercare prova delle nostre consapevolezze

I dati forniti da Hawk-Eye durante le telecronache sono l’esempio perfetto. Quando la grafica mostra la traiettoria di vari servizi o il percorso della pallina per ogni colpo dello scambio, si sta osservando un’enorme mole di dati grezzi, più di quanto la maggior parte di noi sarebbe in grado di intendere se non fossero accompagnati dal familiare sfondo di un campo da tennis. Considerate tutte quelle risposte, il nostro primo istinto è troppo spesso quello di cercare prova di qualcosa di cui siamo già ben consapevoli, che il dritto arrotato di Jack Sock è quello che gli fa vincere più punti o che la seconda di servizio di Rafael Nadal è attaccabile.

È difficile prendere una posizione su questo tipo di affermazioni, soprattutto in presenza di grafiche ad alto contenuto tecnologico che sembrano servire da controprova. Se quelle grafiche rappresentano delle “risposte” (o se lo sono i risultati delle interrogazioni a più filtri su TennisAbstract), lo fanno riferendosi solamente a domande di portata ridotta, che di rado dimostrano le tesi che invece ci convinciamo riescano a dimostrare.

Queste risposte limitate sono semplicemente punti di partenza per domande cariche di significato. Anziché osservare i numeri generati dal rovescio di Novak Djokovic durante una partita dichiarando “Lo sapevo, il suo rovescio lungolinea è il migliore che ci sia in giro” dovremmo renderci conto che stiamo analizzando un piccolo e decontestualizzato insieme di dati, e cogliere l’opportunità di chiedersi, “Il suo rovescio lungolinea è sempre così impressionante?” oppure “Qual è il rendimento del suo rovescio lungolinea rispetto agli altri?” o ancora “Un rovescio lungolinea quanto fa aumentare la probabilità di vincere lo scambio?”

Domande poco significative e conclusioni tratte da pseudo-risposte

Sfortunatamente, la conversazione si interrompe di solito prima che venga formulata una domanda significativa. Anche senza che i dati raccolti dal sistema Hawk-Eye siano pubblicamente condivisi, stiamo iniziando a possedere le informazioni necessarie per fare ricerche su molte di queste domande.

Per quanto siamo propensi a lamentarci della scarsità di analisi statistiche nel tennis, sono troppe le persone che traggono conclusioni dalle pseudo-risposte associate a grafiche scintillanti. Con il più grande numero di dati a disposizione di sempre, è un peccato confondere risposte semplici e limitative per risposte profonde e di ampia portata.

All the Answers

Una statistica emozionale e la sua applicazione al singolare maschile degli US Open 2017

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 3 novembre 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Le World Series 2017 della Major League Baseball hanno regalato agli appassionati un finale di campionato entusiasmante, ponendosi come riferimento per valutare il grado di eccitazione che un evento sportivo può trasmettere. In questo articolo, si analizza una statistica emozionale per il tennis e la si utilizza come parametro per stabilire una classifica tra le partite del singolare maschile degli US Open 2017.

Una statistica dalle World Series di baseball

Gli Houston Astros hanno vinto il loro primo campionato di baseball battendo i Los Angeles Dodgers in sette partite, in quella che probabilmente rimarrà a lungo una delle serie più incredibili. Ancor prima che la serie finisse, gli esperti di sabermetrica pronosticavano un livello emozionale mai raggiunto in precedenza. Utilizzando un indice chiamato probabilità aggiunta di vittoria del campionato (championship Win Probability Added o cWPA), due delle prime cinque partite erano già considerate tra le prime 20 più eccitanti di sempre.

La cWPA si basa sulla variazione della probabilità di una squadra di vincere il campionato da un momento di gioco al successivo. Grandi scostamenti nella probabilità di vittoria solitamente indicano un passaggio chiave nella serie, di quelli che possono cambiare l’esito finale, come il punto segnato da Alex Bregman nel decimo parziale di gara 5 che ha mandato Houston a un sola vittoria dal titolo.

Seguendo la serie, la cWPA mi è sembrata un modo interessante per mettere in risalto i momenti più importanti e la generale follia in campo associata alle World Series 2017. Mi ha anche fatto pensare alla possibilità di utilizzare un metodo simile nel tennis.

Variazione della probabilità cumulata

Nel tennis, l’analogo della cWPA è dato dalla variazione della probabilità cumulata (cumulative probability change o CPC). Per ogni punto di una partita, la CPC analizza la variazione della probabilità di vittoria del giocatore favorito, sommandone i valori assoluti per ottenere la grandezza complessiva degli “alti e bassi” di una partita.

Da un punto di vista matematico, se una partita è composta da n punti giocati e la probabilità di vittoria del giocatore favorito è Wi, dove i è l’iesimo punto, la CPC è data dalla seguente formula:

In una partita in cui è il giocatore più forte ad andare avanti nel punteggio senza mai subire rimonta, variazioni nella probabilità di vittoria saranno contenute e relativamente pochi i punti giocati, con una bassa CPC complessiva. Se però aumenta il numero dei punti, per situazioni di tiebreak o per game prolungati ai vantaggi, anche la CPC sarà più alta.

Attraverso la CPC possiamo quindi avere un’idea del valore emozionale di una partita. A parità di altre condizioni, è più probabile che una partita con una CPC alta catturi l’attenzione degli spettatori più di una partita con una CPC bassa.

Anche Jeff Sackmann di TennisAbstract ha introdotto una statistica per la misurazione dell’entusiasmo di una partita, l’indice emozionale, che è simile alla CPC ma che viene determinata dalla probabilità media di vittoria, soffermandosi cioè sull’equilibrio complessivo della partita.

Una classifica emozionale degli US Open 2017

Per avere un esempio concreto, vediamo come si comporta la CPC con le partite degli US Open 2017. Per la probabilità di vittoria punto per punto ho utilizzato una metodologia predittiva che si modifica durante la partita, partendo dalla valutazione Elo di ciascun giocatore prima della partita e aggiornando il suo predominio atteso in funzione del rendimento ottenuto al servizio fino al punto in questione. Questo significa che vengono considerate sia la qualità del giocatore che l’andamento del punteggio, così che due partite che raggiungono il medesimo punteggio non necessariamente possano restituire la stessa previsione di vittoria.

Il grafico dell’immagine 1 riporta la CPC (l’indice emozionale) sull’asse delle ordinate rispetto ai punti totali giocati indicati sull’asse delle ascisse (nella versione originale, è possibile visualizzare i singoli valori puntando il mouse sul grafico, n.d.t.). Si evidenzia chiaramente una correlazione positiva, con partite più lunghe che tendono ad avere una CPC più alta. È ragionevole che sia così visto che una partita lunga necessariamente è più equilibrata, come nel caso dell’epico primo turno tra Denis Istomin e Albert Ramos.

IMMAGINE 1 – Indice emozionale per le partite di singolare maschile degli US Open 2017

Variazioni significative anche con numero di punti simile

È interessante notare come possa esserci una variazione anche significativa tra le CPC di partite con un numero simile di punti giocati. Prendiamo ad esempio due delle partite di Leonardo Mayer. La vittoria in quattro set al secondo turno contro Yuichi Sugita ha richiesto 258 punti con una CPC di 9.7. Nel turno successivo, la partita contro Rafael Nadal è durata sempre quattro set con 260 punti e una CPC di 5.5.

Come mai questa differenza? Le due partite sono iniziate in modo analogo, con la vittoria del primo set al tiebreak da parte del giocatore che ha poi perso la partita. La CPC della partita contro Nadal è stata quasi la metà di quella contro Sugita perché Nadal ha dominato nei tre rimanenti set e perché aveva un vantaggio enorme prima dell’inizio della partita, vale a dire che la sua probabilità di vittoria è rimasta molto alta anche dopo aver perso il primo set. La partita contro Sugita invece ha lasciato l’esito finale più a lungo in sospeso.

Considerare anche la bravura del giocatore

Non possiamo definire la CPC una misura emozionale senza aver valutato anche la bravura dei giocatori. Ipotizziamo di avere due partite con identico andamento punto per punto ma con una coppia di giocatori medi da una parte e Roger Federer e Nadal dall’altra. La maggior parte degli appassionati certamente ritiene la seconda più emozionante, aspetto che suggerisce che la bravura complessiva dei giocatori incide sull’interpretazione della CPC.

Nel grafico dell’immagine 2, ho provato a includere la bravura prendendo la somma della valutazione Elo specifica per il cemento di ciascun giocatore all’inizio del torneo. Mettendo a confronto la CPC con questa misura della bravura, la zona del grafico più interessante diventa il quadrante superiore di destra. È qui infatti che si posizionano le partite con una CPC e un livello di talento più alti della media.

IMMAGINE 2 – Indice emozionale rispetto alla bravura dei giocatori per le partite di singolare maschile degli US Open 2017

È curioso come due delle partite che più hanno fatto discutere in cui ha giocato Juan Martin Del Potro siano rappresentate in quest’area, la maratona in cinque set contro Dominic Thiem, che ha la CPC più alta tra le due, e la vittoria in quattro set contro Federer. È però la partita da 355 punti tra Jack Sock e Jordan Thompson a ottenere la CPC maggiore del quadrante a più alta bravura.

Non sono solo gli statistici del baseball a divertirsi con la probabilità di vittoria, anche il tennis può usare indici come la CPC per contribuire con una nuova visuale al dibattito sulle partite più emozionanti.

Il codice e i dati dell’analisi sono disponibili qui.

A Stat for Excitement and What It Reveals About the Best Men’s Matches at the 2017 US Open

La difficoltà (e l’importanza) di trovare il rovescio avversario

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’11 novembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Alcuni rovesci incrociati a una mano hanno lo svantaggio di rimanere in volo un po’ più a lungo, dando all’avversario più tempo per preparare il colpo e, spesso, più tempo per girare intorno alla pallina e colpire di dritto, scelta che apre a possibilità strategiche più varie.

Con 700 partite maschili (ora a quota 1716, n.d.t.) nel database del Match Charting Project (ogni contributo è ben accetto!), possiamo iniziare a quantificare questo svantaggio, se effettivamente di svantaggio si tratta. Una volta stabilito se i giocatori dal rovescio a una mano siano in grado di trovare il rovescio avversario, possiamo provare a esaminare un aspetto più importante, cioè quanto conti questa soluzione tattica.

Lo scenario

Restringendo l’analisi agli scambi da fondo tra destri, quando la pallina arriva sul lato del rovescio, un giocatore ha due opzioni: colpire un rovescio a rimbalzo, tradizionale (piatto o arrotato) o tagliato, o girare intorno alla pallina e usare il dritto. Ci sono volte in cui ricerca un vincente lungolinea, altre in cui è costretto a una risposta debole al centro del campo ma, di solito, l’obiettivo è quello di colpire incrociato, idealmente mirando al rovescio avversario.

Selezionando tutte le partite tra destri in cui vi sia almeno un giocatore tra i primi 72 della classifica (volevo includere anche Nicolas Almagro) aggiornata alla settimana scorsa (26 ottobre 2015), la tabella riepiloga la frequenza e i risultati derivanti da ciascuna delle scelte elencate.

Colpo    Freq   Rib Dr  Rib Rov  ENF    Vincenti  Pt vinti  
Tutti           9.9%    68.1%    10.8%  5.8%      43.1%  
Tagliato 11.9%  34.1%   49.5%    7.1%   0.6%      40.2%  
Dritto   44.9%  2.8%    69.0%    13.0%  9.8%      42.1%  
Rovescio 43.3%  10.7%   72.2%    9.5%   3.1%      45.0%  
                                                     
Una mano 42.6%  12.0%   69.5%    9.3%   3.8%      44.2%  
Due mani 43.5%  10.0%   73.4%    9.6%   2.8%      45.4%

Le colonne “Rib Dr” e “Rib Rov” si riferiscono alle ribattute di dritto e di rovescio, e mostrano l’importanza della scelta del colpo per tenere la pallina lontana dal dritto dell’avversario. Si nota che il rovescio tagliato ha un rendimento molto scadente, mentre il dritto a uscire comporta quasi certamente una ribattuta di rovescio, anche se presuppone un livello di rischio superiore.

La differenza tra il rovescio a una mano e quello a due mani non è così netta. Il rovescio a una mano non trova il rovescio avversario così frequentemente, anche se produce qualche vincente in più. Nel gruppo dei giocatori dal rovescio a una mano, quello tradizionale piatto o arrotato viene colpito un po’ meno spesso, ma questo non vuol dire necessariamente che al suo posto venga colpito un dritto. In media, i giocatori dal rovescio a due mani colpiscono qualche dritto in più dal lato del rovescio, mentre i giocatori dal rovescio a una mano sono costretti a colpire più tagliati.

Una mano sola, diversi tipi di rovescio

Questi numeri fanno vedere che non tutti i rovesci a una mano si assomigliano tra loro. Quello di Stanislas Wawrinka ha la stessa efficacia del migliore tra i rovesci a due mani, mentre Roger Federer è tipicamente il punto di partenza delle conversazioni in cui ci si interroga sul perché il rovescio a una mano stia scomparendo (sebbene l’edizione 2017 di questo colpo possa far ricredere, n.d.t.).

La tabella elenca i 28 giocatori per i quali ci sono almeno 500 situazioni (escludendo le risposte al servizio) in cui il giocatore ha ribattuto nello scambio un colpo che arriva sul suo rovescio. Per ciascuno, ho evidenziato quanto spesso viene scelto un rovescio o un dritto tradizionali e la frequenza con cui il giocatore ha trovato il rovescio avversario, escludendo i suoi stessi errori e vincenti.

Giocatore      Mani  Freq Rov Rov avvers %  Freq Dr  Rov avvers %  
Dolgopolov     2     45.7%    94.2%         43.3%    98.7%  
Nishikori      2     51.1%    94.0%         38.9%    98.1%  
Murray         2     41.0%    92.4%         46.5%    98.6%  
Wawrinka       1     48.6%    92.1%         37.5%    98.0%  
Tomic          2     33.8%    91.7%         43.8%    97.9%  
Djokovic       2     47.2%    91.7%         41.4%    98.5%  
Anderson       2     41.0%    91.5%         45.8%    96.6%  
Coric          2     46.5%    90.7%         44.2%    96.9%  
Cuevas         1     41.9%    90.6%         54.5%    96.5%  
Cilic          2     45.4%    89.7%         43.3%    97.2%  
                                                               
Giocatore      Mani  Freq Rov Rov avvers %  Freq Dr  Rov avvers %  
Berdych        2     41.6%    89.3%         44.2%    97.5%  
Carreno Busta  2     55.4%    87.8%         41.1%    93.5%  
Fognini        2     46.0%    87.4%         47.0%    96.1%  
Gasquet        1     57.2%    87.3%         32.1%    96.8%  
Seppi          2     40.3%    87.2%         50.0%    93.9%  
Almagro        1     53.6%    86.5%         39.3%    98.0%  
Thiem          1     38.5%    86.2%         50.0%    96.5%  
Monfils        2     48.0%    85.3%         46.3%    85.3%  
Ferrer         2     48.2%    84.9%         40.4%    97.1%  
Federer        1     42.7%    84.8%         43.6%    94.5%  
                                                               
Giocatore      Mani  Freq Rov Rov avvers %  Freq Dr  Rov avvers %  
Simon          2     46.9%    84.6%         46.5%    94.6%  
Goffin         2     45.4%    84.6%         45.7%    94.9%  
Bautista Agut  2     39.6%    83.3%         46.7%    98.4%  
Tsonga         2     43.5%    82.0%         44.5%    96.3%  
Dimitrov       1     41.4%    78.6%         39.4%    92.8%  
Raonic         2     31.5%    63.5%         56.5%    94.3%  
Sock           2     27.0%    62.5%         62.9%    96.3%  
Robredo        1     26.6%    56.1%         62.3%    88.4%

Per la capacità di andare sul rovescio avversario con il proprio rovescio, giocatori dal rovescio a una mano come Wawrinka, Pablo Cuevas e Richard Gasquet (anche se di poco) sono nella parte alta dell’elenco. Federer e Grigor Dimitrov, che spesso è considerato un suo clone, sono invece nella parte bassa.

Lieve correlazione negativa

Includendo tutti e 60 i giocatori selezionati per l’analisi (non solo quelli della tabella), esiste una correlazione negativa, anche se lieve (r^2 = -0.16), tra la probabilità che un giocatore trovi il rovescio avversario con il proprio e la frequenza con cui sceglie di colpire un dritto da quell’angolo di campo. In altre parole, meno è bravo ad andare sul rovescio avversario, più dritti a uscire colpisce. Tommy Robredo e Jack Sock rappresentano l’esempio più eclatante di questa tendenza, rispettivamente per il rovescio a una mano e a due mani, essendo in difficoltà a trovare il rovescio avversario e compensando con il più alto numero di dritti possibili.

Tuttavia, Federer – e ancor di più – Dimitrov non rientrano in questa categoria. In media, il giocatore dal rovescio a una mano gira intorno alla pallina nel lato del rovescio il 44.6% delle volte: Federer è un punto percentuale sotto questo valore e Dimitrov non raggiunge il 40%. Federer è considerato particolarmente aggressivo con il dritto a uscire (e a rientrare), ma potrebbe dipendere da una maggiore accuratezza in fase decisionale.

Esito definitivo

Usiamo un ulteriore angolo di osservazione. Quello che conta alla fine è vincere il punto, non tanto come ci si arriva. Per ciascuno dei 28 giocatori dell’elenco, ho calcolato la frequenza con la quale vincono il punto in funzione del colpo scelto. Ad esempio, quando Novak Djokovic colpisce un rovescio a rimbalzo tradizionale dal lato del rovescio, vince il punto il 45.4% delle volte, rispetto al 42.3% di quando colpisce un rovescio tagliato e al 42.4% di quando colpisce un dritto.

Rispetto alla sua stessa media, Djokovic rende meglio di circa il 3.6% quando sceglie (o, per vederla in un altro modo, è in grado di scegliere) un rovescio a rimbalzo. La tabella che segue mostra, per ciascun giocatore, il raffronto tra l’esito di ciascun colpo, dal lato del rovescio, rispetto alla sua media.

Giocatore      Mani  Rovescio Vin  Tagliato Vin  Dritto Vin  
Thiem          1     1.209         0.633         0.924  
Goffin         2     1.111         0.656         0.956  
Dimitrov       1     1.104         0.730         1.022  
Simon          2     1.097         0.922         0.913  
Berdych        2     1.085         0.884         0.957  
Carreno Busta  2     1.081         0.982         0.892  
Nishikori      2     1.070         0.777         0.965  
Bautista Agut  2     1.055         0.747         1.027  
Wawrinka       1     1.050         0.995         0.936  
Coric          2     1.049         1.033         0.941  
                                                
Giocatore      Mani  Rovescio Vin  Tagliato Vin  Dritto Vin  
Tomic          2     1.049         1.037         0.943  
Sock           2     1.049         0.811         1.010  
Monfils        2     1.048         1.100         0.938  
Fognini        2     1.048         0.775         0.987  
Raonic         2     1.048         0.996         0.974  
Almagro        1     1.046         0.848         0.964  
Anderson       2     1.038         1.056         0.950  
Djokovic       2     1.036         0.966         0.969  
Murray         2     1.031         1.039         0.962  
Federer        1     1.023         1.005         0.976  
                                                
Giocatore      Mani  Rovescio Vin  Tagliato Vin  Dritto Vin  
Gasquet        1     1.020         0.795         1.033  
Seppi          2     1.019         0.883         1.008  
Ferrer         2     1.018         0.853         1.020  
Dolgopolov     2     1.010         1.010         0.987  
Cilic          2     1.006         1.009         0.991  
Cuevas         1     0.987         0.425         1.048  
Tsonga         2     0.956         0.805         1.095  
Robredo        1     0.845         0.930         1.079

In questo caso, i risultati di Dimitrov – insieme a quelli dell’altro paladino del rovescio a una mano Dominic Thiem – sono molto migliori. Il suo rovescio incrociato non trova molti rovesci avversari, ma è decisamente il suo colpo più efficace dal lato del rovescio. Ci dovremmo aspettare più punti vinti quando colpisce un rovescio tradizionale rispetto a un tagliato (probabilmente una scelta che arriva da posizioni più difensive), ma sono molto sorpreso dal fatto che il suo rovescio abbia un rendimento così superiore al dritto a uscire.

Anche se Dimitrov e Thiem rappresentano gli estremi del gruppo, quasi tutti questi giocatori ottengono risultati migliori con un rovescio a rimbalzo incrociato rispetto a un dritto a uscire (o a rientrare). Solo cinque – tra cui Robredo ma non, incredibilmente, Sock – vincono più punti dopo aver colpito un dritto dal lato del rovescio.

Conclusioni

È evidente che i giocatori dal rovescio a un mano trovino in effetti più difficoltà a costringere gli avversari a colpire di rovescio. Molto meno chiaro è quanto questo sia importante. Anche Federer, famoso per un rovescio non sempre solido e ancora più famoso per un dritto a uscire senza rivali, ottiene un rendimento leggermente migliore colpendo di rovescio dal lato del rovescio. Non potremo mai sapere cosa sarebbe successo se Federer avesse avuto il rovescio a due mani di Djokovic, ma anche se il suo rovescio a una mano non riesce a trovare altrettanti rovesci avversari di quanto sia in grado Djokovic, comunque porta a casa il punto con una frequenza sorprendentemente alta.

The Difficulty (and Importance) of Finding the Backhand

Una visualizzazione della qualità dei colpi

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 20 ottobre 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Se si potesse misurare la qualità di ogni colpo di una partita, che indicazioni se ne trarrebbero sul rendimento dei giocatori, anche rispetto alla zona del campo in cui ottengono i risultati migliori?

Nel tennis sembra esserci un’ossessione per l’ultimo colpo di uno scambio, sul quale esiste una nomenclatura specifica – vincente, errore non forzato e forzato – e un insieme di statistiche appositamente creato.

L’ossessione per l’ultimo colpo è anche questione di convenienza

È un po’ strana come ossessione, anche il meno interessato degli spettatori sa bene che un punto è spesso deciso prima dell’ultimo colpo. Se un giocatore sta servendo, ad esempio, potrebbe preparare il vincente con un servizio potente, o un altro giocatore arrivare a uno scintillante vincente lungolinea avendo prima spostato il suo avversario fuori dal campo con un colpo incrociato particolarmente efficace.

L’attenzione che l’ultimo colpo riceve quindi è più una questione di convenienza. Se ci fosse un modo per identificare ogni colpo come ‘incredibile’ o ‘scadente’, lo faremmo in continuazione. Grazie agli attuali modelli predittivi, assegnare un valore alla qualità dei colpi è fortunatamente diventata realtà.

Ho sviluppato con il Game Insight Group (GIG) di Tennis Australia, la Federazione australiana, dei modelli predittivi per calcolare la probabilità che un qualsiasi servizio o colpo a rimbalzo finisca per essere un vincente. Sono modelli che prendono ispirazione dal lavoro di Patrick Lucey di STATS, presentato e premiato al MIT Sloan Conference 2016. Recentemente, Christopher Clarey del New York Times ne ha fatto uso per analizzare le dinamiche nella seconda di servizio sul circuito maschile.

L’aspetto più affascinante di questi modelli è la loro capacità di fornire una misura accurata della qualità di qualsiasi colpo di uno scambio, dove per qualità in questo caso s’intende quanto più ravvicinate siano le caratteristiche di un colpo a quelle che storicamente hanno determinato un chiaro vincente.

Questo tipo di misurazione ha le potenzialità per fornire analisi più interessanti di quelle a cui normalmente siamo abituati. Un’esempio arriva dalla visualizzazione della qualità dei colpi per la finale degli Australian Open 2017 tra Roger Federer e Rafael Nadal.

Visualizzazione della qualità dei colpi

Il grafico dell’immagine 1 mostra la posizione da cui tutti i colpi a rimbalzo sono stati giocati durante la finale. I colpi sono suddivisi in dritto e rovescio, con quelli di Federer sulla sinistra e di Nadal sulla destra.

Il colore varia in funzione della qualità. Più ci si avvicina all’arancione, migliore è stato il colpo secondo il modello predittivo sviluppato dal GIG.

IMMAGINE 1 – Visualizzazione della qualità dei colpi per la finale degli Australian Open 2017 in funzione della posizione

Per entrambi, la zona d’impatto a più alto rendimento è vicino alle linee del campo. È interessante notare come anche i colpi corti ma comunque sempre vicini alle linee possano essere di alta qualità. Sul rovescio, Federer fa vedere un certo bilanciamento tra i due lati del campo, mentre Nadal sembra essere un po’ più efficace sul lato delle parità. Sul dritto, Nadal ha una maggiore densità di colpi sul lato delle parità, ma tende a raggiungere un’efficacia superiore nel singolo colpo sul lato dei vantaggi. Per il dritto di Federer si assiste a una dinamica quasi opposta.

Velocità e accuratezza

Una delle questioni più interessanti è posta dal compromesso tra velocità e accuratezza nella determinazione della qualità di un colpo. Il grafico dell’immagine 2 mette a confronto la velocità con la vicinanza alle linee per evidenziare dove i vincenti hanno la tendenza a distribuirsi più prevalentemente.

IMMAGINE 2 – Visualizzazione della qualità dei colpi per la finale degli Australian Open 2017 in funzione di velocità e accuratezza

Per i colpi a rimbalzo, è l’area del campo entro 1 metro dalle linee di delimitazione dove i colpi a maggiore qualità tendono a posizionarsi. Federer e Nadal giocano il rovescio in un intervallo di velocità simile, anche se Federer raggiunge un livello di qualità più alto nell’area entro 1 metro. Sul dritto, la qualità è abbastanza simile tra i due all’interno di quest’area, con Federer che riesce ad avere un numero maggiore di colpi ad alta qualità al di fuori.

La qualità dei colpi è una nuova statistica nel tennis, di cui stiamo iniziando a conoscere l’utilità. È già evidente però l’apporto che potrà dare nell’arricchire l’analisi del gioco.

Shot Quality Maps

Per una migliore comprensione della risposta efficace

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 16 ottobre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Maggiore la profondità della risposta, migliore il risultato, non è così? Almeno, questo è l’elemento portante di molte delle grafiche accattivanti che si vedono durante le telecronache e che indicano la posizione di ogni risposta, spesso suddivise in “corta”, “media” e “profonda” a seconda della zona del campo.

Come principio generale una risposta profonda è sicuramente preferibile a una corta, ma le risposte vincenti non sono esageratamente profonde, perché si possono ottenere angoli più acuti se si mira più vicino alla linea del servizio. Inoltre, ci sono molti altri elementi a complicare la situazione: le risposte lungolinea sono più efficaci di quelle al centro, le risposte alla seconda di servizio sono tendenzialmente migliori rispetto alla prima, e le risposte arrotate generano più punti vinti che le risposte tagliate o solamente appoggiate.

Provare a quantificare il buon senso

Si vi sembrano considerazioni di puro buon senso, provare a darne quantificazione è un compito alquanto arduo. Includendo tutte queste variabili – prima o seconda di servizio, lato delle parità o dei vantaggi, direzione del servizio, mano dominante del giocatore alla risposta, risposta di dritto o di rovescio, arrotata o tagliata, direzione e profondità della risposta – si arriva a più di 8500 possibili combinazioni. Molte sono inutili (un giocatore destro non colpirà molte risposte tagliate di dritto contro un servizio al centro sul lato delle parità), ma mille altre riflettono scenari plausibili.

Solo la profondità

Per iniziare, mettiamo da parte tutte le variabili tranne una. Analizzando le più di 600 partite maschili (ora arrivate a 1712, n.d.t.) del Match Charting Project, otteniamo circa 61 mila risposte valide, codificate in una delle nove zone di campo previste, tra cui almeno 2000 per ciascuna zona.

L’immagine 1 mostra l’impatto della posizione di ogni risposta in funzione della percentuale di punti vinti dal giocatore al servizio per ciascuna zona di riferimento.

IMMAGINE 1 – Impatto della risposta in funzione della percentuale di punti vinti al servizio

(Con “corta” si intende la risposta che termina dentro al rettangolo del servizio, mentre “media” e “profonda” rappresentano ognuna la metà del campo tra il rettangolo del servizio e la linea di fondo. Le zone a sinistra, al centro e a destra sono approssimazioni del punto in cui la traiettoria della pallina incrocerebbe la linea di fondo, quindi nelle risposte molto angolate la pallina può rimbalzare al centro del campo ma il colpo essere poi classificato come risposta sul lato del dritto o del rovescio.)

Come ci si attendeva, le risposte più profonde favoriscono il giocatore alla risposta e lo stesso fanno le risposte lontane dal centro del campo. Un po’ a sorpresa, le risposte sul lato del dritto del giocatore al servizio (se è un destro) sono marcatamente più efficaci di quelle sul lato del rovescio. Forse, questo dipende dal fatto che i giocatori destri sono più pericolosi alla risposta quando colpiscono dritti incrociati, anche se lo stesso vale per i mancini (seppure non in modo così evidente) quando rispondono da quel lato del campo.

Impatto della risposta sulla prima e sulla seconda

Restringiamo l’analisi per vedere come cambia l’impatto della risposta sulla prima e sulla seconda di servizio. L’immagine 2 mostra la probabilità per il giocatore al servizio di vincere il punto in ognuna delle nove zone quando riceve una risposta sulla prima di servizio.

IMMAGINE 2 – Probabilità di vittoria del punto con risposta alla prima di servizio

Nell’immagine 3, la stessa probabilità è calcolata per la seconda di servizio.

IMMAGINE 3 – Probabilità di vittoria del punto con risposta alla seconda di servizio

Vale la pena sottolineare la portata dell’impatto che una risposta profonda può avere. Moltissimi punti sono vinti da servizi a cui non si riesce a rispondere – anche seconde di servizio – quindi anche mettere solamente la pallina in gioco si avvicina al rendere la vittoria del punto un situazione da quasi il 50% di probabilità.

Una risposta profonda a una seconda di servizio, specialmente nell’angolo, consente al giocatore alla risposta di proseguire lo scambio in una posizione molto vantaggiosa. È buona parte del motivo per cui Novak Djokovic, continuando a rispondere così profondo e angolato, di fatto neutralizza le seconde dei suoi avversari.

L’ultimo grafico illustra con precisione quanto sia importante riuscire a spostare il giocatore al servizio lontano dal centro del campo. Consideriamola una prima mossa tattica, costringere il giocatore al servizio a giocare in difesa anziché dettare lo scambio con il suo secondo colpo.

Tra le risposte valide alla seconda di servizio, qualsiasi colpo che rimbalza lontano dal centro del campo – a prescindere da quanto sia profondo – dà al giocatore alla risposta una migliore probabilità di vincere il punto rispetto a una risposta profonda al centro del campo.

Conclusioni

Per il momento è tutto. Si tratta solo della punta dell’iceberg, visto che ci sono così tante variabili che incidono sull’efficacia delle diverse risposte al servizio.

In definitiva, comprendere la portata della risposta in ciascuna posizione del campo permette di avere un migliore punto di vista sulle potenzialità legate alle varie tipologie di servizio, su quali giocatori sono più invincibili con un certo tipo di risposte e come gestire più efficacemente le varie tipologie di risposta rispetto al comportamento del giocatore al servizio nel cruciale primo colpo in uscita dal servizio.

Toward a Better Understanding of Return Effectiveness

Stabilire l’efficacia delle risposte di rovescio

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 22 ottobre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

I rovesci a una mano possono essere belli da vedere, ma non sempre sono il modo migliore per rispondere a un servizio. Alcuni dei giocatori con i rovesci a una mano più solidi spesso ricorrono a risposte tagliate: Stanislas Wawrinka ad esempio usa il rovescio tagliato il 68% delle volte in risposta alla prima di servizio e il 40% delle volte in risposta alla seconda, mentre le percentuali di Andy Murray sono rispettivamente 41% e 3%.

Con l’ausilio dei dati relativi alle 650 partite di singolare maschile del Match Charting Project (ora arrivate a 1712, n.d.t.), ho analizzato diversi aspetti nelle risposte di rovescio per cercare di comprendere quali compromessi determini l’utilizzo del rovescio a una mano. Visto che le partite del campione considerato non sono integralmente rappresentative del circuito maggiore, i numeri sono approssimati. Considerando però la dimensione e la capillarità dei dati, sono convinto che i risultati siano largamente indicativi del tennis maschile nella sua interezza.

Il rovescio a due mani è leggermente superiore alla risposta

Generalizzando nel modo più ampio, i giocatori con il rovescio a due mani hanno un rendimento alla risposta leggermente superiore, con una simile percentuale di risposte in campo (circa il 56%) ma con una percentuale più alta di punti vinti – il 46.9% rispetto al 45.7% – quando questo accade. Il divario si allarga nello specifico delle risposte di rovescio in campo: il 46.5% dei punti vinti nello scambio contro il 44.7%. Sebbene sui numeri a favore dei giocatori con il rovescio a due mani incida il rendimento di Novak Djokovic alla risposta, storicamente eccezionale, il rovescio a due mani è comunque in vantaggio anche riducendo il peso di Djokovic nel campione o escludendolo del tutto.

Non sorprende quindi che i giocatori, una volta realizzato che il rovescio a due mani è più efficace alla risposta, servano di conseguenza. Ai fini della raccolta dati per il Match Charting Project il servizio è suddiviso in tre zone – al centro, al corpo ed esterno – che ho classificato come “sul dritto”, “al corpo” e “sul rovescio” in funzione della mano dominante del giocatore alla risposta e se il punto si gioca sul lato delle parità o dei vantaggi. Sebbene non possiamo individuare con esattezza la direzione in cui il giocatore ha mirato servendo al corpo, possiamo in parte dedurre le intenzioni al servizio dai servizi indirizzati agli angoli.

Ricerca costante del rovescio a una mano con il servizio

Contro avversari dal rovescio a due mani, i giocatori al servizio hanno servito nell’angolo del rovescio il 44.2% di prime e il 34.8% di seconde. Contro avversari dal rovescio a una mano, hanno servito sempre nell’angolo del rovescio il 47.3% di prime e il 40.9% di seconde. Se si guarda alla domanda da un’altra prospettiva, i rovesci costituiscono il 61.7% delle risposte in gioco da parte di giocatori con rovescio a una mano e il 59% da parte dei giocatori con rovescio a due mani. Vista la tendenza sempre più marcata dei giocatori dal rovescio a una mano a girare intorno al rovescio per colpire di dritto, è probabile che quest’ultimo paragone numerico non dia piena rappresentazione della frequenza con cui i giocatori al servizio cerchino il rovescio a una mano dei loro avversari.

Quando il servizio arriva effettivamente sul lato del rovescio di un giocatore dal rovescio a una mano, spesso la risposta è tagliata. In media (escludendo Roger Federer che ha un’eccessiva ricorrenza nel campione) il rovescio tagliato è usato nel 53.9% di risposte alla prima e nel 32.2% di risposte alla seconda. I giocatori dal rovescio a due mani usano la risposta tagliata sul 20.5% di prime e solo sul 2.5% di seconde.

Risposte in rovescio tagliato meno efficaci

Per entrambe le tipologie di giocatori, sia contro la prima che contro la seconda di servizio le risposte tagliate sono meno efficaci rispetto a un rovescio piatto o arrotato. Nemmeno questa è una sorpresa, perché colpi difensivi sono spesso scelti in situazioni difensive, quindi la differenza di efficacia è in parte dovuta anche alla differenza nella qualità dei servizi stessi. Considerando quanto più spesso i giocatori dal rovescio a una mano scelgano di rispondere tagliato, conoscere il confronto numerico tra le tipologie di risposta può diventare un fattore determinante.

                      %V. Rovescio   %V. Tagliato   
Tipo di risposta      in gioco       in gioco 
Una mano su Prime     43.3%          37.6% 
Una mano su Seconde   46.0%          44.1% 
                        
Due mani su Prime     46.8%          36.2% 
Due mani su Seconde   48.6%          41.9%

(anche in questo caso Federer è escluso dalle medie del rovescio a una mano.)

Per tre delle quattro categorie in esame c’è una differenza di diversi punti percentuali, rispetto all’esito del punto, tra l’efficacia delle risposte tagliate e delle risposte piatte o arrotate. La sola eccezione – le risposte alla seconda di servizio da parte dei giocatori dal rovescio a una mano – ci ricorda che il rovescio tagliato può essere una proposizione offensiva alla risposta, anche se è raramente utilizzato nel tennis moderno. Alcuni giocatori – tra cui Federer, Feliciano Lopez, Grigor Dimitrov e Bernard Tomic – hanno un rendimento più efficace con risposte tagliate rispetto a risposte piatte o arrotate sia sulla prima che sulla seconda di servizio.

Questi giocatori però rappresentano l’eccezione e, in un mondo teorico in cui la formula “a parità di condizioni” è applicabile, la risposta tagliata è una scelta sub-ottimale. Anche se tutti i giocatori prima o poi devono rispondere tagliato, e molte di quelle risposte sembrano essere dovute alla potenza del servizio, resta il fatto che i giocatori dal rovescio a una mano rispondono tagliato molte più volte dei giocatori dal rovescio a due mani. Inoltre, a parte la sporadica opportunità offensiva, è più probabile che la risposta tagliata consegni il punto al giocatore al servizio.

Servono ulteriori ricerche

Per quanto modeste, si tratta di differenze reali. Un giocatore dal rovescio a una mano bravo alla risposta è considerevolmente migliore di un giocatore dal rovescio a due mani non bravo alla risposta. È anche possibile mettere insieme un valido game alla risposta colpendo tagliato nella maggior parte dei casi. Servono ulteriori ricerche per stabilire se il beneficio di altri colpi – come ad esempio gli incredibili vincenti lungolinea a cui ci hanno abituato giocatori come Wawrinka e Richard Gasquet – siano superiori al costo associato in termini di punti persi.

Measuring the Effectiveness of Backhand Returns

Il ruolo pervasivo della fortuna nel tennis

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 25 settembre 2015 – Traduzione di Edoardo Salvati

Non importa quale sia l’orizzonte di riferimento – da un singolo punto alla classifica di una stagione o anche a un’intera carriera – la fortuna ha un ruolo determinante nel tennis. Ci sono volte in cui fortuna e sfortuna si elidono, come nel caso di due punti vinti da entrambi i giocatori grazie a una deviazione del nastro. Ci sono altre però in cui la fortuna si muove in una sola direzione, premiando gli stessi fortunati giocatori con opportunità che li rendono poi ancora più fortunati.

Di solito, interpretiamo la fortuna come un passaggio temporaneo a possibile spiegazione di un fenomeno isolato. Per comprendere però quanto incida veramente la fortuna è necessario esaminare questi episodi collegandoli tra loro.

Il singolo punto

Solitamente, siamo d’accordo nell’associare l’esito di uno specifico punto alla bravura del giocatore. Occasionalmente però succede qualcosa che fa vincere il punto al giocatore che non lo merita. Gli esempi più ovvi sono le situazioni in cui l’intervento del nastro o un cattivo rimbalzo su una superficie irregolare rendono la pallina imprendibile. Ma ce ne sono altri. 

Anche l’arbitraggio può rappresentare un fattore. Una chiamata sbagliata che non viene modificata dal giudice di sedia può assegnare un punto in modo scorretto. Anche se il giudice di sedia (o il sistema Hawk-Eye) cambia la chiamata iniziale, può accadere di dover rigiocare il punto quando uno dei due giocatori era in totale controllo dello scambio precedente.

Addentrandoci nel territorio dei “colpi fortunati”, possiamo includere le steccate che portano al punto o anche i colpi in mezzo alle gambe che accendono il tifo ma che un giocatore difficilmente riesce a ripetere con successo. Sebbene la demarcazione tra colpi davvero fortunati e colpi a bassa percentuale di realizzazione sia piuttosto incerta, vale la pena ricordare che nelle situazioni più estreme non è il talento l’unico elemento a determinare l’esito di un punto.   

Partite fortunate

Più del 5% delle partite della stagione in corso sono state vinte da un giocatore che non è riuscito a vincere più della metà dei punti giocati. Un altro 25% è stato vinto da un giocatore che non è riuscito a raccogliere più del 53% dei punti, un livello che non garantisce automaticamente la vittoria.

In funzione della vostra opinione sulla capacità di fare la differenza e sul vantaggio psicologico nel tennis, potreste considerare alcuni di questi risultati, o tutti, come non dipendenti dalla fortuna. Se un giocatore converte tutte le opportunità di break e vince nonostante abbia fatto solo il 49% dei punti totali, forse è perché lo merita effettivamente di più. Discorso analogo si può fare per prestazioni molto solide nel tiebreak, che di fatto è un concentrato di punti ad alta leva che possono far sfuggire la vittoria finale al giocatore che ha vinto più punti. 

Quando però il margine è così sottile che uno o due punti chiave possono cambiare il risultato finale – specialmente quando sappiamo che la fortuna è in grado di incidere sul singolo punto – dobbiamo considerare fortunato il risultato di alcune di queste partite molto equilibrate. Non serve decidere quale partita sia stata segnata dalla fortuna e quale non lo sia stata, semplicemente riconoscere che alcune partite non sono vinte dal giocatore migliore, anche usando una definizione piuttosto vaga di “giocatore migliore quel determinato giorno”.

Fortuna di lungo periodo

Forse la manifestazione più evidente di fortuna nel tennis è nel sorteggio del tabellone di ogni torneo. Un giocatore fuori dalle teste di serie potrebbe trovarsi ad affrontare una delle prime teste di serie in una partita quasi impossibile da vincere o, all’opposto, avere un turno estremamente facile con una wild card dalla bassa classifica. Anche le teste di serie possono essere soggette alla fortuna, in funzione di quale giocatore fuori dalle teste di serie viene sorteggiato o di quali teste di serie troveranno nei turni successivi. 

C’è un’altra forma di fortuna di lungo periodo, anch’essa influenzata dalla fortuna nel sorteggio, che potremmo chiamare “sequenziale”. Un giocatore che in una stagione ottiene un record di 20-20 vincendo tutte le partite del primo turno e perdendo tutte quelle del secondo turno non raccoglierà lo stesso numero di punti o premi partita di un giocatore che invece ottiene lo stesso record vincendo solo 10 partite di primo turno, raggiungendo però il terzo turno ogni volta che ci riesce.

Di nuovo, potrebbe non dipendere esclusivamente dalla fortuna – le vittorie di un giocatore di questo tipo sarebbero velocemente etichettate come una striscia vincente – ma, insieme alla fortuna del sorteggio, un giocatore potrebbe semplicemente trovarsi ad affrontare avversari che è in grado di battere in sequenza, anziché avere primi turni facili e secondi turni difficili. 

L’effetto Matteo

Queste diverse forme di fortuna relative al tennis giocato sono tra loro in qualche modo collegate. Il sociologo Robert Merton ha coniato il termine “effetto Matteo” – anche conosciuto come il principio del vantaggio cumulativo – per descrivere quelle situazioni in cui un’entità in possesso di un vantaggio minimo finirà con l’avere un vantaggio molto più ampio, per via di una maggiore facilità di accesso alle risorse messe a disposizione in virtù del vantaggio inizialmente posseduto.

L’effetto Matteo è applicabile a una vasta gamma di fenomeni e ritengo che sia qui istruttivo. Consideriamo il caso di due giocatori separati in classifica da pochissimi punti, un margine che potrebbe dipendere solo da pura fortuna, ad esempio in presenza di vittoria per ritiro dell’avversario prima della partita. Uno dei due giocatori riceve la testa di serie numero 32 in uno Slam, mentre l’altro è fuori dalle teste di serie.

I due giocatori – che ricordiamo sono praticamente indistinguibili – si trovano di fronte a un percorso ben differente. Al primo sono garantite due partite contro avversari fuori dalle teste di serie, il secondo invece giocherà quasi sicuramente contro una testa di serie prima del terzo turno, magari anche una testa di serie di vertice già al primo turno. Quest’ultimo potrebbe avere fortuna, dal tabellone o durante le partite, eliminando lo svantaggio dovuto al non essere tra le teste di serie, ma è più probabile che il primo giocatore (la testa di serie) guadagnerà più punti nel torneo, consolidando una classifica più alta che non si è necessariamente meritato in campo.   

Carriere che si creano e si distruggono

L’effetto Matteo può generare conseguenze anche su più larga scala. I professionisti di oggi hanno iniziato ad allenarsi e gareggiare da giovanissimi, e la maggior parte di loro ha ricevuto una discreta dose di aiuto nella crescita, sia essa in termini di allenatori lungimiranti, di supporto dalla federazione nazionale o da wild card assegnate nei momenti giusti.

È difficile quantificare l’effetto positivo (o negativo) dell’intervento di un buon allenatore a 15 anni, ma le wild card sono un esempio del fenomeno più facilmente comprensibile. Lo sfortunato giocatore fuori dalle teste di serie citato in precedenza almeno è riuscito ad accedere al tabellone principale del torneo. Ma quando la federazione del paese che ospita uno Slam decide a quale giovane promessa assegnare una wild card, crea le condizioni per un contesto a somma zero: un giocatore riceve un’opportunità enorme (soldi e punti validi per la classifica, anche se perde al primo turno), l’altro non ottiene nulla.

Questo è, in poche parole, il motivo per cui persone come me trascorrono buona parte del loro tempo libero a sfogarsi in merito alle wild card. Il problema non è nell’accesso al tabellone del singolo torneo, ma nella pletora di opportunità che ne consegue. Certo, ci sono volte in cui quelle opportunità non si trasformano in altro – la carriera di Ryan Harrison sembra avviata su quella strada – ma anche in quei casi non si sentono nominare i giocatori che non hanno ricevuto la wild card o quelli che non hanno mai avuto la possibilità di approfittare dei vantaggi cumulativi derivanti dall’aver salito il gradino superiore.    

Perché la fortuna ha tutta questa importanza

A chi segue il tennis con avidità, niente di questo giunge nuovo. È risaputo che ogni giocatore attraversa momenti positivi e negativi, si trova in tabelloni favorevoli e sfavorevoli e ha dovuto affrontare sfide in carriera diverse da quelle degli altri giocatori.

Ma esaminando tutti i differenti tipi di fortuna nel medesimo contesto, spero di riuscire a enfatizzare l’importanza del fattore fortuna nella valutazione di un qualsiasi giocatore in un qualsiasi momento. Non è un caso che i giocatori di media classifica si scambino di posizione così frequentemente. Alcuni sono davvero bravi a mettere insieme strisce vincenti di partite, e gli infortuni hanno il loro ruolo, ma molta della varianza può essere ricondotta alle molteplici manifestazioni della fortuna. Il numero 30 del mondo probabilmente è più forte del numero 50, ma non è scontato che sia così. Non serve essere travolti dalla sfortuna per crollare in classifica, specialmente quando la sfortuna apre le porte a ulteriori circostanze sfortunate.

Anche se molte delle forme di fortuna di cui ho parlato sono in realtà influenzate dal talento e, a titolo di esempio, chi sta giocando meglio in un determinato giorno riesce a fare la differenza nella conversione delle palle break, l’evidenza empirica mostra che significative fluttuazioni in indicatori come la percentuale di tiebreak vinti e la frequenza di palle break convertite sono momentanee, non persistono di anno in anno. Forse non si può propriamente categorizzarla come fortuna ma, proiettando la classifica da qui a un anno, potrebbe dipendere solo da quello.

Se i risultati delle partite, le vittorie dei tornei e le classifiche settimanali sono scolpite nella pietra, il modo in cui i giocatori arrivano a quel successo non è altrettanto chiaro. Faremmo meglio ad accettare quest’incertezza.

The Pervasive Role of Luck in Tennis

Vincenti, errori e disinformazione

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato il 12 gennaio 2016 – Traduzione di Edoardo Salvati

Dei diversi modi in cui generalmente finisce un punto – vincenti, errori forzati e non forzati – qual è il più frequente? È una domanda così semplice che non ne ho mai fatto oggetto di ricerca. A quanto pare, ci hanno pensato altri, lanciandosi in affermazioni – sulla base dei risultati poi ottenuti – di dubbia bontà.

Un amico mi ha inoltrato un link a un video promozionale per un corso di didattica nel quale – dopo lunghe attese – si spiega che a livello professionistico più punti finiscono con un errore forzato di quanti non terminino con un vincente o un errore non forzato. E per questo motivo, prosegue il video, è possibile usare alcune delle stesse tattiche che i professionisti adoperano per costringere l’avversario a un errore forzato. Sembrerebbe infatti che cercare il vincente sia troppo rischioso, tanto quanto lo sia attendere l’errore non forzato.

Da un punto di vista pedagogico, può avere senso promulgare pazienza e infondere atteggiamenti conservativi. Non so nulla di come insegnare a un dilettante a migliorare il proprio gioco e lascio volentieri l’incombenza agli esperti.

Scetticismo

Però, l’utilizzo di dati relativi alle partite professionistiche ha suscitato il mio interesse oltre a un’immediata reazione di scetticismo rispetto a quelle conclusioni, sembra basate su partite dei tornei Slam 2012.

Affidandomi al campione che ho ricavato dai dati messi a disposizione da IBM Poinstream per gli Slam degli ultimi anni, ho testato il Roland Garros 2015 e gli US Open 2015, conteggiando vincenti, errori forzati e non forzati sia per le partite maschili che per quelle femminili. La tabella riepiloga quanto trovato.

Campione dati    Vincenti  Non forzati  Forzati  
Roland Garros U  33.8%     32.9%        33.3%  
Roland Garros D  32.7%     37.8%        29.5%  
                                      
US Open U        34.3%     31.6%        34.1%  
US Open D        31.0%     38.0%        30.9%

Su entrambe le superfici, tra gli uomini i punti si distribuiscono abbastanza uniformemente nelle tre categorie. Tra le donne, i vincenti sono più o meno nello stesso numero degli errori forzati (anche se ci sono più vincenti sulla terra battuta) e gli errori non forzati rappresentano la tipologia di colpo più diffusa con cui un punto finisce.

Va riconosciuto però che si tratta di un campione di dati con delle limitazioni, ed è facile immaginare quali. Una buona percentuale di errori forzati infatti arriva dalla risposta al servizio, un aspetto che non sembra pertinente in una conversazione sulla tattica. Siamo in grado di separare gli ace dai vincenti e i doppi falli dagli errori non forzati, ma non gli errori forzati alla risposta dagli errori forzati.

I dati sulla lunghezza dello scambio

Per fare questo, si può sfruttare l’ingente quantità di dati raccolta con il Match Charting Project, quasi 1500 partite del circuito maggiore equamente divise tra uomini e donne (al momento della traduzione le partite sono complessivamente 3436, n.d.t.). Il campione del Match Charting Project contiene tutto quello che si trova in Pointstream – vincenti, errori forzati e non forzati – e molto, molto di più. Ai fini di quest’analisi, l’elemento chiave aggiuntivo è la lunghezza dello scambio, che permette di distinguere tra errori forzati alla risposta ed errori forzati che sono avvenuti a scambio inoltrato.

Con i dati del Match Charting Project inoltre possiamo eliminare completamente dal contesto le statistiche legate al servizio, come ace, doppi falli ed errori forzati alla risposta, visto che non rientrano nel significato che comunemente si associa alla parola tattica.

La tabella riepiloga la frequenza di ciascun tipo di colpo con cui un punto finisce.

Campione dati  Vincenti  Non forzati  Forzati  
Uomini         32.5%     45.8%        21.7%  
Donne          32.4%     49.4%        18.2%

Senza i servizi ad alterare la composizione, i vincenti mantengono la loro importanza relativa, ma è la distribuzione degli errori a cambiare enormemente. Si osserva ora come nel momento in cui il giocatore alla risposta avvia lo scambio (o riceve un servizio che dovrebbe essere in grado di rimettere in gioco), gli errori non forzati siano più del doppio degli errori forzati (anche restringendo il calcolo alla terra battuta, tutte le frequenze sono inferiori al punto percentuale in più rispetto alla media complessiva).

Il punto termina più spesso con un errore non forzato

In solo 14 delle 728 partite maschili considerate e in solo 4 delle 751 partite femminili gli errori forzati sono la tipologia di colpo con cui più frequentemente termina un punto. Anche se si sollevano dubbi sulla rappresentatività del campione di partite del Match Charting Project o sulle tendenze all’errore nella codifica dello scambio da parte dei volontari che raccolgono i dati, siamo di fronte a risultati che stabiliscono in modo incontrovertibile che gli errori non forzati siano la modalità più diffusa con cui finisce un punto.

Non so quanto le tattiche e le tendenze di gioco dei professionisti possano essere riproposte tra i dilettanti, quindi è probabile che questi numeri abbiano scarso valore per gli allenatori. Ma se l’intento è quello di basare le proprie tecniche di insegnamento sulle statistiche dei professionisti, sembra ragionevole iniziare dal comprendere i numeri nel modo giusto.

Winners, Errors, and Misinformation

Partita dopo partita, la fatica si accumula?

di Stephanie Kovalchik // OnTheT

Pubblicato il 20 ottobre 2017 – Traduzione di Edoardo Salvati

Tenere sotto controllo la fatica durante una qualsiasi partita di uno Slam è una sfida. Mi chiedo se questo diventi ancora più impegnativo dopo aver giocato diverse partite.

In un precedente articolo ho affrontato la tematica della fatica nel corso della partita, prendendo spunto da uno studio in cui la diminuzione della velocità per i lanciatori di rilievo nel baseball viene analizzata attraverso modelli di somministrazione-responso tipicamente adottati in medicina per registrare gli effetti della fatica.

Un rapido caso studio ha evidenziato come l’utilizzo di un approccio analogo con le velocità al servizio possa essere utile per identificare il declino nella perdita di velocità generato dalla fatica.

Più fatica andando avanti nel torneo?

In questa circostanza, intendo verificare la progressione della fatica nello svolgimento del torneo. In altre parole, i giocatori diventano più esposti alla fatica all’avanzare dei turni?

Per trovare delle interessanti dinamiche generate dalla fatica, possiamo considerare gli US Open 2017. Le immagini che seguono rappresentano due degli esempi più significativi dall’ultimo Slam della stagione.

Donne

Il grafico dell’immagine 1 mostra l’andamento delle velocità al servizio in ciascun turno per la finalista del singolare femminile Madison Keys. Le velocità effettivamente misurate sono rappresentate dai pallini blu, mentre i pallini arancioni indicano le stime arrotondate derivanti dall’utilizzo di un modello di somministrazione-responso con la migliore bontà di adattamento, come descritto nell’articolo già citato.

Sulla prima di servizio Kyes non ha mostrato segni di affaticamento fino alla finale, nella quale – a partire dal 50esimo servizio – la velocità è diminuita in misura considerevole. Da quel momento, la prima di servizio è scesa progressivamente al di sotto della media di 165 km/h tenuta da Keys nel corso del torneo.

IMMAGINE 1 – Velocità al servizio in ciascun turno degli US Open 2017 di Keys

Anche se sulla seconda di servizio non si è assistito a un decremento analogo, si è comunque verificata una sorprendente riduzione di velocità dopo il primo turno (in cui Keys ha raggiunto la media più alta di 133 km/h). In finale Keys ha fatto segnare la media più bassa sulla seconda di tutto il suo torneo, pari a 126 km/h.

Uomini

Prendiamo, come altro esempio, Dominic Thiem, il cui rendimento al servizio è in peculiare contrasto con quello di Keys. Nel suo caso infatti la fatica manifesta gli effetti maggiori sulla seconda di servizio anziché sulla prima. Non solo, ma sono anche effetti che si presentano molto prima nel torneo.

IMMAGINE 2 – Velocità al servizio in ciascun turno degli US Open 2017 di Thiem

Il grafico mostra come, al raggiungimento del quarto e ultimo turno di Thiem agli US Open 2017, la velocità media della seconda di servizio sia complessivamente diminuita rispetto ai turni precedenti, da 150 km/h a 135 km/h. Inoltre, nella partita in cinque set contro Juan Martin Del Potro, la velocità della seconda è scesa in modo esponenziale dal momento in cui Thiem è arrivato a servire per la 140esima volta.

Sebbene in tutte e quattro le quattro partite giocate da Thiem la velocità della prima sia rimasta abbastanza costante durante la singola partita, si è assistito a un calo progressivo nella velocità media tra il primo turno e successivi. Da un media di 178 km/h si è arrivati a una media di 172 km/h nel quarto turno.

Siano dinamiche causate da uno sforzo fisico cumulato, un aumento della pressione psicologica o altri aspetti dell’esperienza di partecipare a un torneo dello Slam, questi due brevi esempi suggeriscono che l’analisi turno per turno delle caratteristiche fisiche del servizio di un giocatore può svelare dettagli che meritano di ricevere ulteriore approfondimento.

Il codice e i dati dell’analisi sono disponibili qui.

Is Fatigue Cumulative?

La capacità di Novak Djokovic di rendere la seconda di servizio inefficace

di Jeff Sackmann // TennisAbstract

Pubblicato l’11 novembre 2013 – Traduzione di Edoardo Salvati

Quando c’è Novak Djokovic dall’altra parte del campo, è meglio mettere dentro più prime di servizio.

Per il 2013, Djokovic è uno dei due giocatori a vincere più del 55% dei punti alla risposta sulla seconda di servizio (l’altro è David Ferrer). Se si considera che vince anche più del 35% dei punti alla risposta sulla prima di servizio, diventa difficile pensare che il giocatore al servizio abbia un effettivo vantaggio. Anzi, quando Djokovic raggiunge quel livello, se il suo avversario inciampa in un momento negativo e serve solo un quarto delle prime di servizio, Djokovic ha una probabilità superiore al 50% di fare il break.

Spesso i telecronisti definiscono la risposta di Djokovic una vera e propria arma, e non a torto. Solo sei giocatori (tra cui lo stesso Djokovic e, inevitabilmente, John Isner) hanno vinto quest’anno lo stesso numero di punti sulla seconda di servizio di quanti Djokovic ne abbia vinti rispondendo alla seconda di servizio.

La velocità con cui rende inefficace la seconda

L’aspetto più impressionante del gioco in risposta di Djokovic è la velocità con cui rende inefficace la seconda di servizio, spesso usando tattiche che, se adottate da giocatori dotati di talento inferiore, sarebbero più appropriate per i punti al servizio. Rispetto agli altri giocatori alla risposta, Djokovic ha più probabilità di vincere uno scambio breve che uno lungo. Mentre ad altri giocatori servono alcuni colpi per controbilanciare il vantaggio assegnato dal servizio, Djokovic raggiunge la massima efficacia nelle fasi iniziali dello scambio sulla risposta.

L’immagine 1 mostra il confronto tra la percentuale di punti vinti da Djokovic in risposta alla seconda di servizio – in funzione della lunghezza dello scambio – di quattro partite di cui ho raccolto dati punto per punto (la semifinale contro Stanislas Wawrinka e la finale contro Rafael Nadal agli US Open 2013; la semifinale contro Wawrinka e la partita di girone contro Juan Martin Del Potro alle Finali di stagione 2013) e la stessa percentuale di altri giocatori tra i primi 10 (a esclusione di Nadal) in 19 partite con dati punto per punto dagli US Open 2013 e dalle Finali di stagione 2013.

IMMAGINE 1 – Percentuale di punti vinti alla risposta da Djokovic e da altri giocatori tra i primi 10 in un campione di partite selezionato

Quando la risposta è in campo, Djokovic vince quasi il 53% dei punti, mente il resto dei giocatori arriva a meno del 44% (si tratta di partite tra i primi 10, quindi le medie sono molto inferiori rispetto ai valori stagionali, che beneficiano di partite contro avversari più deboli). La differenza rimane quasi la stessa anche escludendo gli scambi da due e tre colpi.

Come se il punto diventasse sul servizio di Djokovic

Limitando l’analisi agli scambi che arrivano a sei colpi, Djokovic ha comunque un margine sostanziale, circa il 48% contro il 42%. Negli scambi più lunghi di sette colpi, praticamente non c’è differenza.

La risposta di Djokovic è così efficace che se un avversario sbaglia la prima di servizio è come se il punto fosse diventato sul servizio di Djokovic. Gli avversari sono costretti a dover giocare in salita i propri punti di servizio!

Così è stato in particolare nella finale degli US Open 2013 tra Djokovic e Nadal, il quale ha vinto a malapena la metà dei punti sulla seconda di servizio quando Djokovic ha risposto in campo. Nel momento in cui però lo scambio è arrivato almeno a cinque colpi (quindi anche sei o sette, etc) Nadal ha avuto la meglio, vincendo il 60% dei punti. Una volta raggiunti i cinque colpi, il vantaggio di Nadal ha continuato ad aumentare.

Certo, è stato Nadal a vincere quella partita. Non è molto utile trasformare punti alla risposta in punti al servizio avendo di fronte un avversario la cui risposta al servizio è così efficace.

La finale delle Finali di stagione

Per vincere oggi la finale dell’ultimo torneo dell’anno, Djokovic ha bisogno di fare altro dell’attaccare la seconda di servizio di Nadal. O riesce a farlo con più efficacia di quanto sia riuscito a New York, o deve trovarsi nella posizione di vincere scambi più lunghi alla risposta una volta che l’effetto generato dalla sua bravura alla risposta è svanito (Djokovic ha vinto le Finali di stagione 2013 per 6-3 6-4, con il 50% dei punti vinti alla risposta sulla seconda di Nadal e il 70% dei punti vinti sulla propria seconda di servizio. E ha impedito che gli scambi sulla seconda di Nadal diventassero lunghi, senza nessuno scambio ad aver superato i dieci colpi, vincendo molti più di quelli di media lunghezza rispetto a quanto fatto agli US Open, n.d.t.).

Novak Djokovic and Neutralizing the Second Serve